Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
Catania, Sezione I
Sentenza 11 giugno 2019, n. 1426

Presidente: Savasta - Estensore: Sidoti

FATTO E DIRITTO

1. I ricorrenti hanno chiesto l'accertamento dell'inottemperanza del Comune di Catania rispetto all'obbligo di comunicare al Ministero della Giustizia un valido indirizzo di posta elettronica certificata, ove ricevere le comunicazioni e le notificazioni, al fine di farlo inserire nell'elenco di cui all'art. 16, comma 12, del d.l. 179/2012; hanno chiesto altresì l'accertamento della fondatezza dell'istanza/diffida presentata dagli stessi nei confronti del suddetto Comune nonché la condanna dell'amministrazione inadempiente a provvedere.

2. All'esito della camera di consiglio del 6 dicembre 2018, questo Tribunale, sezione I, con sentenza non definitiva n. 33 del 2019, ha dichiarato inammissibile il ricorso, dal momento che «l'istanza dei ricorrenti non aveva ad oggetto l'emissione di un provvedimento amministrativo che costituisse espressione di un pubblico potere, ma un comportamento dell'Amministrazione ossia la "comunicazione" della PEC al Ministero della Giustizia, sicché, a prescindere da qualsiasi ulteriore valutazione, nel caso, non può essere utilmente esperita l'azione sul silenzio della detta amministrazione ai sensi dell'art. 31 c.p.a. Ne consegue l'inammissibilità del ricorso ex art. 31 e 117 c.p.a., non venendo in questione un'omissione provvedimentale, in quanto non può qualificarsi quale "provvedimento" la pur dovuta comunicazione dell'indirizzo PEC al Ministero della Giustizia».

Ritenendone sussistenti i presupposti di ammissibilità, il Collegio ha tuttavia disposto la conversione dell'azione ai sensi del d.lgs. n. 198/2009 («azione per l'efficienza delle pubbliche amministrazioni, c.d. class action»), atteso che sostanzialmente i ricorrenti hanno contestato la violazione dei termini da parte del Comune nella comunicazione dell'indirizzo pec al Ministero della Giustizia ai sensi della normativa vigente (cfr. T.A.R. Roma, sez. II-quater, 6 settembre 2013, n. 8154); ciò anche ritenendo la coerenza del fine perseguito dai ricorrenti rispetto al vincolo teleologico impresso dal legislatore alla class action, configurata quale strumento di reazione alle inefficienze della p.a. "al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione". Questo Tribunale ha altresì disposto, ai fini della procedibilità con l'azione come convertita: «a) la pubblicazione del ricorso sul sito istituzionale a carico dell'Amministrazione intimata nel termine di giorni 30 decorrenti dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, della presente sentenza e nello stesso termine b) le comunicazioni previste dalla normativa in esame a carico delle parti tenute alle stesse per legge».

3. Nelle more della fissazione dell'udienza pubblica, il 3 aprile 2019, si è costituito il Comune di Catania, che ha esposto di aver ottemperato sia a quanto disposto dalla predetta sentenza - mediante la pubblicazione sul proprio sito istituzionale del ricorso in oggetto -, sia all'obbligo di inserimento dell'indirizzo PEC nel Registro delle Pubbliche Amministrazioni, ai sensi dell'art. 16, comma 12, d.l. 179/2012; ha quindi chiesto la dichiarazione della cessata materia del contendere.

3.1. Gli odierni ricorrenti, nella memoria di replica, pur aderendo alla richiesta di dichiarazione della cessata materia del contendere, hanno insistito per la condanna del Comune alle spese, previo accertamento della fondatezza delle pretese dedotte in giudizio.

4. Alla pubblica udienza del 23 maggio 2019 il ricorso è stato posto in decisione.

5. I ricorrenti - associazioni di avvocati e singoli avvocati amministrativisti - lamentano una lesione ascrivibile alla mancata comunicazione da parte del Comune di Catania della PEC al Ministero della Giustizia per la tenuta presso l'apposito registro nel termine di legge. Ciò li obbligherebbe "a procedere alla notifica cartacea, ad asseverarne la copia per procedere poi al deposito telematico, con notevole dispendio di tempo e di denaro".

Pur rinviandosi, per il principio di sinteticità, a quanto già affermato da questo T.A.R. con la sentenza non definitiva cit., si ribadisce sia la legittimazione delle associazioni ricorrenti (Associazione "Unione Nazionale degli Avvocati Amministrativisti" e l'Associazione "Camera Amministrativa Siciliana"), in quanto rappresentative, per statuto, anche dello specifico interesse asseritamente leso dal Comune con la mancata comunicazione dell'indirizzo PEC che la legittimazione dei singoli avvocati (amministrativi) ricorrenti per le ragioni dagli stessi spiegate in ricorso.

Quanto alla condizione rappresentata dall'interesse ad agire, anch'essa è stata ritenuta sussistente in quanto, nella diffida del 26 ottobre 2017, i ricorrenti rappresentavano "che il mancato inserimento dell'indirizzo PEC nel suddetto registro non consente agli avvocati di procedere alla notifica telematica tramite PEC, ma li obbliga a procedere alla notifica cartacea, ad asseverarne la copia per procedere poi al deposito telematico, con notevole dispendio di tempo e di denaro"; tale indicazione è stata ritenuta sufficiente per identificare l'interesse delle parti, concernente la possibilità di comunicare per via telematica con le pubbliche amministrazioni, beneficiando delle relative economie; l'interesse è stato riconosciuto sussistente anche in capo alle associazioni in quanto implicito negli stessi requisiti di adeguata rappresentatività che ne fondano la legittimazione ad agire.

6. Nel merito la controversia investe l'accertamento della violazione dei termini fissati dalla legge per la comunicazione da parte del Comune dell'indirizzo pec al Ministero della Giustizia, con conseguente lesione degli interessi di cui sono portatori i ricorrenti.

7. Va accolta la richiesta di cessazione della materia del contendere avanzata dalle parti.

Infatti, sulla cessazione della materia del contendere, prevista dall'art. 34, comma 5, c.p.a., il Collegio ritiene di non discostarsi da consolidati principi giurisprudenziali, di seguito compendiati: «a. può essere pronunciata nel caso in cui il ricorrente abbia ottenuto in via amministrativa il bene della vita atteso (cfr. C.d.S., sez. V, 7 maggio 2018, n. 2687), sì da rendere inutile la prosecuzione del processo stante l'oggettivo venir meno della lite (cfr. C.d.S., sez. III, 22 febbraio 2018, n. 1135; sez. IV, 22 gennaio 2018, n. 383; sez. IV, 7 maggio 2015, n. 2317); b. si differenzia dalla sopravvenuta carenza di interesse ex art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a. che, invece, si verifica quando l'eventuale accoglimento del ricorso non produrrebbe più alcuna utilità al ricorrente, facendo venir meno la condizione dell'azione dell'interesse a ricorrere (C.d.S., sez. IV, 24 luglio 2017, n. 3638); c. è caratterizzata dal contenuto di accertamento nel merito della pretesa avanzata e dalla piena soddisfazione eventualmente offerta dalle successive determinazioni assunte dall'amministrazione (C.d.S., sez. IV, 20 novembre 2017, n. 5343; sez. IV 28 marzo 2017, n. 1426)».

7.1. Nel caso, non è controverso l'inserimento da parte del Comune di Catania della PEC nell'apposito elenco a seguito dell'instaurazione del presente ricorso e pertanto le pretese dei ricorrenti hanno ottenuto piena soddisfazione, come dagli stessi affermato, concordando le parti sulla richiesta di declaratoria di cessata materia del contendere.

8. Venendo all'accertamento della fondatezza della pretesa di parte ricorrente, su cui insiste quest'ultima, anche ai fini della condanna alle spese (c.d. soccombenza virtuale), merita di essere in questa sede ricostruito, per via della novità e della rilevanza della questione sottoposta al Collegio, il quadro normativo regolatorio della materia.

L'art. 14 d.m. n. 40/2016, ai commi 1 e 2, dispone che, nel processo amministrativo, le notificazioni di atti processuali alle amministrazioni non costituite in giudizio possono essere eseguite dalle altre parti a mezzo PEC e, in tal caso, la notifica è eseguita agli indirizzi PEC di cui all'art. 16, comma 12, d.l. 179/2012.

Contestualmente, l'art. 16-ter d.l. n. 179/2012 (novellato dall'art. 45-bis d.l. 90/2014) nell'indicare i pubblici elenchi di indirizzi PEC utilizzabili per le comunicazioni e notificazioni, non menziona più il registro IPA di cui all'art. 16, comma 8, d.l. n. 185/2008.

Ne discende che, ai fini della notifica telematica di un atto processuale ad un'amministrazione pubblica, potranno utilizzarsi esclusivamente gli indirizzi PEC inseriti nell'apposito registro tenuto dal Ministero della Giustizia al quale, ai sensi del predetto art. 16, comma 12, gli enti avrebbero dovuto darne comunicazione entro il 30 novembre 2014 (in argomento v. C.G.A.R.S., 12 aprile 2018, n. 216, T.A.R. Catania, sez. II, 4 dicembre 2017, n. 2806; T.A.R. Catania, sez. III, 13 ottobre 2017, n. 2401; T.A.R. Basilicata, 21 settembre 2017, n. 607).

Pertanto, stante l'inequivocabile tenore letterale dell'art. 16-ter d.l. 179/2012, nell'ipotesi in cui l'Amministrazione non si sia dotata di un indirizzo PEC ai sensi dell'art. 16, comma 12, d.l. 179/2012, la notifica non potrà essere alternativamente effettuata presso l'indirizzo estratto dal registro IPA, reso non più valido dal legislatore, ma dovrà essere eseguita esclusivamente mediante le tradizionali modalità cartacee (cfr. T.A.R. Catania, sez. I, 30 ottobre 2018, n. 2059; T.A.R. Catania, sez. II, 20 luglio 2018, n. 1557, C.G.A.R.S., 12 aprile 2018, n. 216).

Occorre sottolineare che la comunicazione al Ministero della Giustizia dell'indirizzo PEC, di cui all'art. 16, comma 12, d.lgs. 179/2012, è richiesta dal legislatore alle Amministrazioni al dichiarato fine di "favorire le comunicazioni e notificazioni per via telematica alle pubbliche amministrazioni" (v. art. 16, comma 12, d.lgs. 179/2012). È di tutta evidenza come il contegno omissivo serbato dall'Amministrazione rispetto all'obbligo di comunicazione dell'indirizzo PEC sancito dalla predetta norma, pur non precludendo radicalmente la notifica dell'atto processuale (residualmente possibile, infatti, mediante le tradizionali modalità cartacee), vanifichi il raggiungimento degli obiettivi di digitalizzazione della giustizia posti dal legislatore, rispetto ai quali la telematizzazione delle comunicazioni funge da fattore trainante. Una tale inerzia, come puntualmente rappresentato nella diffida del 26 ottobre 2017, non potendo trovare ammissibile giustificazione in ragioni di carattere organizzativo, si riverbera d'altra parte negativamente sulla generalità degli operatori del processo amministrativo. Costoro, che prima della novella del 2014 avrebbero potuto comunque giovarsi di una modalità di comunicazione telematica rappresentata dalla notifica presso l'indirizzo PEC estratto dal registro IPA, attualmente, in caso di inerzia della PA nella comunicazione dell'indirizzo ex art. 16, comma 12, cit., potranno ricorrere esclusivamente alle tradizionali modalità di notifica cartacee, con un aggravio in termini materiali ed economici e in spregio alla normativa vigente e in particolare all'art. 16, comma 12, del d.lgs. 179/2012.

Al riguardo, in questa sede, si condividono le seguenti argomentazioni addotte dal C.G.A.R.S. nella sentenza del 12 aprile 2018, n. 216: «7. Ai fini della decisione da adottare il Collegio ritiene che si debbano prendere le mosse dalla lettura degli articoli 24, 113 e 97 della Costituzione, nonché dell'art 6 della CEDU ove sono previsti i diritti inviolabili della difesa in giudizio nonché il principio di buon andamento ovvero il diritto dei cittadini a una buona amministrazione. Posta la previsione costituzionale dei ricordati diritti inviolabili, può dirsi che incombe su tutti gli operatori pubblici il dovere di comportarsi in maniera da renderne agevole l'esercizio e di rimuovere tutti gli ostacoli che, al contrario, lo rendono difficile. Ciò a maggior ragione deve avvenire quando il diritto di difesa viene esercitato nell'ambito di un rapporto, in cui una delle parti (nel caso considerato la pubblica amministrazione) gode di un regime privilegiato, che si manifesta (oltre che per l'esecutorietà e l'autotutela) per il fatto che i suoi atti diventano inoppugnabili quando nei loro confronti non si reagisca in un tempo prestabilito, talvolta breve». In quella stessa occasione, il C.G.A.R.S. ha osservato come «la condotta colpevole dalla pubblica amministrazione, che omette di comunicare il proprio indirizzo PEC al Ministero della giustizia, così rendendo più difficoltosa la notifica, se non determina, per la controparte, nullità insanabile della notifica e ne giustifica la rinnovazione, va tuttavia stigmatizzata, con la segnalazione della condotta agli organi tutori e agli organi preposti al PCT e al PAT».

Per ragioni di completezza, come sottolineato dallo stesso C.G.A. nella citata sentenza, va aggiunto che una simile omissione sortisce inoltre «un effetto di fatto "escludente" di quell'amministrazione dal processo, perché potrà ricevere le comunicazioni e notificazioni successive alla notifica del ricorso introduttivo solo mediante deposito nella segreteria del giudice (sicché potrebbe non venirne mai a conoscenza) e perché non è consentito comunicare con il sistema della giustizia amministrativa, per ragioni di sicurezza, se non tramite indirizzi PEC contenuti nei registri tenuti dal Ministero della giustizia».

9. Tanto premesso, il Collegio osserva come, alla data dell'introduzione del ricorso, il Comune versasse in oggettivo e persistente stato di inadempienza rispetto all'obbligo di comunicazione del predetto indirizzo PEC nelle tempistiche indicate dalla normativa sopra citata (id est: entro il 30 novembre 2014). Trattandosi di mera «violazione di termini» ai sensi dell'art. 1 del d.lgs. 198/2009 e non occorrendo ulteriori indagini da parte di questo Collegio, considerata l'assenza di margini di discrezionalità in capo alla P.A. intimata, è possibile dichiarare la fondatezza della pretesa di parte ricorrente, per come dedotta sia nella diffida del 26 ottobre 2017 che nel ricorso.

Nel caso di specie, come sopra detto, tale pretesa può dirsi pienamente appagata, considerato che, in corso di causa, l'amministrazione ha documentato di aver trasmesso il suddetto indirizzo pec, depositando, tra l'altro, la pec del Ministero della Giustizia dell'11 marzo 2019 (per la sostituzione del soggetto incaricato alla comunicazione) e la schermata del sito (aggiornato al 2 aprile 2019) da cui risulta la pec valida ai fini delle notifiche (atti comunque posteriori all'introduzione del presente giudizio).

10. Al Collegio non rimane quindi che dare atto della cessazione della materia del contendere, mentre le spese seguono la soccombenza virtuale, come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara la cessazione della materia del contendere.

Condanna il Comune di Catania al pagamento delle spese legali in favore di parte ricorrente, che liquida in complessivi euro 1.500,00, oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

M.N. Bugetti

Amministrazione di sostegno

Zanichelli, 2024

L. Iacobellis

Schemi di diritto tributario

Neldiritto, 2024

M. Di Pirro

Compendio di diritto civile

Simone, 2024