Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 3 gennaio 2019, n. 78

Presidente: Santoro - Estensore: Volpe

FATTO E DIRITTO

1. Col ricorso in epigrafe l'Automobile Club d'Italia (di seguito "ACI") e l'ACI Informatica s.p.a. (di seguito "AI") hanno impugnato la sentenza del Tar per il Lazio, Roma, n. 565/2018, pubblicata il 17 gennaio 2018, che - a spese compensate - ha respinto il loro originario ricorso proposto per l'annullamento della decisione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (di seguito "Autorità") del 14 dicembre 2016 con la quale è stata loro irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria di complessivi euro 3.000.000,00 per violazione degli artt. 20, comma 2, 23, comma 1, lett. l), e 62 del c.d.c., nonché di ogni altro atto presupposto, consequenziale o comunque connesso, inclusa la nota di comunicazione della conclusione della fase istruttoria prot. PS/9458 del 4 ottobre 2016.

1.1. La sentenza ricorda introduttivamente che la pratica censurata dall'Autorità nei riguardi di ACI e di AI (considerate "professionisti" ai sensi dell'art. 18, comma 1, lett. b), del c.d.c.) era consistita:

- nel fatto che, in caso di pagamento del c.d. "bollo auto" sul sito internet dell'ACI, con utilizzo di carta di credito (c.d. Bollonet), o di pagamento con carta di debito sul circuito PagoBancomat presso le delegazioni ACI sul territorio, risultavano addebitate agli utenti spese ulteriori quale credit card surcharge;

- nell'ulteriore fatto che, in relazione alla modalità Bollonet, era risultato che i messaggi diffusi sul suddetto sito potevano presentare carattere di ingannevolezza, pubblicizzandosi l'assenza di commissioni bancarie per il pagamento online mentre invece, al termine dell'operazione, ai consumatori non soci ACI era chiesto un costo aggiuntivo.

1.2. La sentenza quindi, superata un'eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal Codacons, ha nel merito ritenuto infondati:

a) il primo motivo, teso a rilevare il mancato rispetto da parte dell'Autorità dei termini del procedimento chiusosi con la censurata sanzione, giacché anzi lo stesso era durato meno dei 150 giorni disponibili nel caso di specie;

b) il secondo motivo, teso a denunciare che l'Autorità aveva ignorato che, nella specie, erano solo stati "ribaltati" sui consumatori costi fissi determinati da soggetti terzi e che le norme nazionali e sovranazionali di settore prevedevano che i costi legati all'uso di specifici strumenti di pagamento non possono essere addossati ai consumatori in misura "superiore" a quanto gli stessi professionisti siano tenuti a versare, risultando perciò esclusa l'imposizione di un pagamento ulteriore solo se maggiore di quanto il professionista è, in primo luogo, tenuto a sostenere per ricorrere allo specifico mezzo di pagamento da lui prescelto. Ciò soprattutto in ragione del c.d. divieto di payment card surcharge introdotto con l'art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 11/2010 di recepimento della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno;

c) il terzo motivo, volto a denunciare che l'interpretazione seguita dall'Autorità avrebbe condotto a condizioni dissimili per prestazioni equivalenti (senza poi contare che detta interpretazione poteva eludersi - ma non da parte di ACI, a causa della sua natura pubblica - addossando direttamente agli utenti il costo del servizio mediante incremento del suo prezzo finale). Ciò perché dall'impostazione stessa della censura emergeva che ACI e AI ritenevano di operare "nel mercato" di riferimento, non quindi nella loro veste "istituzionale";

d) il quarto motivo, col quale si eccepiva che l'Autorità non avesse valutato le convenzioni stipulate per la riscossione del "bollo auto", dalle quali emergeva che i costi in contestazione erano meramente ribaltati sui consumatori. Ciò perché, nella fattispecie, doveva piuttosto trovare applicazione l'art. 62 del c.d.c.;

e) il quinto motivo, volto a contestare l'entità della sanzione.

2. L'appello è affidato alle seguenti censure:

- errores in iudicando et in procedendo: violazione ed erronea applicazione dell'art. 19 della Direttiva UE 2011/83/UE - violazione ed erronea applicazione degli artt. 23, comma 1, lett. l), e 62 del d.lgs. n. 206/2005 - violazione e falsa applicazione dell'art. 17, comma 10, della l. n. 449/1997 - eccesso di potere per sviamento di potere, ingiustizia manifesta e travisamento ed erronea valutazione dei fatti - erroneità della motivazione della sentenza nella parte in cui ha ritenuto l'attività di ACI diretta ad esporre il consumatore a costi imprevedibili derivanti dall'utilizzo di un determinato mezzo di pagamento;

- errores in iudicando: violazione del principio di tutela della concorrenza - erroneità della motivazione nella parte in cui ha aderito ad una impostazione che fonda una sostanziale disparità di condizioni e costi operativi tra i professionisti del settore e la conseguente restrizione sostanziale del libero mercato;

- errores in iudicando: violazione e falsa applicazione dell'art. 60 del d.lgs. n. 206/2005 in tema di competenza dell'Autorità e di mancato rispetto dell'ambito di applicazione delle disposizioni normative invocate a fondamento del provvedimento sanzionatorio - eccesso di potere per sviamento di potere ed esercizio di funzioni pubbliche in assenza della causa tipica - erroneità della motivazione della sentenza nella parte in cui ha omesso di considerare le peculiarità della fattispecie relative alla prestazione del servizio di riscossione;

- errores in iudicando: violazione e falsa applicazione dell'art. 11 della l. n. 689/1981 in tema di determinazione dell'importo delle sanzioni amministrative - violazione e falsa applicazione dell'art. 15 della l. n. 270/1990 - eccesso di potere per difetto di proporzionalità, travisamento dei fatti, disparità di trattamento ed ingiustizia manifesta - erroneità della motivazione nella parte in cui ha mancato di esercitare il potere di riduzione della sanzione ex art. 134 c.p.a. in ragione della collaborazione prestata, della scarsa gravità della condotta e dell'assenza di intenzioni di lucro;

- error in iudicando: violazione e falsa applicazione dell'art. 2, comma 3, della l. n. 241/1990 - violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del regolamento dell'Autorità in tema di termini per la conclusione del procedimento.

3. Costituitasi, l'Autorità ha difeso il suo operato e ribattuto alle censure avversarie.

4. Con decreto presidenziale n. 514/2018, pubblicato il 5 febbraio 2018, è stata sospesa l'efficacia della sentenza impugnata fino alla definizione collegiale dell'istanza cautelare.

5. Con ordinanza della Sezione n. 1145/2018, pubblicata il 12 marzo 2018, è stata sospesa l'esecutività di detta sentenza "Ritenuto (...) che nel bilanciamento dei contrapposti interessi prevalenti appaiono, allo stato, quelli di parte ricorrente, anche nell'ottica della sua prospettata necessità - per l'eventualità di un esito sfavorevole nel merito del suo appello - di poter fruire nel frattempo di un sufficiente lasso di tempo, coincidente almeno con quello occorrente per giungere alla definizione nel merito del presente giudizio, al fine di apprestare gli adattamenti organizzativi e negoziali in ogni caso occorrenti per fronteggiare (ove necessario) le conseguenze che deriverebbero da una decisione sfavorevole alle proprie tesi".

6. ACI e AI hanno riepilogato i loro temi con memoria del 19 ottobre 2018.

L'Autorità ha fatto altrettanto con memoria del 22 ottobre 2018, cui ACI e AI hanno replicato con atto del 26 ottobre 2018.

7. La causa quindi è stata chiamata alla pubblica udienza di discussione dell'8 novembre 2018 ed ivi trattenuta in decisione.

8. Merita andare al cuore della vicenda oggetto di lite, considerando i suoi tratti effettivamente salienti.

9. Queste, in sintesi, le constatazioni e le contestazioni dell'Autorità:

a) il bilancio d'esercizio 2015 di ACI mostra un fatturato di 353 milioni di euro ed un utile di 20 milioni di euro mentre quello di AI un fatturato di 67 milioni di euro ed un utile di 165.000 euro;

b) quanto in particolare al servizio Bollonet, ai consumatori - non soci - è stato fatto pagare online il bollo "con un costo aggiuntivo del 1,2% sul dovuto";

c) più in dettaglio, il servizio di riscossione della tassa automobilistica tramite moneta elettronica è espletato da AI;

d) ACI è un ente pubblico non economico, senza scopo di lucro;

e) soltanto il servizio Bollonet, oltre al costo basico di 1,87 euro, ha implicato, dall'1 gennaio 2009, una maggiorazione del 1,2% sulla somma pagata (per l'utilizzo della carta di credito). Prima, a partire dal 2000, detta maggiorazione era addirittura del 2%. Il sovrapprezzo è stato applicato solo ai consumatori non soci ACI. Ai soci ACI Bollonet è stato offerto gratuitamente;

f) presso le delegazioni ACI, il costo aggiuntivo è stato di 0,20 euro in caso di pagamento a mezzo bancomat;

g) tuttavia AI, a partire dall'ottobre 2016, chiede una commissione (per il pagamento del bollo con carta di credito sul sito www.aci.it) di soli 0,75 euro per versamenti superiori a 30 euro. Al di sotto la commissione è nulla. Per il pagamento con bancomat presso le delegazioni ACI continua ad essere chiesta una commissione di 0,20 euro;

h) le commissioni richieste ad AI dai gestori delle carte di credito sono diversificate ed il valore della commissione applicata all'utente (1,2% sull'importo da pagare con carta di credito tramite il sito web di ACI, 0,20 euro per ogni bollo pagato con carta di debito, bancomat, presso le delegazioni ACI) esprime una media in relazione alle stime quantitative di utilizzo delle carte nei vari circuiti;

i) queste richieste all'utenza, nella prospettazione di ACI e AI, conseguono al fatto che i costi di utilizzo dei pagamenti elettronici (carte di credito, bancomat, ecc.) non riescono ad essere remunerati dall'importo basico di 1,87 euro (stabilito all'epoca in cui i pagamenti erano solo per contanti) eppertanto vanno necessariamente ribaltati sull'utente-contribuente (pena, sempre in tesi, un danno erariale);

l) in base al codice del consumo (art. 62) i professionisti non possono imporre ai consumatori, in relazione all'uso di determinati strumenti di pagamento, spese per l'uso di detti strumenti, ovvero "nei casi espressamente stabiliti", tariffe che superino quelle sostenute dal professionista;

m) tuttavia, nell'ordinamento non vi sono (ancora) "casi espressamente stabiliti" di deroghe. Pertanto, l'impossibilità di pretendere un sovrapprezzo o una maggiorazione (rispetto al costo basico del servizio) è figlia (oggi) di un "divieto assoluto", non rilevando come il sovrapprezzo o la maggiorazione vengano presentati all'utenza né potendo giustificare condotte diverse il timore di un danno erariale (mancandone il presupposto, visto che si tratta di rispettare un vincolo legale);

n) nella quantificazione della sanzione occorreva tenere presente, tra l'altro, che "ACI e Aci Informatica S.p.A. nell'esercizio 2015 hanno realizzato, rispettivamente, un fatturato pari a circa 353 milioni di euro e a circa 67 milioni di euro".

10. Di contro, la linea estrema di difesa in sede amministrativa delle appellanti si è basata sull'eminente circostanza che ACI è un ente pubblico, i costi dei suoi servizi sono predeterminati in base alla legge (con atto governativo ed amministrativo generale), fra tali costi non è stato contemplato quello per l'erogazione del servizio di pagamento con strumenti elettronici, quindi in ultima analisi il suo "torto" altro non sarebbe stato che quello (ineludibile) del mero "ribaltamento" sull'utenza dei propri costi per l'offerta di detto servizio di pagamento (che doveva essere acquistato sul mercato), altri operatori concorrenti (sebbene mai perseguiti o sanzionati dall'Autorità) hanno tenuto condotte non dissimili (anche se meno visibili, giacché mascherate da una "manovrabilità" dei loro fattori di costo che per ACI è invece impossibile).

11. A fronte di ciò l'appello risulta fondato, per quanto di ragione.

12. Certamente quella di ACI (di impegnarsi nel settore della riscossione tributaria, in sostanziale concorrenza con altri circuiti, anche tuttavia privati, di analoga riscossione) è stata una propria libera scelta. Ove questo impegno avesse mostrato qualche difficoltà o limite operativi (come, ad esempio, la non "manovrabilità" dei propri costi, attesa la sua "rigidità" di bilancio), ACI avrebbe ben potuto riflettere anticipatamente senza adagiarsi sulla comoda soluzione del mero "ribaltamento" sull'utenza di tutti quei suoi costi che essa non avesse ritenuto di poter fisiologicamente assorbire, sopportandoli.

Altrettanto è stata frutto di una libera scelta di ACI (la cui non difficoltà di interlocuzione col Governo non è difficile intuire) quella di non adoperarsi per tempo per ottenere, dal Governo appunto, una revisione delle proprie "tariffe", onde includervi anche la sua remunerazione per l'offerta di una modalità nuova di riscossione (i.e., pagamento con strumenti elettronici) del tributo costituita dalla tassa automobilistica.

Da questo punto di vista, perciò, non possono sottacersi profili di responsabilità di ACI.

12.1. Analogamente non può sottacersi una responsabilità di ACI nel aver preteso, per lungo tempo (e tuttora, anche se per importi oggettivamente minori), a fronte della possibilità offerta all'utenza di pagamenti con strumenti elettronici, somme determinate in misura percentualmente progressiva al crescere dell'importo del pagamento unitario dell'utente. E questo come se, in generale, il pagamento con strumenti elettronici implicasse costi sistemici crescenti al crescere dell'importo di un versamento unitario. Peraltro, nessuna prova o mero inizio di prova giustificatrice è stata, del resto, offerta da ACI a questo specifico riguardo.

12.2. In particolare, non può non rilevarsi una pecca specifica nel tracciato argomentativo di ACI.

Essa ha in pratica sostenuto (e non solo in sede amministrativa) di non potersi accollare (e di doverli perciò necessariamente ribaltare) gli oneri conseguenti alla messa a disposizione, dell'utenza, di un servizio di pagamento con strumenti elettronici.

Essa però non ha spiegato come mai, a parità di servizio offerto, nessun ribaltamento sia stato mai operato nei riguardi dei propri soci.

Si può supporre, al riguardo, che ACI abbia tratto benefici compensativi dal fatto che i propri soci, per divenire tali, avessero dovuto versarle "quote associative" annuali.

Questa ipotesi, tuttavia, dimostra piuttosto che, allora, per ACI era ben possibile - a fronte dell'offerta all'utenza di un'opportunità in più (i.e., il pagamento del tributo con strumenti elettronici) - imporre a tutta l'utenza (socia o meno che fosse) costi unitari predeterminati e fissi (non dunque proporzionali, come sopra detto) a fronte degli oneri da essa sopportati per assicurare detta ulteriore opportunità.

Ed il fatto che ACI non abbia neppure tentato di predisporre, in tema, un trattamento uguale per tutta la sua utenza (socia o meno che fosse) è esso stesso fonte di un suo ulteriore profilo di responsabilità.

13. Di contro, maggiori paiono le responsabilità dell'Autorità nella conduzione e nelle conclusioni del procedimento per cui è causa.

13.1. L'Autorità non è giunta al punto di affermare che un ente pubblico non economico, quale è ACI, non dovrebbe neppure partecipare - in regime peraltro di concorrenza - ad un mercato di servizi (quali quelli di riscossione dei tributi) suscettibile di produrre, per chi l'organizza, costi incidenti sul proprio bilancio d'esercizio. Una non partecipazione giustificata dal fatto che, per un tale ente, non sarebbe possibile modulare in libertà le proprie voci di bilancio in modo da assorbire completamente un proprio determinato costo (così non incorrendo nella necessità di doverlo ribaltare all'esterno).

Ma allora l'Autorità si sarebbe dovuta quanto meno porre il problema, in sede istruttoria e prima di incolpare e sanzionare ACI:

- di verificare se e come si comportassero altri analoghi enti pubblici nel caso (certamente non inesistente) in cui essi avessero offerto alla loro utenza l'opportunità di effettuare pagamenti dovuti non per contanti bensì mediante l'impiego di strumenti elettronici;

- di come allora (posto che essa non riteneva di giungere a quella affermazione di cui prima s'è detto) un ente pubblico non economico, con un bilancio certamente "rigido" nei propri fattori di "voci attive", avrebbe mai potuto assorbire costi determinati da oneri esterni ineludibili, occorrenti per la messa a disposizione di terzi di un'opportunità aggiuntiva (i.e., il pagamento di importi dovuti mediante strumenti elettronici);

- di come, in altri termini, coniugare, in primo luogo sul piano logico, un divieto legale (quale quello derivante dall'art. 62 del c.d.c.) con un'opportunità di mercato per un ente pubblico non economico (ossia la riscossione di tributi in concorrenza con altri circuiti di analoga riscossione) non altrimenti vietata od esclusa.

13.2. L'Autorità, poi, neppure risulta essersi minimamente interrogata sul se, per ipotesi, nel caso, in particolare, della riscossione del tributo in discorso (attraverso pagamenti con strumenti elettronici) presso le delegazioni ACI, i professionisti coi quali l'utenza entrava implicitamente in contatto fossero, non uno (ossia l'ACI, da sola e/o unitamente ad AI), ma addirittura due (ossia l'ACI, da sola e/o unitamente ad AI, nonché la banca cui pure apparteneva il circuito di pagamento con strumenti informatici messo a disposizione dell'utenza). Ché, ove in ipotesi fosse stata vera la seconda alternativa ora detta, la responsabilità di ACI (da sola e/o unitamente ad AI) o non sarebbe stata o non sarebbe stata l'unica, corresponsabile essendo allora sicuramente anche la banca cui detto circuito apparteneva.

Ciò tanto più se si considera che anche le banche costituiscono, in fondo, circuito di riscossione di tributi.

13.3. L'istruttoria dell'Autorità risulta carente, poi, anche da un diverso angolo visuale.

Dai tempi del d.lgs. n. 21/2014 l'art. 62 del c.d.c., in tema di tariffe per l'utilizzo di mezzi di pagamento, dispone che i professionisti non possono imporre ai consumatori, in relazione all'uso di determinati strumenti di pagamento, spese "per l'uso di detti strumenti (...)".

La norma non puntualizza se il divieto in questione riguardi il caso in cui detti "strumenti" siano propri del professionista ovvero anche quello in cui gli stessi siano di un terzo (che li concede al professionista, a pagamento, affinché egli poi li offra al consumatore).

La possibile differenza di lettura non pare essere stata vagliata dall'Autorità, nel caso di specie.

Inoltre, il d.l. n. 179/20[1]2, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 221/2012, all'art. 15, rubricato "Pagamenti elettronici", prevede, al suo comma 5-quater, che (in seno al c.d.c., art. 21) "È considerata, altresì, scorretta la pratica commerciale che richieda un sovrapprezzo dei costi per il completamento di una transazione elettronica con un fornitore di beni o servizi".

Vale osservare che tale disposizione ricollega la scorrettezza della pratica alla richiesta di un "sovraprezzo", non già di un "prezzo".

Dunque, ed in estrema sintesi, non risulta che nella fattispecie l'Autorità abbia riflettuto sull'eventualità che all'ACI dovesse essere contestata esclusivamente (ove sussistente) la sua pratica di richiesta di un prezzo "sovrastante" (ossia ulteriore) rispetto al prezzo che essa sopportava per procurarsi il servizio di pagamento con strumenti elettronici che essa, poi, poneva a disposizione dell'utenza (e sempre che, come detto sub 13.2. supra, si dovesse escludere che, almeno presso le delegazioni ACI, non fosse la stessa banca ad operare direttamente come professionista nei riguardi dell'utenza, in occasione della riscossione del tributo). In questa prospettiva, allora, l'Autorità avrebbe dovuto quanto meno scorporare la componente "sovrapprezzo" rispetto a quella "prezzo" (a fronte del servizio reso da ACI).

13.4. L'Autorità, poi (e questo vale anche in funzione di quanto poco in appresso detto), neppure si è soffermata a valutare quale fosse il soggetto concretamente ed in ultimo responsabile della pratica censurata (se solo ACI o solo AI, essendo quest'ultima pur sempre un soggetto giuridicamente diverso da ACI, oppure entrambe ma secondo gradi di responsabilità appositamente graduati).

14.5. Soprattutto l'Autorità ha omesso di considerare (e spiegare) quale dovesse effettivamente essere la base di computo della misura della sanzione poi stabilita.

Per un verso, l'Autorità avrebbe dovuto stabilire se andavano considerati (come base di computo) soltanto i dati emergenti dal bilancio della sola ACI ovvero della sola AI ovvero di entrambe, in [t]ale ultimo caso peraltro in funzione dei gradi di rispettiva responsabilità che anch'essi, come sopra detto, andavano individuati.

Per altro verso, e soprattutto, l'Autorità ha omesso, rispetto ai dati emergenti dai bilanci di ACI e di AI, di depurare quelli che non avevano alcuna attinenza con la redditività rinveniente dall'applicazione della pratica ritenuta scorretta.

Invero, ammesso ma non dimostrato, che la redditività di AI sia tutta da imputare ai proventi della pratica ritenuta scorretta, sicuramente tanto non vale per ACI, il cui bilancio (nell'arco di tempo considerato dall'Autorità) si è certamente alimentato con introiti tutt'affatto diversi rispetto ai ricavi derivanti dalla pratica ritenuta scorretta. Basti pensare anche ai soli "canoni associativi" annuali introitati da ACI, che sicuramente nulla avevano a che fare con i c.d. proventi per cui è causa.

Questa omissione di istruttoria certamente ha alterato (incrementandola ingiustificatamente) la base di calcolo della sanzione, onde anche solo per questo il provvedimento censurato deve reputarsi illegittimo.

15. In conclusione, l'appello risulta fondato nei termini che precedono e meritevole di accoglimento, con l'effetto che, in riforma della sentenza impugnata ed in accoglimento dell'originario ricorso, deve essere annullato il provvedimento dell'Autorità inizialmente censurato, impregiudicata ogni eventuale successiva attività dell'Autorità medesima.

16. Dati gli esiti complessivi della decisione ed in considerazione dei tratti di peculiarità del caso affrontato, ricorrono giustificati motivi per compensare integralmente fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie per quanto di ragione e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla il provvedimento originariamente impugnato.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

L. Carbone, F. Caringella, G. Rovelli

Manuale dei contratti pubblici

Dike Giuridica, 2024

L. Bolognini, E. Pelino (dirr.)

Codice della disciplina privacy

Giuffrè, 2024

G. Basile

Schemi di diritto commerciale

Neldiritto, 2024