Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 29 luglio 2019, n. 5324

Presidente: Santoro - Estensore: Ponte

FATTO

Con l'appello in esame le odierne parti appellanti impugnava la sentenza n. 4959 del 2013 con cui il Tar Lazio aveva respinto gli originari gravami; questi ultimi erano stati proposti dalle stesse imprese avverso gli atti del procedimento all'esito del quale, con provvedimenti del 12 giugno 2012, il GSE aveva considerato ciascuna di esse "rinunciatarie" ai benefici derivanti dalle convenzioni CIP6, ai sensi dell'art. 15 d.lgs. n. 79 del 1999, disponendo altresì la cessazione dell'erogazione dei pertinenti incentivi.

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante censurava le argomentazioni della sentenza impugnata e formulava i seguenti motivi di appello:

- violazione dell'art. 21-sexies l. n. 241 del 1990 e dei principi in materia di esecuzione, risoluzione e recesso dal contratto, errore nei presupposti, ingiustizia manifesta;

- erroneità nei presupposti, omessa pronuncia, contraddittorietà;

- insussistenza dell'effetto decadenziale dell'omessa formale trasmissione all'Autorità entro il termine di entrata in esercizio dell'impianto della prova dell'avvio della sua realizzazione e conseguenti violazioni dell'art. 15 d.lgs. 79/1999, 1 ss. l. 241 cit., 3, 41 s., 97 Cost., nonché della disciplina europea e diversi profili di eccesso di potere;

- inapplicabilità dei termini di cui all'art. 15, comma 1, cit. agli impianti oggetto di delocalizzazione delle quote di potenza incentivate ai sensi del cip 6 e connesse violazioni;

- omessa adeguata considerazione da parte del Tar del legittimo affidamento e relativa violazione, errore sui presupposti, contraddittorietà ed ingiustizia manifesta;

- omessa motivazione sul rapporto fra gli incentivi del cip 6 e i certificati verdi, nonché indebita ed irragionevole compressione dei diritti economici delle imprese;

- omessa pronuncia sui vizi relativi ai provvedimenti impugnati con i ricorsi originari, aventi carattere preparatorio ma altresì portata soprassessoria dei pagamenti.

Il Gestore e le Autorità appellate si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto dell'appello.

Con ordinanza n. 3021/2013 veniva respinta la domanda cautelare di sospensione dell'esecutività della sentenza appellata.

Alla pubblica udienza di smaltimento del 23 luglio 2019 la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. La presente controversia ha ad oggetto l'esito lesivo, per le appellanti, dell'iter avviato dal Gse nell'ottobre del 2011 in relazione a una pretesa discordanza tra la data di entrata in esercizio degli impianti stessi ai fini dell'incentivazione CIP 6 rispetto a quella dichiarata, ai fini dell'ottenimento dei cc.dd. CV, in sede di riconoscimento della qualifica IAFR (impianto alimentato da fonti rinnovabili).

2. La delibazione delle censure dedotte impone un breve excursus della disciplina oggetto di applicazione, invero correttamente ricostruito - quantomeno in linea generale - dallo stesso Giudice di prime cure.

In tema di incentivazioni in regime CIP 6/92, quale norma transitoria in materia di fonti rinnovabili il comma 1 dell'art. 15 del d.lgs. n. 79 del 1999, come modificato dai commi 74 e 75 dell'art. 1 della l. n. 239 del 2004 (con una modifica già reputata rilevante dalla sezione in termini di ratio legis, seppure in via di obiter dictum in quanto non applicabile in quel caso ratione temporis: cfr. sent. n. 3032/2016), prevede: "1. La decorrenza delle incentivazioni concernenti i provvedimenti di cui all'articolo 3, comma 7, della legge 14 novembre 1995, n. 481, è improrogabilmente stabilita nelle convenzioni stipulate con l'ENEL S.p.a. prima della data di entrata in vigore del presente decreto. I soggetti, diversi da quelli di cui al terzo periodo, che non rispettino la data di entrata in esercizio dell'impianto indicata nella convenzione, fatto salvo ogni onere ivi previsto, sono considerati rinunciatari. I soggetti destinatari di incentivi relativi alla realizzazione di impianti alimentati esclusivamente da fonti rinnovabili che non rispettino la data di entrata in esercizio dell'impianto indicata nella convenzione e nelle relative modifiche e integrazioni sono considerati rinunciatari qualora non abbiano fornito idonea prova all'Autorità per l'energia elettrica e il gas di avere concretamente avviato la realizzazione dell'iniziativa mediante l'acquisizione della disponibilità delle aree destinate ad ospitare l'impianto, nonché l'accettazione del preventivo di allacciamento alla rete elettrica formulato dal gestore competente, ovvero l'indizione di gare di appalto o la stipulazione di contratti per l'acquisizione di macchinari o per la costruzione di opere relative all'impianto, ovvero la stipulazione di contratti di finanziamento dell'iniziativa o l'ottenimento in loro favore di misure di incentivazione previste da altre leggi a carico del bilancio dello Stato. I soggetti beneficiari che abbiano adempiuto l'onere di cui al terzo periodo non sono considerati rinunciatari e perdono il diritto alle previste incentivazioni nei limiti corrispondenti al ritardo accumulato. In caso di motivato ritardo rispetto alla data predetta il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, ferma rimanendo la decorrenza delle incentivazioni, può concedere una proroga non superiore a due anni a fronte di un coerente piano di realizzazione".

Giova riportare anche le restanti parti della norma recante la disciplina transitoria in esame, a fini di completezza anche per il caso di specie:

"2. Al fine di definire un quadro temporale certo delle realizzazioni, è fatto obbligo ai soggetti beneficiari delle suddette incentivazioni di presentare all'Autorità per l'energia elettrica e il gas, per gli impianti non ancora entrati in esercizio entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le autorizzazioni necessarie alla costruzione degli impianti medesimi, rilasciate entro la data suddetta. Fermo restando il termine ultimo di cui al primo periodo per l'ottenimento delle autorizzazioni, il mancato adempimento a tale obbligo entro il 31 dicembre 2002 comporta la decadenza da ogni diritto alle incentivazioni medesime.

3. Su motivata richiesta dei soggetti di cui al comma 1, con decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, previo parere favorevole degli enti locali competenti, la localizzazione degli impianti previsti nelle convenzioni di cui al medesimo comma può essere modificata a condizione che la funzionalità della rete elettrica nella nuova area interessata non risulti pregiudicata. La richiesta non sospende alcuno dei termini di cui ai commi 1 e 2 e, nel caso di rinuncia a ogni incentivo pubblico, è accolta, anche in assenza di motivazioni, e comunicata all'Autorità per l'energia elettrica e il gas, a condizione che siano stati espressi i pareri favorevoli dei predetti enti locali.

4. I soggetti di cui al comma 1 che, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, rinunciano espressamente alle facoltà e agli obblighi sottoscritti negli atti di convenzione non sono soggetti ad alcuna sanzione.

5. Fatte salve le disposizioni che disciplinano la localizzazione, la costruzione e l'esercizio di impianti di recupero di rifiuti, per gli stessi impianti la localizzazione prevista nelle convenzioni di cui al comma 1 può essere modificata previa comunicazione dei soggetti interessati al Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, e previo parere favorevole degli enti locali competenti per territorio. Con le stesse modalità i produttori che, per documentati motivi tecnici, non soddisfino i limiti di potenza dedicata stabiliti in tali convenzioni possono trasferire in altro sito le quote di potenza elettrica non producibili nel sito originario. La comunicazione non sospende alcuno dei termini di cui ai commi 1 e 2".

3. Anche in termini di ricostruzione della vicenda, in fatto, la sentenza impugnata appare coerente alle risultanze documentali.

Nel caso di specie, le società ICQ Holding e Romagna Energia, ciascuna titolare di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile alimentato a biogas da discarica, l'uno ubicato in Firenzuola (ICQ) e l'altro in Cesena (RE), hanno ottenuto l'ammissione ai benefici di cui al provvedimento CIP 6/1992 in relazione a una quota dell'energia prodotta (essendo la rimanente parte incentivata attraverso il meccanismo dei certificati verdi, cc.dd. CV).

In particolare, i diritti ai benefici CIP 6, derivanti da una convenzione preliminare stipulata il 12 dicembre 1996 tra Ambiente s.p.a. ed Enel (per la cessione di 22,4 MWe di energia da fonte rinnovabile prodotta da un impianto alimentato a rifiuti sito nel comune di Mantova), venivano trasferiti alla società Pentesilea, la quale presentava, in data 28 aprile 2003, un'istanza di "delocalizzazione" della produzione energetica convenuta presso un impianto sito in Monopoli (BA) e una domanda di proroga di 24 mesi del termine stabilito per l'entrata in esercizio, dal 30 giugno 2003 al 30 giugno 2005. Le richieste venivano accolte (con d.m. 29 maggio 2003) e l'impianto di Monopoli entrava in esercizio il 22 luglio 2004. In conseguenza della documentata impossibilità di immettere in rete tutta l'energia oggetto di convezione, la titolare cedeva l'eccedenza (pari a 11,4 MWe) ad altre società perché venisse dislocata in altri siti. Una quota di tale eccedenza perveniva a ICQ, che con nota data del 4 maggio 2005 chiedeva un'ulteriore delocalizzazione in favore degli impianti (parimenti alimentati a rifiuti) di Catania, Imola, Firenzuola e Cesena. Con atto del 3 gennaio 2006 ICQ cedeva a Romagna Energia lo stabilimento di Cesena. Quindi le società hanno domandato l'erogazione di CV per la quota eccedente la produzione CIP 6 (0,125 MWe per Imola e 0,635 MWe per Cesena) ed hanno fruito di questi ultimi incentivi per circa cinque anni. Veniva stipulata la convenzione cip 6/92 con Gse in data 14 febbraio 2006.

Diversi anni dopo, all'esito di una verifica ispettiva intrapresa presso l'impianto di Imola, il GSE (nota 17 novembre 2011) avviava un'interlocuzione con la società ICQ intesa a chiarire alcuni dati concernenti le proprie iniziative, in riscontro della quale, circa la presunta discordanza rilevata tra la data di entrata in esercizio dei rispettivi impianti (ICQ 27 giugno 2005 e RE 24 giugno 2005) e quella dichiarata in sede di riconoscimento della qualifica IAFR (ICQ dicembre 2005 e RE ottobre 2005).

Non condividendo la prospettazione delle odierne appellanti il Gse, sulla scorta di una interpretazione più rigorosa dell'art. 15 cit., considerava le imprese rinunciatarie della convenzione cip 6/92 stipulata in data 14 febbraio 2006, cessava l'erogazione degli incentivi e prospettava il recupero di quanto indebitamente erogato.

4. Dinanzi a questo condiviso quadro di riferimento, a risultare erronea nella sentenza appellata è la fase applicativa dei principi e delle norme invocate, nei termini compiutamente censurati da parte appellante in parte qua.

Infatti l'appello è fondato sotto gli assorbenti motivi concernenti la violazione dell'affidamento delle imprese nonché il difetto di motivazione in ordine agli elementi forniti dalle stesse in sede procedimentale rispetto alla norma di riferimento, contenuta nell'art. 15 d.lgs. 79/1999 cit.

4.1. A fronte della rivalutazione, a diversi anni di distanza dal positivo esito (conclusosi con la stipula della relativa convenzione), della effettiva spettanza dei benefici, già erogati ed in corso di erogazione, il potere esercitato non può che qualificarsi in termini di autotutela, cui conseguono una serie di principi e regole che il titolare del potere autoritativo in essere è chiamato a rispettare. E nel caso di specie non appaiono essere stati adeguatamente considerati, né tantomeno applicati, i principi che impongono una adeguata valutazione non solo dell'interesse pubblico - essendo insufficiente il mero presunto ripristino della legalità - ma anche della situazione del soggetto titolare della situazione giuridica in precedenza positivamente rilasciata.

All'esito della successiva verifica, dopo diversi anni, di un elemento considerato fondante la già avvenuta positiva conclusione della stipula della convenzione, con conseguente rilascio dei benefici per il medesimo lungo tempo, non è corretta la qualificazione in termini di mere rinunciatarie delle imprese beneficiarie: i provvedimenti in contestazione hanno dato luogo ad una vera e propria decadenza e revoca in autotutela di atti ed effetti favorevoli, a fronte di una diversa valutazione delle originarie risultanze procedimentali, svolte attraverso una vera e propria nuova istruttoria, all'esito della quale l'elemento temporale, reputato dirimente, è stato valutato in termini opposti.

In proposito, assumono specifico ulteriore rilievo, nei termini di mancata adeguata valutazione nell'esercizio di un potere di autotutela, anche il dimostrato mutamento della prassi favorevole, che a suo tempo aveva consentito l'esito positivo con la conclusione della convenzione, nonché dell'impossibilità, per le stesse imprese interessate di seguire strade alternative (i cc.dd. certificati verdi) fra quelle che, proprio al fine di incentivare impianti del genere, l'ordinamento prevede.

4.2. In linea generale, pur se non è applicabile ratione temporis il termine massimo di diciotto mesi per l'esercizio dei poteri di autotutela successivamente introdotto dal legislatore, per l'esercizio dei poteri di revisione in questione è pur sempre richiesta la sussistenza di alcuni fondamentali presupposti, ovvero l'illegittimità dell'atto sul quale si interviene, un interesse pubblico all'autotutela, che pacificamente non si riduce al mero interesse a ristabilire la legalità, e una comparazione di tale interesse con quello privato al mantenimento dell'efficacia dell'atto, che deve risultare, all'esito, meritevole di minor tutela.

In linea generale, i poteri di riesame ed autotutela sono lo strumento con il quale, a mezzo di un processo di rivalutazione e riesame critico della propria attività provvedimentale, la Pubblica amministrazione corregge - annullandola, revocandola o modificandola - l'azione amministrativa fino a quel momento svolta, per consentire il migliore perseguimento in concreto dell'interesse pubblico di cui è depositaria; questo intervento in autotutela è infatti espressione di un potere generale attribuito alla Pubblica amministrazione che, una volta adottato un atto amministrativo, può sempre tornare sui propri passi ponendo in essere una riedizione del potere originariamente esercitato, soggiacendo peraltro ai limiti imposti ora in via anche normativa (dall'art. 21-nonies l. 7 agosto 1990, n. 241) per cui, al fine di procedere alla revoca ed all'annullamento d'ufficio di un atto amministrativo, necessita un triplice ordine di presupposti, e cioè che l'atto sia illegittimo, sussistano ragioni di interesse pubblico che ne giustifichino il ritiro, il tutto avvenga entro un termine ragionevole, nonché venga svolta la considerazione degli interessi dei destinatari del provvedimento viziato (cfr. ex multis C.d.S., sez. VI, 27 gennaio 2017, n. 341).

4.3. Né vi sono ragioni ostative all'applicazione di tali principi generali, fondanti dei corretti rapporti fra poteri autoritativi e soggetti privati, alle autorità indipendenti ed ai procedimenti del settore energetico, specie nel caso di imprese che, esercitando attività di iniziativa economica in coerenza ai diritti già riconosciuti a livello costituzionale (ex art. 41 in primo luogo), devono essere messe in condizione di agire, in rapporto a poteri di carattere latu sensu regolatorio quali quelli facenti capo alle Autorità odierne appellate, con adeguati elementi di certezza, anche in relazione alla sostenibilità degli investimenti effettuati.

In proposito, va ricordato come la sezione abbia avuto già modo, in linea generale, di esprimere una visione più ampia in materia, tale da imporre il rispetto doveroso delle garanzie previste a tutela dei soggetti coinvolti dall'esercizio di delicati poteri regolatori (cfr. ad es. C.d.S., sez. VI, 20 marzo 2015, n. 1532); infatti, il carattere del tutto fondante che il rispetto della legalità in senso procedimentale riveste nell'ambito della legittimazione dell'esercizio delle attività di regolazione delle Autorità indipendenti non ammette lo svolgimento ex post di un giudizio controfattuale (o di prognosi postuma) circa gli esiti che la pur doverosa partecipazione avrebbe prodotto laddove fosse stata correttamente ammessa.

Un siffatto approccio può essere compatibile con il principio di strumentalità delle forme che, nell'attuale evoluzione dell'ordinamento amministrativo, accompagna il dibattito sul rilievo che le omissioni di carattere meramente procedimentale sortisce sull'atto finale nell'ambito delle attività amministrative - per così dire - «tipiche».

Al contrario, gli esiti del medesimo approccio non possono essere sic et simpliciter traslati nel diverso settore dell'esercizio dell'attività di regolazione delle Autorità indipendenti, nel cui ambito il corretto, doveroso e diligente esercizio dell'interlocuzione procedimentale ex ante costituisce di per sé una delle condizioni (non eliminabili e non sostituibili) di conformità a Costituzione dello stesso modello regolatorio prima ancora che di conformità a legge del suo concreto esercizio. Ne consegue che il mancato rispetto delle richiamate garanzie e regole procedimentali determini ex se l'illegittimità dell'atto regolatorio finale, senza che sia possibile invocare il ricorso al richiamato giudizio di carattere controfattuale.

4.4. Applicando tale "visione" fondamentale al caso in esame, appare logica conseguenza ritenere che anche l'esercizio di poteri di revisione del precedente assenso regolatorio debbano essere esercitati nel rispetto dei principi dettati, in generale per le tradizionali autorità, con riferimento al potere di autotutela. Ciò non solo con riferimento al formale rispetto dei presupposti, ma anche relativamente alla verifica istruttoria e motivazionale degli elementi forniti dai soggetti passivi, sia in relazione ai presupposti iniziali sia rispetto alle alternative che le stesse società avrebbero potuto perseguire, in specie dinanzi al mutamento di interpretazione dell'autorità.

A quest'ultimo proposito, proprio i soggetti dotati di potere regolatorio hanno uno specifico onere di garanzia della certezza delle regole che sono chiamate a dettare ed applicare in relazione al delicato settore di intervento, che non possono non ricadere sul versante della considerazione dell'affidamento ingenerato nelle imprese del medesimo settore.

A fronte delle peculiarità della presente fattispecie, non è applicabile l'invocata regola dell'immanenza del potere di verifica della spettanza degli incentivi, riguardante il diverso aspetto della permanenza dei presupposti per gli stessi incentivi nel corso dello svolgimento dell'attività. Trattandosi di rapporti destinati a durare nel tempo è ben logico che alle autorità sia garantito tale potere di vigilanza e di verifica, che tuttavia non può che avere ad oggetto il permanere dei presupposti in corso d'opera, non la rimessa in discussione ad libitum dei presupposti iniziali, senza il rispetto delle necessarie garanzie ed affidamenti in capo alle imprese direttamente coinvolte.

Se le convenzioni in discussione si collocano nell'ambito di un procedimento amministrativo complesso, che tende a verificare la effettiva sussistenza dei presupposti di concessione ed erogazione dei benefici del Cip 6, poiché soltanto l'energia "pulita" effettivamente immessa nella rete può accedere ai prezzi incentivanti, una volta che il procedimento si sia concluso positivamente, se per un verso permane il potere di vigilanza sul rispetto della convenzione in corso d'opera, per un altro verso la messa in discussione del presupposto di partenza, cui far conseguire l'effetto ex tunc della rinuncia ab origine, deve seguire i canoni ed i presupposti del potere di autotutela, sotto tutti i punti di vista.

4.5. Sulla scorta delle coordinate sin qui richiamate, nel caso di specie, ancor prima che rispetto alla effettiva dimostrazione del mancato rispetto del termine (della cui formale ed assoluta perentorietà, in termini di concreta e certa prova, sarebbe peraltro lecito dubitare in assenza di una specifica qualificazione normativa ed in relazione alla natura incentivante di fonti di energia rinnovabili, quindi da intendersi in termini tutt'altro che eccezionali e restrittivi) di prova cui all'art. 15 cit., le determinazioni lesive impugnate scontano una diretta violazione dei principi in tema di autotutela: oltre ad esservi più di un dubbio sulla effettiva violazione dell'art. 15 cit., nei termini di cui si dirà oltre, nessun elemento risulta valutato e dimostrato rispetto all'interesse pubblico sotteso (che si muove lungo la linea dell'incentivazione, in specie rispetto ad altri sistemi concorrenti di cui le imprese avrebbero potuto beneficiare), alla ragionevolezza del lungo termine trascorso (oltre cinque anni), alla considerazione della posizione del privato beneficiario e del relativo affidamento.

In definitiva, un complesso procedimento di autotutela risulta essere stato trattato e definito alla mera stregua di un procedimento ordinario, volto all'originario riconoscimento del beneficio auspicato dalle imprese; ciò, peraltro, diversi anni dopo la concessione dello stesso e la conseguente continua erogazione del beneficio.

5. Analogo riscontro positivo hanno alcuni dei motivi di appello dedotti in relazione al versante specifico della violazione dell'art. 15 sopra richiamato.

5.1. Secondo la regola generale di cui al comma 1, invocata ed applicata dai provvedimenti in contestazione (e fatta acriticamente propria dalla sentenza impugnata), anche i soggetti "destinatari di incentivi relativi alla realizzazione di impianti alimentati esclusivamente da fonti rinnovabili" che non rispettino la data di entrata in esercizio dell'impianto indicata nella convenzione e nelle relative modifiche e integrazioni, sono considerati rinunciatari solo qualora non abbiano fornito idonea prova all'Autorità per l'energia elettrica e il gas di avere concretamente avviato la realizzazione dell'iniziativa mediante una serie di possibili alternative significativamente ampie elencate dalla norma.

In caso di ritardo, poi, la conseguenza è la riduzione, non la decadenza; analogamente, è possibile ottenere una proroga, secondo l'ultimo inciso della norma, già sopra riportata a fini di completezza e chiarezza di analisi.

5.2. Nel caso di specie, invece, risulta che le autorità abbiano, dopo diversi anni, escluso la dimostrazione del rispetto del termine e, in assenza della valutazione delle possibili alternative, dichiarato ex tunc rinunciatarie le imprese, senza alcuna considerazione, oltre che delle diverse possibilità garantite dalla norma, dell'affidamento ingenerato dalla convenzione, dal ricevimento dei benefici e dalla prassi pregressa.

Invero, il lungo elenco normativo di possibili alternative, contenuto nel medesimo comma 1, evidenzia un approccio normativo ben più elastico ed "incentivante" rispetto al rigore seguito dalle autorità odierne appellate.

Orbene, lungi dall'approfondire tali possibili alternative, le odierne appellate si sono limitate a reputare non rispettato il termine indicato, peraltro neppure fissato dalla legge direttamente ma successivamente in sede attuativa.

Sul punto le considerazioni svolte dalle difese in termini di falsità, di dolo e di inganno, derivante dalla presunta consapevolezza della veridicità della dichiarazione, oltre ad apparire indimostrate, non trovano alcun conforto e sostegno negli atti in contestazione, i quali, lungi dal qualificare in termini di tale gravità il diverso termine individuato, si limitano a dare atto di una diversa valutazione sulla scorta di una più rigorosa interpretazione circa l'onere di prova in relazione all'effettivo rispetto del termine. Le considerazioni svolte sul punto si prestano pertanto ad una qualificazione in termini di inammissibile tentativo di integrazione postuma della motivazione, neppure supportata dagli atti di causa.

5.3. Parimenti fondati sono i vizi di appello dedotti in relazione alla disciplina di cui al quinto comma del medesimo art. 15, invocato dalle parti appellanti e non adeguatamente valutato in sede procedimentale dalle autorità odierne appellate.

Infatti tale norma, che pare correttamente muoversi nella medesima ottica incentivante predetta, prevede la possibile modifica della localizzazione, in termini che appaiono coerenti alla fattispecie in esame, così come sopra riassunta anche in fatto.

Né è invocabile, in termini di assoluta ostatività, l'inciso finale del medesimo comma, inerente l'assenza di effetto sospensivo dei termini di cui ai commi precedenti, sia per le considerazioni sopra svolte in tema di onere della prova e di necessaria valutazione dei principi in tema di autotutela, sia per la mancata specifica dimostrazione della rilevanza dei termini stessi al caso di specie: se per un verso appare irrilevante, rispetto al caso in esame, il riferimento ai termini del comma 2, per un altro verso anche quello ai termini di cui al comma 1 non può che coordinarsi con quanto evidenziato in ordine al possibile onere della prova circa le ragione del mancato rispetto del termine. In definitiva, pur dinanzi alla salvezza del termine di cui al comma 1, dettata dal comma 5 in esame, del medesimo comma 1 devono reputarsi rilevanti ed applicabili tutte le relative previsioni. Ciò anche in relazione all'interpretazione funzionale della norma, tesa a disciplinare il diritto transitorio di un sistema di incentivazioni teso a favorire ("incentivare") la produzione di energia da fonti rinnovabili e non inquinanti.

6. Alla luce delle considerazioni che precedono l'appello va accolto e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, va accolto il ricorso di primo grado.

Sussistono giusti motivi, a fronte della complessità e novità della questione, per compensare le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.