Corte di cassazione
Sezione VI civile
Ordinanza 22 gennaio 2019, n. 1582

Presidente: Esposito - Relatore: Cavallaro

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 10 giugno 2017, la Corte d'appello di Catanzaro ha confermato la statuizione di primo grado che aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento disciplinare intimato da Poste Italiane s.p.a. a Stefania P.;

che avverso tale pronuncia Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura;

che Stefania P. ha resistito con controricorso;

che è stata depositata proposta ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio;

che parte controricorrente ha depositato memoria;

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo di censura, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 7 st. lav., dell'art. 54, comma 5, lett. c) e lett. g), CCNL 2011, nonché degli artt. 1362 ss. c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che, una volta esclusa la ricorrenza della fattispecie disciplinare di cui all'art. 54, comma 5, lett. e), CCNL cit., non potesse valutarsi la rilevanza disciplinare della medesima condotta contestata a norma della successiva lett. g), siccome implicante la considerazione di circostanze nuove;

che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 7 st. lav., dell'art. 54, comma 4, lett. n), CCNL 2011, nonché degli artt. 1362 ss. c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che la mancanza contestata alla lavoratrice potesse essere sussunta nell'ambito della disposizione contrattuale cit., che prevede la comminazione di una sanzione disciplinare conservativa, senza considerare che tale disposizione andrebbe letta congiuntamente a quella di cui all'art. 54, comma 5, lett. g), che per le mancanze di particolare gravità prevede il licenziamento;

che, con riguardo al primo motivo, è costante l'orientamento di questa Corte nel ritenere che, in materia di licenziamento disciplinare, non rileva né la circostanza che nell'atto risolutivo del rapporto, fermo restando nella sua specificità il fatto contestato, questo venga ricondotto ad una diversa ipotesi disciplinare, non verificandosi in specie una modifica della contestazione ma solo un diverso apprezzamento dello stesso fatto, né che analogamente proceda il giudice di merito, cui è demandato l'apprezzamento del fatto al fine della valutazione della gravità o meno dell'inadempimento (Cass. nn. 11851 del 1995, 6499 e 21622 del 2011, 5821 del 2013, 26678 del 2017);

che, nella specie, la Corte di merito ha ritenuto che, una volta accertato che il fatto contestato alla lavoratrice non poteva essere ricondotto sotto la fattispecie di cui all'art. 54, comma 5, lett. c), CCNL, per non avere l'odierna ricorrente «neppure ipotizzato che un danno di qualunque tipo sia conseguito alle condotte addebitate» (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata), nemmeno poteva ipotizzarsi la riconducibilità della condotta contestata alla fattispecie della successiva lett. g) (che prevede il licenziamento anche «per qualsiasi fatto che dimostri piena incapacità di adempiere adeguatamente agli obblighi di servizio»), dal momento che «nella vicenda oggetto di contestazione non si addebitava alla lavoratrice di non aver adempiuto ad ordini di servizio, ma l'esatto contrario: aver assecondato gli ordini e le sollecitazioni illegittime che le provenivano dalla direttrice» (ibid., pag. 6);

che, così interpretando la disposizione contrattuale, i giudici di merito hanno palesemente violato l'art. 1362, comma 1, c.c., sia perché il testo negoziale si riferisce ad «obblighi» e non ad «ordini» di servizio, sia perché l'esecuzione di un ordine illegittimo impartito da un superiore gerarchico non può non equivalere alla violazione degli obblighi contrattualmente assunti circa il rispetto delle norme interne legittimamente emanate, coerentemente con il principio secondo cui, nel rapporto di lavoro privato, non può trovare applicazione l'art. 51 c.p., stante l'assenza di un potere di supremazia, inteso in senso pubblicistico, del superiore riconosciuto dalla legge (cfr. da ult. Cass. n. 23600 del 2018);

che, conseguentemente, assorbito il secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d'appello di Reggio Calabria, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione;

che, in considerazione dell'accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'appello di Reggio Calabria, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.