Corte di cassazione
Sezione II penale
Sentenza 27 febbraio 2019, n. 14068
Presidente: Prestipino - Estensore: Recchione
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di appello di Genova preso atto della rinuncia dei motivi di impugnazione attinenti alla responsabilità applicava agli imputati la pena proposta dalle parti; confermava inoltre, per entrambi i ricorrenti ed anche per il Se. (non ricorrente), la applicazione della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per anni cinque.
2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore del S. e del G.:
2.1. violazione di legge: nonostante la l. n. 103 del 2017 abbia stabilito che la riduzione da applicare quando si procede con il rito abbreviato in relazione alle contravvenzioni sia della "metà" e non di un "terzo", ciononostante la Corte di appello aveva applicato un indistinta decurtazione di un terzo anche in relazione alle contravvenzioni previste dall'art. 4 della l. n. 110 del 1975;
3. Ricorreva per cassazione anche il Procuratore della Repubblica di Genova che deduceva:
3.1. violazione di legge: gli aumenti per la continuazione sarebbero stati troppo contenuti e sarebbero stati disposti senza tenere in considerazione i parametri indicati dall'art. 133 c.p.;
3.2. violazione di legge: la pena accessoria della interdizione temporanea sarebbe illegale in relazione agli imputati condannati a pene superiori ai cinque anni (S. e Se.);
3.3. vizio di motivazione: la Corte di appello non si sarebbe espressa in merito alla richiesta di espulsione del Se.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto nell'interesse del S. e del G. è fondato.
1.1. Si premette che il collegio condivide la giurisprudenza secondo cui in tema di giudizio abbreviato, l'art. 442, comma 2, c.p.p., come novellato dalla l. n. 103 del 2017 - nella parte in cui prevede che, in caso di condanna per una contravvenzione, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà, anziché di un terzo come previsto dalla previgente disciplina - si applica anche alle fattispecie anteriori, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile, ai sensi dell'art. 2, comma 4, c.p., in quanto, pur essendo norma di carattere processuale, ha effetti sostanziali, comportando un trattamento sanzionatorio più favorevole seppure collegato alla scelta del rito (Sez. 4, n. 832 del 15 dicembre 2017 - dep. 11 gennaio 2018, Del Prete, Rv. 271752). Si tratta di un approdo che conferma le indicazioni ermeneutiche fornite dalle Alte Corti e, segnatamente, dalla Corte europea dei diritti umani (Grande Camera, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia) e dalla Corte costituzionale (sentenza n. 210 del 2013) che hanno affermato la natura "sostanziale" della disciplina prevista dall'art. 442 c.p.p. nella parte in cui incide sulla determinazione della pena; tali indicazioni sono state recepite e confermate anche dalle Sezioni unite nella sentenza che ha definito il caso "Ercolano" (Sez. un., n. 18821 del 24 ottobre 2013 - dep. 7 maggio 2014, Ercolano, Rv. 258649).
1.2. Preso atto del fatto che la riduzione per il rito abbreviato quando si procede per le contravvenzioni è stata stabilita dalla l. n. 103 del 2017 nella misura della metà, con modifica favorevole rispetto alla disciplina previgente (che stabiliva la decurtazione indistinta di un terzo), occorre individuare quali siano i criteri per la definizione del trattamento sanzionatorio nei casi in cui, come in quello in esame, sia ritenuta la continuazione tra delitti e contravvenzioni.
Il collegio ritiene che la netta diversità delle decurtazioni stabilite per il rito abbreviato in relazione ai delitti ed alle contravvenzioni non possa essere superata valorizzando la generica finalità mitigatrice dell'istituto della continuazione. L'abbattimento della sanzione che consegue al riconoscimento del vincolo teleologico è infatti discrezionale, seppur soggetta ai limiti previsti dall'art. 81 c.p.; di contro, nel caso dell'accesso al rito abbreviato, l'ammontare della decurtazione è sottratta alla discrezionalità del giudice, ed è stabilita dalla legge in modo fisso e predeterminato, sicché la applicazione di una decurtazione inferiore a quella indicata si risolverebbe nella inflizione di una pena illegale.
Né tale illegalità può ritenersi superata dal fatto che, all'esito del riconoscimento del vincolo della continuazione la sanzione consolidata assume una configurazione "omogena" tra reati puniti con pene di "specie" diversa (reclusione/arresto, multa/ammenda); omogeneità di "specie" che persiste anche dopo l'autorevole intervento delle Sezioni unite che hanno affermato, quanto al "genere", che l'aumento di pena per il reato satellite sebbene debba essere effettuato secondo il criterio della pena unica progressiva per "moltiplicazione", rispettando tuttavia in ossequio al principio di legalità della pena e del favor rei, il "genere" della pena del reato "satellite", sicché l'aumento della pena detentiva del reato più grave dovrà essere ragguagliato a pena pecuniaria ai sensi dell'art. 135 c.p. (Sez. un., n. 40983 del 21 giugno 2018 - dep. 24 settembre 2018, Giglia e altro, Rv. 273751).
Tale autorevole approdo, rilevante in concreto nei casi di continuazione riguardi reati sanzionati con pene di "genere" diverso (ovvero sanzione detentiva da un lato e pecuniaria dall'altro) afferma chiaramente la necessità del rispetto del principio del favor rei, e pertanto conforta l'interpretazione che esclude che la decurtazione per il rito possa essere sempre individuata in modo omogeneo facendo riferimento a quella stabilita per i delitti, anche quando i reati in continuazione siano di specie diversa, ovvero quando tra i reati consolidati dal vincolo teleologico vi siano anche delle contravvenzioni.
1.3. Il collegio ritiene pertanto che quando si procede con il rito abbreviato la modifica della misura della decurtazione "fissa" della pena inflitta per le contravvenzioni (indicate nella metà) prevista dalla l. n. 103 del 2017, si configura come norma penale di favore ed impone che quando sia ritenuta la continuazione tra delitti e contravvenzioni la riduzione per il rito si debba effettuare distintamente sugli aumenti disposti per le contravvenzioni, nella misura della metà, e su quelli disposti per i delitti (e la pena base) nella misura di un terzo.
1.4. In ossequio a tale principio di diritto, le decurtazioni in ordine alle contravvenzioni contestate nei capi f), h) e c) devono essere ridotte della metà.
Segnatamente, con riguardo al S. a pena inflitta per i capi f), h) e c) che ammonta complessivamente a mesi 4, giorni 15 e 275 euro di multa deve essere ridotta della metà e definita in mesi 2, giorni 7 e 137 euro di multa per una pena finale di anni 4, mesi 10, giorni 3 di reclusione ed euro 3213 di multa.
Con riguardo al G. la pena inflitta per le contravvenzioni le cui condotte sono descritte nei capi f) ed h) che ammonta a mesi quattro di reclusione ed euro 200 di multa deve essere ridotta della metà e definita in mesi due di reclusione ed euro 100 di multa con pena finale di anni 4, mesi 2 di reclusione ed euro 1900 di multa.
2. Il ricorso del pubblico ministero è infondato.
2.1. Il primo motivo di ricorso che contesta la motivazione in ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio è manifestamente infondato in quanto non si confronta con la consolidata giurisprudenza secondo cui la determinazione in concreto del trattamento sanzionatorio è frutto di una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità. Al riguardo si ribadisce che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Cass., Sez. 5, n. 5582 del 30 settembre 2013, dep. 2014, Rv. 259142). Pertanto il giudice di merito, con la enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell'art. 133 c.p., assolve adeguatamente all'obbligo della motivazione; infatti, tale valutazione rientra nella sua discrezionalità e non postula un'analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto (Cass., Sez. 2, sent. n. 12749 del 19 marzo 2008, dep. 26 marzo 2008, Rv. 239754; Sez. 4, sent. n. 56 del 16 novembre 1988, dep. 5 gennaio 1989, Rv. 180075).
2.2. Il secondo motivo di ricorso, che denuncia l'illegittimità della pena accessoria in quanto incongrua rispetto all'ammontare della pena inflitta, è infondato in quanto non si confronta con la costante indicazione ermeneutica secondo cui ai fini dell'applicazione della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, in caso di più reati unificati sotto il vincolo della continuazione, occorre fare riferimento alla misura della pena base stabilita in concreto per il reato più grave, come risultante a seguito della diminuzione per la scelta del rito, e non a quella complessiva risultante dall'aumento della continuazione (Sez. 5, n. 28584 del 14 marzo 2017 - dep. 8 giugno 2017, Di Corrado ed altri, Rv. 270240; Sez. 1, n. 8126 del 6 dicembre 2017 - dep. 20 febbraio 2018, P.G. in proc. Ngwoke, Rv. 272408).
Nel caso in esame la pena base applicata sia al S. che al G. è minore di anni cinque e dunque giustifica l'inflizione della pena dell'interdizione dai pubblici uffici per soli cinque anni.
2.3. Anche il terzo motivo di ricorso è infondato.
Il pubblico ministero denunciava l'omessa motivazione in relazione alla richiesta di espulsione del Se.: si tratta di una deduzione generica in quanto non esprime le specifiche ragioni a sostegno della invocata espulsione.
Si ribadisce infatti che l'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, nel caso di condanna alla reclusione per un tempo superiore a due anni, prevista dall'art. 235 c.p., costituisce una misura di sicurezza personale di carattere facoltativo applicabile dal giudice solo nel caso in cui emerga la sussistenza della pericolosità sociale (Sez. 2, n. 39359 del 20 luglio 2016 - dep. 22 settembre 2016, P.G. in proc. Adna, Rv. 268303)
Invero i motivi che giustificherebbero l'espulsione avrebbero dovuto essere esposti anche di fronte alla Corte di appello per evitare la implicita valutazione di inammissibilità della doglianza genetica, cui consegue l'elisione dell'onere di specifica risposta alla richiesta della parte.
Sul punto si ribadisce che il vizio di mancanza di motivazione, ex art. 606, comma primo, lett. e), c.p.p., quando le argomentazioni addotte dal giudice a fondamento dell'affermazione di responsabilità dell'imputato siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate con i motivi di appello e dotate del requisito della decisività (Cass., Sez. 5, n. 2916 del 13 dicembre 2013, Rv. 257967; Cass., Sez. 6, n. 12540 del 12 ottobre 2000, Rv. 218172; Cass., Sez. 6, n. 35918 del 17 giugno 2009, Rv. 244763). Né può ritenersi precluso al giudice di legittimità l'esame dei motivi di appello al fine di accertare la congruità e la completezza dell'apparato argomentativo adottato dal giudice di secondo grado con riferimento alle doglianze mosse alla decisione impugnata, rientrando nei compiti attribuiti dalla legge alla Corte di cassazione la disamina della specificità o meno delle censure formulate con l'atto di appello quale necessario presupposto dell'ammissibilità del ricorso proposto davanti alla stessa Corte (Cass., Sez. 2, n. 4830 del 21 dicembre 1994, Rv. 201268).
3. Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in euro 2000,00.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al trattamento sanzionatorio per le contravvenzioni contestate ai capi f), h) e c) e, per l'effetto, ridetermina la pena inflitta al S. in anni 4, mesi 10, giorni 3 di reclusione ed euro 3213 di multa e quella inflitta al G. in anni 4, mesi 2 di reclusione ed euro 1900 di multa. Rigetta il ricorso del Pubblico ministero.
Depositata il 1° aprile 2019.