Corte di cassazione
Sezione III civile
Ordinanza 22 gennaio 2019, n. 1573
Presidente: Travaglino - Relatore: Scoditti
Rilevato che:
V.C.O. Immobiliare s.r.l. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Verbania Conser V.C.O. s.p.a. chiedendo la rifusione dei costi sostenuti per la bonifica ai sensi dell'art. 253, comma 4, d.lgs. n. 152 del 2006, ed in subordine ai sensi dell'art. 2043 c.c., oltre il risarcimento degli ulteriori danni subiti. Espose l'attrice di avere acquistato il complesso immobiliare composto da terreni ed edifici da Cusiana Costruzioni s.p.a., che a sua volta lo aveva acquistato dalla convenuta, e che, riscontrato l'inquinamento del sottosuolo, era stato approvato il progetto di bonifica dell'area presentato da V.C.O. Il Tribunale adito, disposta CTU, accolse la domanda, condannando la convenuta alla rifusione sia dei costi di bonifica pari ad Euro 544.512,82 che degli interessi maturati sul finanziamento erogato dai soci per far fronte ai costi di bonifica. Avverso detta sentenza proposero appello principale Conser V.C.O. s.p.a. ed incidentale V.C.O. Immobiliare s.r.l. Con sentenza di data 7 settembre 2016 la Corte d'appello di Torino, in parziale riforma della sentenza appellata, condannò Conser V.C.O. s.p.a. al pagamento in favore della controparte della somma di Euro 363.008,55 oltre interessi e disattese l'appello incidentale.
Osservò la corte territoriale, premesso che Conser non aveva impugnato il provvedimento avente ad oggetto l'approvazione del progetto di bonifica presentato dal proprietario, provvedimento che perciò faceva stato nel presente giudizio, che in base al combinato disposto degli artt. 245 e 253, comma 4, d.lgs. n. 152 del 2006 l'esercizio del diritto di rivalsa del proprietario, per avere spontaneamente eseguito la bonifica, non era subordinato all'avvio del procedimento di identificazione del responsabile dell'inquinamento, ben potendo il responsabile essere accertato giudizialmente. Aggiunse che vi era la prova che Conser avesse contaminato il sito, essendo stato quest'ultimo nella sua disponibilità dal 1976 al 2007 ed avendovi esercitato l'attività di rifornimento carburante, operazioni di lavaggio e manutenzione in officina sui mezzi del trasporto pubblico e che doveva presumersi la colpa della convenuta per la mancata adozione delle necessarie cautele. Osservò inoltre che irrilevante sarebbe stata l'instaurazione di accertamento tecnico preventivo essendo riservata per legge la valutazione di idoneità delle opere di bonifica alla conferenza di servizi degli enti preposti e che, non trovando applicazione il principio di solidarietà di cui all'art. 2055 c.c. in materia di inquinamento, l'apporto causale di Conser all'inquinamento doveva essere determinato nella misura di due terzi, mentre il terzo residuo era imputabile alla simile attività svolta da Ferrovia Intra Premeno nel periodo 1959-1976. Aggiunse che, oltre il costo stimato in Euro 306.198,16 nella determinazione del 17 febbraio 2010, vi erano state maggiori opere, giustificate proprio alla luce delle prescrizioni contenute nella determinazione menzionata, oltre ancora i costi propedeutici all'attività di bonifica e che la rinuncia all'attività di vagliatura non aveva comportato un aggravio di costi. Osservò quindi che, in relazione alla somma di Euro 544.512,82, la quota di due terzi imputabile a Conser era pari ad Euro 363.008,55, e che non vi era prova, in relazione agli interessi per finanziamento soci pari ad Euro 33.297,28, che il finanziamento fosse stato fruttifero (non essendo stati prodotti i bilanci) e funzionale alla bonifica, considerato che V.C.O. era una società a socio unico, il bilancio era redatto in forma semplificata e non vi era alcun elemento per ritenere il finanziamento effettuato nel 2011. Concluse la corte territoriale, quanto all'appello incidentale avente ad oggetto il mancato riconoscimento del lucro cessante, che non vi erano elementi da cui evincere i ricavi netti dell'operazione, mancando il progetto completo con l'indicazione di numero e superficie delle unità immobiliari da costruire e la documentazione comprovante la tempistica dell'operazione, e che inoltre, stante il crollo del mercato immobiliare a partire dal 2008, i verosimili ricavi lordi avrebbero avuto un abbattimento del 25-30%, sicché nessun utile sarebbe stato percepito.
Ha proposto ricorso per cassazione V.C.O. Immobiliare s.r.l. sulla base di tre motivi e resiste con controricorso la parte intimata, la quale ha proposto altresì ricorso incidentale sulla base di due motivi. È stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380-bis.1 c.p.c. È stata presentata memoria.
Considerato che:
muovendo dal ricorso principale, con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 253, comma 4, d.lgs. n. 152 del 2006, 2043 e 2055 c.c., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Osserva la ricorrente che trattandosi di danno patito in conseguenza delle azioni imputabili a più soggetti, deve trovare applicazione il principio di solidarietà di cui all'art. 2055 c.c.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 1815 e 2729 c.c., 46 d.P.R. n. 917 del 1986, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Osserva la ricorrente che il finanziamento soci è stato appostato nel bilancio di esercizio dell'anno 2011 e che mai erano state sollevate contestazioni in ordine all'onerosità del detto finanziamento.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 1226 c.c., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Osserva la ricorrente, in relazione al mancato riconoscimento del lucro cessante, che la documentazione prodotta raffigurava esattamente l'operazione immobiliare programmata ed interrotta a causa dell'accertamento della contaminazione del suolo e che, quanto all'argomento relativo al crollo del mercato immobiliare a partire dal 2008, pur considerandolo nozione di fatto rientrante nella comune esperienza ai sensi dell'art. 115, comma 2, sulla base della scienza comune si sarebbe dovuto pervenire ad una diversa conclusione, e cioè che il crollo del mercato immobiliare non si è tradotto in un equivalente crollo dei prezzi e che gli immobili situati in località appetibili non hanno subito alcun crollo dei prezzi. Aggiunge che le circostanze dedotte avrebbero dovuto condurre ad una liquidazione in via equitativa.
Passando al ricorso incidentale, con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3-quater, 240, 242, 242-bis, 244, 245, 250, 253 d.lgs. n. 152 del 2006 ed allegato 5 alla parte IV, 1227, 2043, 2050 e 2058 c.c., 37, 101, 345, 382 c.p.c., 7 c.p.a., 14-ter l. n. 241 del 1990, nonché omesso esame del fatto decisivo e controverso. Osserva la ricorrente in via incidentale che ove il privato incolpevole dia spontaneamente corso all'intervento di bonifica ai sensi dell'art. 245 d.lgs. n. 152 del 2006 non può esercitare il diritto di rivalsa ai sensi dell'art. 253 (non richiamato dall'art. 245), il quale postula l'accertamento da parte dell'autorità amministrativa del responsabile dell'inquinamento ed il provvedimento di imposizione dei costi di bonifica a carico del privato incolpevole, nella specie mancanti (non avendo V.T.O. attivato un procedimento per l'accertamento del responsabile ed essendo finalizzata l'attuazione spontanea della bonifica al fine di evitare che la stessa sia eseguita d'ufficio dalla pubblica amministrazione), e che nell'ipotesi in cui gli oneri da riversare su terzi siano determinati dallo stesso proprietario le disposizioni sarebbero in contrasto con gli artt. 3 e 23 Cost. perché la prestazione patrimoniale insorgerebbe in assenza di parametri volti a predeterminarla secondo criteri ragionevolmente certi. Aggiunge che la competenza esclusiva circa l'identificazione del responsabile, presupposto indefettibile della rivalsa, spetta alla pubblica amministrazione, sicché ricorre un difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario quanto a tale accertamento, e che V.C.O. ha esercitato la rivalsa senza instaurare un procedimento per l'identificazione del responsabile, ovvero attenderne il pronunciamento da parte della competente Provincia, avendo attivato solo il procedimento per l'approvazione del progetto di bonifica spontanea (mentre il giudice ha recepito acriticamente le conclusioni del CTU circa l'identificazione del responsabile). Osserva inoltre che V.C.O., benché dovesse presentare un progetto di bonifica che riportasse il complesso immobiliare entro i valori di CSR, economicamente più sostenibili, ha invece parametrato l'intervento sui valori CSC, prevedendo peraltro demolizioni e maggiori scavi che altrimenti non si sarebbero dovuti effettuare e che il provvedimento di approvazione del progetto non aveva preso in considerazione gli aspetti economici. Aggiunge, premesso che l'adesione alle conclusioni del CTU aveva rappresentato un evidente travisamento fattuale, che Conser non era stata coinvolta nell'attività di predisposizione del progetto di bonifica volontaria, non essendo peraltro legittimata a sollevare contestazioni o eccezioni, e che il comportamento di V.C.O., che non aveva fatto nulla per limitare l'entità del danno, avrebbe dovuto condurre comunque ad una decurtazione di quest'ultimo ai sensi degli artt. 1227 e 2056 c.c.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 212, 240, 242, 242-bis, 244, 245, 250, 253 d.lgs. n. 152 del 2006 ed allegato 5 alla parte IV, 1227, 1489, 2043, 2050 e 2058 c.c., 18 l. n. 349 del 1986, 14-ter l. n. 241 del 1990, nonché omesso esame del fatto decisivo e controverso. Osserva la ricorrente, in via subordinata, che Conser non può essere condannata al pagamento di una somma superiore a quella prevista nella determinazione dirigenziale (Euro 306.198,16) e che i maggiori costi sono imputabili esclusivamente a scelte di V.C.O. (apodittiche e non dimostrate sono al riguardo, precisa la ricorrente, le affermazione del giudice di appello). Aggiunge che deve essere comunque disattesa la domanda ai sensi dell'art. 2043 c.c. non essendo stata dimostrata la colpa e che i costi non potevano essere rimborsati in presenza di un procedimento in cui si era discussa solo l'approvazione del progetto presentato e non l'accertamento della responsabilità dell'inquinamento (peraltro i lavori erano stati eseguiti da società collegata a V.C.O. Immobiliare non abilitata a svolgere lavori di bonifica).
Il primo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale possono essere trattati congiuntamente e sono infondati. Va premessa una succinta ricognizione della pertinente disciplina prevista dal d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
In base agli artt. 239 segg. del citato testo legislativo gli interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti contaminati possono essere eseguiti, oltre che dal responsabile dell'inquinamento, obbligato a provvedervi, dal proprietario del sito (o altro soggetto interessato), che a differenza del responsabile ha facoltà e non l'obbligo di intervenire (come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa - C.d.S., ad. plen., 25 settembre 2013, n. 21; sez. VI, 5 ottobre 2016, n. 4099) oppure dalla competente pubblica amministrazione, nel caso in cui il responsabile non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito né altro soggetto interessato. L'obbligo previsto per il proprietario non responsabile è quello di cui all'art. 245, comma 2, in base al quale «fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all'articolo 242, il proprietario o il gestore dell'area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all'articolo 242», cui consegue l'attivazione da parte della provincia per l'identificazione del soggetto responsabile al fine di dar corso agli interventi di bonifica. Il proprietario non responsabile risente poi della disciplina di cui all'art. 253, in base alla quale gli interventi di bonifica costituiscono onere reale sui siti contaminati qualora effettuati d'ufficio dall'autorità competente e le spese sostenute per gli interventi sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, ai sensi dell'art. 2748, comma 2, c.c. Sempre in base alla medesima disposizione il privilegio e la ripetizione delle spese possono essere esercitati, nei confronti del proprietario del sito incolpevole dell'inquinamento, solo a seguito di provvedimento motivato dell'autorità competente che giustifichi, tra l'altro, l'impossibilità di accertare l'identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi l'impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità.
Il perno fondamentale dell'intera disciplina è che gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale seguono le procedure previste dalla legge, dovendo il progetto di bonifica essere assentito dalla competente autorità amministrativa all'esito di un'articolata procedura. Il positivo assolvimento della detta procedura costituisce anche il presupposto di legittimità dell'esercizio del diritto di rivalsa del proprietario del sito nei confronti del soggetto responsabile dell'inquinamento per le spese sostenute nel caso che egli abbia spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato (art. 253, comma 4). Prevede infatti l'art. 245, comma 2, ultima parte che «è comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell'ambito del sito in proprietà o disponibilità». Contrariamente a quanto affermato nel ricorso incidentale, l'art. 245, comma 2, e l'art. 253, comma 4, contemplano, per ciò che concerne lo spontaneo intervento del proprietario non responsabile, la medesima fattispecie, riguardando la rivalsa l'intervento volontario che «in qualunque momento» il proprietario è abilitato a compiere. L'inciso «in qualunque momento» chiarisce che, fermo l'obbligo di comunicazione all'autorità amministrativa non appena rilevi il superamento o il pericolo del superamento della concentrazione soglia di contaminazione, il proprietario non deve attendere l'identificazione del soggetto responsabile da parte della competente amministrazione ma può «in qualunque momento» procedere agli interventi di bonifica ed esercitare successivamente il diritto di rivalsa. Condizione, necessaria e sufficiente, di legittimità sia della condotta sul piano amministrativo che dell'esercizio del diritto sul piano privatistico è la sottoposizione dell'intervento del proprietario alla procedura prevista dalla legge.
Una volta che la bonifica sia stata eseguita dal proprietario a proprie spese in base alle forme previste dalla legge può essere promossa l'azione per la rivalsa, indipendentemente dalla circostanza se l'amministrazione abbia identificato o meno il responsabile dell'inquinamento. Al riguardo va precisato che rientra nella cognizione dell'autorità giudiziaria ordinaria l'accertamento della qualità di responsabile dell'inquinamento, oltre che della congruità dell'importo per il quale sia esercitata la rivalsa. Elemento costitutivo della fattispecie della rivalsa, fissato dalla pubblica amministrazione, è solo quello dell'intervento di bonifica nelle forme assentite dalla competente autorità. Sul punto la cognizione del giudice è limitata all'accertamento fattuale se l'intervento si sia svolto in base alla procedura prevista dalla legge. L'identificazione del responsabile dell'inquinamento, una volta instaurata la controversia, ricade nel giudizio di fatto del giudice che procede e l'eventuale identificazione che sia intervenuta per opera dell'amministrazione rileva sul piano esclusivamente probatorio, da valutare insieme alle altre prove, non essendo previsto che l'identificazione amministrativa del responsabile faccia stato nel processo giurisdizionale, come previsto invece dall'art. 7, comma primo, del d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3 («Attuazione della direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea»), per il quale «ai fini dell'azione per il risarcimento del danno si ritiene definitivamente accertata, nei confronti dell'autore, la violazione del diritto della concorrenza constatata da una decisione dell'autorità garante della concorrenza e del mercato di cui all'articolo 10 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, non più soggetta ad impugnazione davanti al giudice del ricorso» (mentre ai fini della natura e portata della violazione la decisione dell'autorità costituisce prova, valutabile con le altre prove). L'accertamento giurisdizionale del responsabile dell'inquinamento e dell'ammontare del credito vantato, unitamente alla sottoposizione della legittimità della rivalsa al rispetto della procedura di bonifica prevista dalla legge, sgombrano il campo dai dubbi di legittimità costituzionale della normativa insinuati dalla ricorrente in via incidentale.
Venendo più in dettaglio agli elementi costitutivi della fattispecie di rivalsa, va evidenziato che soggetto passivo dell'obbligazione prevista dalla legge è il «responsabile dell'inquinamento». La qualifica di «responsabile» attiene non al giudizio di valore della condotta sotto il profilo soggettivo del requisito psicologico (dolo o colpa), ma al giudizio eziologico relativo al profilo oggettivo dell'avere meramente dato causa all'inquinamento. Depongono in questo senso sia i riferimenti nelle disposizioni in esame all'«evento» di contaminazione (in base all'art. 242 il responsabile dell'inquinamento dà avvio alle previste procedure operative e amministrative al mero «verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito»; in base all'art. 244 la provincia svolge le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell'evento di superamento e diffida il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere al ripristino ambientale), sia la logica indennitaria che presiede al sistema normativo in esame, secondo il quale il responsabile del procedimento è tenuto a tenere indenne l'amministrazione o il proprietario del sito delle spese sopportate per la bonifica e conseguenti al fatto obiettivo dell'inquinamento. Essendo eseguito il ripristino ambientale sulla base dell'evento di inquinamento, la ripetizione delle spese viene esercitata sul presupposto del mero evento, senza connotazioni soggettive di valore quanto alla condotta del responsabile. Vi è nella fattispecie legale una responsabilità per pura causalità non riconducibile neanche alla responsabilità civile di tipo oggettivo, la quale contempla pur sempre una forma di imputazione soggettiva dell'evento dannoso di natura "posizionale", dipendente cioè dalla particolare collocazione del soggetto reso responsabile rispetto alla causa del danno, tale da renderlo come il soggetto che meglio di chiunque altro può prevenire tale pregiudizio (ne è un esempio, proprio nel d.lgs. n. 152 del 2006, la responsabilità per danno ambientale prevista dall'art. 311, comma 2, in relazione al tipo di attività svolta dall'operatore). Ai fini della disciplina in esame la responsabilità dell'inquinamento non corrisponde a responsabilità per danno ma a responsabilità dell'evento, cui la legge collega un complesso di effetti giuridici (detto altrimenti, ciò che rileva è solo la causalità materiale - la relazione fra condotta ed evento -, e non anche la causalità giuridica di cui all'art. 1223 c.c. - la relazione fra l'evento e le conseguenze pregiudizievoli).
La logica puramente indennitaria che presiede all'azione di rivalsa nei confronti del responsabile, esercitata dall'autorità amministrativa o dal proprietario del sito, sottrae la fattispecie della rivalsa all'illecito aquiliano. Il carattere volontario dell'esborso sopportato dal proprietario, e l'adempimento di funzione pubblica per ciò che concerne le spese sostenute dalla pubblica amministrazione, escludono che la rivalsa possa acquistare il contenuto della reintegrazione di un perdita patrimoniale determinata da un illecito. La ripetizione delle spese è conseguenza così di un'obbligazione di fonte legislativa i cui presupposti di fatto, per ciò che concerne il proprietario del sito, sono l'esecuzione della bonifica nel rispetto delle procedure operative e amministrative e la spontaneità o volontarietà dell'intervento di bonifica. Trattasi di obbligazione ex lege, di contenuto indennitario e non risarcitorio, soggetta quindi all'ordinario termine di prescrizione decennale ed alle regole dell'onere probatorio in materia di obbligazioni non derivanti da fatto illecito. L'esclusione della regola della responsabilità solidale di cui all'art. 2055 c.c. non deriva quindi dall'applicazione dell'art. 311, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006 («nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità personale»), norma i cui limiti di operatività sono comunque segnati da Cass. 6 maggio 2015, n. 9012 e che riguarda il risarcimento del danno ambientale e dunque un'ipotesi di illecito aquiliano (integrante peraltro, come si è detto, un'ipotesi di responsabilità oggettiva dipendente dal tipo di attività svolta dall'operatore, mentre dolo e colpa restano criteri di attribuzione della responsabilità per gli altri soggetti - art. 311, comma 2). Non vige la responsabilità solidale perché la norma contempla un'obbligazione di carattere non risarcitorio derivante pertanto non da fatto illecito, ma da un altro fatto idoneo a produrla secondo l'ordinamento giuridico (cfr. art. 1173 c.c.). Il riferimento nell'art. 253, comma 4, all'eventuale maggior danno subito («nel caso in cui il proprietario non responsabile dell'inquinamento abbia spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato, ha diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell'inquinamento per le spese sostenute e per l'eventuale maggior danno subito») non è da intendere nei termini del danno ingiusto che connota l'illecito aquiliano (non a caso la norma adopera il semplice termine «danno» privo della qualifica di ingiusto), ma come voce ulteriore di spesa che sia da porre in relazione causale diretta ed immediata con la bonifica spontanea.
Si esce invece dall'obbligazione ex lege di cui all'art. 253 nel caso in cui il proprietario del sito non esegua spontaneamente la bonifica ma sia attinto dal provvedimento dell'autorità competente che eserciti nei suoi confronti il privilegio e la ripetizione delle spese per l'impossibilità di accertare l'identità del soggetto responsabile ovvero di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto (o di infruttuosità dell'azione): la rivalsa è invero contemplata dalla legge solo nel caso di spontanea bonifica da parte del proprietario non responsabile dell'inquinamento. Estraneo alla rivalsa di cui all'art. 253 è anche il danno ingiusto in senso tecnico, quale la lesione alla salute o al buon nome commerciale in conseguenza dell'inquinamento (cfr. Cass. 6 luglio 2017, n. 16654 relativa al concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale nel caso di acquisto di immobile che sia risultato inquinato ed abbia avuto bisogno di opere di bonifica). In tali casi si ritorna nell'orbita dell'art. 2043 c.c., con i relativi termini prescrizionali ed oneri probatori, oltre che dei requisiti soggettivi della fattispecie in termini di dolo o colpa dell'autore dell'inquinamento. La stessa causalità acquista un'ulteriore dimensione, perché ciò che viene in rilievo, nel caso del danno ingiusto in senso tecnico, come è evidente, è non solo la causalità materiale, ma anche la causalità giuridica. In questo quadro non può sfuggire, nell'intendimento del legislatore, il carattere premiale della rivalsa prevista dall'art. 253, che consente al proprietario del sito di esercitare in giudizio più agevolmente il diritto a ripetere le somme necessarie per la bonifica ove si attivi egli stesso, spontaneamente, per l'esecuzione delle relative opere.
Va in conclusione affermato che «il proprietario non responsabile dell'inquinamento che abbia spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato, ha diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell'inquinamento per le spese sostenute a condizione che sia stata rispettata per la bonifica la procedura amministrativa prevista dalla legge ed indipendentemente dall'identificazione del responsabile dell'inquinamento da parte della competente autorità amministrativa»; «non trova applicazione la regola della responsabilità solidale di cui all'art. 2055 c.c. nel caso dell'obbligazione del responsabile dell'inquinamento avente ad oggetto il rimborso delle spese sostenute dal proprietario per la bonifica spontanea del sito inquinato poiché trattasi di obbligazione ex lege, di contenuto non risarcitorio ma indennitario, derivante non da fatto illecito ma dal fatto obiettivo dell'inquinamento».
Le ulteriori ragioni di censura sollevate nel ricorso incidentale attengono a profili afferenti al giudizio di fatto riservato al giudice di merito e censurabile nella presente sede di legittimità esclusivamente nei limiti della denuncia del vizio motivazionale, nella specie non ritualmente proposta nelle forme disegnate dalla giurisprudenza (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).
Il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale, da valutare unitariamente, sono inammissibili. Essi attengono al giudizio di fatto del giudice di merito, sindacabile nella presente sede di legittimità mediante la denuncia di vizio motivazionale, nella specie non proposta. Circa il riferimento alla non contestazione nel secondo motivo va poi precisato che l'onere di contestazione sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti (Cass. 18 luglio 2016, n. 14652; 13 febbraio 2013, n. 3576), sicché non può dedursi il carattere incontroverso della circostanza senza dedurre la conoscenza in capo alla controparte della circostanza medesima.
La censura al fatto notorio posto alla base della decisione, e cioè il crollo del mercato immobiliare a partire dal 2008, contenuta nel terzo motivo, è inammissibile sotto un duplice profilo. In primo luogo difetta di decisività, in quanto la decisione di rigetto dell'appello incidentale ha una duplice ratio decidendi, l'assenza di elementi da cui evincere i ricavi netti dell'operazione e l'argomento tratto dal crollo del mercato immobiliare a partire dal 2008: la permanenza della prima ratio rende non decisiva la censura della seconda ratio. In secondo luogo non viene contestata l'inesatta nozione di notorio, che è il profilo censurabile in sede di legittimità (fra le tante Cass. 18 maggio 2007, n. 11643), ma l'inferenza desunta dal fatto notorio e costituente giudizio di fatto.
Va disposta la compensazione delle spese stante la reciproca soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell'art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, principale ed incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa integralmente le spese processuali.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.