Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Sezione I
Sentenza 27 novembre 2018, n. 11494

Presidente: Volpe - Estensore: Correale

FATTO

Con provvedimento n. 207 del 21 febbraio 2018, il Consiglio dell'Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), in seguito ad attività istruttoria susseguente a specifica segnalazione, deliberava l'accertamento da parte del dr. Luigi M., già Presidente dell'Autorità Portuale di Genova (APG) nel periodo novembre 2012-novembre 2015, della violazione dell'art. 53, comma 16-ter, d.lgs. n. 165/2001, con riferimento all'assunzione, avvenuta il 3 gennaio 2017, dell'incarico di Direttore dei rapporti istituzionali per l'Italia presso la MSC Cruises s.a. (MSC), con sede in Ginevra.

La delibera in questione, dopo aver richiamato i presupposti di fatto, illustrava in dettaglio le ragioni a confutazione delle osservazioni proposte in istruttoria dagli interessati (oltre al dr. M., anche le società MSC Crociere s.p.a. e la stessa MSC) relativamente alla ritenuta consumazione del potere di contestazione, si soffermava sull'applicazione al caso di specie dell'istituto del c.d. pantouflage di cui all'art. 53, comma 16-ter, cit. e alla relativa estensione dovuta all'art. 21 d.lgs. n. 39/2013, considerata indirizzabile anche alle Autorità Portuali e ai relativi organi, precisava l'ambito dell'esercizio di poteri autoritativi o negoziali nei confronti di soggetti privati corrispondenti all'ipotesi normativa, in relazione all'attività dell'APG sotto la presidenza del dr. M. nei confronti delle società del "Gruppo MSC", di cui erano illustrati i legami "infragruppo".

Con distinti, rituali, ricorsi a questo Tribunale, sia MSC che il dr. M. chiedevano l'annullamento, previe misure cautelari, di tale delibera.

Per quanto riguarda, nello specifico, il ricorso di MSC (n.r. 4443/2018), era lamentato, in sintesi, quanto segue.

"I. In via principale. Sull'assoluta carenza di potere dell'ANAC. Violazione degli artt. 53, comma 16-ter, d.lgs. 165/2001, 1, commi 2 e 3, l. 190/2012, 16 e 21 d.lgs. 39/2013, 3, 76 (per eccesso di delega), 97 e 41 Cost.; 16 e 41 Carta di Nizza; 1 e 3 l. 241/1990, 85 d.lgs. 50/2016, del § 3.1.9 del PNA, del principio di legalità e tipicità dei poteri. Eccesso di potere per contraddittorietà estrinseca e difetto di istruttoria. Nullità ex art. 21-septies l. 241/1990 per difetto assoluto di attribuzione".

MSC sosteneva che le disposizioni normative richiamate dall'ANAC a sostegno dell'esercizio del suo potere nella fattispecie - quali l'art. 1, comma 3, l. n. 190/2012 e l'art. 16 d.lgs. n. 39/2013 - erano inconferenti.

In particolare, la ricorrente, in relazione all'art. 1, commi 2 e 3, l. n. 190/2012, evidenziava che il potere di vigilanza e controllo riconosciuto all'ANAC (comma 2, lett. f), esercitato attraverso poteri ispettivi, adozione di atti o provvedimenti e rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i piani e le regole sulla trasparenza (comma 3), era limitato alle misure adottate dalle pubbliche amministrazioni ai sensi dei successivi commi 4 e 5 sulle regole di "trasparenza" previste dagli ulteriori commi da 15 a 36 e dalle altre disposizioni vigenti.

Per quanto riguardava le autorizzazioni allo svolgimento di incarichi esterni, con particolare riferimento all'applicazione dell'art. 53, comma 16-ter, d.lgs. cit., l'attività dell'Autorità, invece, era limitata solo all'espressione di pareri facoltativi (comma 2, lett. e).

A ciò doveva aggiungersi che il potere di vigilanza e controllo di cui all'art. 16 d.lgs. cit. - come richiamato dall'ANAC - aveva un ambito oggettivo di applicazione a sua volta legato al rispetto del divieto solo "da parte delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico" e si riferiva dunque ai soli incarichi "pubblici" (in relazione ai quali operano le cause di incompatibilità e inconferibilità previste dal d.lgs. 39/2013) e non già agli incarichi conferiti in quanto tali da soggetti "privati", eventualmente destinatari di poteri autoritativi o negoziali di ex dipendenti o ex titolari di incarichi pubblici.

Così pure, l'art. 21 d.lgs. cit. - ai soli fini dell'applicazione del divieto di cui all'art. 53, comma 16-ter - equiparava determinati soggetti ai dipendenti pubblici in "senso stretto" (quali funzionari o titolari di un rapporto di lavoro subordinato tradizionale), senza per questo ampliare il potere dell'ANAC nel senso da quest'ultima interpretato nel caso di specie.

Per la ricorrente, in realtà, oltre a condurre a conseguenze definite "paradossali" a seconda del ruolo (ex dipendente o ex titolare di incarichi) coperto dalla persona fisica che incorra nella violazione del divieto, l'interpretazione del complesso normativo richiamato era lineare e non comportava alcuna aporia, anche in relazione alla struttura del Piano Nazionale Anticorruzione (PNA), approvato dalla stessa ANAC nel 2013, e al contenuto dell'art. 85 d.lgs. n. 59/2016, per cui le modalità attuative dell'art. 53, comma 16-ter, cit. si sostanziano nella verifica della sussistenza di una particolare condizione soggettiva dell'impresa privata al momento in cui entri in contatto con l'amministrazione ai fini della stipula di un contratto, senza alcun previo potere accertativo dell'ANAC sulla violazione del divieto da parte di soggetti privati e sulla sussistenza in astratto di tale condizione di ammissione a contrarre con le p.a.

All'Autorità spetta esclusivamente, ex ante, un'attività di supporto, in via consultiva, tramite i pareri facoltativi di cui al richiamato art. 1, comma 2, lett. e), cit. ed, ex post, un attività di vigilanza nei confronti delle singole amministrazioni sul rispetto della suddetta disposizione e delle riferite indicazioni del PNA, volte, per l'appunto, a dare effettività al divieto in relazione a ciascuna amministrazione con cui l'operatore economico venga di volta in volta in contatto.

L'ordinamento, quindi, ha dato luogo a un meccanismo di attuazione "diffuso" del comma 16-ter cit., che "chiudeva" il sistema e dimostrava l'insussistenza del "vuoto normativo" lamentato dall'ANAC.

Inoltre, MSC rilevava anche che, introducendo la norma, in presenza della riscontrata violazione del divieto, la nullità ex lege dell'incarico e la conseguente insorgenza degli obblighi di restituzione dei compensi eventualmente percepiti, si era al cospetto di una conseguenza giuridica che colpisce il rapporto esistente tra soggetti privati e che, in quanto tale, apparterrebbe alla cognizione del giudice ordinario (escludendo anche sotto questo profilo l'esistenza di un "vuoto normativo" in ordine alle conseguenze dell'accertamento), nel caso di specie neanche individuabile nel giudice italiano, in quanto MSC ha sede in Svizzera.

Da ultimo, la ricorrente osservava anche che non poteva essere invocato, a sostegno dell'esercizio dello specifico potere di cui alla delibera impugnata, il Regolamento di Vigilanza dell'ANAC, che richiama in più punti proprio l'art. 53, comma 16-ter, e fa accenno al possibile avvio da parte dell'Autorità di procedimenti suscettibili di concludersi con un "atto di accertamento di illegittimo conferimento di un incarico successivo alla cessazione del rapporto di lavoro", in quanto manca il supporto normativo primario a sostegno di tale estensione di potere, non potendo certo configurarsi l'(auto)attribuzione all'ANAC di un potere "regolatorio e amministrativo in bianco", né, a maggior ragione, l'idoneità di tale potere a sopperire al difetto di attribuzione da parte della legge.

Pur ritenendo assorbente quanto contestato con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente proponeva, in via subordinata, altre censure che si vanno a riassumere.

"II. Sulla consumazione del potere di contestazione. Violazione e falsa applicazione degli artt. 7, commi 3 e 4, e 12, comma 2, del Regolamento Vigilanza dei principi generali in materia di certezza del diritto e sicurezza delle situazioni giuridiche (coerentemente tradotti dall'art. 414 c.p.p.), del legittimo affidamento Violazione degli artt. 1, 3 e 7 ss. l. 241/1990 s.m.i.; 97 Cost.; 41 Carta di Nizza, sub specie di violazione e falsa applicazione degli obblighi motivazionali e partecipativi".

La delibera impugnata era illegittima in quanto, al momento della sua adozione, il potere dell'ANAC si era ormai consumato, in riferimento alla scansione temporale imposta dall'art. 7, comma 3, del Regolamento di Vigilanza, il quale comportava di ritenere archiviata la segnalazione che aveva originato il procedimento in assenza di nuovo impulso procedimentale da parte del Consiglio dell'Autorità, da comunicare comunque al soggetto interessato, pena l'illegittimità del Regolamento stesso.

"III. Sulla violazione del diritto al contraddittorio e delle garanzie partecipative. Violazione degli artt. 1, 3 e 7 ss. l. 241/1990 s.m.i.; 10, 11, 97 e 117, comma 1, Cost.; 6 CEDU; 41 Carta di Nizza. Illegittimità degli artt. 16 e 17 Regolamento. Eccesso di potere".

Atteso il carattere sanzionatorio e afflittivo della delibera impugnata, l'ANAC avrebbe dovuto comunicare la disposta sospensione del procedimento per ragioni ispettive e indicare le acquisizioni documentali intervenute e tutte le evidenze istruttorie, al fine di consentire un contraddittorio procedimentale con le parti, invece non avvenuto, con conseguente illegittimità del relativo Regolamento anche sotto tale ulteriore profilo.

"IV. Sull'inapplicabilità alle Autorità Portuali dell'art. 53, comma 16-ter. Violazione e falsa applicazione degli art. 1, comma 2, e 53, comma 16-ter, d.lgs. 165/2001; 21 d.lgs. 39/2013; 1 e 3 l. 241/1990; 6, 8, 10, l. 84/1994, 76, per eccesso di delega, 41 e 97 Cost.; 16 e 41 Carta di Nizza. Difetto di istruttoria e di motivazione. Contraddittorietà".

Sosteneva la ricorrente che il divieto de quo non era comunque applicabile alle Autorità portuali (AP) almeno sino alla loro trasformazione in Autorità di Sistema Portuale (ASP), in quanto l'art. 53 cit. è inserito nell'ambito di testo normativo relativo all'impiego pubblico e le AP sono state sempre legislativamente tenute distinte dai soggetti di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001.

Oltre a non motivare sul punto, l'ANAC non aveva neanche considerato la portata innovativa della riforma operata con il d.lgs. 169/2016 rispetto al quadro normativo vigente in costanza dell'incarico del dott. M. all'AP.

"V. In via subordinata al motivo che precede e per quanto occorrer possa. Sull'incostituzionalità dell'estensione del Divieto ai Presidenti delle Autorità di Sistema Portuale e, in ogni caso, sulla sua inidoneità a giustificarne l'applicazione ai Presidenti delle Autorità Portuali. Manifesta illogicità e irragionevolezza. Violazione e falsa applicazione dell'art. 10 d.lgs. 169/2016, e degli artt. 3, 23, 41, 76 (per eccesso di delega), 97 e 10, 11 e 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 7 CEDU; 16 Carta di Nizza".

L'estensione del divieto, disposta eventualmente dal d.lgs. 169/2016, esclusivamente nei confronti del Presidente e del Segretario Generale delle neo-istituite ASP, si porrebbe in contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità dell'azione amministrativa, oltre che con il principio generale di eguaglianza e imparzialità delle regole che ne disciplinano l'esercizio, dato che il Presidente delle ASP, pur avendo poteri più ampi di quelli già spettanti ai Presidenti delle vecchie AP, non ha poteri autoritativi e gestionali tali da giustificarne un trattamento così macroscopicamente più severo di quello che, a tutt'oggi, in considerazione della particolare natura delle Autorità di indirizzo e gestione delle realtà portuali, viene riconosciuto dal legislatore (pur nella vigenza degli artt. 53, comma 16-ter, d.lgs. n. 165/2001 e 21 d.lgs. n. 39/2013) ai dipendenti e ai titolari di incarichi e/o cariche presso tali Autorità, ivi compresi i membri del Comitato di Gestione.

L'estensione delle suddette limitazioni alle sole figure del Presidente e del Segretario Generale integrerebbe, per la ricorrente, una palese violazione dei principi di eguaglianza e imparzialità e esorbiterebbe inoltre dai limiti del potere legislativo delegato, di cui alla l. n. 124/2015.

"VI. Sul difetto/mancato accertamento dei singoli elementi costitutivi della fattispecie. Violazione dei principi generali in tema di legalità e tipicità dei poteri amministrativi, giusto procedimento e garanzia della libertà d'impresa (artt. 3, 41 e 97 Cost.; 16 e 41 Carta di Nizza). Violazione e falsa applicazione degli artt. 12, prel.; 53, comma 16-ter, d.lgs. 165/2001; 21 d.lgs. 39/2013; 1 e 3 l. 241/1990 s.m.i.; 2359 e 2497 ss. c.c.; dei criteri di personalità e imputazione soggettiva delle sanzioni. Eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti fattuali".

La ricorrente rimarcava che l'ANAC, nella delibera impugnata, aveva dato luogo a un'interpretazione estensiva - o anche "creativa" - dell'art. 53, comma 16-ter, cit., volta a dilatarne il campo di applicazione fino a ricomprendevi un'ipotesi diversa da quella ideata del legislatore, dato che: a) MSC non era stata destinataria di alcun provvedimento dell'AP durante la "presidenza M."; b) l'Autorità era erroneamente ricorsa alla nozione di "gruppo societario" al fine di imputare alla ricorrente la violazione del divieto in questione; c) la Marinvest s.r.l. è la società al vertice della filiera alla quale appartengono le società "operative" nei cui confronti l'ANAC ha ravvisato l'esercizio di poteri autoritativi o negoziali da parte dell'AP ma nei confronti di Marinvest s.r.l., la ricorrente non ha e non aveva mai avuto alcun potere direzionale o di controllo, condividendo con essa, e solo dal 12 luglio 2017, unicamente il vertice di controllo dato dalla "MSC Holding", a cui spetta il ruolo di "capogruppo" e che non è mai stata coinvolta nel procedimento.

L'Autorità, per la ricorrente, aveva anche errato nell'individuare i poteri "autoritativi" e "negoziali" esercitati all'epoca dal dr. M. quale Presidente dell'AP, che aveva agito solo congiuntamente al Comitato Portuale o, comunque, senza disporre di un margine decisionale esclusivo e riservato rispetto alle decisioni "autoritative" o "negoziali" dell'AP.

Inoltre, doveva essere esclusa l'operatività del divieto se l'ex dipendente non avesse inteso "mettere a frutto" la precedente esperienza acquisita nel settore di riferimento prestando la propria attività lavorativa, come accaduto nel caso di specie, essendo, anche questo, un fatto assolutamente normale e compatibile con le vigenti regole di affidamento delle pubbliche commesse.

"VII. In subordine. Sull'omessa considerazione dell'effetto interdittivo automatico e sul relativo contrasto con l'ordinamento costituzionale e eurounitario. Manifesta violazione dei principi generali di ragionevolezza, proporzionalità e buon andamento dell'azione amministrativa e dei principi e regole in materia di sanzioni amministrative, oltre che del principio di effettività della tutela. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10, 11, 23, 24, 25, 41, 76 (per eccesso di delega), 97, 111, 113 e 117, comma 1, Cost. (in relazione all'art. 6 e 7 CEDU); 5 TUE; 16, 47 e 49 Carta di Nizza; 1 e 3 l. 241/1990 s.m.i. e 3, 10, 11 e 12 l. 689/1981 e 53, comma 16-ter, d.lgs. 165/2001. Difetto di motivazione. Eccesso di potere. Contraddittorietà ed erronea valutazione dei presupposti e degli effetti della Delibera".

La misura interdittiva del divieto triennale a contrarre caricava l'accertamento di cui alla delibera impugnata di contenuti e conseguenze direttamente e immediatamente afflittive, con un automatismo che non poteva essere condiviso in assenza di riscontro di un elemento soggettivo specifico. Egualmente afflittiva era la nullità dei contratti ex lege, che incideva sull'esercizio della libertà di iniziativa economica privata imprenditoriale, in violazione dei principi evidenziati dalla Corte Costituzionale che ha ripetutamente censurato l'introduzione nell'ordinamento di qualsivoglia "previsione sanzionatoria rigida" che non appaia ragionevolmente proporzionata rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili alla fattispecie sanzionata, per cui, anche per poter irrogare una sanzione amministrativa, è sempre necessario l'accertamento di una responsabilità personale colpevole, secondo un principio, a più riprese, ribadito anche dalla Corte EDU.

Si costituiva in giudizio l'ANAC, rilevando l'infondatezza del ricorso.

Con l'ordinanza cautelare in epigrafe, era disposta direttamente la trattazione del merito, ai sensi dell'art. 55, comma 10, c.p.a.

Con rituale atto di "motivi aggiunti", MSC proponeva un ulteriore motivo di ricorso, quale:

"VIII. In subordine. Incompetenza. Nullità per difetto assoluto di attribuzione. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10, 11, 23, 24, 25, 41, 76, 97, 111, 113 e 117, comma 1, Cost. (in relazione all'art. 6 e 7 CEDU); 5 TUE; 16, 47 e 49 Carta di Nizza; 1 e 3 l. 241/1990 s.m.i. e 3, 10, 11 e 12, 17 l. 689/1981 e 53, comma 16-ter, d.lgs. 165/2001".

In relazione alla natura "sostanzialmente penale" della sanzione conseguente all'accertamento della violazione del divieto di cui è causa, la ricorrente ricordava che il nostro ordinamento limita, di regola, l'esercizio della potestà punitiva dello Stato a fatti commessi nel territorio italiano e lo estende a fatti commessi all'estero solo in ipotesi tassativamente stabilite dalla legge.

Ciò doveva quindi ritenersi applicabile a tutte le norme, tra cui l'art. 53, comma 16-ter, cit., che comportano sanzioni "sostanzialmente penali".

Trattandosi di una vicenda - quella addebitata alla ricorrente società - che esula dal diritto nazionale, a fortiori l'ANAC non disponeva, quindi, anche sotto tale profilo di alcuna competenza.

Avendo MSC riproposto esplicita istanza istruttoria di acquisizione documentale, con l'ordinanza presidenziale in epigrafe era disposto il deposito di documentazione a carico dell'ANAC, che successivamente provvedeva.

Per quanto riguarda nello specifico il ricorso del dr. M. (n.r. 6312/2018), invece, in esso si riproponevano, nella sostanza, i medesimi argomenti già illustrati da MSC nella sua impugnativa.

In particolare, il ricorrente proponeva sette motivi di ricorso.

Con il primo era lamentata la violazione (o in subordine l'illegittimità) del Regolamento ANAC e delle norme di cui alla l. n. 241/1990, in quanto non risultava rispettato il termine di avviso dell'avvio del procedimento e quello di relativa conclusione di 120 giorni.

Con il secondo, era lamentata la violazione della norma di cui all'art. 53, comma 16-ter, cit., in quanto ai dipendenti delle AP - almeno prima del 2016 - non era applicabile la disciplina di cui al d.lgs. n. 165/2001, come riconosciuto anche da un parere del Consiglio di Stato che era richiamato.

Con il terzo, era lamentata la violazione degli artt. 1, comma 3, e 16 d.lgs. n. 39/2013 nonché dei principi di tipicità e legalità, in quanto l'ANAC non poteva esercitare i poteri ispettivi e di vigilanza che avevano portato alla delibera impugnata, nei sensi già prospettati, nella sostanza, nel primo motivo del ricorso di MSC.

Con il quarto era lamentata la violazione dell'art. 21 d.lgs. n. 39/2013 e, in subordine, l'illegittimità costituzionale di tale norma in relazione all'art. 76 Cost., per "eccesso o difetto di delega", con argomenti equivalenti a quelli già illustrati da MSC.

Con il quinto era lamentata la violazione dell'art. 53 cit. sotto diverso profilo, sempre per intromissione illegittima dell'ANAC, in relazione agli artt. 3 e 97 Cost., agli artt. 6 e 7 CEDU e all'art. 49 della Carta di Nizza sul diritto alla capacità giuridica, all'attività lavorativa e all'esercizio dell'attività di impresa, come compresse dalla delibera in questione.

Con il sesto, erano lamentate varie figure sintomatiche di eccesso di potere, in quanto il ricorrente non aveva mai esercitato alcun potere amministrativo e/o negoziale tale da configurare la fattispecie presa in considerazione delle norme, tenuto anche conto che MSC è società di diritto svizzero.

Con il settimo, erano lamentate ulteriori figure sintomatiche di eccesso di potere, anche in relazione agli artt. 3, 97 e 117 Cost., in quanto era da escludere un'applicazione in forma "rigida" delle sanzioni afflittive come disposte.

Anche in questo giudizio si costituiva l'ANAC, concludendo per l'infondatezza del ricorso.

In prossimità della camera di consiglio, il ricorrente chiedeva di rinviare la trattazione al merito.

Nei termini di cui alla relativa udienza, fissata in pari data per entrambi i ricorsi, le parti costituite nei due giudizi depositavano ulteriori memorie a sostegno delle rispettive tesi e, alla pubblica udienza del 7 novembre 2018, le cause erano trattenute in decisione.

DIRITTO

Il Collegio, preliminarmente, dispone la riunione dei due ricorsi ex art. 70 c.p.a., attesa la evidente connessione oggettiva, riguardando impugnativa del medesimo provvedimento, per motivi sostanzialmente coincidenti.

Il Collegio, quindi, ritiene di esaminare dapprima, in quanto nella sostanza collimanti, il primo motivo di ricorso di MSC e il terzo del dr. M., orientati a contestare - in limine e in misura assorbente rispetto agli altri motivi - la sussistenza stessa del potere dell'ANAC di adottare la delibera impugnata.

Per fare questo il Collegio ritiene che non possa prescindersi dal riportare le norme di riferimento.

Ebbene, partendo da quelle richiamate dalla stessa Autorità nella delibera in questione a sostegno della sua decisione, si rinviene l'art. 1 l. n. 190/2012, da leggersi però nel complesso dei primi tre commi, al fine di meglio comprendere la ratio che ha mosso il legislatore nel promuovere il testo di legge.

Nel primo comma è detto, per quel che rileva in questa sede, che: "In attuazione dell'articolo 6 della Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione... e degli articoli 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione... la presente legge individua, in ambito nazionale, l'Autorità nazionale anticorruzione e gli altri organi incaricati di svolgere, con modalità tali da assicurare azione coordinata, attività di controllo, di prevenzione e di contrasto della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione.

Il secondo comma, a sua volta, precisa che: "La Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche, di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, e successive modificazioni, di seguito denominata «Commissione», opera quale Autorità nazionale anticorruzione, ai sensi del comma 1 del presente articolo. In particolare, la Commissione:

... e) esprime pareri facoltativi in materia di autorizzazioni, di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, allo svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici nazionali, con particolare riferimento all'applicazione del comma 16-ter, introdotto dal comma 42, lettera l), del presente articolo;

f) esercita la vigilanza e il controllo sull'effettiva applicazione e sull'efficacia delle misure adottate dalle pubbliche amministrazioni ai sensi dei commi 4 e 5 del presente articolo e sul rispetto delle regole sulla trasparenza dell'attività amministrativa previste dai commi da 15 a 36 del presente articolo e dalle altre disposizioni vigenti".

Il comma 3, infine - nel testo modificato dall'art. 54-bis, comma 1, lett. b), d.l. n. 69/2013, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 98/2013 e, successivamente, sostituito dall'art. 41, comma 1, lett. c), d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97/2016 - stabilisce che: "Per l'esercizio delle funzioni di cui al comma 2, lettera f), l'Autorità nazionale anticorruzione esercita poteri ispettivi mediante richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti alle pubbliche amministrazioni, e ordina l'adozione di atti o provvedimenti richiesti dai piani di cui ai commi 4 e 5 e dalle regole sulla trasparenza dell'attività amministrativa previste dalle disposizioni vigenti, ovvero la rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i piani e le regole sulla trasparenza citati".

Il Collegio, quindi, anche ai soli fini dell'interpretazione letterale della norma, premette sin da ora che quanto disposto dal comma 3 - unico richiamato nella delibera impugnata - debba leggersi in necessaria correlazione con quanto previsto dai commi 1 e, soprattutto 2, del medesimo articolo.

Proseguendo nel seguire i richiami normativi di cui alla delibera in esame, si evidenzia l'art. 16 d.lgs. n. 39/2013, il quale - nel testo come modificato e integrato dall'art. 54-ter, comma 1, lett. a) e b), d.l. n. 69/13 come convertito - dispone che: "1. L'Autorità nazionale anticorruzione vigila sul rispetto, da parte delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, delle disposizioni di cui al presente decreto, anche con l'esercizio di poteri ispettivi e di accertamento di singole fattispecie di conferimento degli incarichi.

2. L'Autorità nazionale anticorruzione, a seguito di segnalazione della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica o d'ufficio, può sospendere la procedura di conferimento dell'incarico con un proprio provvedimento che contiene osservazioni o rilievi sull'atto di conferimento dell'incarico, nonché segnalare il caso alla Corte dei conti per l'accertamento di eventuali responsabilità amministrative. L'amministrazione, ente pubblico o ente privato in controllo pubblico che intenda procedere al conferimento dell'incarico deve motivare l'atto tenendo conto delle osservazioni dell'Autorità.

3. L'Autorità nazionale anticorruzione esprime pareri obbligatori sulle direttive e le circolari ministeriali concernenti l'interpretazione delle disposizioni del presente decreto e la loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità degli incarichi e di incompatibilità".

Si pone, poi, in evidenza la norma applicata nella fattispecie, di cui all'art. 53, comma 16-ter, d.lgs. n. 165/2001 - aggiunto dall'art. 1, comma 42, lett. l), l. n. 190/2012 - secondo il quale: "I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell'attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti".

Da ultimo, si trascrive l'art. 21 d.lgs. n. 39/2013 cit., secondo il quale: "Ai soli fini dell'applicazione dei divieti di cui al comma 16-ter dell'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sono considerati dipendenti delle pubbliche amministrazioni anche i soggetti titolari di uno degli incarichi di cui al presente decreto, ivi compresi i soggetti esterni con i quali l'amministrazione, l'ente pubblico o l'ente di diritto privato in controllo pubblico stabilisce un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo. Tali divieti si applicano a far data dalla cessazione dell'incarico".

Il Collegio aggiunge infine che il d.lgs. n. 39/2013 cit. reca in generale "Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190".

Ebbene, sulla base di tali presupposti normativi, l'ANAC, nel provvedimento impugnato, soffermandosi sul suo potere di accertamento nella fattispecie, afferma di avere uno "... specifico potere di controllo e di accertamento sulle ipotesi di inconferibilità ed incompatibilità disciplinate dal d.lgs. 39/2013 ed, in generale, sulla corretta applicazione della suddetta normativa".

In particolare, l'Autorità richiama poi la disposizione di cui all'art. 16, comma 1, d.lgs. cit. e sostiene che la natura non meramente accertativa ma "costitutivo-provvedimentale" del suo potere è stata riconosciuta dalla recente sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 126/2018.

Tale ricostruzione, però, secondo quanto approfondito dal Collegio, anche in relazione alle censure dei due distinti soggetti ricorrenti, non si palesa condivisibile perché le conclusioni dell'ANAC scontano un esame solo parziale dell'intero contesto normativo sopra riportato.

In relazione all'art. 16, comma 1, cit., riportato in parte nello stesso provvedimento impugnato, si rileva che la relativa disposizione è ben chiara, e non richiede alcun ulteriore canone interpretativo diverso da quello "letterale", nell'individuare i soggetti destinatari del potere di vigilanza individuato in capo all'ANAC sul rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo in questione, unicamente: nelle amministrazioni pubbliche, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico, anche con l'esercizio di poteri ispettivi e di accertamento di singole fattispecie di conferimento degli incarichi.

Che la richiamata sentenza n. 126/2018 del Consiglio di Stato abbia riconosciuto la natura "costitutiva-provvedimentale" del potere dell'ANAC, ai fini della relativa "impugnabilità" diretta avanti al g.a. della delibera con cui l'Autorità esercita tale potere, non è circostanza che impinge sulla "latitudine" del potere stesso, fermo restando che in quella fattispecie era in esame l'applicazione di diverse norme, di cui agli artt. 1, comma 2, lett. l), e 7, comma 2, lett. c), d.lgs. n. 39/2013 cit. Tale sentenza, infatti, confermava la statuizione del giudice di primo grado, laddove era precisato che tra gli "enti pubblici" rientra(va)no gli enti pubblici economici e, tra questi, i consorzi costituiti da pubbliche amministrazioni.

Nella medesima fattispecie all'attenzione del Consiglio di Stato, la stessa ANAC, nel motivo di appello principale ivi proposto, sosteneva che "... la sentenza non avrebbe dato corretta lettura degli articoli 1, comma 3, l. 11 novembre 2012, n. 190 e 16 d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39; dette disposizioni, in combinato tra loro, attribuiscono ad ANAC un potere di vigilanza e intervento sul Responsabile per la prevenzione della corruzione, per verificare la correttezza del suo operato nella contestazione dei casi di inconferibilità e incompatibilità, declaratoria di nullità degli incarichi ed eventuale irrogazione delle sanzioni, allo scopo di dare corretta attuazione alla normativa, senza che se ne violi la ratio o siano elusi i divieti.

Per ANAC, il dettato normativo va inteso nel senso che il potere di attuazione della disciplina sulla inconferibilità degli incarichi è attribuito, anzitutto, al Responsabile per la prevenzione della corruzione, organo interno alla pubblica amministrazione interessata; e solo successivamente a un organo esterno, l'ANAC, "estremo garante" del rispetto della normativa anticorruzione per i casi di mancata attivazione del RPC".

Quindi, la stessa ANAC ha sostenuto che il suo potere "di vigilanza e intervento" era orientato, ai sensi dell'art. 1, comma 3, l. n. 190/2012 e dell'art. 16 d.lgs. n. 39/2013, nei confronti di un soggetto, quale nella specie il RUP, riconducibile nell'alveo della "pubblica amministrazione" in senso lato a cui è applicabile la normativa di cui al richiamo d.lgs. n. 39/2013 e il Consiglio di Stato ha condiviso tale conclusione, ritenendo esercitato il relativo potere intra vires, ai sensi del ricordato art. 16, comma 1, cit. In tale prospettiva, allora - ha poi aggiunto il Consiglio di Stato - deve individuarsi una natura di accertamento-costitutivo di effetti giuridici e non meramente accertativa del relativo potere ma pur sempre nel senso che "... l'ANAC valuta la conformità a legge del conferimento ad un certo soggetto di un dato incarico dirigenziale o di vertice della pubblica amministrazione o degli altri soggetti per i quali la disciplina trova applicazione".

Sempre in tale fattispecie - che il Collegio ritiene utile approfondire al fine che qui rileva - il Consiglio di Stato ha poi precisato che "... L'art. 17 d.lgs. 8 aprile 2016, n. 39 prevede poi: «Gli atti di conferimento di incarichi adottati in violazione delle disposizioni del presente decreto e i relativi contratti sono nulli».

Nel caso di incarico già conferito, l'ANAC, ove ritenga violata la legge, accerta la nullità dell'atto di suo conferimento.

Qualora, invece - ma non è il caso della vicenda in esame - il procedimento di conferimento dell'incarico non sia concluso, e sempre che la segnalazione giunga dalla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica o d'ufficio, l'art. 16, comma 2, attribuisce ad ANAC anche il potere di sospensione del procedimento di conferimento dell'incarico (cui si affianca l'obbligo di segnalazione del caso alla Corte dei conti per l'accertamento delle responsabilità amministrative).

10.4. Nella vicenda oggetto del giudizio, sollecitata da precedente segnalazione, l'ANAC ha "accertato" la non conferibilità dell'incarico di Presidente del Consorzio... attribuito all'avv... in applicazione dell'art. 7, comma 2, lett. c), d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39. Il potere è stato, dunque, esercitato in conformità alla previsione della norma primaria".

Nel caso di specie, quindi, non vi era alcun "vuoto normativo" sugli effetti della violazione da parte di una "pubblica amministrazione".

In riferimento, invece, ad altra parte della impugnativa in appello, relativa al provvedimento con cui l'ANAC aveva annullato l'atto di archiviazione adottato dal Responsabile per la prevenzione della corruzione del consorzio, a conclusione del procedimento di contestazione delle cause di inconferibilità dell'incarico, e ordinato di avviare il procedimento sanzionatorio di cui all'art. 18, comma 2, d.lgs. n. 39/2013, il Consiglio di Stato giungeva a diversa conclusione, nel senso di ritenere che "... il tipizzato procedimento di contestazione dell'inconferibilità e incompatibilità dell'incarico è di competenza propria del Responsabile per la prevenzione della corruzione all'interno della pubblica amministrazione o dell'ente pubblico o privato soggetto a controllo pubblico. La norma non prevede, al riguardo, poteri di 'ordine' dell'ANAC".

Aggiungeva il Consiglio di Stato che "... In realtà, come bene ritenuto dalla sentenza appellata, il potere di ordine esercitato dall'ANAC nei confronti del RPC non trova un fondamento nell'art. 1, comma 3, l. 11 novembre 2012, n. 190 che lo riferisce ad altra materia.

Quel potere di ordine di adozione di atti o provvedimenti dell'ANAC è previsto per il caso di inerzia delle pubbliche amministrazioni nell'adozione degli atti e dei provvedimenti che sono previsti dai piani di prevenzione della corruzione (comma 5, lett. a)) ovvero dagli atti generali, di coordinamento delle strategie di prevenzione e contrasto della corruzione (comma 4, lett. a)), contenenti norme e metodologie comuni per la prevenzione della corruzione (comma 4, lett. b)), o, infine, modelli standard delle informazioni e dei dati occorrenti per il conseguimento degli obiettivi di prevenzione della corruzione (lett. d)) e i criteri per assicurare la rotazione dei dirigenti nei settori esposti alla corruzione oltre che misure per evitare sovrapposizione di funzioni e cumuli di incarichi.

Il potere di ordine non è, pertanto, un potere generalizzato attribuito all'ANAC al fine di contrastare condotte inerti o elusive dei Responsabili per la prevenzione della corruzione all'interno delle singole pubbliche amministrazioni, relativamente a tutte le disposizioni finalizzate alla prevenzione di eventi corruttivi, comprese quelle su inconferibilità e incompatibilità degli incarichi.

11.5. Allo stesso modo il potere di ordine, così come il potere di annullamento esercitato nei confronti dell'atto di archiviazione, non appare insito nell'attività di vigilanza dell'ANAC svolta ai sensi dell'art. 16, comma 1,... Ritiene il Collegio che l'art. 16, comma 1, nominando l'attività di vigilanza, non si riferisca a quella specifica relazione che intercorre tra un soggetto pubblico e un ente vigilato; ma a un potere particolare, assegnato alle autorità amministrative indipendenti per verificare nell'interesse generale il rispetto delle regole in rapporto al loro settore... Ne segue che all'ANAC spetta, in base agli artt. 15 e ss. d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39, un potere di vigilanza sul rispetto delle regole da parte delle amministrazioni pubbliche, enti pubblici ed enti privati soggetti a controllo pubblico, eventualmente anche con accertamento della violazione delle stesse nei sensi indicati al punto 10.3.; ma cui può accedere solo una non impositiva sollecitazione ad attivarsi del Responsabile per la prevenzione della corruzione... Nell'attività di vigilanza descritta non rientra il potere di rivolgere ordini agli organi interni delle pubbliche amministrazioni in caso di inerzia o di elusione delle norme rivolte alla prevenzione dei fenomeni corruttivi... Sicché, pur a fronte di una preoccupazione che può apparire socialmente meritevole, nel silenzio della legge non è dato all'interprete creare in surroga la norma, commisurando l'efficacia delle disposizioni date rispetto alle finalità perseguite; e giungere, in ipotesi, ad innovare all'assetto normativo affinché ne siano realizzati gli obiettivi di massima. In base al principio di legalità, cardine irrinunziabile dello Stato di diritto, compete soltanto alla legge di porre nuove norme restrittive delle libertà o di modificazione delle competenze da essa stabilite. Solo in tale modo è possibile colmare legittimamente le pretese lacune di tutela: il che del resto è ben chiaro all'Autorità, che ha affermato di aver segnalato al Governo la necessità di nuovi interventi normativi in materia (atto di segnalazione 9 settembre 2015 n. 9...".

Ebbene, così delimitato il potere dell'ANAC proprio dalla sentenza invocata nel caso di specie nel provvedimento in questa sede impugnato, il Collegio ritiene di condividere le tesi sul punto proposte dai soggetti ricorrenti.

Dovendo escludere - per quanto finora riportato - la sussistenza di un potere di vigilanza dell'ANAC esercitabile erga omnes ai sensi dell'art. 16, comma 1, d.lgs. n. 39/2013 cit., si rileva che, in realtà, tale norma, come detto, orienta l'attività dell'Autorità nei soli confronti delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, tra cui non rientrano, all'evidenza, né MSC né il dr. M.

I poteri "ispettivi e di accertamento" che l'ANAC è chiamata a svolgere, sia pure nell'accezione di "accertamento" specificata dal Consiglio di Stato, sono dunque limitati, soggettivamente, alle amministrazioni pubbliche in senso lato richiamate dalla norma e, oggettivamente, al conferimento di un "incarico pubblico".

Sotto tale profilo, la limitazione dei poteri "ispettivi e di accertamento" è rinforzata dal comma 2 dell'art. 16 cit., secondo cui "L'Autorità nazionale anticorruzione, a seguito di segnalazione della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica o d'ufficio, può sospendere la procedura di conferimento dell'incarico con un proprio provvedimento che contiene osservazioni o rilievi sull'atto di conferimento dell'incarico, nonché segnalare il caso alla Corte dei conti per l'accertamento di eventuali responsabilità amministrative. L'amministrazione, ente pubblico o ente privato in controllo pubblico che intenda procedere al conferimento dell'incarico deve motivare l'atto tenendo conto delle osservazioni dell'Autorità".

Secondo quanto ricostruito dal Consiglio di Stato nella suddetta sentenza, anche il comma 2 si sofferma sotto il profilo soggettivo sui soli incarichi conferiti da "amministrazioni pubbliche", come attestato anche dal richiamo alla possibile segnalazione alla Corte dei Conti.

Solo il terzo comma, poi, secondo cui: "L'Autorità nazionale anticorruzione esprime pareri obbligatori sulle direttive e le circolari ministeriali concernenti l'interpretazione delle disposizioni del presente decreto e la loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità degli incarichi e di incompatibilità", introduce un più generale potere di intervento in ambito non più limitato nel senso dei due commi precedenti; ma ciò solo al limitato fine di predisporre pareri su atti amministrativi riguardanti l'interpretazione del d.lgs. n. 39/2013, che - peraltro - si ricorda reca nuovamente un riferimento soggettivo ben preciso legato solo a disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi "presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190".

A ciò, condividendo quanto osservato da MSC nel primo motivo del suo ricorso, deve aggiungersi che lo stesso art. 1 della legge n. 190/2012, nel testo entrato in vigore dapprima attraverso lo stesso d.lgs. n. 39/2013 e poi con il d.lgs. n. 97/2016, distingue diverse fattispecie, dato che, al comma 3, sono sì previsti poteri ispettivi a favore dell'ANAC ma "... Per l'esercizio delle funzioni di cui al comma 2, lettera f), e soltanto "... mediante richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti alle pubbliche amministrazioni", potendo ordinare l'adozione di atti o provvedimenti richiesti dai piani di cui ai commi 4 e 5 e dalle regole sulla trasparenza dell'attività amministrativa previste dalle disposizioni vigenti, ovvero la rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i piani e le regole in questione.

Le funzioni di cui al comma 2, lett. f), sono però solo quelle per le quali l'Autorità "... esercita la vigilanza e il controllo sull'effettiva applicazione e sull'efficacia delle misure adottate dalle pubbliche amministrazioni ai sensi dei commi 4 e 5 del presente articolo e sul rispetto delle regole sulla trasparenza dell'attività amministrativa previste dai commi da 15 a 36 del presente articolo e dalle altre disposizioni vigenti".

Nuovamente emerge che l'intervento dell'ANAC è limitato nei confronti delle "pubbliche amministrazioni" e, per quanto riguarda i poteri di vigilanza e controllo, solo sull'effettiva applicazione dei commi 4 e 5 dell'art. 1, che si occupano dell'adozione di meri atti programmatici.

Per quanto riguarda il coinvolgimento di soggetti "esterni" alla p.a., opera quanto previsto dal medesimo comma 2, lett. e), secondo cui l'Autorità "... esprime pareri facoltativi in materia di autorizzazioni, di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, allo svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici nazionali, con particolare riferimento all'applicazione del comma 16-ter...".

È evidente e condivisibile, dunque, la tesi dei soggetti ricorrenti, secondo la quale l'unico ambito che il legislatore ha riconosciuto all'ANAC per intervenire nell'applicazione dell'art. 53, comma 16-ter, d.lgs. n. 39/2013 cit. in relazione a "soggetti non riconducibili alla p.a." è quello circoscritto all'adozione di pareri "facoltativi" in materia di autorizzazioni allo svolgimento di incarichi esterni nel senso ora riportato.

Come osservato dal Consiglio di Stato, pertanto, nel silenzio della legge, non è dato all'interprete creare in surroga la norma, commisurando l'efficacia delle disposizioni date rispetto alle finalità perseguite, fino ad innovare l'assetto normativo per realizzare obiettivi di massima.

Ciò perché, in base al principio di legalità, che è "cardine irrinunziabile dello Stato di diritto", compete soltanto alla legge di porre nuove norme restrittive delle libertà o di modificazione delle competenze da essa stabilite e non vi è dubbio che le norme che l'ANAC ha inteso direttamente applicare sono ben restrittive della libertà economica del soggetto "privato".

Così pure condivisibile è la ricostruzione di parte ricorrente, secondo la quale l'art. 21 d.lgs. n. 39/2013 si limita solo ad estendere ad altre categorie di personale "pubblico" - non strettamente "dipendente" - il divieto in questione, senza però ampliare i poteri dell'ANAC, che continuano ad essere limitati secondo quanto finora rappresentato.

Proprio perché non sussiste un potere di intervento diretto dell'ANAC come effettuato con il provvedimento impugnato, non sussiste il "vuoto normativo" da quest'ultima ipotizzato, dato che il regime del pantouflage è soggetto a un regime di applicazione diretta che non coinvolge l'ANAC ma si rivolge all'attuazione di strumenti generali, quali il Piano Nazionale Anticorruzione (PNA), che infatti prende in considerazione ipotesi di inserimento di apposite clausole negli atti di assunzione di personale "pubblico", e il Documento di Gara Unico Europeo (DGUE), in correlazione con quanto previsto dall'art. 85 d.lgs. n. 50/2016, sulle cause di esclusione da una procedura pubblica.

La violazione delle suddette clausole o della dichiarazione ai sensi del DGUE comportano la "nullità" del contratto con il singolo dipendente - da far valere nelle opportune sedi - o l'interdittiva a contrarre per l'imprese inadempienti, senza che per questo necessiti l'individuazione di un soggetto competente al compimento degli atti derivanti dall'accertamento della violazione del comma 16-ter cit., come invece invocato dall'ANAC.

In tal senso il meccanismo di attuazione dell'art. 53, comma 16-ter, cit. è - come definito da MSC - un meccanismo "diffuso", in cui l'ANAC è coinvolta, ex ante, con pareri facoltativi di sostegno e indirizzo all'attività della p.a. (art. 1, comma 2, lett. e), l. n. 190/2012) ed, ex post, con attività di ispezione e vigilanza nei confronti delle sole p.a. sul rispetto della norma, nei sensi di cui al PNA o al DGUE.

Non sussiste, dunque, alcun potere - legislativamente individuato - dell'ANAC per intervenire direttamente ex art. 21 cit. nei confronti di uno o più soggetti "privati" - indipendentemente dalle problematiche sollevate da MSC in ordine alla sua conformazione al diritto svizzero e non a quello nazionale e in ordine al luogo di conclusione del contratto, di cui al motivo aggiunto - come accaduto invece nel caso di specie.

La fondatezza del primo motivo del ricorso introduttivo di MSC e del terzo del dr. M., risultando assorbenti rispetto alle altre rispettive doglianze perché inerenti alla sussistenza stessa del potere dell'ANAC di adottare il provvedimento impugnato, comportano l'accoglimento dei ricorsi e l'assorbimento degli ulteriori motivi.

Per la novità e peculiarità della fattispecie, le spese di lite possono eccezionalmente compensarsi, fermo restando quanto previsto dall'art. 13, comma 6-bis.1, d.P.R. n. 115/2002 in ordine al contributo unificato.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sui ricorsi (nonché sui motivi aggiunti al r.n.g. 4443/2018), come in epigrafe proposti, previa loro riunione ai sensi dell'art. 70 c.p.a., li accoglie e, per l'effetto, annulla il provvedimento in entrambi impugnato.

Spese compensate in entrambi i giudizi, salvo quanto previsto dall'art. 13, comma 6-bis.1, d.P.R. n. 115/2002, relativamente a quanto versato per contributo unificato, da porsi a carico dell'ANAC per entrambi.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.