Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Sezione I
Sentenza 14 giugno 2019, n. 7759

Presidente: Correale - Estensore: Ravasio

FATTO

1. Alla ricorrente, giudice di pace, è stata irrogata la sanzione disciplinare dell'ammonimento: è risultato, infatti, che in oltre 80 ricorsi ex l. 689/1981 essa ha fissato la prima udienza di "comparizione parti" prima che fosse decorso il termine minimo di 90 giorni previsto dalla legge, così riducendo il termine a difesa per le amministrazioni: il provvedimento sanzionatorio, in particolare, si fonda sulla constatazione che l'addebito è stato sostanzialmente ammesso, nella sua oggettività, dalla interessata, la quale si è giustificata deducendo che non c'era mai stato dolo o intento di nuocere alle amministrazioni, ma solo la convinzione che si dovesse applicare il termine ordinario previsto dal codice di rito per le cause di competenza del giudice di pace, dimezzato; nel provvedimento si afferma inoltre che il comportamento assume rilevanza disciplinare in quanto la colpevole ignoranza della normativa da applicare ha minato il prestigio della magistratura.

La ricorrente ha impugnato l'indicato provvedimento, deducendone la illegittimità per i seguenti motivi:

a) violazione degli artt. 101 e 102 Cost., dell'art. 2, comma 2, del d.lgs. 109/2006 e dell'art. 9 della l. 374/199[1], per aver irrogato la sanzione in conseguenza di un comportamento tenuto dalla ricorrente nell'esercizio della funzione giurisdizionale e costituente interpretazione della legge: l'attività di interpretazione delle leggi non costituisce mai illecito disciplinare, ex art. 2, comma 2, d.lgs. 109/2006, salvo che sia espressione di dolo o di grave e colposa ignoranza della legge, nel qual caso l'irrogazione di una sanzione disciplinare è ammissibile solo se siasi tradotta in un danno per la parte, anche in conseguenza della eventuale mancanza di strumenti processuali, idonei a porre rimedio all'errore;

b) violazione dell'art. 3 l. 241/1990, difetto di motivazione sulle ragioni per cui il comportamento tenuto dalla ricorrente avrebbe leso il prestigio della magistratura;

c) eccesso di potere per travisamento, non avendo il CSM valutato l'assenza di qualsiasi violazione dell'art. 23 della l. n. 689/1981, dal momento che nessuna delle amministrazioni ha mai eccepito la violazione del termine di prima comparizione, circostanza questa che farebbe venir meno, ab origine, la violazione di legge.

Il Consiglio Superiore della Magistratura ed il Ministero della Giustizia si sono costituiti in giudizio per resistere al ricorso, che è stato chiamato ed introitato in decisione alla pubblica udienza del 27 marzo 2019.

DIRITTO

4. Il ricorso non merita favorevole valutazione.

5. Il primo motivo va respinto sul rilievo che, con la sanzione oggetto del presente giudizio, la ricorrente non è stata punita per come ha deciso e condotto determinati giudizi, quanto piuttosto per il fatto che ha dimostrato di non conoscere adeguatamente le norme applicabili ad un tipo di contenzioso frequente innanzi al giudice di pace, e cioè quello generato dalle opposizioni alle ordinanze-ingiunzione di pagamento di sanzioni pecuniarie, controversie alle quali essa ha applicato il termine ordinario per la prima udienza di comparizione, disattendendo una norma specifica prevista nella l. 689/1981. Tale condotta, nella sua oggettività, non è stata contestata dalla ricorrente, che invece l'ha ammessa, giustificandola con il fatto che in alcun giudizio era mai stata sollevata la relativa eccezione e che pertanto si era creata la convinzione che la applicazione dell'ordinario termine di prima comparizione fosse corretta.

5.1. La valutazione del CSM, secondo cui, così facendo, la ricorrente è incorsa in mancanza di diligenza e ciò ha messo in dubbio la credibilità della funzione giurisdizionale, appare ragionevole, tenuto conto del numero degli affari interessati da tale errore e del relativamente lungo periodo di tempo durante il quale la condotta si è protratta (circa un anno). Va precisato, in particolare, che il fatto che non sia mai stata eccepita formalmente la violazione dell'art. 23 della l. 689/1981, e del termine minimo per la prima comparizione delle parti, non significa affatto che le parti non si siano rese conto dell'errore, sul quale hanno taciuto magari solo per ragioni eminentemente pratiche; tale prassi, inoltre, può aver contribuito a causare nell'ambito del foro dubbi sul termine da osservare; tutto ciò può quindi aver compromesso, nel foro stesso e negli utenti dell'ufficio, la credibilità della preparazione giuridica del magistrato, e con essa la credibilità della magistratura e della relativa funzione. Non sussistono dunque gli estremi per sindacare oltre il giudizio del CSM, sindacato che, essendo manifestazione di lata discrezionalità, risulta ammissibile solo ove risulti viziato da macroscopico travisamento o illogicità.

6. Infondato è pure il secondo motivo: il provvedimento impugnato, infatti, esplicita in maniera sufficientemente chiara le ragioni della sanzione, che riposano, da una parte, sulla stessa ammissione della ricorrente di aver fatto applicazione di una norma di rito non pertinente, d'altra parte sulla considerazione che tale situazione ha evidenziato una mancanza di diligenza del magistrato, che ha ridondato a danno della magistratura in generale.

7. Con l'ultimo motivo di ricorso la ricorrente si dilunga ad argomentare che, non essendo stata mai sollevata eccezione di parte, relativamente alla violazione del termine di comparizione per la prima udienza, non si sarebbe mai consumata alcuna violazione dell'art. 23 della l. 689/1981: in disparte le osservazioni sopra riportate, nel merito, su tale affermazione, va sottolineato che la violazione della norma, in sé, non è il cuore del problema, che è invece rappresentato dal fatto che il reiterato e ripetuto errore ha potuto prodursi, evidentemente, solo a causa di negligenza nell'aggiornamento professionale, e che tale negligenza, percepita dal foro e dalla utenza, ha compromesso l'immagine ed il prestigio della magistratura in generale.

8. Il ricorso va conclusivamente respinto.

9. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore delle resistenti Amministrazioni, delle spese del giudizio, che si liquidano in E. 2.000,00 (euro duemila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la ricorrente.