Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Sezione I
Sentenza 31 maggio 2019, n. 6926
Presidente: Correale - Estensore: Marzano
FATTO E DIRITTO
1. Il Comune ricorrente ha impugnato il decreto del 12 febbraio 2018, emanato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 16 aprile 2018, avente ad oggetto: "Determinazione della tariffa di iscrizione all'albo dei componenti delle commissioni giudicatrici e relativi compensi", nella parte in cui fissa anche un compenso minimo come da allegato A del decreto.
Si tratta di decreto emanato in virtù del comma 10 dell'art. 77 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 ("Codice degli appalti") che, al secondo capoverso, ha previsto che "Con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita l'ANAC, è stabilita la tariffa di iscrizione all'albo e il compenso massimo per i commissari. I dipendenti pubblici sono gratuitamente iscritti all'Albo e ad essi non spetta alcun compenso, se appartenenti alla stazione appaltante".
Il Ministero, con il decreto impugnato, ha fissato anche i compensi minimi dei commissari, posti come limite minimo inderogabile.
Inoltre, nella tabella dei compensi allegata al decreto, sono previsti solo tre scaglioni di valore ed il primo, quello minore, è stato così fissato: euro 20.000.000,00 per gli appalti di lavori - concessioni di lavori; euro 1.000.000,00 per appalti e concessioni di servizi - appalti di forniture; euro 200.000,00 per appalti di servizi di ingegneria e di architettura. Con riferimento a tutte le tre riportate tipologie di gara è stato previsto, per lo scaglione più basso, quale compenso minimo per ciascun commissario, l'importo di euro 3.000,00 oltre rimborso spese.
Il Comune riferisce di non disporre, nella propria pianta organica, di figure professionali in numero sufficiente a ricoprire tutti i ruoli di commissari nelle commissioni giudicatrici di gare pubbliche e osserva che nel suo caso, comune di piccole dimensioni in cui la maggior parte delle gare sono di importi di gran lunga inferiori allo scaglione minimo per tutte e tre le tipologie di appalti, il decreto in parola comporterà l'impossibilità di procedere a buona parte delle gare necessarie al perseguimento dei fini istituzionali, attesa l'esosità dei rimborsi minimi previsti per i commissari di gara.
Quindi ha censurato il provvedimento per i seguenti motivi.
1) Illegittimità - violazione di legge: art. 77, comma 10, del Codice degli appalti - eccesso di potere per eccesso dell'attribuzione di competenza ed erroneità dei presupposti - arbitrarietà - difetto di istruttoria.
L'atto impugnato violerebbe l'art. 77, comma 10, del "Codice degli appalti" il quale demanda al Ministero la previsione di un compenso massimo per i commissari, al fine di contenere la spesa pubblica e non anche, dunque, la previsione di un compenso minimo.
2) Eccesso di potere: illogicità - irragionevolezza - sviamento - violazione dell'art. 37 Codice degli appalti.
Sarebbe illogica e viziata la previsione di un compenso minimo di euro 3.000,00 da corrispondere a ciascun componente la commissione giudicatrice, sia per l'attività prestata per un appalto di lavori per complessivi euro 20.000.000,00 sia per un appalto di importo ben inferiore, ad esempio di euro 80.000,00.
Inoltre molte gare bandite dai Comuni sono rese possibili dall'utilizzo di finanziamenti europei FESR, per i quali è espressamente previsto che le spese generali siano contenute nel limite massimo del 10/12%; limite che, di fatto, viene rispettato anche in gare non finanziate. Tuttavia detto limite non potrebbe essere rispettato stanti i minimi tariffari fissati dall'impugnato decreto. Infatti, con un costo per il funzionamento della commissione non inferiore a euro 10.980.00, sarebbe impossibile bandire tutte le gare di importo inferiore o uguale a euro 91.500,00, perché già il solo costo della commissione risulterebbe superiore/uguale al 12% fissato per le spese generali.
L'amministrazione intimata si è costituita in giudizio solo formalmente, depositando una nota esplicativa a firma del Ragioniere Generale dello Stato, nella quale si chiarisce che la fissazione del compenso minimo era stata concordata con l'ANAC.
Con ordinanza n. 4713 del 2 agosto 2018 il d.m. impugnato è stato sospeso limitatamente alla fissazione di tariffe minime.
All'udienza pubblica del 22 maggio 2019, sentiti i difensori presenti, la causa è stata trattenuta in decisione.
2. Il ricorso è fondato e va accolto.
L'art. 77, comma 10, d.lgs. 50/2016 prevede che "Con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite l'ANAC, è stabilita la tariffa di iscrizione all'albo e il compenso massimo per i commissari".
Come già rilevato in sede cautelare, il decreto impugnato, travalicando i limiti normativamente imposti al suo oggetto, ha fissato anche il compenso minimo per fasce di valore degli appalti a partire da euro 3.000,00, ma ciò in mancanza di copertura legislativa.
Non può essere condivisa quindi la tesi dell'amministrazione, rilevabile dalla nota del 3 luglio 2018 del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'Economia e delle Finanze, secondo cui la fissazione di un compenso minimo è una "eventualità non proibita dalla norma primaria".
Invero va considerato il principio secondo cui il legislatore ubi voluit dixit: nella disposizione in rassegna il legislatore parla espressamente di compenso "massimo", senza lasciare margini interpretativi in ordine alla possibilità di stabilire anche un compenso "minimo" o un compenso tout court, sicché ogni opzione ermeneutica che si risolvesse nell'aggiunta di un diverso "limite" da fissare dev'essere rifiutata "in quanto finirebbe per far dire alla legge una cosa che la legge non dice (e che, si presume, secondo il suddetto canone interpretativo, non voleva dire)" (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-bis, 6 marzo 2019, n. 3023).
Inoltre deve aversi riguardo alla ratio sottesa alla disposizione in parola, che è quella del contenimento della spesa, reso possibile anche attraverso specifici meccanismi di trasparenza.
Invero, nella relazione illustrativa della disposizione è espressamente indicato che "le spese relative alla commissione sono inserite nel quadro economico dell'intervento tra le somme a disposizione della stazione appaltante. Lo stesso comma prevede l'emanazione di un decreto ministeriale (emanato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita l'ANAC) per la determinazione della tariffa di iscrizione all'albo e del compenso massimo per i commissari. I dipendenti pubblici sono gratuitamente iscritti all'Albo e ad essi non spetta alcun compenso, se appartenenti alla stazione appaltante".
Dunque, dovendo le spese per il funzionamento della commissione costituire una voce del quadro economico dell'intervento, mentre si spiega la fissazione di un compenso "massimo", va in direzione decisamente contraria la fissazione di un compenso "minimo".
Né, ad attribuire legittimità all'impugnato decreto, può soccorrere la circostanza, rappresentata dall'amministrazione nella nota innanzi citata, che la previsione di una misura minima dei compensi era stata condivisa con l'ANAC, che, con proprio parere del 2 novembre 2017, aveva evidenziato come la fissazione di un limite minimo del compenso avrebbe consentito "di scongiurare il rischio di determinazione del compenso al ribasso, a detrimento della prestazione"; si tratta di una esigenza che, per quanto apprezzabile, non poteva essere soddisfatta con lo strumento in parola, non essendo tale possibilità contemplata in una norma primaria.
Per completezza espositiva, e ferma restando l'illegittimità del decreto per le ragioni evidenziate, deve ulteriormente osservarsi che, se la ratio della censurata opzione, consistita di fatto in uno sconfinamento dal perimetro dei poteri normativamente attribuiti al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, fosse da ravvisare nella volontà di dare decoro e dignità alla prestazione del commissario di gara, risulterebbe altresì irragionevole la soglia minima del compenso, così come livellata uniformemente in euro 3.000,00 pur a fronte di procedure di complessità e di valore significativamente diversi.
Conclusivamente, per quanto precede, il ricorso deve essere accolto e, per l'effetto, il decreto impugnato deve essere annullato nella parte in cui fissa il compenso lordo minimo per i componenti della commissione giudicatrice di cui all'art. 77 del "Codice degli appalti".
3. Le spese del giudizio, stante la novità della questione, possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l'effetto, annulla il decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze del 12 febbraio 2018, nella parte in cui fissa il compenso lordo minimo per i componenti della commissione giudicatrice.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.