Consiglio di Stato
Sezione II
Sentenza 5 novembre 2019, n. 7535

Presidente: Greco - Estensore: Sabbato

FATTO E DIRITTO

1. Con ricorso n. 622 del 2008, proposto innanzi al T.A.R. per il Veneto, l'odierno appellante aveva chiesto l'annullamento dei seguenti atti:

a) l'ordinanza del 7 gennaio 2008 di pagamento della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione delle opere edilizie abusive ad uso residenziale;

b) il permesso a costruire in sanatoria del 6 giugno 2007, nella parte in cui escludeva dalla sanatoria l'aumento di volume e la sopraelevazione dell'alloggio al piano terzo nonché la costruzione del magazzino al piano quarto del complesso condominiale denominato "Brasilia" in Mestre - Venezia per una superficie complessiva di mq. 37,11.

2. A sostegno dell'impugnativa, il ricorrente aveva dedotto quanto segue:

a) il difetto di legittimazione passiva, in quanto gli abusi di ampliamento e sopraelevazione erano strutturali del condominio in questione e quindi perpetrati fin dall'impianto ad opera dell'impresa proprietaria e costruttrice nel 1961-1966;

b) il difetto di motivazione sull'interesse pubblico in considerazione del legittimo affidamento per il decorso del lungo lasso temporale dall'esecuzione delle opere e della condizione di buona fede nella quale versa il ricorrente;

c) l'insussistenza di abusi rilevanti sul piano urbanistico ed edilizio, stante la loro insussistente o comunque limitata incidenza planovolumetrica;

d) l'omessa comunicazione dei motivi ostativi ai sensi dell'art. 10-bis della l. n. 241 del 1990;

e) il difetto di motivazione.

3. Costituitasi in resistenza l'Amministrazione comunale, il Tribunale adìto, Sezione II, ha così deciso il gravame al suo esame:

- ha respinto il ricorso, reputando infondate tutte le censure articolate;

- ha compensato tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.

4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:

- "le caratteristiche ripristinatorie delle sanzioni edilizie e la natura reale delle stesse inducono a ritenere i provvedimenti sanzionatori di abusi edilizi legittimamente adottati nei confronti degli attuali proprietari dell'immobile";

- "non sussiste la dedotta carenza di motivazione sulla sussistenza dell'interesse pubblico ad irrogare la sanzione con riferimento alla circostanza che, nel caso di specie, l'abuso è risalente nel tempo, atteso che in materia edilizia ed urbanistica le relative sanzioni possono essere applicate in ogni tempo, né è configurabile alcun legittimo affidamento del contravventore a vedere conservata una situazione di fatto che, in disparte l'idoneità o meno del tempo a consolidarla, rimane illecita";

- "la modestissima difformità della licenza edilizia che prevedeva complessivamente mq 2.200.17 ha un'ampiezza di ben 250,99 mq e non è, per ciò stesso, certamente trascurabile";

- "la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della sanatoria è avvenuta con nota 15 marzo 2017, ricevuta dal destinatario il successivo 23 marzo; in ogni caso, atteso il carattere vincolato del diniego e del relativo atto sanzionatorio, il contestato provvedimento non sarebbe comunque annullabile, giusta la norma contenuta nell'art. 21-octies, II comma della legge n. 241/90";

- "l'impianto motivazionale del provvedimento conclusivo deve essere desunto dal contesto di tutti gli atti del procedimento di cui esso è parte".

5. Avverso tale pronuncia si è interposto appello, notificato il 18 settembre e depositato il 6 ottobre 2008, lamentandosi, attraverso cinque motivi di gravame (pagine 10-24), ai quali ha fatto seguito la reiterazione dei motivi di prime cure, quanto di seguito sintetizzato:

I) avrebbe errato il Tribunale nel ritenere che l'art. 34 d.P.R. n. 380 del 2001 si applichi direttamente ed integralmente anche all'attuale proprietario dell'unità immobiliare parzialmente difforme a quanto autorizzato e non al responsabile dell'abuso, in quanto non sussiste la legittimazione passiva di chi assume la veste soltanto di attuale proprietario dell'immobile interessato dalle opere edilizie in considerazione delle caratteristiche ripristinatorie delle sanzioni edilizie;

II) il Tribunale non avrebbe considerato che il provvedimento sanzionatorio necessitava di una congrua motivazione, in riferimento alla posizione di legittimo affidamento ingenerata nel privato;

III) il Tribunale avrebbe attribuito all'unità immobiliare dell'appellante una superficie difforme da quella autorizzata che in realtà non ricorre, dal momento che quella dell'appartamento dello stesso rispetta i parametri edilizi autorizzati, e comunque, anche a voler ritenere sussistente il constatato aumento di superficie, questo sarebbe pari soltanto a mq. 9,60;

IV) il Tribunale avrebbe errato nel non reputare fondata la censura relativa alla violazione dell'art. 10-bis della l. n. 241 del 1990, per la mancata comunicazione dei motivi ostativi alla sanatoria dei due contestati abusi edilizi;

V) Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere motivati sia il provvedimento sanzionatorio che il diniego di sanatoria edilizia, poiché la motivazione de relato può essere invocata solo nel caso in cui sia conferente con l'abuso contestato e cioè con le difformità asseritamente perpetrate dall'appellante e relative alla sua unità immobiliare.

6. L'appellante ha quindi chiesto, in riforma dell'impugnata sentenza, l'annullamento degli atti impugnati con il ricorso introduttivo della lite.

7. Il Comune appellato, in data 17 ottobre 2008, si è costituito con atto di stile, al quale ha fatto seguito la produzione di memoria di controdeduzioni, al fine di evidenziare l'infondatezza di tutti i motivi articolati da controparte stante, tra l'altro, la legittimazione passiva in capo al mero proprietario anche rispetto alla sanzione alternativa alla demolizione.

8. In vista della trattazione nel merito del ricorso entrambe le parti hanno svolto difese scritte, l'appellante anche in replica, insistendo per le rispettive conclusioni.

9. Il ricorso, discusso alla pubblica udienza del 15 ottobre 2019, è stato introitato in decisione.

10. Ritiene il Collegio che il ricorso sia infondato e sia pertanto da respingere.

10.1. Il primo motivo di gravame, col quale l'appellante assume di essere privo di legittimazione passiva rispetto alla sanzione pecuniaria di cui all'art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, invocando la propria (peraltro pacifica) estraneità alla realizzazione degli abusi, eseguiti agli inizi degli anni Sessanta dalla ditta costruttrice, non merita accoglimento.

Al riguardo, diffusa e condivisibile giurisprudenza di primo grado ha affermato, anche in tempi recenti, che l'alternatività rispetto all'ordine di demolizione comporta che la predetta sanzione condivida il carattere reale e ripristinatorio dell'ordine giuridico violato proprio di questo con conseguente possibilità di irrogazione anche nei confronti dell'attuale proprietario sebbene incolpevole ed in buona fede (cfr. T.A.R. per la Puglia, sede di Bari, sez. III, 16 novembre 2016, n. 1290; T.A.R. per la Toscana, sez. III, 17 febbraio 2012, n. 361; T.A.R. per il Veneto, sez. II, 8 febbraio 2012, n. 204). Come è stato osservato (cfr. T.A.R. per il Veneto, sez. II, 3 aprile 2013, n. 473) "per principio generale in materia di responsabilità amministrativa per abusi edilizi, l'ordine di demolizione o nel caso di specie la sanzione alternativa ex art. 34, può essere adottato nei confronti del proprietario attuale, anche se non responsabile dell'abuso, perché l'abuso edilizio costituisce illecito permanente e l'ordine di demolizione ha carattere ripristinatorio e non prevede l'accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la realizzazione dell'abuso. Appare altresì utile ricordare, sul tema dell'applicabilità delle misure sanzionatorie in materia edilizia e della buona fede del terzo acquirente o, più in generale, del proprietario non responsabile dell'attività illecita, l'orientamento giurisprudenziale, che trae spunto dalla sentenza di Corte costituzionale n. 345 del 15 luglio 1991, sviluppatosi in materia di acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'area sulla quale insiste l'opera abusiva nel caso di inottemperanza dell'ordine di demolizione, di cui all'art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001. A tal proposito la giurisprudenza distingue l'ordine di demolizione dall'acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'area sulla quale insiste l'opera abusiva. L'ordine di demolizione può legittimamente essere adottato nei confronti del proprietario attuale, anche se non responsabile dell'abuso, perché, come si ripete, l'abuso edilizio costituisce illecito permanente e l'ordine di demolizione ha carattere ripristinatorio e non prevede l'accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la realizzazione dell'abuso (ex multis, T.A.R. Napoli, sez. IV, 16 maggio 2008, n. 4715; T.A.R. Umbria, 1° giugno 2007, n. 477, T.A.R. Piemonte, sez. I, 25 ottobre 2006, n. 3836; T.A.R. Salerno, sez. II, 15 febbraio 2006, n. 96)".

In altre parole, così come il proprietario, ove provi di essere incolpevole, può sottrarsi all'acquisizione gratuita dell'area su cui insiste l'opera abusiva ma non alla demolizione, allo stesso modo non può sottrarsi al pagamento della sanzione alternativa alla demolizione, ferma restando in ogni caso la possibilità di rivalersi in regresso nelle sedi competenti, laddove siano accertati i presupposti di responsabilità nei confronti del proprio dante causa ex art. 1298 c.c. (cfr. T.A.R. per il Veneto, sez. II, 15 febbraio 2018, n. 174). Difatti, nel caso di realizzazione di opere edilizie abusive, è considerato responsabile anche il proprietario, non in forza di una sua responsabilità effettiva o presunta nella commissione dell'illecito edilizio, ma in virtù del suo rapporto materiale con la res. Egli è, infatti, titolare di obblighi di collaborazione attiva, tra cui rientra senz'altro la rimozione di un abuso edilizio, indipendentemente dal fatto che egli fosse o meno responsabile di tale illecito. Non può essere valorizzata, come fa l'appellante, la nota pronuncia della Corte costituzionale n. 345 del 1991, riferendosi al potere ablatorio che deriva dalla sanzione acquisitiva e non anche a quella ripristinatoria. Questo Consiglio ha infatti di recente ribadito che "Il presupposto per l'adozione di un'ordinanza di ripristino non è l'accertamento di responsabilità nella commissione dell'illecito, bensì l'esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione urbanistico-edilizia: sicché sia il soggetto che abbia la titolarità a eseguire l'ordine ripristinatorio - ossia in virtù del diritto dominicale il proprietario - che il responsabile dell'abuso sono destinatari della sanzione reale del ripristino dei luoghi e quindi legittimati attivi all'impugnazione della sanzione. D'altra parte, l'acquirente dell'immobile abusivo o del sedime su cui è stato realizzato succede in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi relativi al bene ceduto facenti capo al precedente proprietario, ivi compresa l'abusiva trasformazione, subendo gli effetti sia del diniego di sanatoria, sia dell'ingiunzione di demolizione successivamente impartita, pur essendo l'abuso commesso prima del passaggio di proprietà" (cfr. C.d.S., sez. VI, 11 dicembre 2018, n. 6983).

10.2. Anche il secondo mezzo è infondato, in quanto non si può riconoscere in capo al privato un legittimo affidamento, poiché prevale l'interesse pubblico al ripristino della legittimità violata.

L'ordine di demolizione è atto vincolato che non richiede una specifica ponderazione di particolari ragioni di interesse pubblico, né comporta la necessità di una comparazione con gli interessi privati coinvolti e sacrificati (C.d.S., sez. IV, 2 settembre 2019, n. 6055; id., sez. IV, 28 febbraio 2017, n. 908). Le ragioni di pubblico interesse, infatti, che impongono la rimozione di un immobile realizzato abusivamente, sussistono ex se e non richiedono un'apposita ostensione in sede motivazionale. Secondo costante orientamento di questo Consiglio, infatti, "L'attività di repressione degli abusi edilizi non costituisce attività discrezionale, ma del tutto vincolata che non abbisogna di particolare motivazione, essendo sufficiente fare riferimento all'accertata abusività delle opere che si ingiunge di demolire. Peraltro, nemmeno il lungo lasso di tempo intercorso tra la realizzazione dell'abuso e l'adozione del provvedimento repressivo refluisce in un più stringente obbligo motivazionale circa la sussistenza di un interesse pubblico attuale alla ingiunzione di demolizione, atteso che non può ammettersi la consolidazione di un affidamento degno di tutela solo in virtù del tempo trascorso in costanza di una situazione di fatto abusiva, che non può ritenersi per ciò solo legittimata. Pertanto, l'ordinanza di demolizione, quale provvedimento repressivo, non è assoggettata ad alcun termine decadenziale e, quindi, è adottabile anche a notevole intervallo temporale dall'abuso edilizio, costituendo atto dovuto e vincolato alla ricognizione dei suoi presupposti" (cfr. C.d.S., sez. VI, 6 settembre 2017, n. 4243).

10.3. Parimenti infondati risultano gli ulteriori motivi d'appello, potendo osservarsi che:

- il provvedimento impugnato in prime cure risulta adeguatamente motivato, tenuto conto del carattere vincolato dell'esercizio dei poteri sanzionatori comunali in subiecta materia e dell'inconfigurabilità di legittimi affidamenti derivanti dalla situazione di abuso e basati sulla mera situazione di abuso (di modo che l'Amministrazione non era tenuta, anche alla luce di quanto evidenziato al punto precedente, a motivare specificamente in relazione all'estraneità del ricorrente rispetto alla realizzazione degli abusi);

- l'entità degli abusi risulta correttamente definita dal Comune e pertanto la sanzione pecuniaria correttamente calcolata in relazione alla quota imputabile all'odierno appellante, come emerge dal fatto che le opere edilizie abusive sono consistite nella trasformazione del tetto a spiovente in terrazzo e nella realizzazione, in tale spazio, di un magazzino, avente autonoma incidenza in termini di volumetria e carico urbanistico;

- la volumetria in eccesso ha infatti riguardato una terrazza calpestabile, in luogo di un tetto a falda spiovente, ed il recupero dello spazio inizialmente destinato al sottotetto per la realizzazione di magazzini;

- in ragione del carattere vincolato delle determinazioni comunali, può condividersi il giudizio del T.A.R. di irrilevanza dell'eventuale mancanza del preavviso di rigetto, fermo restando che la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza di permesso a costruire è stata resa con nota del 15 marzo 2007 ed inviata all'interessato, come risulta dagli atti, a mezzo di raccomandata il 23 marzo 2007;

- per effetto di ciò può affermarsi che, in disparte ogni altra considerazione, la tutela del contraddittorio e, di conseguenza, del diritto di difesa per il destinatario avverso gli effetti del provvedimento ha avuto piena concretizzazione;

- non si ravvisa, infatti, alcuna violazione dei principi di correttezza e di buon andamento della pubblica Amministrazione, dal momento che la stessa ha assicurato e riconosciuto al privato il diritto ad un confronto a seguito della sua deliberazione;

- anche ammettendo la mancata comunicazione del preavviso di rigetto, è opportuno sottolineare che il procedimento non è viziato "quando il contenuto di quest'ultimo sia interamente vincolato, pure con riferimento ai presupposti di fatto, nonché tutte le volte in cui la conoscenza sia comunque intervenuta, sì da ritenere già raggiunto in concreto lo scopo cui tende siffatta comunicazione" (cfr. C.d.S., sez. IV, 31 luglio 2014, n. 4043);

- a tal proposito, infatti, il successivo art. 21-octies della l. n. 241 del 1990, al comma 2, sancisce la non annullabilità del provvedimento adottato in violazione delle norme sul procedimento nel caso in cui il provvedimento stesso presenti natura vincolata quando sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere differente da quello in concreto adottato;

- secondo ormai consolidato orientamento giurisprudenziale l'art. 21-octies è applicabile anche al caso del difetto di preavviso di diniego in quanto, come l'avviso di avvio procedimentale ex art. 7, è riconducibile al medesimo principio, ossia quello al contraddittorio endoprocedimentale (C.d.S., sez. IV, 27 settembre 2016, n. 3948; id., sez. II, 18 maggio 2015, n. 933).

10.4. In ordine all'entità dell'incremento volumetrico addebitabile alla sua unità immobiliare, l'appellante più precisamente assume che la sopraelevazione di cm. 65, da cui deriverebbe l'asserito illecito ampliamento di mq. 13,59 costituiva il risultato dell'incremento di altezza del piano terra per cm. 50 (cioè dei garage che da mt. 2,00 di altezza assentita sono stati portati a mt. 2,50) e del maggior spessore di cm. 5 di ciascuno dei tre solai intermedi (da cui appunto cm. 50 del piano terra + cm. 5 x 3 = cm 65). In realtà, lo stesso appellante finisce per ammettere che vi è stato un incremento volumetrico pari a mq. 9,6 mentre insiste nel contestare l'incremento di volumetria di mq. 37, posto a base del calcolo dell'importo della sanzione, peraltro frutto di una riduzione dopo che era stato calcolato secondo un coefficiente maggiore. Va di contro osservato che l'istanza di sanatoria avanzata da parte ricorrente è ai sensi dell'art. 36 del t.u. ed. (quando invece i condomini dei piani inferiori avevano già presentato rispettive domande di condono) così risultando necessaria la c.d. "doppia conformità", ma la disciplina urbanistica vigente al momento del rilascio consente l'edificazione soltanto di 1200 mq. rispetto ai 2451 mq. realizzati. Va poi rilevato che l'appellante, proprietario di un appartamento all'ultimo piano, ha lucrato il surplus di volumetria derivante dalla realizzazione del solaio di copertura a terrazza in luogo di quello spiovente. Non emergono quindi elementi per ritenere che il calcolo della volumetria eccedente a carico dell'appellante sia inferiore a quello calcolato dall'Amministrazione, tanto più che questa è pervenuta alla determinazione del coefficiente volumetrico dopo una proficua interlocuzione con il ricorrente ed una conseguente rideterminazione, a seguito dell'ordinanza sub a), più favorevole rispetto a quella inizialmente assunta (ordinanza di pagamento del 6 giugno 2007).

10.5. Infine, va disatteso anche il quinto ed ultimo motivo di appello, con cui si eccepisce la violazione e falsa applicazione del principio generale di motivazione degli atti amministrativi.

L'obbligo di motivazione, difatti, risulta assolto in ogni singolo provvedimento emanato e prodotto dalla pubblica Amministrazione, sia in primo che in secondo grado. L'appellante ha, infatti, sempre avuto piena conoscenza delle ragioni per le quali il Comune ha negato sin dal primo momento il permesso di costruire in sanatoria e proprio in virtù di ciò ha chiesto ed ottenuto l'applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione.

11. In conclusione, l'appello è infondato [e] deve essere respinto.

12. Per quanto attiene alle spese del presente grado di giudizio, sussistono le condizioni, ex artt. 26, comma 1, c.p.a. e 92, comma 2, c.p.c., per dichiararle integralmente compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (R.G. n. 7619/2008), lo respinge.

Spese del presente grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.