Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 17 luglio 2018, n. 52974

Presidente: Cavallo - Estensore: Rosi

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Perugia con sentenza emessa il 6 giugno 2017, ha confermato la sentenza del Tribunale di Terni del 1° giugno 2016 emessa all'esito di giudizio abbreviato, che aveva condannato F. Luciano alla pena, sospesa, di mesi due e giorni venti di reclusione, oltre pene accessorie, in quanto colpevole del reato di cui al capo 2) di cui all'art. 10-bis d.lgs. 74/2000, perché in qualità di legale rappresentante della s.r.l. Costruzioni e Lavorazioni Industriali non versava, entro il termine annuale del 22 agosto 2011, le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti per un ammontare di euro 162.746,92 per l'anno di imposta 2010, mentre ha dichiarato non doversi procedere con formula perché il fatto non è previsto dalla legge come reato per l'imputazione di cui al capo 1) ex art. 10-bis d.lgs. 74/2000, perché in qualità di legale rappresentante della s.r.l. Costruzioni e Lavorazioni Industriali non versava entro il termine annuale del 20 agosto 2010 le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti per un ammontare di euro 90.055,62 per l'anno di imposta 2009.

2. Avverso tale sentenza l'imputato, per il tramite del proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l'annullamento senza rinvio della stessa, per i seguenti motivi: 1) Violazione ex art. 606, lett. b), c.p.p. relativamente all'art. 131-bis c.p. Sostiene il ricorrente che la Corte d'Appello, nel negare l'applicabilità al caso concreto della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, avrebbe affermato un principio contrario all'orientamento espresso dalla Corte di legittimità e contrario alla ratio della norma stessa. Il giudice della sentenza impugnata avrebbe difatti dichiarato che ogniqualvolta una fattispecie di reato preveda una soglia di punibilità, automaticamente deve considerarsi preclusa al giudice di merito la possibilità di applicare la causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p., avendo già compiuto il legislatore una valutazione di tenuità della condotta dalla norma prevista, escludendo la punibilità di tutte quelle condotte al di sotto della soglia determinata e la punibilità di quelle al di sopra. Questa affermazione contrasta sia con quanto affermato dalle Sezioni unite con la sentenza n. 13681/2016 in materia di stato di ebbrezza, laddove si è affermato il principio della non incompatibilità dell'istituto ex art. 131-bis c.p. ai reati che prevedono soglie di punibilità, sia con la giurisprudenza successiva in materia di reati tributari (tra tutte sentenza n. 6710 del 19 febbraio 2016), che ha sostenuto l'applicabilità a tali reati della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Invero, la soglia di punibilità rappresenta un elemento costitutivo la fattispecie di reato, indicante il quantum necessario per rendere la condotta dell'agente offensiva e dunque rilevante per l'ordinamento penale. In caso di mancato superamento della soglia il reato non esiste ontologicamente mancandone un elemento costitutivo. Devono dunque tenersi distinti il giudizio circa l'offensività della condotta, operato dal legislatore attraverso l'individuazione di una determinata soglia (che in relazione all'art. 10-bis d.lgs. 74/2000 è stata innalzata nel 2015 da 50.000 a 150.000 euro) e il giudizio successivo, demandato al giudice, circa il grado dell'offesa in concreto realizzata. Questa "doppia valutazione" non sarebbe inoltre né illogica, né nuova all'ordinamento penale, tanto che se ne trova un'ipotesi codificata negli artt. 316-ter c.p., attinente all'indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, condotta punita penalmente solo per somme superiori ai 3.999,96 euro, applicando negli altri casi la sola sanzione amministrativa, e 323-bis c.p. che prevede espressamente che qualora il giudice reputi il fatto ex art. 316-ter c.p. di particolare tenuità può diminuire la pena prevista. Il giudice di merito avrebbe dovuto dunque operare tale valutazione e valutare la sussistenza nel caso per cui è processo delle due condizioni dalla norma previste, ossia la particolare tenuità del fatto e la non abitualità della condotta. Circa la prima va evidenziato come il ricorrente abbia superato la soglia di punibilità per soli 12.746,92 euro, che a fronte di un giro di affari della società di cui è legale rappresentante superiore ai 14 milioni di euro denota un grado di offensività fortemente esiguo. Ha dunque errato il Tribunale di Terni, che nell'escludere l'applicabilità dell'art. 131-bis c.p. alla condotta del F., ha riconosciuto lo scostamento dalla soglia di non punibilità nella misura dell'8%, percentuale oggettivamente molto bassa, ma lo ha comunque considerato come non "propriamente tenue". Ha altresì errato nell'affermare sussistere un'abitualità nella condotta a seguito della riunione del presente procedimento con quello avente per oggetto l'omesso versamento delle ritenute dell'anno 2010, condotta ritenuta non penalmente rilevante in quanto al di sotto della soglia di punibilità (oltre che determinata dalla medesima crisi finanziaria che ha portato alla consumazione del reato de quo); 2) Violazione ex art. 606, lett. b) e e), c.p.p. in relazione all'art. 54 c.p. Il ricorrente ritiene superficiale e apodittica la motivazione data dal giudice di appello al fine di rigettare la richiesta di riconoscimento della causa di giustificazione dello stato di necessità, a sostegno della quale il ricorrente aveva allegato precise e oggettive circostanze, quali in particolare la Relazione sull'Andamento del Mercato per l'anno 2012 dell'Ucina (Confindustria Nautica) che confermava lo stato di assoluta crisi dell'industria nautica negli anni 2008-2012 ed il ricorso alla procedura di concordato preventivo alla quale fu costretto l'imputato a seguito dell'assoluta carenza di liquidità in cui venne a trovarsi. Inoltre, dal decreto di ammissione al concordato si evince sia l'integrale pagamento del debito tributario da parte del F., sia il sacrificio in termini patrimoniali dallo stesso realizzato destinando il suo intero patrimonio personale, mettendolo a disposizione della procedura di concordato, al pagamento dei debiti contratti dall'azienda, tra i quali anche le ritenute oggetto di causa. Avendo dunque il ricorrente, già nel primo grado del presente giudizio, dimostrato la non imputabilità alla propria condotta della crisi economica che ha investito l'azienda, nonché l'impossibilità di far fronte alla crisi di liquidità senza evitare il dissesto dell'azienda stessa, avrebbe dunque errato la Corte d'appello a non riconoscere l'esimente ex art. 54 c.p. o comunque sarebbe incorsa nel vizio di motivazione non avendo motivato adeguatamente il rigetto a fronte delle allegazioni prodotte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di ricorso risultano infondati. Quanto al primo motivo, va premesso come le Sezioni unite di questa Corte hanno stabilito il principio in base al quale non sussiste in astratto un'incompatibilità tra la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p. e la presenza di soglie di punibilità all'interno della fattispecie tipica, anche nel caso in cui, al di sotto della soglia di rilevanza penale, vi sia una fattispecie che integra un illecito amministrativo (Sez. un., n. 13681 del 25 febbraio 2016, Tushaj, Rv. 266589). Tuttavia questa Corte ha altresì affermato, proprio in tema di reati tributari per i quali il legislatore ha previsto delle soglie di punibilità, il principio secondo cui la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è applicabile solo se l'ammontare dell'imposta non corrisposta è di pochissimo superiore a quello fissato dalla soglia di punibilità, atteso che l'eventuale tenuità dell'offesa non deve essere valutata con riferimento alla sola eccedenza rispetto alla soglia di punibilità prevista dal legislatore, bensì in rapporto alla condotta nella sua interezza, avendo dunque riguardo all'ammontare complessivo dell'imposta non versata.

2. In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto non particolarmente tenue, sul piano oggettivo (cfr. Sez. 3, n. 51020 dell'11 novembre 2015, Crisci, Rv. 265982) l'omesso versamento IVA pari a 255.486,00 euro a fronte di una soglia di 250.000,00, come pure ha escluso l'applicabilità del 131-bis c.p. a fronte di un omesso versamento pari a poco più di 112.000 Euro, in presenza di una soglia di punibilità fissata in Euro 103,291,30 (cfr. Sez. 3, n. 40774 del 5 maggio 2015, Falconieri, Rv. 265079) ed anche ha ritenuto non particolarmente tenue l'omesso versamento di 270.703,00 euro, rappresentante un'eccedenza dunque di poco più di 20 mila euro rispetto alla soglia (in Sez. 3, n. 13218/16 del 20 novembre 2015, Reggiani Viani, Rv. 266570). È stato nella sostanza affermato che fini dell'applicabilità della causa di non punibilità per "particolare tenuità del fatto", occorre sempre valutare la condotta in base ai criteri generali dettati dall'art. 131-bis c.p., con particolare riferimento alla sua reiterazione negli anni di imposta e alla messa in pericolo del bene protetto (cfr. Sez. 3, n. 38488 del 21 aprile 2016, Masetti, Rv. 267945).

3. Nel caso di specie, i giudici di merito hanno considerato che F. risulta avere omesso il versamento di oltre 162 mila euro, superando di 12 mila euro la soglia di punibilità prevista dalla fattispecie, pertanto l'inadempimento non poteva dunque essere considerato particolarmente tenue, con conseguente inapplicabilità dell'art. 131-bis c.p. La motivazione risulta in linea con gli indicati principi giurisprudenziali.

4. Infondato è altresì il secondo motivo di ricorso. La giurisprudenza di legittimità è concorde nell'affermare che nel reato di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000), la colpevolezza del sostituto di imposta non è esclusa dalla crisi di liquidità intervenuta al momento della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale relativa all'esercizio precedente, a meno che l'imputato non dimostri che le difficoltà finanziarie non siano a lui imputabili e che le stesse, inoltre, non possano essere altrimenti fronteggiate con idonee misure anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale (ex multis Sez. 3, n. 8352/2015 del 24 giugno 2014, Schirosi, Rv. 263128; Sez. 3, n. 20266 dell'8 aprile 2014, P.G. in proc. Zanchi, Rv. 259190; Sez. 3, n. 5467/2014 del 5 dicembre 2013, Mercutello, Rv. 258055).

5. Nel caso di specie la Corte d'Appello ha escluso la sussistenza dello stato di necessità, in quanto il concordato preventivo, addotto dalla difesa dell'imputato come prova dell'impossibilità di far fronte agli obblighi tributari, è datato 16 ottobre 2013 (con apertura della procedura il 7 gennaio 2014), tre anni dopo l'inadempimento di cui all'imputazione. Se quindi il concordato è stato riconosciuto come valida prova della crisi dell'impresa [di] cui il F. era rappresentante legale, la Corte di merito ha altresì rilevato come tale arco temporale (dal 2010, anno in cui si è realizzato l'omesso pagamento dell'IVA al 2013, anno in cui l'imputato ha richiesto il concordato preventivo, accordato poi nel 2014) è dimostrativo della mancanza di repentinità della crisi stessa, della quale va pertanto esclusa l'asserita imprevedibilità, in quanto è assente la contestualità tra il comportamento omissivo e la scoperta, ovvero consapevolezza, da parte dell'imprenditore della situazione di dissesto della propria impresa.

Pertanto, il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi del disposto di cui all'art. 616 c.p.p.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali.

Depositata il 26 novembre 2018.