Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 12 giugno 2019, n. 43699
Presidente: Aceto - Estensore: Gentili
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Trieste, con sentenza del 9 luglio 2018, sostanzialmente riformando la sentenza emessa dal locale Tribunale in data 15 giugno 2016, ha dichiarato la penale responsabilità di V. Goran in ordine al reato di cui all'art. 674 c.p. per avere immesso nel giardino di proprietà di tale P. Moreno, ubicato al di sotto del terrazzino dell'appartamento, inserito in un condominio urbano, di proprietà dell'imputato, acqua piovana maleodorante in quanto frammista alle deiezioni dei cani dell'imputato, e lo ha, pertanto, condannato alla pena di euro 200,00 di ammenda, oltre al risarcimento del danno patito dalla costituita parte civile.
Ha interposto ricorso per cassazione il V., lamentando il fatto che la Corte territoriale fosse giunta ad una soluzione opposta a quella cui era pervenuto il giudice di primo grado senza avere, tuttavia, proceduto alla riapertura della istruttoria, sebbene i testi della difesa avessero escluso che il liquido defluito nel giardino del P. fosse maleodorante per le ragioni sopra esposte.
In tal modo la Corte avrebbe fatto mal governo della previsione contenuta nell'art. 603, comma 3-bis, c.p.p., che impone la rinnovazione del dibattimento in caso di appello del Pm per motivi attinenti alla valutazione delle prove dichiarative contro sentenza di proscioglimento.
Quale secondo motivo di impugnazione, il ricorrente ha lamentato l'errore di diritto in cui sarebbe incorso il giudicante nel ritenere appellabile la sentenza de qua, ad onta della previsione contenuta nell'art. 593, comma 3, c.p.p., secondo la quale non sono impugnabili in appello le sentenze di proscioglimento per reati contravvenzionali per i quali sia prevista la sola pena dell'ammenda o la pena alternativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto è fondato nei sensi di cui in motivazione.
Prioritario è l'esame del secondo motivo di ricorso, con il quale è dedotta la stessa suscettibilità della sentenza del Tribunale di Trieste, in esito alla quale l'attuale ricorrente era stato assolto dal reato di cui all'art. 674 c.p. perché il fatto non costituisce reato, ad essere sottoposta a gravame da parte della pubblica accusa.
A sostegno della propria impugnazione il ricorrente, avendo osservato che il reato in questione prevede quale sanzione l'arresto sino ad un mese o l'ammenda sino alla somma di euro 206,00, ha rilevato che, in base alla previsione contenuta nell'art. 593, comma 3, c.p.p., sono inappellabili le sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda o, come si verifica in relazione alla disposizione la cui violazione è stata a lui contestata, con pena alternativa detentiva o pecuniaria.
Rileva il Collegio che la citata disposizione, il cui contenuto è effettivamente quello indicato dal ricorrente, risulta, tuttavia, essere stata evocata incongruamente da quello rispetto alla presente fattispecie.
Siffatta disposizione è, infatti, il frutto della novella introdotta nel citato comma 3 dell'art. 593 c.p.p. per effetto della entrata in vigore della l. n. 11 del 2018, la quale, all'art. 2, comma 1, lett. b), ha appunto inserito nel testo della disposizione codicistica un ulteriore limite alla appellabilità delle sentenze, affiancando a quello concernente le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell'ammenda anche "le sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda o con pena alternativa".
La disposizione in questione è entrata in vigore in data 6 marzo 2018; considerata la assenza di una qualche disciplina intertemporale che regoli i procedimenti già incardinati al momento in cui essa è appunta divenuta vigente, deve ritenersi che la stessa - regolando un attributo, appunto la sua inappellabilità, della sentenza - sia applicabile alle sole sentenze emesse successivamente alla entrata in vigore della medesima.
Considerato che nel caso in esame la sentenza con la quale il Tribunale di Trieste ha ampiamente prosciolto il V., impugnata dal Pm, è stata pronunziata in data 15 giugno 2016, essa deve ritenersi sottratta al regime della inappellabilità, essendo questo, sancito dall'art. 593, comma 3, c.p.p., applicabile solo ai provvedimenti giurisdizionali emessi a decorrere dalla entrata in vigore della novella con la quale esso è stato introdotto nella disposizione citata.
Peraltro, si osserva, ad analoghe conclusioni si giungerebbe anche ove si ritenesse quale momento qualificante ai fini della individuazione del regime normativo da applicare alla impugnazione presentata dal Pm - in puntuale ossequio al criterio del tempus regit actum che in linea di principio si applica alle disposizioni regolatrici dei processi giurisdizionali - quello della proposizione della impugnazione avverso la sentenza di primo grado articolata dalla pubblica accusa, essendo stato formulato l'appello del Pm con atto del 25 ottobre 2016, anch'esso, pertanto, anteriore alla vigenza della attuale versione dell'art. 593, comma 3, c.p.p.
Sul punto si ritiene che a nulla rilevi la circostanza che la sentenza scaturita dalla detta impugnazione, essendo stato regolarmente instaurato il giudizio di gravame, sia stata pronunziata in data 9 luglio 2018, quindi nella vigenza dell'attuale versione dell'art. 593, comma 3, c.p.p., essendo questa evenienza, cioè la data della pronunzia della sentenza di appello, legato a circostanze occasionali non tali da giustificare una ragionevole opzione nel senso della applicabilità dell'uno o dell'altro regime di impugnabilità di una sentenza precedentemente emessa.
Passando a questo punto all'esame del successivo motivo di impugnazione che, sebbene formulato per primo era logicamente recessivo rispetto al precedente, sebbene questo fosse articolato in apparente subordine rispetto ad esso, ne rileva la Corte la piena fondatezza.
La Corte giuliana, infatti, ha sostanzialmente riformato la sentenza di primo grado, con la quale come detto l'attuale ricorrente era stato prosciolto dal reato di cui all'art. 674 c.p., accogliendo la impugnazione presentata dalla locale Procura generale con la quale - essendo state censurate le statuizioni del Tribunale, fra l'altro, in relazione all'avvenuto bilanciamento delle inconciliabili dichiarazioni delle parti e dei testimoni da queste introdotti nonché la mancanza di qualsiasi valutazione circa l'attendibilità delle deposizioni offerte dalla difesa, le cui contraddizioni avrebbero, invece dovuto suggerire una seria valutazione sulla loro genuinità - erano stati articolati motivi di gravame attinenti la valutazione della prova dichiarativa.
Ciò avrebbe imposto - in considerazione dell'intervenuta modificazione dell'art. 603 c.p.p., all'interno del quale, a seguito della entrata in vigore della l. n. 103 del 2017, a decorrere dal 3 agosto 2017, è stato inserito il comma 3-bis che prevede, in caso di appello del Pm contro una sentenza di proscioglimento per motivi riguardanti la valutazione della prova dichiarativa - la rinnovazione, in fase di gravame, della istruttoria dibattimentale, dovendo, di conseguenza la Corte di appello di Trieste procedere alla riapertura della istruttoria per risentire i testi già esaminati in sede di primo grado le cui risposte sono state diversamente considerate ai fini del decidere da tale organo giudiziario rispetto a quanto fatto dal Tribunale.
Nel senso sopra descritto la sentenza impugnata è, pertanto, illegittima e la stessa deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste che, previa riapertura della istruttoria, considererà nuovamente l'impugnazione presentata dal Procuratore generale territoriale avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Trieste nei confronti dell'attuale ricorrente.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste.
Depositata il 28 ottobre 2019.