Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 19 marzo 2019, n. 19662

Presidente: Rosi - Estensore: Gai

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'impugnata sentenza, la Corte d'appello di Firenze ha confermato la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Firenze con la quale I.M. era stato condannato, all'esito del giudizio abbreviato, alla pena di anni quattro di reclusione e euro 12.000,00, in relazione al reato di cui all'art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per la detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente eroina (grammi 540 e 550 e 9,16), occultati nella cavità addominale. Accertato in Firenze il 14 maggio 2017.

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l'annullamento deducendo due motivi di ricorso.

- Vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio determinato muovendo da una pena base superiore nel limite minimo edittale (anni 9), senza valutazione delle condizioni soggettive dell'imputato, soggetto non inserito nel traffico internazionale di stupefacente avendo commesso il fatto per aiutare la propria famiglia.

- Violazione di legge in relazione all'erronea applicazione dell'art. 86 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per avere disposto l'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato a pena espiata in violazione di legge, e con motivazione apparente circa la sua pericolosità. Non avrebbe considerato, la corte territoriale, che il ricorrente è titolare di permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, misura che viene concessa a coloro nei cui confronti sussiste una situazione che fa ritenere che, se rimpatriati nel paese d'origine, possano essere esposti a rischio di grave danno, situazione ricorrente nel caso in esame, in quanto l'imputato professa la religione cattolica, ed avrebbe immotivatamente e illegalmente confermato la disposta misura di sicurezza.

3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto l'annullamento della sentenza limitatamente all'espulsione e dichiarazione di inammissibilità nel resto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è fondato per quanto qui esposto.

5. Va rilevata, in via preliminare, l'illegalità della pena per effetto della sentenza n. 40 del 2019 della Corte costituzionale.

Con la citata sentenza, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 73, comma 1, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), nella parte in cui in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni, anziché di sei anni (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, Serie 1 Corte costituzionale, n. 11 del 13 marzo 2019). A mente dell'art. 136 Cost. tale norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione avvenuta in data 13 marzo 2019.

Per effetto della citata pronuncia, le pene irrogate in applicazione della precedente cornice normativa, che prevedeva la pena detentiva nel minimo edittale di anni otto di reclusione, ora dichiarata incostituzionale, sono divenute pene illegali.

Tale è la pena irrogata al ricorrente per il delitto di cui all'art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nella misura indicata che muoveva da una pena di anni nove di reclusione, ritenuta congrua dai giudici del merito sulla scorta della cornice normativa su cui è intervenuta la pronuncia del Giudice delle leggi.

6. Con riferimento al tema in questione, deve rammentarsi che le Sezioni unite di questa Corte avevano stabilito che la pena determinata dal giudice deve ritenersi illegale quando la quantificazione sia stata operata attraverso un procedimento di commisurazione che si sia basato sui limiti edittali dell'art. 73 d.P.R. 309/1990 come modificato dalla l. n. 49 del 2006, in vigore al momento del fatto, ma dichiarato successivamente incostituzionale con sentenza n. 32 del 2014, anche nel caso in cui la pena concretamente inflitta sia compresa entro i limiti edittali previsti dall'originaria formulazione del medesimo articolo, prima della novella del 2006, rivissuto per effetto della stessa sentenza di incostituzionalità (Sez. un., n. 33040 del 26 febbraio 2015, Jazouli, Rv. 264205). Osservano le Sezioni unite che «la valutazione del giudice nella commisurazione della pena ha come imprescindibile presupposto la valutazione del legislatore che, a sua volta, deve essere espressione di un corretto esercizio del principio di colpevolezza e di proporzionalità. Con riferimento a questi principi deve escludersi che possa essere conservata, in quanto legittima, sotto il profilo del principio costituzionale di proporzione tra offesa e pena, la pena determinata in relazione ad una cornice edittale prevista da una norma dichiarata incostituzionale e, quindi, inesistente sin dalla sua origine».

Tale principio mantiene validità anche per il caso in esame per effetto della pronuncia n. 40 del 2019 della Corte costituzionale.

L'illegalità della pena, nel caso in esame, impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Firenze.

7. Il secondo motivo di ricorso dell'imputato è fondato.

La corte territoriale nel confermare la misura di sicurezza dell'espulsione dal territorio dello Stato non si è attenuta a principi della giurisprudenza di questa Corte di legittimità, e non ha risposto in modo adeguato alla censura difensiva che rappresentava elementi, nel caso concreto, di valutazione ai fini del rispetto del divieto di refoulement.

In via generale, l'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato a pena espiata, prevista in ordine al reato di spaccio di sostanze stupefacenti (art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990) dall'art. 86, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, può essere applicata con la sentenza di condanna quando la pena irrogata superi i due anni di pena detentiva sola o congiunta a pena pecuniaria; in tal caso, il giudice di merito deve effettuare, in virtù della statuizione contenuta nella sentenza n. 58 del 1995 della Corte costituzionale, l'accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità sociale dello straniero. Peraltro, deve rammentarsi come in siffatta materia, la norma nazionale debba essere interpretata alla luce delle plurime fonti sovranazionali come interpretate dalla giurisprudenza della Cedu.

Questa Corte ha già in passato affermato che l'espulsione ex art. 86 d.P.R. cit. debba soggiacere ad un giudizio di compatibilità con i principi stabiliti dall'art. 8 CEDU, secondo cui l'espulsione - pur essendo espressione del potere di sovranità dello Stato - non deve comunque provocare ingiustificate ingerenze nella vita privata e famigliare perché la particolare forza di resistenza, rispetto alla normativa ordinaria successiva, della regola di cui all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, tende a premunire l'individuo contro ingerenze arbitrarie da parte dei pubblici poteri (Sez. 3, Sentenza n. 6707 del 12 gennaio 2016, Caushi, Rv. 266276-01; Sez. 3, n. 40104 del 19 febbraio 2015, Taulla, Rv 264804).

Più in particolare, e con riguardo allo specifico profilo che viene qui in rilievo, rilevano le disposizioni di rango sovranazionali, e segnatamente l'art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950, ove si afferma che nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti (diritto non derogabile in alcun caso, ai sensi del successivo art. 15).

Tale premessa è necessaria in considerazione della censura sollevata dal ricorrente, avendo allegato di essere titolare, l'imputato, di un permesso per protezione sussidiaria e di essere esposto a serio rischio nel paese di origine per l'incolumità in ragione del credo religioso.

Va, ancora, rammentato che in tema si è espressa la giurisprudenza civile di questa Corte che ha affermato l'irrilevanza della gravità del reato commesso nel paese ospitante, lì dove sussista come condizione ostativa alla espulsione, il serio rischio di inflizione della pena di morte, tortura o trattamenti inumani o degradanti (Sez. 6-1, Ordinanza n. 21667 del 20 settembre 2013, Rv. 627979-01), nel senso che in tema di protezione internazionale, l'espulsione coatta dello straniero costituisce violazione dell'art. 3 CEDU, relativo al divieto di tortura, ogni qualvolta egli, a causa del pericolo di morte, tortura o trattamenti inumani e degradanti che lo minaccino, non possa restare nello stesso e debba, pertanto, indirizzarsi verso altro Paese che lo possa ospitare.

Tale pronuncia si pone in linea con le numerose decisioni emesse, anche nei confronti dell'Italia, dalla Corte Edu che, a partire dal noto caso Saadi contro Italia, sent. del 28 febbraio 2008, i giudici della Corte Edu hanno affermato che l'espulsione coatta dello straniero da parte di uno Stato membro verso lo Stato di appartenenza costituisce violazione dell'art. 3 Cedu, ove sia verosimile che il soggetto espulso sia sottoposto in quel paese a trattamenti contrari all'art. 3 Cedu; e che, ai fini di tale valutazione, la Corte Edu ha ribadito che è ininfluente il tipo di reato di cui è ritenuto responsabile il soggetto da espellere, poiché dal carattere assoluto del principio affermato dall'art. 3 deriva l'impossibilità di operare un bilanciamento tra il rischio per l'incolumità e il motivo invocato per l'espulsione. Tali principi sono stati, peraltro, di recente ribaditi dalla Corte Edu in ulteriori casi riguardanti l'Italia (Toumi c. Italia del 5 aprile 2011) e in tempi più recenti nelle cause definite il 15 aprile 2015 (A.A. c. Francia e A.F. c. Francia).

Di fatti, a partire dagli anni '90, la Corte Edu, ha progressivamente riconosciuto e dato vita alla tutela dello straniero fondata sull'art. 3 Cedu e sul principio di non refoulement. Pur senza contestare il diritto dello Stato di gestire e controllare i flussi di ingresso e il soggiorno, l'espulsione di uno straniero verso un altro Stato può dar luogo alla responsabilità dello Stato, autore del provvedimento di allontanamento, qualora sussistano fondati motivi per ritenere che il soggetto in questione, se effettivamente espulso, sarebbe esposto al rischio di subire trattamenti contrari all'art. 3 nel Paese di destinazione. Non di meno, la stessa Corte ha avuto modo di precisare che chi invoca la protezione dell'art. 3 dovrà dimostrare di essere esposto a un rischio oggettivo, realistico e personale, di poter subire i trattamenti che tale norma proibisce. Pertanto, grava anzitutto sul ricorrente l'onere di provare in modo efficace la sussistenza del rischio di trattamenti contrari all'art. 3, che, tradotto sul piano dell'accertamento del giudice penale, comporterà la valutazione st[r]ingente delle allegazioni difensive. Valutazione che necessariamente dovrà essere preceduta dalla verifica della pericolosità sociale per effetto della pronuncia della Corte costituzionale n. 58 del 1995.

8. La sentenza impugnata, nel confermare la misura di sicurezza dell'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, ha pretermesso la valutazione, che le competeva, di verifica, in concreto, alla luce delle allegazioni difensive, se l'esecuzione della misura di sicurezza dell'espulsione avesse esposto l'imputato al rischi per la sua incolumità, come allegato, ritenendo superabile la valutazione della sussistenza delle condizioni che impediscono il refoulement, dalla ritenuta preminenza della pericolosità sociale dello stesso, valutazione che costituisce il primo presupposto da verificare, cui segue la valutazione della situazione soggettiva, come allegata nel caso concreto, della sussistenza di un divieto di espulsione, secondo la cornice normativa interna interpretata alla luce delle fonti sovranazionali.

9. Conclusivamente la sentenza impugnata va annullata limitatamente alla rideterminazione della pena e alla applicazione dell'espulsione dal territorio dello Stato, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Firenze, con conseguente irrevocabilità della presente sentenza per ciò che concerne l'accertamento del reato e della responsabilità.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e all'espulsione con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze.

Depositata l'8 maggio 2019.