Corte di cassazione
Sezione III civile
Sentenza 24 settembre 2019, n. 23623

Presidente: De Stefano - Estensore: D'Arrigo

FATTI DI CAUSA

Gennaro O. si rendeva assegnatario, in esito ad un pignoramento presso terzi, delle somme dovute dal Banco di Napoli s.p.a., terzo pignorato in quanto tesoriere, all'I.N.P.S.

In data 3 febbraio 2014 l'ordinanza di assegnazione veniva notificata al Banco, unitamente ad un atto di precetto. L'Istituto di credito proponeva opposizione, ai sensi dell'art. 615, primo comma, c.p.c., eccependo, fra l'altro, la sopravvenuta inefficacia dell'ordinanza di assegnazione per decorso del termine previsto dall'art. 14, comma 1-bis, del d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito con modificazioni dalla l. 28 febbraio 1997, n. 30, introdotto dal d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla l. 24 novembre 2003, n. 326.

L'I.N.P.S. si costituiva in adesione.

Il Giudice di pace accoglieva l'opposizione, dichiarando l'inefficacia dell'ordinanza di assegnazione.

L'O. ha appellato la decisione, ma il Tribunale di Napoli ha dichiarato inammissibile il gravame, rilevando che, essendo la somma precettata inferiore ad euro 1.100,00, la sentenza impugnata doveva considerarsi pronunciata secondo equità. Sarebbe, dunque, spettato all'O. individuare specificatamente i princìpi informatori o regolatori della materia rimasti violati; onere al quale l'O. non aveva ottemperato, essendo infondata la dedotta violazione dell'art. 6 CEDU.

Avverso tale decisione l'O. proponeva ricorso per cassazione, articolato in due motivi. Le parti intimate non svolgevano attività difensiva. Tuttavia, l'I.N.P.S. depositava una procura speciale in calce alla copia notificata del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, deve essere esaminata d'ufficio la validità della costituzione in giudizio dell'I.N.P.S., effettuata mediante il solo deposito in cancelleria di una procura speciale redatta su atto separato e materialmente congiunta alla copia del ricorso notificata a mezzo PEC all'Istituto, previa attestazione di conformità della notificazione.

Tale costituzione è irrituale e priva di effetti.

L'art. 370 c.p.c. prevede, quale unica modalità di tramite la quale colui contro il quale è proposto il ricorso può contraddire, la notificazione e il successivo deposito in cancelleria di un controricorso che deve essere redatto con gli stessi requisiti di forma e di sostanza del ricorso previsti dagli artt. 365 e 366 c.p.c., in quanto compatibili. In ipotesi, è possibile omettere la notificazione del controricorso (in mancanza della quale il controricorrente non può presentare memorie, ma soltanto partecipare alla discussione orale), ma non è possibile omettere anche il deposito in cancelleria di un atto difensivo che corrisponda ai requisiti richiesti dall'art. 370 c.p.c. Del resto, anche la procura alle liti è irrituale, in quanto nel ricorso per cassazione non è previsto che essa possa essere resa in calce al ricorso cui si intende resistere.

Pertanto, l'I.N.P.S. non è regolarmente costituita nel presente giudizio.

2. Nondimeno, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto privo dell'esposizione, ancorché sommaria, dei fatti di causa, sostituita dalla mera riproduzione testuale del contenuto di tutti gli atti processuali. Esso quindi non soddisfa i requisiti di cui all'art. 366, primo comma, n. 3 e 6, c.p.c.

Il ricorso in esame, in particolare, va ascritto al genere dei c.d. ricorsi assemblati, ossia nei quali l'esposizione dei fatti di causa è sostituita dalla mera interpolazione grafica o dalla testuale riproduzione degli atti dei gradi di merito. Il ricorso per cassazione redatto mediante assemblaggio - cioè attraverso la pedissequa riproduzione dell'intero, letterale, contenuto degli atti processuali - è carente del requisito di cui all'art. 366, primo comma, n. 3, c.p.c., che non può, a fronte dell'utilizzo di tale tecnica, neppure essere desunto, per estrapolazione, dall'illustrazione del o dei motivi (Sez. 6-3, Sentenza n. 3385 del 22 febbraio 2016, Rv. 638771). Ciò in quanto la tecnica di redazione mediante integrale riproduzione di una serie di documenti si traduce in un'esposizione dei fatti non sommaria, in violazione dell'art. 366, primo comma, n. 3, c.p.c., e comporta un mascheramento dei dati effettivamente rilevanti, tanto da risolversi in un difetto di autosufficienza (Sez. 5, Sentenza n. 18363 del 18 settembre 2015, Rv. 636551).

Tale elaborazione giurisprudenziale è peraltro conforme a quanto già ritenuto dalle Sezioni unite, secondo cui, ai fini del requisito di cui all'art. 366, primo comma, n. 3, c.p.c., la pedissequa riproduzione dell'intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso (Sez. un., Sentenza n. 5698 dell'11 aprile 2012, Rv. 621813).

È pur vero che la mera interpolazione degli atti processuali, in sé considerata, non determina automaticamente l'inammissibilità del ricorso, ma ciò solo a condizione che il ricorso, al netto degli atti interamente inseriti al suo interno, contenga comunque una adeguata illustrazione dei fatti di causa. Nel caso in esame, invece, le brevi parti di raccordo fra i vari atti processuali integralmente riprodotti non sono riassuntive del contenuto degli stessi e quindi non bastano ad escludere l'inammissibilità del ricorso.

Il ricorso è quindi inammissibile, anche perché, per soddisfare il requisito imposto dall'art. 366, primo comma, n. 3, c.p.c. il ricorso per cassazione deve contenere l'esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamen[t]e erronea, compiuta dal giudice di merito. Il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Sez. 6-3, Ordinanza n. 1926 del 3 febbraio 2015, Rv. 634266; Sez. 1, Sentenza n. 19018 del 31 luglio 2017, Rv. 645086).

3. In conclusione, il ricorso è inammissibile.

Non si fa luogo alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, poiché le parti non hanno svolto attività difensiva. Conclusione che, per le ragioni innanzi esposte, va tenuta ferma anche per l'I.N.P.S., non ritualmente costituitosi.

Sussistono, invece, i presupposti per l'applicazione dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, sicché va disposto il versamento, da parte dell'impugnante soccombente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14 marzo 2014, Rv. 630550).

4. Nonostante la rilevata inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per enunciare nell'interesse della legge, ai sensi dell'art. 363, terzo comma, c.p.c., il principio di diritto in relazione ad una questione posta nell'ambito del primo motivo.

Il Tribunale, in funzione di giudice d'appello, ha ritenuto inammissibile il gravame proposto dall'O. sul duplice presupposto che, da un lato, la sentenza del giudice di pace fosse stata resa secondo equità e che, dall'altro, l'appellante non avesse ottemperato all'onere di dedurre specificatamente la sussistenza dei presupposti ricorrendo i quali soltanto, ai sensi dell'art. 339, ultimo comma, c.p.c., l'appello si sarebbe potuto ritenere ammissibile.

In relazione a tale statuizione, il ricorrente ha denunciato la violazione degli artt. 113, 339 e 616 c.p.c., nonché dell'art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale. In particolare, l'O. sostiene che il giudice d'appello non avrebbe colto il rapporto di specialità intercorrente tra l'art. 339, terzo comma, e l'art. 616 c.p.c. La l. 18 giugno 2009, n. 69, ha abrogato la parte finale dell'art. 616 c.p.c., che prevedeva che l'opposizione all'esecuzione fosse decisa «con sentenza non impugnabile». Ritiene il ricorrente che il "nuovo" art. 616 c.p.c., quale risulta dalla riformulazione che ha reintrodotto l'appellabilità a critica libera della sentenza che definisce l'opposizione all'esecuzione, costituisca norma speciale e perciò derogativa rispetto all'art. 339, terzo comma, c.p.c.

La censura è manifestamente infondata.

La l. 24 febbraio 2006, n. 52, modificando l'art. 616 c.p.c., aveva posto la regola secondo cui il giudizio di opposizione all'esecuzione veniva deciso «con sentenza non impugnabile». Conseguiva l'immediata ricorribilità della sentenza per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost.

Nel 2009, però, il legislatore ha ripristinato il precedente regime impugnatorio. Infatti, l'art. 49, comma 2, l. 18 giugno 2009, n. 69, ha soppresso l'ultimo periodo dell'art. 616 c.p.c., con conseguente reintegrazione dell'esperibilità dell'appello.

In sostanza, le sentenze che hanno deciso opposizioni all'esecuzione pubblicate prima del 1° marzo 2006 erano appellabili; per quelle pubblicate successivamente vale la regola della non impugnabilità - ai sensi del nuovo testo dell'art. 616, introdotta dalla l. 24 febbraio 2006, n. 52 (che sul punto ha modificato l'art. 616 c.p.c.) - con conseguente ricorribilità per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.; infine, se il giudizio di primo grado era pendente alla data di entrata in vigore della l. 18 giugno 2009, n. 69, si applica l'art. 49 di tale legge che, cancellando la modifica dell'art. 616 c.p.c. apportata dalla l. n. 52/2006, ha eliminato la previsione della non impugnabilità, ripristinando l'appellabilità delle pronunce di primo grado (Sez. 2, Ordinanza n. 20324 del 27 settembre 2010, Rv. 615254; Sez. 6-3, Ordinanza n. 17321 del 17 agosto 2011, Rv. 619640; Sez. 3, Ordinanza n. 14502 del 30 giugno 2011, Rv. 618524).

Ciò posto, deve certamente escludersi che il legislatore del 2009 abbia inteso configurare un regime speciale di impugnazione delle sentenze pronunciate ai sensi dell'art. 616 c.p.c.

Al contrario, abrogando la regola della non impugnabilità introdotta nel 2006, ha semplicemente ripristinato la vigenza della regola generale di cui all'art. 339, primo comma, c.p.c. Regola che, all'evidenza, non deroga a quanto previsto dal terzo comma della medesima disposizione, ponendosi rispetto alla stessa, al contrario, in rapporto di regola generale e regola speciale.

Pertanto, ai sensi dell'art. 363, terzo comma, c.p.c., deve essere enunciato il seguente principio:

"In tema di opposizione all'esecuzione, pur dopo l'abrogazione, ad opera della l. 18 giugno 2009, n. 69, del divieto di appellabilità (introdotto, modificando l'art. 616, ultimo comma, c.p.c., dalla l. 24 febbraio 2006, n. 52), le sentenze del giudice di pace pronunciate, in ragione del valore della lite, secondo equità necessaria sono appellabili solo per le ragioni indicate dall'art. 339, terzo comma, c.p.c., ossia con motivi limitati".

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.