Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 14 gennaio 2019, n. 345

Presidente: Lipari - Estensore: Maiello

FATTO E DIRITTO

Con il gravame in epigrafe l'appellante chiede la riforma della sentenza n. 05125/2017, pubblicata il 3 novembre 2017, con la quale il TAR per la Campania, Sezione V, ha respinto il ricorso proposto in riassunzione avverso la determina dirigenziale n. 829 del 3 agosto 2007 avente ad oggetto la sua esclusione dalla graduatoria dei vincitori della selezione interna per la categoria dei posti di assistente amministrativo e la ricollocazione nel profilo professionale rivestito alla data di pubblicazione del bando di selezione.

Il suddetto provvedimento espulsivo interveniva dopo la stipula, in data 29 giugno 2004, del contratto di lavoro a tempo indeterminato con inquadramento nel nuovo profilo professionale, categoria "C", e traeva alimento dal fatto che l'Amministrazione aveva rilevato la carenza dei requisiti di partecipazione alla selezione.

A seguito della sentenza n. 3261/2011 del Tribunale di Torre Annunziata, sezione lavoro, che aveva declinato la propria giurisdizione, il giudizio veniva riassunto dinanzi al TAR che, però, lo respingeva con la sentenza qui gravata.

A sostegno dello spiegato gravame l'appellante deduce:

1) che il giudice di prime cure non avrebbe tenuto conto del fatto che il potere di autotutela della P.A. deve ritenersi limitato al campo dei rapporti di diritto pubblico, non potendo estendere i suoi effetti al di là dell'atto amministrativo che l'amministrazione reputi illegittimo e/o inopportuno, mentre nel caso qui in rilievo l'intervento in autotutela è intervenuto quando era stato già stipulato il contratto di lavoro;

2) l'atto di autotutela gravato in prime cure sarebbe stato adottato in palese carenza di potere in quanto sia le prescrizioni del bando di selezione che quelle del regolamento aziendale sulle selezioni interne assegnerebbero la competenza, in via esclusiva, al direttore generale;

3) il TAR non avrebbe compiutamente esaminato la documentazione versata in atti dalla quale, a dire dell'appellante, risulterebbe che la ricorrente aveva svolto, presso la medesima azienda sanitaria NA5, le mansioni proprie del profilo di Coadiutore Amministrativo Esperto, dal novembre del 1995 sino all'indizione della selezione in oggetto avvenuta con la delibera del D.G. n. 879 del 30 maggio 2000, non occorrendo, ai fini qui in rilievo, anche il coerente inquadramento nel corrispondente profilo funzionale;

4) il potere di autotutela sarebbe stato malamente esercitato a distanza di tre anni, senza evidenziare conferenti ragioni di interesse pubblico, concreto ed attuale.

L'ASL intimata non si è costituita in giudizio.

Ritiene il Collegio che non meriti favorevole valutazione l'istanza di rimessione in termini presentata dall'appellante in data 8 giugno 2018 con conseguente declaratoria di inammissibilità dell'appello per tardività del relativo deposito.

Non sussistono, invero, i presupposti per concedere il beneficio dell'errore scusabile ai sensi dell'art. 37 d.lgs. n. 104/2010 in relazione al tardivo deposito del mezzo qui in rilievo, ritualmente effettuato solo in data 25 maggio 2018 a fronte di una notifica perfezionatasi già in data 11 aprile 2018 e, dunque, in violazione del combinato disposto di cui agli artt. 45 e 94 del c.p.a.

Vale premettere che, ai sensi dell'art. 136, comma 2, del c.p.a. i difensori, le parti nei casi in cui stiano in giudizio personalmente e gli ausiliari del giudice depositano tutti gli atti e i documenti con modalità telematiche.

Com'è noto, le disposizioni sul c.d. PAT hanno efficacia con riguardo ai giudizi introdotti con i ricorsi depositati, in primo o in secondo grado, a far data dal 1° gennaio 2017; dal 1° gennaio 2018 il processo amministrativo assume un regime interamente telematico anche per i ricorsi proposti prima del 1° gennaio 2017 (cfr. l'art. 7, comma 3, del medesimo d.l. n. 168/2016).

A norma dell'art. 9, comma 2, del d.P.C.m. 16 febbraio 2016, n. 40 e salvo le evenienze eccezionali di cui ai commi 8 e 9, qui non in rilievo, il deposito degli atti processuali e dei documenti allegati avviene, dunque, esclusivamente per via telematica.

Va, altresì, evidenziato che, a mente del comma 11 dell'articolo citato, gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari utilizzabili per il deposito sono pubblicati sul portale Internet della giustizia amministrativa.

Occorre, infine, soggiungere che l'allegato al suindicato d.P.C.m., recante le specifiche tecniche, all'art. 7 disciplina in dettaglio le modalità di deposito a mezzo PEC, evidenziando che, una volta curati gli adempimenti ivi descritti, l'avvocato riceve automaticamente:

- dal proprio gestore, un messaggio PEC di avvenuta accettazione della PEC di deposito, con indicazione della data e dell'ora di accettazione;

- successivamente, dal gestore dell'Amministrazione un messaggio di avvenuta consegna della PEC di deposito;

- infine, entro le ore 24.00 del giorno lavorativo successivo alla ricezione della PEC di avvenuta consegna, un ulteriore messaggio PEC, denominato «registrazione di deposito», che riporta l'indicazione del numero progressivo di protocollo assegnato e l'elenco di tutti gli atti e documenti trasmessi con il ModuloDepositoRicorso o il ModuloDepositoAtto.

Il messaggio di registrazione di deposito contiene le indicazioni sulle eventuali anomalie di carattere tecnico riscontrate nel deposito.

Orbene, a fronte di quanto fin qui rilevato, appare di tutta evidenza come l'istanza di rimessione in termini non sia suscettiva di favorevole delibazione.

Anzitutto, deve rilevarsi come si è in presenza di una disciplina processuale che non può più dirsi di recente conio, oltretutto contraddistinta, per i profili qui in rilievo, da prescrizioni sufficientemente chiare ed inequivoche.

Peraltro, l'errore in cui è incorso l'appellante, e consistente nella trasmissione dell'appello ad un indirizzo diverso da quello dell'organo giurisdizionale adito, è riconducibile alla violazione degli ordinari doveri di diligenza la cui puntuale cura, rientrando nella sfera di signoria del singolo soggetto abilitato, deve ritenersi incondizionatamente esigibile in capo ai professionisti che patrocinano innanzi agli organi di giurisdizione salvo situazioni eccezionali, riconducibili al caso fortuito ed alla forza maggiore qui non in rilievo.

Peraltro, l'errore in cui è incorso l'appellante - che ha digitato un indirizzo PEC diverso da quello dovuto e non abilitato alla ricezione ed al deposito del ricorso - era, altresì, immediatamente riconoscibile proprio in ragione della peculiare conformazione del suindicato protocollo tecnico atteso che, ai sensi della sopra richiamata disciplina di settore, questi avrebbe dovuto ricevere, in aggiunta alla ricevuta di consegna, il messaggio di registrazione deposito.

Di contro, in mancanza di tale specifica ed aggiuntiva comunicazione, che caratterizza il procedimento qui in rilievo, l'appellante avrebbe dovuto agevolmente rendersi conto, superato il torno temporale delle 24h previste, che il deposito non era andato a buon fine, senza attendere la scadenza dei termini di legge ovvero comunicazioni da parte della Segreteria, a ciò non tenuta.

Tanto premesso, occorre soggiungere che la concessione del beneficio dell'errore scusabile - per consolidato orientamento anche dell'Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (2 dicembre 2010, n. 3; 9 agosto 2012, n. 32; 10 dicembre 2014, n. 33; 27 luglio 2016, n. 22) - costituisce uno strumento eccezionale da accordarsi con estrema parsimonia, tenendo conto del rischio della violazione dei termini perentori processuali e dell'alterazione della regola della parità delle armi nel processo che potrebbe conseguirne, cosicché l'art. 37 c.p.a. va considerata norma di stretta interpretazione. In definitiva, il beneficio della rimessione in termini va limitato al caso di oscurità del quadro normativo, alle oscillazioni della giurisprudenza, a comportamenti ambigui dell'Amministrazione, al caso fortuito ed alla forza maggiore, circostanze, tutte, non ravvisabili nel caso di specie (in termini, tra le tante, C.d.S., sez. IV, 15 giugno 2016, n. 2638; sez. V, 31 marzo 2017, n. 1501).

Consegue, pertanto, a quanto fin qui rilevato l'inammissibilità dell'appello.

Nulla è dovuto per le spese di giudizio in ragione della mancata costituzione della parte intimata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

M. Marazza

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