Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 20 maggio 2019, n. 3222
Presidente: Ferrari - Estensore: Sabbato
FATTO E DIRITTO
1. Con ricorso n. 274 del 2007, integrato da motivi aggiunti, proposto innanzi al T.a.r. per le Marche, l'Azienda agricola Bracci Federica (di seguito l'azienda), che svolge attività colturale di tipo foraggero, nonché attività di allevamento equini, aveva chiesto quanto segue:
a) l'annullamento dei seguenti atti:
- la nota del 30 gennaio 2007 il Dipartimento Sviluppo Economico Posizione competitività e sviluppo dell'impresa agricola e del sistema agroalimentare della Regione Marche;
- il verbale di "controllo in itinere" del 16 maggio 2006 e la relativa nota di trasmissione del 1° giugno 2006;
- il decreto del Dirigente della P.F. "Competitività e sviluppo dell'impresa agricola" del 19 maggio 2011, con il quale si è disposta la revoca parziale ed il recupero del contributo per euro 144.934,35 (atto impugnato con motivi aggiunti);
- il verbale del Comitato di coordinamento del 16 maggio 2011 (atto impugnato con motivi aggiunti);
- il verbale di "controllo ex post" del 19 gennaio 2011 (atto impugnato con motivi aggiunti).
b) il risarcimento del danno consequenziale.
2. A sostegno della proposta impugnativa, l'azienda ha dedotto quanto segue:
i) la violazione dei principi in materia di autotutela per difetto di motivazione e mancanza dei presupposti;
ii) la violazione dell'art. 12 della l. n. 241 del 1990 per avere l'Amministrazione contraddetto la disciplina di lex specialis;
iii) la violazione della disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato nel settore agricolo, in quanto l'effetto incentivante sarebbe entrato in vigore solo dopo il 2006;
iv) l'eccesso di potere per violazione del principio di affidamento;
v) l'eccesso di potere per violazione dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità dell'azione amministrativa.
3. Costituitasi l'Amministrazione regionale al fine di resistere, il Tribunale adìto, Sezione I, ha così deciso il gravame al suo esame:
- ha respinto il ricorso, per la parte impugnatoria, reputando infondate tutte le censure articolate;
- ha respinto, di conserva, la domanda di risarcimento del danno;
- ha compensato le spese di lite.
4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:
- "Gli atti impugnati sono puntualmente motivati con riguardo all'assenza del c.d. "effetto incentivante";
- "Né è rilevante (...) che la maggior parte delle spese impegnate con il contratto stipulato il 30.5.2000 spese siano state effettivamente pagate solo dopo la manifestazione di interesse";
- "Le norme del Trattato di Roma (artt. 87 e seg.) e del diritto comunitario derivato della concorrenza ostano, pertanto, ad una lettura che consenta di ammettere a finanziamento interventi già avviati in fatto prima della presentazione della domanda di aiuto";
- "l'effetto incentivante è, in tutta evidenza, connaturato già ai principi stabiliti dal Trattato di Roma";
- "la stipula del preliminare della prima fornitura, con il successivo pagamento non può essere considerato come stipulato per l'impiego del futuro finanziamento";
- "non è configurabile alcuna violazione dell'affidamento di parte ricorrente, in quanto la Regione ha, come sopra specificato, ha applicato pedissequamente il principio per cui, salvo eccezioni, non possono essere riconosciute spese relative a contratti stipulati prima della manifestazione di interesse e senza specifici riferimenti al finanziamento di cui al P.S.R.".
5. Avverso tale pronuncia l'azienda ha interposto appello, notificato il 12 aprile 2013 e depositato in pari data, lamentando, attraverso quattro motivi di gravame (pagine 10-33) coi quali ha criticamente reiterato le censure di primo grado, quanto di seguito sintetizzato:
I) il Tribunale non avrebbe considerato, in ordine al primo motivo del ricorso originario, che la vicenda è riconducibile all'alveo applicativo dell'art. 21-nonies, vertendosi in tema di riesame dell'atto di conferimento del contributo, di tal che l'atto impugnato risulta in contrasto con tale disciplina per la mancanza di motivazione sull'interesse pubblico, in comparazione con quello privato, ed il lungo lasso di tempo trascorso dalla concessione dell'aiuto;
II) il Tribunale avrebbe errato anche in sede di disamina del connesso quarto motivo di ricorso, appunto in considerazione dell'affidamento del beneficiario anche in relazione al rilevante tempo trascorso dalla concessione del beneficio;
III) il Tribunale non avrebbe considerato, in ordine al secondo e terzo motivo di ricorso, che la violazione del principio incentivante deve essere ancorata a dati oggettivi o a espresse previsioni di bando quando invece la normativa comunitaria depone nel senso che non rilevano, in tale ottica, i meri impegni contrattuali bensì le attività già iniziate o le spese già sostenute rispetto alla manifestazione d'interesse, tanto più che l'azienda ha versato, prima di tale momento, soltanto l'acconto di euro 7.746,85;
IV) il Tribunale avrebbe omesso di esaminare il quinto motivo di ricorso, in ordine alla prospettata violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, censura che pertanto in questa sede si ripropone, evidenziando che nel contratto di fornitura l'azienda si era peritata di inserire una condizione risolutiva connessa a "complicanze burocratiche" così alludendo proprio alla mancata percezione dei contributi comunitari.
6. In data 6 maggio 2013 si è costituita la Regione Marche con memoria di controdeduzioni.
7. Con ordinanza n. 1829 dell'8 maggio 2013, il Collegio ha accolto la domanda di sospensione degli effetti dell'impugnata sentenza con la seguente motivazione: "Ritenuto che, nella prospettiva della comparazione degli interessi contrapposti, alla luce dell'entità del contributo di cui viene disposto il recupero in proporzione alle dimensioni ed alla redditività dell'attività aziendale, occorre dare prevalenza alle esigenze cautelari prospettate dall'appellante".
8. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti hanno svolto difese scritte, insistendo per le rispettive conclusioni.
9. Il ricorso, discusso alla pubblica udienza del 16 aprile 2019, non merita accoglimento.
9.1. Infondati sono i primi due motivi, suscettibili di trattazione congiunta per il loro tenore, in quanto l'atto impugnato presenta un quadro motivazionale che valorizza il profilo di interesse pubblico sotteso all'adozione dell'atto di autotutela per la violazione del principio di incentivazione; né è suscettibile di applicazione ratione temporis la disciplina sopravvenuta in ordine al termine ragionevole. L'art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990, che disciplina l'annullamento d'ufficio, è stato introdotto dalla l. n. 15 del 2005 e quindi modificato dal d.l. n. 133 del 2014, convertito dalla l. n. 164 del 2015, e successivamente dalla l. n. 124 del 2015. A seguito di questa novella, è previsto che il provvedimento amministrativo illegittimo possa essere annullato d'ufficio "entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici".
La novella del 2015 ha cioè eliminato il riferimento al termine ragionevole e ha introdotto uno sbarramento temporale di diciotto mesi all'esercizio del potere di autotutela. Orbene, poiché l'atto impugnato in prime cure è del 30 gennaio 2007 non rientra nell'alveo applicativo della novella, che ha introdotto un rigido sbarramento temporale, quanto nella disciplina pregressa che, prevedendo un limite elastico ed indeterminato, affida alla discrezionalità della stessa Amministrazione il compito di verificare la tempestività della determinazione in autotutela. Come osservato, di recente, da questo Consiglio (sez. VI, 27 giugno 2018, n. 3940), il legislatore, nel modificare la previsione dell'art. 21-nonies, comma 1, con l'astratto e generale termine ne ultra quem di diciotto mesi, ha innovato la tradizionale regola che rimetteva alla discrezionalità amministrativa, nel rispetto del (sindacabile) canone di "ragionevolezza", la concreta gestione del limite temporale nella attivazione dei procedimenti di secondo grado in funzione di riesame, facendone con ciò elemento del complessivo e motivato apprezzamento comparativo degli interessi in gioco, variamente ancorati al conflitto tra la ripristinanda legalità dell'azione amministrativa e la concretezza dei maturati affidamenti dei destinatari del provvedimento assunto contra legem. Il decorso di un lasso temporale più o meno lungo non può quindi rilevare ex se quanto piuttosto quale indice sintomatico di un affidamento adeguatamente consolidato, che tuttavia nel caso di specie è da escludersi. Invero alcuna posizione di affidamento incolpevole può configurarsi rispetto a circostanze afferenti allo stesso richiedente, il quale era ben a conoscenza dell'anteriorità dell'impegno contrattuale rispetto alla concessione del finanziamento. È dato cioè prefigurare un errore imputabile alla parte beneficiaria (e non alla Amministrazione decidente), mancando in questo caso in radice la meritevolezza di tutela dell'affidamento.
9.2. Infondato è anche il terzo motivo, in quanto il principio incentivante è sotteso alla ratio stessa dei contributi comunitari non potendosi concepire la concessione di un sostegno economico all'impresa se non finalizzata alla realizzazione di nuovi investimenti. Questo Consiglio ha infatti avuto di affermare, di recente, che "In materia di concessioni di contributi pubblici, costituisce principio di ordine generale quello secondo cui l'elargizione del beneficio economico non possa riguardare acquisti che l'imprenditore ha già compiuto (e che, quindi, avrebbe compiuto in ogni caso, a prescindere dall'incentivo economico di parte pubblica) prima della pubblicazione del bando relativo alla misura incentivante o, comunque, prima della presentazione della relativa domanda" (cfr. C.d.S., sez. VI, 7 gennaio 2014, n. 5). Né può rilevare il fatto che sia stato versato soltanto l'acconto, in quanto ragioni di ordine sistematico escludono l'ammissione a contributo di spese anche parziali riferite ad investimenti già effettuati alla data di presentazione delle domande di contributo (C.d.S., sez. VI, n. 5 cit.).
9.3. Col quarto mezzo, l'appellante si duole della omessa pronuncia nella quale il Tribunale sarebbe incorso in ordine al quinto motivo del ricorso di prime cure.
Va premesso che l'omessa pronuncia su alcune censure non comporta la rimessione della causa al primo giudice.
Il Collegio osserva che tale eventuale difetto, così come rappresentato in ricorso, non può precludere la disamina del merito del gravame, non integrando un'ipotesi di rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., che così recita: "Il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado soltanto se è mancato il contraddittorio, oppure è stato leso il diritto di difesa di una delle parti, ovvero dichiara la nullità della sentenza, o riforma la sentenza o l'ordinanza che ha declinato la giurisdizione o ha pronunciato sulla competenza o ha dichiarato l'estinzione o la perenzione del giudizio". Sul punto è sufficiente rinviare ai consolidati principi elaborati dalla recente giurisprudenza dell'Adunanza plenaria che, come è noto, si è pronunciata ben quattro volte, nell'arco del 2018, sui limiti applicativi dell'art. 105 c.p.a. (cfr. sentenza 30 luglio 2018, n. 10; sentenza 30 luglio 2018, n. 11; sentenza 5 settembre 2018, n. 14; sentenza 28 settembre 2018, n. 15). L'autorevole Collegio, in tali occasioni, ha osservato in primo luogo che le ipotesi di annullamento con rinvio al giudice di primo grado previste dall'art. 105 c.p.a. hanno carattere eccezionale e tassativo e non sono, pertanto, suscettibili di interpretazioni analogiche o estensive. In particolare, non può rientrarvi "la mancanza totale di pronuncia da parte del primo giudice su una delle domande del ricorrente, rientrandovi invece il difetto assoluto di motivazione della sentenza di primo grado" (cfr. Ad. plen., nn. 10 e 11 del 2018). Costituisce invero giurisprudenza consolidata del giudice di appello (C.d.S., sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5711; id. 17 ottobre 2017, n. 4796) - che la Sezione condivide e fa propria - quella secondo cui l'omessa pronuncia, da parte del giudice di primo grado, su censure e motivi di impugnazione costituisce tipico errore di diritto per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, deducibile in sede di appello sotto il profilo della violazione del disposto di cui all'art. 112 c.p.c., che è applicabile al processo amministrativo (C.d.S., sez. IV, 16 gennaio 2006, n. 98) con il correttivo a più riprese affermato, secondo il quale l'omessa pronuncia su un vizio del provvedimento impugnato deve essere accertata con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché essa può ritenersi sussistente soltanto nell'ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non quando, al contrario, la decisione sul motivo d'impugnazione risulti implicitamente da un'affermazione decisoria di segno contrario ed incompatibile (C.d.S., sez. VI, 6 maggio 2008, n. 2009). Peraltro, l'omessa pronuncia su una o più censure proposte con il ricorso giurisdizionale non configura un error in procedendo, tale da comportare l'annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, c.p.a., ma solo un vizio dell'impugnata sentenza che il giudice di appello è legittimato ad eliminare, integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo sul merito della causa (C.d.S., Ad. plen., 30 luglio 2018, nn. 10 e 11; id. 5 settembre 2018, n. 14; id. 28 settembre 2018, n. 15). Fa eccezione a questa ipotesi il caso in cui manchi del tutto la pronuncia sulla domanda o il giudice decida su diversa domanda, ovvero sulla domanda fatta valere in giudizio il giudice di primo grado abbia pronunciato con motivazione inesistente o apparente. In questi casi la rimessione al primo giudice si riscontra in ragione del ricorrere della fattispecie della nullità della sentenza, perché priva degli elementi minimi idonei a qualificare la pronuncia come tale (C.d.S., Ad. plen., nn. 10 e 11 del 2018). Non rientrando l'omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado su un motivo del ricorso, nei casi tassativi di annullamento con rinvio, ne consegue che, in forza del principio devolutivo (art. 101, comma 2, c.p.a.), il Consiglio di Stato decide, nei limiti della domanda riproposta, anche sui motivi di ricorso non affrontati dal giudice di prime cure (C.d.S., sez. V, 29 dicembre 2017, n. 6158).
9.4. Il motivo, che pertanto va esaminato nel merito in questa sede, non è fondato, in quanto il contratto, in forza del quale è stato pagato l'acconto, discorre genericamente di "complicanze burocratiche" e pertanto non traspare che l'assunzione dell'obbligazione sia avvenuta in previsione della percezione del contributo. Tale sola indicazione quindi non consente la divisata relazione di propedeuticità tra il conseguimento del finanziamento, ancorché cronologicamente posteriore, e l'obbligazione, siccome contratta "in vista" della contribuzione pubblica.
10. Per le ragioni suesposte, l'appello è infondato e va respinto.
11. L'assoluta particolarità della vicenda costituisce eccezionale motivo per la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (R.G. n. 3045/2013), lo respinge.
Spese del presente grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.