Consiglio di Stato
Sezione II
Sentenza 17 settembre 2019, n. 6209

Presidente: Carlotti - Estensore: Frigida

FATTO E DIRITTO

1. L'oggetto del presente giudizio è costituito dall'impugnazione della nota prot. 256173 del 25 marzo 2008 della Regione Campania, con cui è stata respinta la domanda proposta da cinque eredi del signor Ettore B., diretta all'emanazione della dichiarazione di inservibilità di un'area, al fine di ottenerne la retrocessione parziale con riferimento ad una porzione non utilizzata per il soddisfacimento di finalità espropriative di pubblica utilità.

2. In particolare, in attuazione della riforma agraria, nel 1952 erano stati espropriati al de cuius signor Ettore B. oltre cinquecentomila metri quadrati di terreni in favore dell'Opera nazionale combattenti. Successivamente tali beni erano stati tra[s]feriti ad un ente regionale per lo sviluppo agricolo e poi venduti con patto di riservato dominio all'Orfanotrofio Umberto I di Salerno per la costruzione di una fattoria-scuola per gli orfani e i figli di contadini.

Una parte dei terreni (oltre sedicimila metri quadrati) erano stati a lungo occupati abusivamente da terzi per poi finire nella fattuale disponibilità del Comune di Eboli, che vi aveva realizzato prima il mercato boario e poi quello ortofrutticolo.

Le signore Cecilia B., Enrica B., Laura B., Maria Rosaria B. e Paola B., eredi del signor Ettore B., proponevano in sede civile un'azione di totale retrocessione dei beni per un'asserita illegittimità della procedura espropriativa, che veniva respinta dalla Corte d'Appello di Salerno.

In seguito le eredi del signor Ettore B. hanno avanzato alla Regione Campania un'istanza di retrocessione parziale, che, come visto, è stata rigettata dall'amministrazione, con nota prot. 256173 del 25 marzo 2008.

3. Avverso tale provvedimento negativo, le signore Cecilia B., Enrica B., Laura B., Maria Rosaria B. e Paola B. hanno proposto il ricorso di primo grado n. 908 del 2008, dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la per la Campania, sezione staccata di Salerno.

Con motivi aggiunti, le odierni appellanti hanno impugnato il successivo decreto di occupazione di urgenza adottato dal Comune di Eboli prot. n. 8033 del 6 marzo 2007.

Si sono costituiti nel giudizio di primo grado, resistendo al ricorso, la Regione Campania, la Prefettura di Salerno ed il Comune di Eboli.

4. Con l'impugnata sentenza n. 6910 del 24 novembre 2009, il T.a.r. per la Campania, sezione staccata di Salerno, sezione seconda, ha respinto il ricorso, con compensazione tra le parti delle spese di lite.

5. Con ricorso ritualmente notificato e depositato - rispettivamente in data 23 marzo 2010 e 2 aprile 2010 - le signore Cecilia B., Enrica B., Laura B., Maria Rosaria B. e Paola B. hanno interposto appello avverso la su menzionata sentenza, articolando i seguenti due motivi:

a) «Error in judicando ed in procedendo: violazione e distorta applicazione di legge (artt. 21 e 28 legge n. 1034/1971 in relazione all'artt. 23 e 42 e 117, I comma Cost.; art. 1, protocollo n. 1 Convenzione europea dei diritti dell'uomo; art. 1 legge n. 230/1950; artt. 2, 8, 20 ss., 58 D.P.R. n. 327/2001)»;

b) «Error in judicando ed in procedendo: violazione e distorta applicazione di legge (artt. 21 e 28 legge n. 1034/1971 in relazione agli artt. 24 e 42 Cost.; art. 1, protocollo n. 1 Convenzione europea dei diritti dell'uomo; artt. 8; 11; 20 ss.; 47 e 48 D.P.R. n. 327/2001)».

Le appellanti hanno inoltre riproposto, trascrivendoli, i seguenti tre motivi del ricorso di primo grado nonché l'unico motivo dell'atto di motivi aggiunti:

a) «Violazione e falsa applicazione degli artt. 42 e 97, Cost., 47, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, 1 e 21, l. 21.10.1950, n. 841, e 9, 10 e 11, l. 30.4.1976 n. 386, vizio del procedimento e completo travisamento della fattispecie, perplessità, illogicità. Sviamento»;

b) «Violazione e falsa applicazione degli artt. 42 e 97, Cost., 1, 2, 3, 6 e ss. l. 7.8.1990 n. 241 e successive modificazioni e integrazioni, 47, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, vizio del procedimento ed eccesso di potere per presupposto erroneo e per assoluta carenza di istruttoria e di motivazione, perplessità, illogicità. Sviamento»;

c) «Violazione di legge - art. 10 bis l. 241/90; violazione principi di trasparenza e partecipazione - eccesso di potere»;

d) «Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 42 e 97, Cost.; artt. 2, 11, 16, 20, 22bis, 24 e 47, d.p.r. 8.6.2001, n. 327; artt. 9, 10 e 11, l. 30.4.1976 n. 386) vizio del procedimento per violazione del principio di legalità posto a fondamento dell'azione amministrativa, completo travisamento della fattispecie ed eccesso di potere per assoluta carenza di istruttoria e di motivazione; e superficialità nello svolgimento dell'azione amministrativa; illogicità, perplessità. Sviamento».

6. La Regione Campania si è costituita in giudizio, resistendo al ricorso, mentre la Provincia di Salerno e il Comune di Eboli, pur ritualmente evocati, non si sono costituiti.

7. La causa è stata trattenuta in decisione all'udienza pubblica del 30 aprile 2019.

8. L'appello è infondato e deve essere respinto alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e diritto.

9. Con riferimento al primo motivo di gravame, si rileva che del tutto correttamente il T.a.r. ha affermato che l'istituto della retrocessione - sia totale sia parziale - non è applicabile nelle ipotesi in cui l'utilizzazione dell'immobile ablato consegua alla semplice espropriazione dell'area, considerata in sé e per sé ed indipendentemente dalla sua specifica destinazione. Tra queste ipotesi rientra certamente il caso di specie, dove vi è stata un'attuazione della riforma fondiaria di cui alle leggi nn. 230 del 1950 e 841 del 1950.

In sostanza, il collegio di primo grado ha ben chiarito che l'espropriazione prevista dalla riforma agraria del secondo dopoguerra realizza sempre e automaticamente almeno il ridimensionamento dei latifondi, che rappresenta una delle finalità del legislatore (oltre alla trasformazione e colonizzazione agraria), sicché la mancata utilizzazione dei beni non può fondare alcuna retrocessione.

In tal senso si è espressa la Corte suprema di cassazione, con la sentenza delle Sezioni unite, del 2 febbraio 1963, n. 183, e in proposito non si è mai successivamente prospettata in giurisprudenza una diversa lettura ermeneutica.

Non rilevano nel caso de quo i richiami formulati dagli appellanti alla successiva giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell'uomo in materia espropriativa nonché ai principi codificati dal d.P.R. n. 327 del 2001, atteso che l'ablazione è avvenuta in un quadro di legalità formale e sostanziale e che non è oggetto del presente giudizio la quantificazione delle pretese indennitarie.

10. Circa il secondo motivo d'impugnazione, il Collegio considera legittima la precisazione svolta dal T.a.r. per cui la circostanza che sull'area oggetto di causa sia stata attivata una nuova procedura ablatoria da parte del Comune di Eboli (non preclusa dalle precedenti determinazioni e, pertanto, non automaticamente illegittima) rende improcedibile il ricorso, posto che l'ipotetico diritto di retrocessione si convertirebbe in un diritto all'indennità.

Ad ogni modo, la valutazione svolta dal collegio di primo grado, nel secondo paragrafo della parte motiva in diritto della pronuncia impugnata, sull'improcedibilità del ricorso ha il valore di una motivazione addizionale non determinante l'esito della lite, in quanto il ricorso non è stato dichiarato improcedibile, bensì stato respinto nel merito, sulla base delle considerazioni presenti nel paragrafo primo della medesima parte motiva, cosicché una sua riforma non potrebbe incidere da sola sulla decisione di rigetto.

11. In relazione ai motivi contenuti nel ricorso di primo grado e ai successivi motivi aggiunti, si osserva che loro mera trascrizione, effettuata con espresso riferimento sia ad una maggiore esplicitazione dei motivi d'appello sia all'art. 346 c.p.c., allora regolante le decadenze in appello nel processo amministrativo, non è di per sé sufficiente ad integrare una rituale riproposizione delle contestazioni formulate in primo grado, come più volte ribadito dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. C.d.S., sez. IV, sentenze 5 marzo 2015, 1115, 20 aprile 2006, n. 2233, 16 aprile 2010, n. 2178; C.d.S., sez. VI, sentenze 10 aprile 2012, n. 2060 e 7 febbraio 2014, n. 590), trattandosi di una generica modalità di reiterazione dei motivi, la quale fuoriesce dalla critica alla sentenza impugnata, che costituisce il proprium dell'appello.

In ogni caso, le cennate censure non sono accoglibili, recando, in sostanza, doglianze analoghe a quelle proposte con i due motivi d'impugnazione, che sono stati valutati infondati. È, invece, meritevole di vaglio autonomo - seppur non necessario - soltanto il terzo motivo del ricorso di primo grado, non esaminato dal T.a.r., con cui si è lamentata la violazione dell'art. 10-bis della l. n. 241 del 1990, per non aver l'amministrazione comunicato agli interessati il preavviso di rigetto dell'istanza di retrocessione parziale del fondo.

Al riguardo giova evidenziare che la giurisprudenza amministrativa interpreta il citato art. 10-bis, così come le altre norme in materia di partecipazione procedimentale, non in senso formalistico, bensì avendo riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione. Ne deriva che l'omissione del preavviso di rigetto non cagiona l'automatica illegittimità del provvedimento finale qualora possa trova applicazione l'art. 21-octies della stessa legge, secondo cui non è annullabile il provvedimento per vizi formali non incidenti sulla sua legittimità sostanziale e il cui contenuto non avrebbe potuto essere differente da quello in concreto adottato, poiché detto art. 21-octies, attraverso la dequotazione dei vizi formali dell'atto, mira a garantire una maggiore efficienza all'azione amministrativa, risparmiando antieconomiche ed inutili duplicazioni di attività, laddove il riesercizio del potere non potrebbe comunque portare all'attribuzione del bene della vita richiesto dall'interessato (cfr. C.d.S., sez. III, sentenza 19 febbraio 2019, n. 1156; C.d.S., sez. IV, sentenze 11 gennaio 2019, n. 256 e 27 settembre 2018, n. 5562).

Tanto chiarito, il Collegio ritiene che nel caso di specie un contraddittorio sull'istanza dei privati non avrebbe potuto condurre ad un diverso esito dell'azione amministrativa, poiché non sono emersi elementi tali da far ritenere che il provvedimento regionale contestato avrebbe potuto avere un contenuto differente qualora le odierne appellanti avessero presentato ulteriori considerazioni, atteso, che - come già sopra analizzato - le decisione dell'amministrazione è legittima ed è stata adottata su una completa conoscenza della situazione di fatto, che era già stata precedentemente scandagliata in altri procedimenti, anche giudiziari.

12. In conclusione l'appello deve essere respinto.

13. La peculiarità della vicenda giustifica l'integrale compensazione tra le parti delle spese di lite del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione seconda, definitivamente pronunciando sull'appello n. 2832 del 2010, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata; compensa tra le parti le spese di lite del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.