Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
Sezione III
Sentenza 19 luglio 2019, n. 1681

Presidente: Di Benedetto - Estensore: Cozzi

FATTO E DIRITTO

I ricorrenti affermano di essere una coppia affetta da sterilità e infertilità assolute ed irreversibili che ha interesse ad accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo.

Con il ricorso in esame, viene impugnata la delibera di Giunta regionale della Lombardia n. X/7628 del 28 dicembre 2017, nella parte in cui la stessa, nel disciplinare le modalità di erogazione delle prestazioni di procreazione medica assistita di tipo eterologo (c.d. "PMA eterologa"), stabilisce che tali prestazioni possano essere erogate solo in favore di donne aventi al massimo 43 anni d'età, e prevede la possibilità di erogare un massimo di 3 cicli da effettuarsi nelle strutture sanitarie pubbliche a spese del sistema sanitario.

Si è costituita in giudizio, per resistere al ricorso, la Regione Lombardia.

In prossimità dell'udienza di discussione del merito, le parti hanno depositato memorie insistendo nelle loro conclusioni.

Tenutasi la pubblica udienza in data 28 maggio 2019, la causa è stata trattenuta in decisione.

Ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato essendo meritevole di accoglimento il primo motivo avente carattere assorbente in quanto deducente il vizio più radicale.

Con questa censura, viene dedotta la violazione dell'art. 5 della l. n. 40 del 2004. In particolare i ricorrenti sostengono che la suindicata norma - che, a seguito dell'intervento della Corte costituzionale con sentenza n. 162 del 2004, disciplina non solo la PMA omologa, ma anche la PMA eterologa - non prevede i limiti di età e di numero massimo di cicli indicati dalla delibera impugnata. Quest'ultima pertanto si porrebbe in contrasto con la fonte primaria statale. Rilevano inoltre i ricorrenti, che l'introduzione di una disciplina differenziata per la PMA eterologa rispetto a quella relativa alla PMA omologa sarebbe irrazionale, in quanto non giustificata da alcuna valida ragione scientifica, oltre che lesiva del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost.

In proposito si osserva quanto segue.

Come noto, prima dell'intervento della Corte costituzionale con sentenza n. 162 del 2014, l'art. 4, ultimo comma, della l. 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) vietava espressamente il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo.

Con la richiamata pronuncia, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittima costituzionale del divieto ritenuto in contrasto, da un lato, con gli artt. 2, 3 e 31 Cost., in quanto incidente sulla libertà di autodeterminarsi delle coppie affette da sterilità o infertilità assolute e irreversibili (libertà che include, secondo la Corte, la possibilità di scelta di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli) e, da altro lato, sul diritto alla salute di cui all'art. 32 Cost. comprensivo, secondo la stessa Corte, oltre che della salute fisica, anche della salute psichica. Nella sentenza si è inoltre precisato che le due tecniche di PMA (omologa ed eterologa), sebbene non siano fra di loro completamente assimilabili, rappresentano due species di un unico genus, mirando entrambe a superare le difficoltà di fertilità della coppia, realizzando obiettivi e risultati sostanzialmente analoghi, di modo che escludere una delle due costituisce scelta di per sé irrazionale.

Quest'ultimo ragionamento ha peraltro permesso alla Corte - evidentemente preoccupata di creare con la propria decisione un pericoloso vuoto normativo potenzialmente idoneo ad arrecare vulnus ad altri valori costituzionali - di affermare che la rimozione del divieto di PMA eterologa non porta al risultato di rendere assolutamente libero il ricorso a questa tecnica (non espressamente disciplinata dalla l. n. 40 del 2004), dovendosi ad essa applicare, data appunto l'analogia strutturale e funzionale dei due istituti, le norme dettate dal legislatore per la PMA omologa.

Fra le norme relative alla PMA omologa richiamate nella pronuncia della Corte costituzionale, e da questa ritenute applicabili anche alla PMA eterologa, vi è l'art. 5 della l. n. 40 del 2004 che indica i requisiti di carattere soggettivo per poter ricorrere alla PMA. Prevede questa norma che «... possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi».

Come si vede, questa norma, facendo riferimento all'età potenzialmente fertile, non pone limiti precisi riguardo all'età donna che chiede l'accesso alla tecnica (cfr. sul punto T.A.R. Veneto, sez. III, 8 maggio 2015, n. 501).

Ciò premesso, si deve ora osservare che la Regione Lombardia, con la D.G.R. n. X/7628 del 28 dicembre 2017 (impugnata in questa sede), recependo i criteri delle linee giuda dettate dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nella riunione del 4 settembre 2014, ha stabilito che possono accedere alle tecniche di PMA eterologa solo le donne che non abbiano compiuto il 43° anno di età. È evidente, a parere del Collegio, come questa disposizione si ponga in contrasto con il richiamato art. 5 della l. n. 40 del 2004 (come detto direttamente applicabile anche alla PMA eterologa), il quale stabilisce invece, come visto, che l'accesso alla tecnica è consentito sino a che la coppia sia in età potenzialmente fertile (dunque anche oltre il limite del 43° anno di età).

La delibera impugnata, sempre recependo le linee giuda dettate dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome, ha altresì stabilito che, con riferimento alla sola PMA eterologa, il SSR possa erogare un massimo di tre cicli.

Ritiene il Collegio che anche questo limite, seppur non confliggente con una specifica disposizione normativa di rango primario, sia illegittimo in quanto volto a differenziare la disciplina delle due tecniche di PMA. Come detto, infatti, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 62 del 2014, ha sottolineato che le due tecniche di PMA (omologa ed eterologa) rappresentano due species di un unico genus, mirando entrambe a superare le difficoltà di fertilità della coppia, realizzando obiettivi e risultati sostanzialmente analoghi. Ritiene pertanto il Collegio che, in assenza di adeguate spiegazioni scientifiche, non possa la Regione, con un proprio atto amministrativo, discriminare le due procedure introducendo per una limiti più stringenti non previsti per l'altra, violandosi altrimenti il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost.

Si deve in tale quadro ritenere che, per le ragioni illustrate, entrambi i limiti dettati dalla delibera impugnata siano illegittimi.

A contrario non è decisivo il fatto che, come anticipato, tali limiti sono stati previsti nelle linee guida dettate dalle Conferenza delle regioni e delle province autonome.

Queste linee guida sono state emanate per far pronte all'esigenza di ovviare alla carenza di un espresso intervento normativo dello Stato (realizzatosi solo con il d.m. 12 gennaio 2017, la cui efficacia è peraltro subordinata ad un decreto di fissazione delle tariffe non ancora emanato), cui spetta in via primaria la funzione di assicurare a tutti i soggetti che lo richiedano adeguati livelli di assistenza. In attesa dell'intervento statale, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha approvato un documento contenente prescrizioni volte ad uniformare la disciplina a livello nazionale. In tale documento la procreazione assistita, mediante tecniche sia omologhe che eterologhe, viene inserita nei LEA, ossia in quei servizi che il Servizio sanitario pubblico eroga ai cittadini gratuitamente o previo pagamento di un ticket.

Come ha chiarito la giurisprudenza (cfr. T.A.R. Veneto sent. n. 501 del 2015 cit.), tale atto ha natura di proposta congiuntamente elaborata dai partecipanti alla Conferenza onde fornire alle singole regioni indicazioni operative volte ad assicurare adeguati livelli di assistenza. In esso non sono dunque contenute prescrizioni vincolanti, tanto che, per quanto concerne l'età della donna, mentre alcune regioni hanno applicato il limite di 43 anni senza operare distinzioni (ad es. Piemonte, Emilia-Romagna), altre hanno ritenuto di estendere ad entrambe le tecniche il limite di età sino a 50 anni (Friuli-Venezia Giulia).

In secondo luogo, va osservato che lo stesso documento non detta indicazioni precise riguardo all'età della donna: è vero che nel paragrafo "Fattibilità e aspetti finanziari della fecondazione omologa ed eterologa" si propone il limite del 43° anno di età, ma è anche vero che, nella parte specificamente dedicata all'individuazione dei soggetti nei cui confronti le tecniche di PMA eterologa possono essere praticate, si fa riferimento esclusivo al requisito dell'età potenzialmente fertile e si dà atto che, secondo lo studio effettuato dalla comunità scientifica, occorre tenere conto delle complicanze e dei pericoli che possono sopravvenire in una gravidanza in età eccessivamente avanzata, da cui il suggerimento di sconsigliare comunque la pratica eterologa su donne di età superiore a 50 anni.

In ogni caso, va rilevato che, ovviamente, l'adeguamento all'atto della Conferenza delle regioni e delle province autonome non può giustificare la violazione della fonte primaria statale (che, come detto, non pone limiti precisi di età) né, a maggior ragione, può giustificare la violazione del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., introducendo limiti differenziati fra le due tecniche di PMA riguardo al numero massimo dei cicli erogabili. A questo specifico proposito risulta peraltro decisiva la circostanza che, per quanto concerne i limiti di cui si discute, le linee guida della Conferenza delle regioni e delle province autonome non distinguono affatto fra PMA omologa ed eterologa: si legge infatti nel documento che «Per quanto riguarda i cicli di omologa, si propongono dei criteri di accesso a carico del SSN, che comprendono l'età della donna (fino al compimento del 43 anno) ed il numero di cicli che possono essere effettuati nelle strutture sanitarie pubbliche (massimo 3), e propone gli stessi criteri d'accesso anche per la PMA eterologa».

Deve essere per queste ragioni ribadita la fondatezza delle censure in esame.

Il ricorso deve essere pertanto accolto e, per l'effetto, va disposto l'annullamento dell'atto impugnato nella parte in cui prevede, per la PMA eterologa, il limite di età di 43 anni per la donna ed il limite di un massimo di tre cicli erogabili dal servizio sanitario regionale.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione.

Condanna Regione Lombardia al rimborso delle spese processuali in favore dei ricorrenti che vengono liquidate in euro 4.000,00 (quattromila), oltre accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e all'art. 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'art. 2-septies del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.

Note

La presente decisione è stata confermata da Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 24 novembre 2020, n. 7343.

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