Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 3 aprile 2019, n. 17774

Presidente: Paoloni - Estensore: Villoni

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, il P.M. presso il Tribunale di Ancona ha incaricato il Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Macerata di dare esecuzione ad un ordine di confisca nei confronti di G. David e G. Donatella, in accoglimento della conforme domanda di assistenza giudiziaria avanzata dal Tribunale della Repubblica di San Marino.

In adempimento della delega, l'organo di P.G. ha proceduto al sequestro preventivo a fini di confisca di due beni immobili, di due autovetture nonché dei saldi di un conto corrente bancario acceso presso la UNI Banca di Macerata.

2. Avverso il provvedimento ha proposto ricorso G. Donatella, quale proprietaria dei beni mobili ed immobili e titolare del conto bancario.

Con un unico e articolato motivo di censura, la ricorrente deduce inosservanza ed erronea applicazione delle legge penale con riferimento all'art. 240 c.p.

Secondo la ricorrente, la confisca per equivalente, cui viene data esecuzione con il provvedimento impugnato, non è attuabile perché in contrasto con le norme generali dell'ordinamento giuridico italiano che ne prevede l'applicazione esclusivamente sulla base di specifiche disposizioni di legge, nessuna delle quali ricorre nella fattispecie, mentre in tutti gli altri casi non tassativamente previsti, l'ordinamento ritiene applicabile la sola confisca diretta prevista dall'art. 240 c.p. avente per oggetto il profitto del reato, inteso come utilità economica direttamente o indirettamente conseguita con la commissione del reato.

Il reato di riciclaggio contestato alla ricorrente nell'ambito del procedimento straniero (artt. 50 e 199-bis c.p. sammarinese) non rientra tra quelli per cui in Italia è consentita la confisca per equivalente, né risulta in concreto applicabile l'attuale art. 240-bis c.p. (italiano) essendo stato introdotto successivamente alla commissione del reato, avvenuta nel mese di marzo 2009.

Va, inoltre, esclusa anche la confisca diretta di cui all'art. 240 c.p. non essendo i beni oggetto del provvedimento né il profitto né il prodotto del contestato reato, non essendovi prova che essi siano stati impugnati con il denaro di cui si assume l'illecita provenienza in capo alla ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il provvedimento impugnato deve essere annullato, costituendo atto abnorme riguardo al novero di quelli adottabili dal P.M. nel rispetto dell'ambito di competenza riservata dalla legge al giudice.

2. Dal fascicolo processuale risulta che il Tribunale della Repubblica di San Marino ha chiesto all'autorità giudiziaria italiana il sequestro e la confisca dei proventi dei reati di riciclaggio, accertati all'esito di un giudizio celebratosi nei confronti di G. David e G. Donatella, ai sensi della Convenzione europea sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo sottoscritta a Varsavia il 16 maggio 2005, ratificata dalla Repubblica di San Marino e in Italia in vigore dal 1° giugno 2017.

Tanto premesso, l'art. 724 c.p.p., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 3 ottobre 2017, individua nel Procuratore della Repubblica l'organo giudiziario deputato all'esecuzione delle richieste di rogatoria provenienti dall'autorità giudiziaria straniera quando queste consistano nell'acquisizione probatoria e/o nel sequestro di beni.

Il comma 2 dell'articolo stabilisce, però, che ricevuti gli atti dal Ministero della Giustizia (art. 723, comma 1, c.p.p.) o direttamente dall'autorità giudiziaria straniera a norma della convenzione internazionale di riferimento, il Procuratore della Repubblica deve rivolgersi al giudice per le indagini preliminari se la rogatoria ha per oggetto acquisizioni probatorie da compiersi davanti al giudice ovvero attività che secondo la legge italiana devono essere svolte dal giudice.

La citata previsione pone due ordini di problemi:

a) vertendosi in procedimento per riciclaggio, l'autorità giudiziaria di San Marino ha attivato la richiesta di rogatoria ai sensi della citata Convenzione europea del 16 maggio 2005, costituente aggiornamento con alcune circoscritte innovazioni della fondamentale Convenzione europea avente in parte lo stesso ambito applicativo siglata a Strasburgo l'8 novembre 1990.

La nuova convenzione non prevede, però, alcuna modifica con riferimento alle modalità di trasmissione e ricezione delle domande di assistenza giudiziaria.

Così come l'art. 24 della Convenzione di Strasburgo, anche l'art. 34 della Convenzione di Varsavia non consente, infatti, la trasmissione e la ricezione della rogatoria direttamente tra autorità giudiziarie se non in caso di urgenza (par. 2), situazione che non ricorre nel caso di specie in cui all'origine della domanda di assistenza v'è una sentenza di condanna definitiva resa esecutiva, a proposito della quale non risulta prospettata alcuna urgenza (v. rogatoria in atti);

b) in maniera assorbente, trattandosi di dar esecuzione ad una richiesta di sequestro a fini di confisca, l'art. 24, par. 1, della Convenzione di Varsavia stabilisce che "le procedure per ottenere ed eseguire la confisca prevista dall'Articolo 23 sono disciplinate dalla legislazione della Parte richiesta" il che rinvia alla corrispondente previsione procedurale italiana che contempla il necessario intervento del giudice per le indagini preliminari, competente per l'esecuzione del sequestro preventivo a fini di confisca (art. 321, comma 2, c.p.p.)

Il P.M. non poteva, pertanto - anche a prescindere dal profilo dell'improprio ricorso alla via della trasmissione diretta della rogatoria, che nella fattispecie ha coinvolto anche la Procura Generale della Corte di Appello territoriale - eseguire autonomamente o dare mandato alla Polizia Giudiziaria di curare l'esecuzione della rogatoria senza preventivamente investire della questione il GIP territorialmente competente al fine [di] provocarne l'intervento.

3. Si è, dunque, al cospetto di un caso di incompetenza funzionale assoluta del P.M., rilevante come atto abnorme, avendo egli invaso una sfera di attribuzione riservata dalla legge al giudice.

Sul tema, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha, infatti, stabilito che «i provvedimenti del Pubblico Ministero, in quanto atti di parte, non hanno natura giurisdizionale e, come tali, non sono impugnabili per abnormità se non nei casi in cui abbiano comportato una invasione dei poteri spettanti al giudice, così da sostituirsi illegittimamente alle prerogative di quest'ultimo» (Sez. 6, sent. n. 39442 del 14 luglio 2017, Berlusconi, Rv. 271195).

Ed è proprio questa l'evenienza determinatasi, atteso che è la norma del codice (art. 724 c.p.p.) a configurare come indefettibile l'intervento del giudice.

4. Sotto altro profilo, reputa il Collegio che l'abnormità del provvedimento, provenga esso dal P.M. o dal giudice, sia certamente rilevabile ex officio (art. 609 c.p.p.), anche nel caso in cui, come quello in esame, non sia stata formulata al riguardo alcuna deduzione da parte del ricorrente.

La non cospicua giurisprudenza di questa Corte di cassazione formatasi sullo argomento sostiene che «l'abnormità è rilevabile di ufficio anche in sede di legittimità quando essa incida in termini essenziali sul thema decidendum devoluto alla Corte» (Sez. 6, sent. n. 2702 del 19 ottobre 1990, Sica, Rv. 185762), talora in realtà in assenza di un reale approfondimento (Sez. 4, sent. n. 1488 del 13 maggio 1998, P.M. in proc. Cidello, Rv. 211631) e comunque che il vizio è rilevabile in ogni stato e grado del procedimento (Sez. 1, sent. n. 33965 del 17 giugno 2004, Gurliaccio, Rv. 228707).

Qualche voce dottrinale, però, da tempo ha sollevato dubbi circa la fondatezza dell'assunto della rilevabilità ex officio dell'abnormità.

Si è evidenziato, in particolare, che non vi sarebbe necessaria corrispondenza tra deroga al principio di tassatività delle impugnazioni (che la tematica della deducibilità in ogni tempo dell'atto abnorme implica) e deroga al principio di tassatività delle questioni rilevabili d'ufficio.

Nel primo caso, infatti, la scelta giurisprudenziale di permettere il ricorso immediato per cassazione contro l'atto abnorme risponderebbe all'esigenza "di natura equitativa di consentire alla parte interessata la rimozione di un atto giurisdizionale pregiudizievole per i suoi interessi".

Diversamente nella seconda situazione, la "rilevazione d'ufficio del vizio prescinde dagli interessi e dall'iniziativa della parte e si pone come rimedio a tutela dell'astratto rispetto della legalità processuale".

Il Collegio si limita ad osservare che non sembra possibile ricavare dal sistema processuale un principio di tassatività delle questioni rilevabili d'ufficio, dovendo anzi l'art. 609, comma 2, c.p.p. essere letto in senso completamente opposto.

Sugli effetti che l'atto abnorme produce sul sistema processuale, infine, pare difficile non convenire con la citata pronuncia n. 2702/1990, Sica, cit. secondo cui «l'assoluta estraneità ed incompatibilità di tali provvedimenti rispetto al sistema processuale vigente» ne impone «l'espunzione immediata dal mondo del diritto» e deve essere la Corte regolatrice di legittimità a «rilevarne d'ufficio l'anomalia», pena l'abdicazione stessa alla funzione essenziale di assicurare il rispetto della legalità processuale in casi in cui il vulnus si manifesta al suo più alto livello ed il vizio processuale prodottosi si colloca addirittura al vertice ideale della gerarchia delineata dall'art. 606, lett. c), c.p.p.

5. L'abnormità del provvedimento impugnato ne impone, dunque, l'annullamento senza rinvio, che a sua volta comporta il dissequestro dei beni sottoposti a vincolo e la loro restituzione agli aventi diritto.

Gli atti del procedimento vanno, inoltre, trasmessi alla Procura Generale presso la Corte di Appello di Ancona che procederà, nel rispetto delle forme convenzionali, all'avvio di una nuova procedura per riconoscimento della sentenza penale straniera a norma dei citati accordi internazionali (art. 731 c.p.p.) o alternativamente per esecuzione della richiesta di assistenza penale, nel caso in cui il provvedimento richiesto sia eventualmente di natura cautelare (art. 724, comma 2, c.p.p.).

P.Q.M.

annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e il connesso sequestro, disponendo la restituzione dei beni ad esso sequestro sottoposti agli aventi diritto.

Trasmissione degli atti alla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Ancona per l'ulteriore corso.

Depositata il 29 aprile 2019.

L. Alibrandi (cur.)

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