Corte di cassazione
Sezione II civile
Ordinanza 7 gennaio 2019, n. 122
Presidente: Oricchio - Relatore: Giannaccari
FATTO
O. Marco ed O. Daniele, premesso di essere comproprietari di una porzione di edificio sito nel comune di Conselve in Via [omissis] lamentavano che O. Carmela, Donatella, Elda e Franca, proprietarie del pian terreno del medesimo edificio avevano edificato una costruzione in appoggio al muro perimetrale in comproprietà di essi attori, in violazione dell'art. 1102 c.p.c. ed in assenza del consenso dei comproprietari. Lamentavano, inoltre, la violazione delle distanze ex art. 907 c.c.
Si costituivano O. Franca e T. Adelina chiedendo il rigetto della domanda, sostenendo che la costruzione era esistente fin dal 1974 e che non era stata oggetto di ampliamento; proponevano domanda riconvenzionale, deducendo che gli attori avevano sopraelevato di oltre un metro la propria abitazione, nel 1993, aprendo una finestra nel muro comune.
Il Tribunale accoglieva la domanda degli attori limitatamente alla domanda di pagamento delle spese per la manutenzione della canna fumaria e rigettava la domanda riconvenzionale.
Proponeva appello O. Marco e Daniele; O. Franca si costituiva e spiegava appello incidentale.
La Corte d'Appello di Venezia, con sentenza del 21 gennaio-18 febbraio 2014 accoglieva parzialmente l'appello principale; riteneva che le opere realizzate dalla convenuta non risalivano al 1974 ma in epoca successiva al 1983, come risultava da una fotografia riproducente lo stato dei luoghi a quella data, confermata da alcuni testi e dalla CTU. Non riteneva che le planimetrie allegate alla domanda di condono del 1986 provassero la preesistenza delle opere perché redatte in epoca successiva all'ampliamento. La Corte rilevava che il preesistente manufatto adibito a ripostiglio, posto in aderenza al muro perimetrale era stato sopraelevato e, trattandosi di nuova costruzione, siccome posta in essere sul muro comune, richiedeva il consenso degli altri condomini, che, nella fattispecie non era stata accordata.
Per la cassazione della sentenza ricorre O. Franca sulla base di sette motivi, cui resistono con controricorso O. Marco ed O. Daniele.
DIRITTO
Deve essere preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissibilità del ricorso principale per omessa esposizione dei fatti di causa. Deducono i ricorrenti che nel ricorso mancherebbe la ricostruzione dello svolgimento del processo di primo grado, delle motivazioni della sentenza, delle difese delle parti, riportate solo attraverso la mera trascrizione dei dispositivi delle sentenze del Tribunale e della Corte d'Appello e delle conclusioni delle parti formulate in appello. Inoltre, a causa dell'omissione di qualunque riferimento al fatto sostanziale che aveva generato la lite, dalla lettura del dispositivo sarebbe impossibile comprendere le ragioni poste a fondamento della domanda ed il senso delle censure avanzate alla sentenza impugnata.
L'eccezione è fondata.
Il legislatore colloca formalmente l'esposizione del fatto prima di quello dei motivi, poiché la lettura del ricorso precede l'esame dei motivi ed implica la comprensione dell'iter processuale e delle decisioni di merito. Il giudice di legittimità, attraverso l'esposizione dei fatti deve cogliere le censure della sentenza impugnata e le varie vicende del processo, soprattutto considerando che il nuovo testo dell'art. 132 c.p.c., n. 4 (come modificato dalla l. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 17) non prescrive più che la sentenza debba contenere "la concisa esposizione dello svolgimento del processo", limitandosi a prescrivere che essa contenga "la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione".
Con pronuncia di questa Corte a Sezioni unite, è stato stabilito che il ricorso per cassazione in cui manchi completamente l'esposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato è inammissibile; tale mancanza non può essere superata attraverso l'esame delle censure in cui si articola il ricorso, non essendone garantita l'esatta comprensione in assenza di riferimenti alla motivazione del provvedimento censurato, né attraverso l'esame di altri atti processuali (Cass. civ., sez. un., 22 maggio 2014, n. 11308).
Il difensore che redige il ricorso per cassazione deve procedere ad elaborare autonomamente una sintesi della vicenda fattuale e processuale selezionando i dati di fatto sostanziali e processuali rilevanti in funzione dei motivi di ricorso che intende formulare, in modo da consentire alla Corte di procedere poi lo scrutinio di tali motivi disponendo di un quadro chiaro e sintetico della vicenda processuale (Cass. civ., sez. II, 8 settembre 2017, n. 20953).
Il requisito della "esposizione sommaria dei fatti della causa" di cui all'art. 366 c.p.c., n. 3, è posto, nell'ambito del modello legale del ricorso, non tanto nell'interesse della controparte, quanto in funzione del sindacato che la Corte di cassazione è chiamata ad esercitare e, quindi, della verifica della fondatezza delle censure proposte. L'esposizione sommaria deve avere ad oggetto sia i fatti sostanziali sia i fatti processuali necessari alla comprensione dei motivi di ricorso.
Esiste pertanto un rapporto di complementarità tra il requisito della "esposizione sommaria dei fatti della causa" di cui art. 366 c.p.c., n. 3 e quello - che lo segue nel modello legale del ricorso - della "esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione" (art. 366 c.p.c., n. 4), essendo l'esposizione sommaria dei fatti funzionale a rendere intellegibili, da parte della Corte, i motivi di ricorso e le censure mosse alla sentenza impugnata.
In altri termini, secondo il "modello legale" apprestato dall'art. 366 c.p.c., la Corte di cassazione, prima di esaminare i motivi, dev'essere posta in grado, attraverso una riassuntiva esposizione dei fatti, di percepire sia il rapporto giuridico sostanziale originario da cui è scaturita la controversia, sia lo sviluppo della vicenda processuale nei vari gradi di giudizio di merito, in modo da poter procedere poi allo scrutinio dei motivi di ricorso munita delle conoscenze necessarie per valutare se essi siano deducibili e pertinenti; valutazione - questa - che è possibile solo se chi esamina i motivi sia stato previamente posto a conoscenza della vicenda sostanziale e processuale in modo complessivo e sommario, mediante una "sintesi" dei fatti che si fondi sulla selezione dei dati rilevanti e sullo scarto di quelli inutili.
Nella specie, il ricorso è carente dell'esposizione dei fatti, in quanto si limita a riportare i dispositivi delle sentenze del Tribunale e della Corte d'Appello e le conclusioni delle parti formulate in appello. La sequenza di tali atti non consente al collegio di comprendere il fatto storico che ha originato la causa, le posizioni difensive assunte dalle parti, le vicende processuali che hanno caratterizzato il giudizio, in modo da poter procedere allo scrutinio dei motivi.
Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di lite che liquida in euro 3100,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge, iva e cap come per legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.