Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 2 ottobre 2019, n. 24610

Presidente: Mammone - Estensore: Oricchio

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 4391/2016 il Tribunale amministrativo del Lazio dichiarava inammissibile, per difetto di giurisdizione del giudice statale, il ricorso innanzi ad esso interposto da G. Antonio avverso la sanzione della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della FIGC; sanzione irrogata con decisione della Corte di giustizia federale della medesima Federazione e confermata dall'Alta Corte di giustizia sportiva del CONI con sentenza n. 7/2012.

Avverso la sentenza del Giudice amministrativo di prime cure interponeva appello il G. ed il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3458/2017, rigettava l'appello innanzi ad esso interposto dal G., confermando - per l'effetto - la sentenza impugnata.

Il G. ha proposto ricorso innanzi a queste Sezioni unite per la cassazione della suddetta sentenza del Consiglio di Stato con un articolato motivo relativo a più profili inerenti, innanzitutto, la giurisdizione ai sensi dell'art. 111, comma 8, Cost. e 110 c.p.a.

Parte ricorrente sottopone oggi al vaglio di questa Corte questione di costituzionalità, deducendo altresì la violazione di norme comunitarie e della CEDU e, quindi, il vizio di eccesso assoluto di potere giurisdizionale e violazione dei limiti dello stesso con diniego di giustizia.

Resistono al ricorso la FIGC, il Comitato Olimpico Nazionale - CONI ed il CODACONS - Coordinamento delle Associazioni per la Difesa dell'Ambiente e dei diritto degli Utenti e dei Consumatori.

Tutte le parti controricorrenti concludono, con distinte argomentazioni, per la declaratoria di inammissibilità del proposto ricorso, previa declaratoria - se necessaria - di manifesta infondatezza delle prospettate questioni preliminari di costituzionalità e di rinvio alla Corte CEDU.

Sono state depositate memorie dalla parte ricorrente e da quelle controricorrenti.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col ricorso viene, in primis, sollevata questione di costituzionalità in relazione agli artt. 3, 24, 103, 111, 113 e 117 Cost. deducendo la "incostituzionalità dell'art. 1, comma 2, del d.l. 220/2003" convertito in l. 17 ottobre 2003, n. 280. Parte ricorrente deduce, altresì, la violazione di norme comunitarie (artt. 6 e 13, CEDU, nonché 39, 45, 56 e 267 TFUE e 15, 41, 47 e 48 Carta di Nizza), eccesso di potere giurisdizionale, violazione dei limiti e diniego di giustizia.

In ordine alla sollevata questione di costituzionalità deve osservarsi quanto segue.

Parte ricorrente prospetta, senza addurre ulteriori profili di incostituzionalità, tale questione sulla quale, invero, il Giudice delle leggi ha già avuto moto di pronunciarsi compiutamente in passato e, nuovamente, ancor più di recente.

La prospettazione di cui al motivo del ricorso qui in esame si fonda, nella sostanza, sulla contrarietà, rispetto ai principi di cui alle suddette norme costituzionali, della legge sulla giustizia sportiva, attesa l'assoluta rilevanza, per l'ordinamento della Repubblica, di situazioni giuridiche connesse con l'ordinamento sportivo.

Più in particolare viene sostenuta l'inesistenza di una limitazione della tutela giurisdizionale giacché la normativa di legge oggetto della sollevata questione "stabilisce che va tolta ai tesserati sportivi la tutela giurisdizionale di annullamento" e che la limitazione di cui si controverte deriva solo dalla interpretazione che di quella normativa dette la Corte costituzionale nella nota sentenza n. 49/2011.

Senonché, anche alla stregua delle accennate prospettazioni dell'odierne parte ricorrente, rimangono intatte e valide le argomentazioni giuridiche di cui la Corte costituzionale nel 2011 ebbe ad escludere l'illegittimità, oggi nuovamente denunciata.

Giova, in punto, rammentare - in breve - che, con la decisione n. 49/2011, la Corte costituzionale affermò l'infondatezza della analoga questione di legittimità innanzi ad essa proposta "con riferimento alla riserva al solo giudice sportivo della competenza a decidere le controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari, diverse da quelle tecniche, inflitte ad atleti, tesserati, associazioni e società sportive, sottraendole al sindacato del giudice amministrativo, anche ove i loro effetti superino l'ambito dell'ordinamento sportivo, incidendo su diritti soggettivi ed interessi legittimi".

Questa Corte, con sentenza del 9 novembre 2018, n. 28652 ebbe, poi, ad affermare che "è inammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111, comma 8, Cost., avverso la sentenza del Consiglio di Stato che affermi la giustiziabilità di una sanzione disciplinare sportiva dinanzi al giudice sportivo anziché a quello amministrativo, atteso che la giustiziabilità della pretesa dinanzi agli organi della giurisdizione statale costituisce una questione di merito e non di giurisdizione".

Successivamente, ancora e sotto altro profilo, la più recente sentenza n. 160/2019 della Corte costituzionale ha valutato come non irragionevole il bilanciamento effettuato dal legislatore in tema di esclusione "della possibilità dell'intervento giurisdizionale maggiormente incidente sull'autonomia dell'ordinamento sportivo" con limitazione dello stesso alla sola tutela per equivalente e ferma, quindi, la possibilità di esclusione della più penetrante tutela demolitoria.

Tutela - quest'ultima - in relazione alla quale la stessa decisione ha escluso recisamente "il carattere necessitato" in ragione della inesistenza, nella fattispecie, di una necessaria indefettibile "tutela demolitoria degli interessi legittimi".

Alla stregua dei suddetti enunciati principi la sollevata eccezione di incostituzionalità non può che essere disattesa.

2. Gli ulteriori profili di cui al ricorso attengono alla pretesa violazione di norme comunitarie - quanto all'aspetto dell'effettività della tutela giurisdizionale - e, quindi, all'eccesso assoluto di potere giurisdizionale con violazione dei limiti e diniego di giustizia.

Anche in relazione a detti profili le pur pregevoli prospettazioni di cui al ricorso di parte ricorrente devono essere disattese.

Deve, al riguardo, rammentarsi che si è da tempo affermato che, quando c'è effettivo e non illusorio rimedio non si è al cospetto di violazione di norme comunitarie e di diniego di giustizia rilevante ai fini ed ai sensi dell'art. 6 Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

Infatti "il ricorso a forme di giustizia arbitrale non costituisce un diniego di giustizia rilevante ai fini dell'art. 6 della CEDU, quale norma interposta all'art. 24 Cost., in quanto non ostacola il diritto di accesso al giudice, purché il rimedio sia effettivo e non illusorio (sentenza Corte EDU, 1° marzo 2016, Tabbane c/o Svizzera). (Principio applicato in tema di riserva alla giustizia sportiva, ai sensi dell'art. 2 del d.l. n. 220 del 2003, conv. con mod. dalla l. n. 280 del 2003, delle questioni attinenti le sanzioni disciplinari comminate a società sportive)" (Cass. civ., sez. un., sent. 13 dicembre 2018, n. 32358).

3. In conclusione, alla stregua di quanto esposto, affermato e ritenuto, il ricorso non può - nel suo complesso - che dichiararsi inammissibile.

4. Sono insussistenti, nella fattispecie, gli estremi per la condanna, così come richiesta in atti, della parte ricorrente ai sensi dell'art. 96 c.p.c.

5. Le spese seguono la soccombenza e si determinano così come in dispositivo.

6. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dell'art. 13 del d.P.R. n. 115/2002.

P.Q.M.

La Corte dichiara l'inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della parti controricorrenti delle spese del giudizio, determinate - per ciascuna di esse - in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

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