Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 28 gennaio 2019, n. 697

Presidente: Caringella - Estensore: Contessa

FATTO

La CO.GE.DI. s.r.l. - a cui oggi, in forza di un contratto di affitto di ramo d'azienda, è subentrata l'odierna appellante OperAzione s.r.l. - nel gennaio 2013 era risultata aggiudicataria della gara, indetta da Siena Casa s.p.a. - società pubblica costituita dai Comuni della provincia di Siena a seguito dello scioglimento delle Aziende Territoriali per l'Edilizia residenziale -, per l'affidamento dei lavori di recupero architettonico e funzionale del fabbricato "ex Branconi", ubicato in Colle Val d'Elsa (SI), nel quale si sarebbero dovuti realizzare nove alloggi di edilizia residenziale pubblica.

Non avendo mai proceduto alla stipula del contratto d'appalto, l'aggiudicazione veniva revocata in autotutela da Siena Casa s.p.a. nel marzo del 2017, motivata con il fatto che, dopo essere tardivamente entrata in possesso dell'immobile, la Società appaltante ne aveva accertato lo stato di grave degrado, che ne rendeva necessaria la messa in sicurezza dell'immobile, prima della realizzazione dei lavori originariamente appaltati.

Con ricorso n. 518 del 2017, la società OperAzione s.r.l. impugnava innanzi al T.A.R. Toscana - Firenze il provvedimento di revoca, censurandolo sulla scorta di due doglianze, evidenziando la carenza dei presupposti di cui all'art. 21-quinquies della l. 7 agosto 1990, n. 241, in relazione alla palese carenza di adeguata motivazione, carenza di istruttoria e di affidamento ingenerato, unitamente ai plurimi profili di eccesso di potere cui era affetto il provvedimento di revoca.

Il T.A.R. adito, con sentenza n. 187 del 2 febbraio 2018, in parziale accoglimento del ricorso, condannava Siena Casa s.p.a. a corrispondere alla OperAzione s.r.l., a titolo di risarcimento dei danni da responsabilità precontrattuale, una somma di euro 2.418,85.

Con ricorso in appello (nrg. 1863 del 2018), la società OperAzione s.r.l. ha impugnato la sentenza in questione, deducendo:

1) Error in judicando - Violazione e distorta applicazione dell'art. 21-quinquies della l. n. 241/1990, in relazione all'art. 3 l. cit. - Motivazione apparente e contraddittoria - Erronea presupposizione di fatto e diritto - Perplessità - Violazione del decisum nomofilattico n. 8/2017;

2) Error in judicando e procedendo - Violazione dei principi in materia di risarcimento in forma equivalente per illegittimità procedimentale - Riconoscimento del risarcimento danni dell'interesse positivo in termini di lucro cessante e danno emergente - Omessa pronuncia - Motivazione apparente, erronea e iniqua;

3) Error in judicando - Violazione e falsa applicazione dei principi in materia di responsabilità precontrattuale e di interesse negativo - Violazione del principio nomofilattico Ad. Plen. N. 6/2005 - Motivazione erronea, iniqua, perplessa, sviata e contraddittoria.

Si è costituita in giudizio Siena Casa s.p.a., la quale ha concluso chiedendo di respingere il ricorso in appello perché inammissibile, irricevibile e comunque infondato.

Alla pubblica udienza del 20 dicembre 2018, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dalla società OperAzione s.r.l., attiva nel settore dei lavori, avverso la sentenza del T.A.R. della Toscana con cui è stato accolto (ma solo in parte e in misura ritenuta non soddisfacente) il ricorso dalla stessa proposto al fine di ottenere il ristoro del danno cagionato dalla Siena Casa s.p.a. in relazione a una complessa vicenda originata da una procedura ad evidenza pubblica finalizzata alla ristrutturazione di un edificio in Colle Val d'Elsa (SI).

2. Con il primo motivo di appello la OpeAzione lamenta che erroneamente il primo Giudice abbia omesso di rilevare i numerosi profili di difetto di motivazione che viziavano il provvedimento di revoca del 29 marzo 2017 in relazione ai presupposti di cui all'art. 21-quinquies della l. 241 del 1990.

In particolare il primo Giudice

- avrebbe erroneamente ritenuto che il mero mutamento dello stato dei luoghi (per come sinteticamente indicato nel provvedimento impugnato) giustificasse in modo adeguato la disposta revoca e che il contegno serbato nel corso dell'intera vicenda dalla Siena Casa s.p.a. giustificasse soltanto la riconduzione della vicenda nell'ambito della responsabilità precontrattuale dell'amministrazione;

- avrebbe erroneamente affermato che, nel bilanciamento fra i diversi interessi in gioco, l'interesse pubblico alla rimozione dell'aggiudicazione prevalesse rispetto all'affidamento riposto dall'aggiudicatario alla stipula del contratto e alla successiva esecuzione dei lavori (e tale lacuna risulterebbe tanto più grave in considerazione della valenza generale che il principio del legittimo affidamento riveste anche in ambito eurounitario);

- avrebbe omesso di adeguatamente considerare che la modifica della situazione di fatto posta a fondamento dell'impugnata revoca fosse imputabile alla stessa Siena Casa la quale aveva omesso per circa tre anni di attivarsi per entrare nella disponibilità dell'immobile, in tal modo contribuendo a determinare lo stato di degrado posto a fondamento della disposta revoca;

- avrebbe erroneamente omesso di considerare che un puro e semplice ripensamento circa la satisfattività delle lavorazioni non potesse ex se giustificare la revoca (e che, comunque, non potesse giustificarla senza aver adeguatamente valutato l'interesse dell'aggiudicataria alla realizzazione delle lavorazioni);

- avrebbe omesso di considerare che, stante il notevole lasso di tempo decorso dalla disposta aggiudicazione (del gennaio 2013), l'eventuale revoca avrebbe richiesto una motivazione particolarmente approfondita (inter alia) in ordine: i) alle ragioni del mutamento dello stato dei luoghi e al concorso arrecato dall'appellata a tale mutamento; ii) alle ragioni della mancata vigilanza dell'opera; iii) alle ragioni del silenzio a lungo serbato da Siena Casa sull'esito della vicenda amministrativa; iv) alle ragioni che avevano indotto Siena Casa a disporre l'integrale revoca dell'aggiudicazione, senza valutare opzioni alternative (come, ad esempio, l'approvazione di varianti al progetto inizialmente messo a gara).

2.1. Il motivo è nel complesso infondato.

2.2. Si osserva in primo luogo al riguardo che l'appellante sembra porre sostanzialmente sullo stesso piano l'antidoverosità del contegno serbato dall'appellata Siena Casa nel corso della vicenda amministrativa (con i connessi risvolti risarcitori) e la legittimità della disposta revoca.

Tenendo invece distinti - come è necessario - i due piani, emerge che del tutto condivisibilmente il primo Giudice abbia (da un lato) censurato i numerosi e rilevanti errores sottesi al contegno serbato dalla Siena Casa - traendone le necessarie conseguenze anche ai fini risarcitori - e (dall'altro) abbia ritenuto comunque sussistenti i presupposti per disporre in modo legittimo la revoca dell'affidamento.

È infatti evidente che sia ben possibile far derivare conseguenze risarcitorie in danno dell'amministrazione dalla (legittima) adozione di un provvedimento di revoca, così come è possibile che la revoca di un atto amministrativo possa risultare legittima e giustificata anche se sia stata la stessa amministrazione a dare luogo ai presupposti legali della revoca (e in disparte i connessi profili risarcitori che devono essere esaminati in base a coordinate normative in parte diverse da quelle di cui all'art. 21-quinquies della l. 241 del 1990).

Per quanto riguarda in particolare il primo dei citati aspetti deve qui essere richiamato il condiviso orientamento secondo cui è possibile configurare un'ipotesi di responsabilità precontrattuale a carico della stazione appaltante la quale, dopo aver indetto una gara ed essersi in seguito avveduta di motivi ostativi prosegua nella gestione della procedura senza informare i partecipanti, per poi revocare l'aggiudicazione.

Il danno, in tal caso, non è causalmente riconducibile al doveroso e legittimo esercizio del potere di autotutela (annullamento ovvero revoca), ma trova la sua causa nella condotta omissiva tenuta dall'amministrazione nella gestione della complessiva serie amministrativa (in tal senso: C.d.S., IV, 20 febbraio 2014, n. 790).

2.3. Prendendo comunque le mosse dalla questione relativa alla legittimità del provvedimento di revoca (e riservando al prosieguo le questioni risarcitorie), il Collegio rileva che condivisibilmente il primo Giudice abbia ravvisato nel caso in esame i presupposti per l'adozione dell'atto di ritiro ai sensi dell'art. 21-quinquies della l. 241 del 1990.

Deve infatti rilevarsi che lo stato di gravissimo degrado in cui versava l'immobile al momento in cui la Siena Casa ne aveva nuovamente acquisito la disponibilità (dicembre 2016) e la necessità di metterlo in sicurezza prima di eseguirvi qualunque altro intervento risultava del tutto incompatibile con la realizzazione degli interventi di mera ristrutturazione edilizia che erano stati aggiudicati all'appellante.

Nella situazione data (e anche al fine di salvaguardare l'incolumità pubblica) era dunque quel radicale "mutamento della situazione di fatto" al ricorrere del quale l'art. 21-quinquies della l. 241 del 1990 legittima l'adozione di un provvedimento di revoca.

La gravità e serietà delle ragioni poste a fondamento della disposta revoca giustificava (anche in ragione delle richiamate esigenze di interesse pubblico) l'adozione dell'atto di ritiro, rendendo recessivo (il pur comprensibile) affidamento riposto dall'appellante alla realizzazione degli interventi di ristrutturazione inizialmente messi a gara.

Del resto, anche a voler tenere nella massima considerazione l'evidente interesse dell'appellante a realizzare comunque tali interventi, è evidente che essi (quand'anche in concreto realizzabili nella situazione data) non avrebbero arrecato alcuna utilità concreta alla stazione appaltante (che avrebbe comunque dovuto procedere a realizzare radicali interventi di messa in sicurezza prima di ristrutturare e rendere nuovamente utilizzabili i locali), in tal modo comportando a suo carico un onere finanziario del tutto ingiustificato.

2.4. Si osserva ancora che l'indubbio concorso causale apportato dalla Siena Casa al verificarsi dello stato di degrado dell'immobile può certamente rilevare ai fini risarcitori (e a tali fini è stato apprezzato dal T.A.R.), ma tale circostanza non può elidere la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per disporre il provvedimento di ritiro di cui al più volte richiamato art. 21-quinquies.

2.5. Si osserva infine che (in disparte i più volte richiamati profili risarcitori) non ha invece fondamento giuridico la tesi dell'appellante OperAzione secondo cui la stazione appaltante (piuttosto che disporre la revoca dell'aggiudicazione) avrebbe potuto limitarsi a disporre una variante progettuale, in tal modo consentendo comunque la realizzazione degli interventi necessari da parte dell'appellante medesima.

La tesi non può trovare accoglimento in quanto l'invocata assegnazione di un appalto oggettivamente diverso da quello originariamente messo a gara avrebbe presentato insormontabili ostacoli di ordine giuridico, stante l'evidente e oggettiva diversità fra l'utilitas posta a base della procedura ad evidenza pubblica e quella che l'appellante aspirava (e in modo postumo) a vedersi assegnare senza alcuna nuova procedura evidenziale.

2.5. Il primo motivo di appello deve dunque essere respinto.

3. Con il secondo motivo di appello la OperAzione, sul presupposto dell'illegittimità del provvedimento di revoca dell'aggiudicazione, lamenta che il primo Giudice non abbia accolto la domanda risarcitoria finalizzata al ristoro i) dell'interesse positivo (nella forma del lucro cessante); ii) della perdita di chance connessa all'esecuzione della commessa; iii) del danno curriculare (connesso alla mancata acquisizione dell'esperienza professionale connessa all'esecuzione dell'appalto).

Il motivo è nel complesso infondato in quanto la sua intera articolazione prende le mosse da un dato (quello dell'illegittimità della disposta revoca) che, per le ragioni dinanzi esaminate, risulta destituito di fondamento.

Ne consegue che non può trovare accoglimento alcuna delle (tre) domande formulate in via gradata dall'appellante e volte ad ottenere i) il risarcimento in forma specifica del danno connesso alla mancata stipula ed esecuzione del contratto; ii) il risarcimento per equivalente connesso all'attività provvedimentale illegittima, ovvero iii) il ristoro del danno da contatto sociale qualificato (in quanto connesso - ancora una volta - al ritenuto carattere illegittimo dell'attività provvedimentale realizzata dalla stazione appaltante).

4. Con il terzo motivo di appello la OperAzione chiede la riforma del capo della sentenza con cui (pur essendo stata accolta la domanda finalizzata ad ottenere il ristoro del danno da responsabilità precontrattuale della stazione appaltante - nei limiti quindi del solo interesse negativo -), tale danno è stato quantificato nella ridottissima somma di euro 2.418,85.

In tal modo decidendo il T.A.R. non solo avrebbe erroneamente omesso di ammettere alcune delle voci di danno connesse al lamentato interesse negativo (per un totale preteso di euro 12.577,58), ma inoltre avrebbe - del pari erroneamente - omesso di riconoscere il ristoro del danno da perdita di chance connessa alla stipula del contratto e alla sua esecuzione.

Secondo l'appellante, in particolare, non sarebbe stato possibile negare tale voce di danno stante l'orientamento giurisprudenziale che riconduce all'ambito del c.d. "interesse negativo" anche la perdita di chance.

E tale conclusione sarebbe necessaria sia se si aderisse alla tesi della c.d. "chance ontologica", sia se si aderisse alla diversa tesi della c.d. "chance eziologica".

4. Il motivo è infondato, salvo quanto fra breve si dirà in ordine al quantum del disposto risarcimento.

4.1. La sentenza in oggetto è meritevole di puntuale conferma laddove ha stabilito che il contegno serbato da Si[e]na Ambiente nel corso della vicenda integra gli estremi della responsabilità precontrattuale per avere la stazione appaltante determinato (con una condotta colposamente negligente) il ritardo nella consegna degli immobili che ne ha causato il deperimento sino a giustificare la revoca in autotutela per radicale mutamento della situazione fattuale.

In particolare è meritevole di conferma il passaggio in cui si afferma che, a seguito dell'aggiudicazione, l'amministrazione non si è curata di agire al fine di consentire la consegna dell'immobile, in tal modo determinando un inevitabile deterioramento del fabbricato (circostanza, questa, che si sarebbe certamente potuta evitare usando la diligenza esigibile in capo a un operatore professionale).

4.2. Per quanto riguarda il quantum del danno risarcibile la sentenza in epigrafe è parimenti meritevole di conferma per avere richiamato il più che consolidato orientamento secondo cui mentre per i danni da mancata aggiudicazione essi sono parametrati al c.d. interesse positivo e consistono nell'utile netto ritraibile dal contratto, oltre che nei pregiudizi di tipo curriculare e all'immagine commerciale della società, ingiustamente privata di una commessa pubblica, nel caso di responsabilità precontrattuale i danni sono limitati al solo interesse negativo, ravvisabile nel caso delle procedure ad evidenza pubblica nelle spese inutilmente sopportate per parteciparvi e nella perdita di occasioni di guadagno alternative (in tal senso - ex multis -: C.d.S., V, 27 marzo 2017, n. 1364; id., IV, 20 febbraio 2014, n. 790; id., V, 6 marzo 2013, n. 1357).

4.3. Vero è, quindi, che per le ipotesi di responsabilità precontrattuale la giurisprudenza amministrativa ha ammesso anche il ristoro della perdita di chance (in tal senso - inter alia - la sentenza Ad. Plen. 5 settembre 2005, n. 6, in più occasioni richiamata dall'appellante); ma è anche vero che la giurisprudenza ha limitato tale possibilità alle sole occasioni di guadagno alternative cui l'operatore leso avrebbe potuto attingere in assenza del contegno dannoso dell'amministrazione, mentre non è ammesso il ristoro della chance intesa come pura e semplice possibilità di conseguire i guadagni connessi all'esecuzione del contratto non stipulato.

È evidente al riguardo che, laddove si ammettesse (secondo le richieste dell'appellante) tale forma di ristoro della chance di guadagno, ne risulterebbe travolto il generale principio secondo cui, nelle ipotesi di responsabilità precontrattuale, non è ammesso il ristoro delle occasioni di guadagno connesse all'esecuzione del contratto mai stipulato (i.e.: il c.d. "interesse positivo").

4.4. Per quanto riguarda, poi, il ristoro dei benefìci connessi alle ulteriori e diverse occasioni di guadagno che l'appellante avrebbe potuto conseguire se non fosse stata impegnata nelle inutili trattative con la stazione appaltante, il primo Giudice ha condivisibilmente rilevato che la OperAzione non abbia fornito al riguardo alcuna allegazione o prova.

E un siffatto onere gravava sulla ricorrente in base al consolidato orientamento secondo cui il pregiudizio per perdita di chance di aggiudicazione di un appalto pubblico (nelle ipotesi in cui è ammesso, quali quelle che qui rilevano) consiste in un danno patrimoniale relativo alla perdita non di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo secondo una valutazione ex ante collegata al momento in cui il comportamento illegittimo ha inciso su tale possibilità. La perdita di chance si configura quindi come danno attuale e risarcibile, sempre che ne sia provata la sussistenza anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni. Ne consegue, altresì, che alla mancanza di tale prova non è possibile sopperire con una valutazione equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c. diretta a fronteggiare l'impossibilità di provare non l'esistenza del danno risarcibile, bensì del suo esatto ammontare. In altri termini, la perdita di chance di rilievo risarcitorio, in quanto entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione e non mera aspettativa di fatto o generiche ed astratte aspirazioni di lucro, deve correlarsi a dati reali, senza i quali risulta impossibile il calcolo percentuale di possibilità delle concrete occasioni di conseguire un determinato bene (in tal senso: C.d.S., III, 31 agosto 2011, n. 4892).

4.5. Per quanto riguarda, infine, il ristoro delle voci di danno connesse all'inutile partecipazione alla procedura, la sentenza in epigrafe risulta parimenti meritevole di conferma per la parte in cui (punto 21.3 della motivazione) ha puntualmente indicato le voci di costo di cui l'appellante aveva fornito puntuale prove, escludendo dal ristoro le altre (con particolare riguardo alle spese di trasferta, che costituiscono la parte preponderante degli oneri invocati dall'appellante e non ammessi al ristoro).

Non può essere condiviso l'argomento dell'appellante secondo cui la stessa avrebbe puntualmente individuato ed allegato già in primo grado le ulteriori voci di costo non ammesse a ristoro (il riferimento va in particolare agli allegati 14 e 15 della produzione in primo grado).

Si osserva in contrario che, dall'esame dei richiamati allegati 14 e 15, emerge che il primo Giudice abbia puntualmente ammesso a ristoro le voci di costo ivi giustificate e che abbia escluso quelle non contemplate nell'ambito dei richiamati allegati.

5. Per le ragioni esposte il ricorso in epigrafe deve essere respinto.

Il Collegio ravvisa gusti ed eccezionali motivi per disporre l'integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.