Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 19 novembre 2019, n. 7902

Presidente: Frattini - Estensore: Pescatore

FATTO

1. È controverso il provvedimento ministeriale datato 28 luglio 2017 con il quale è stata rigettata l'istanza di riconoscimento del titolo abilitante alla professione di odontologo conseguito dalla ricorrente in Argentina, nell'anno 2012, presso l'Università Nazionale di Cordoba. Il motivo del diniego fa riferimento al fatto che l'art. 41, comma 2, del d.lgs. n. 206 del 2007 prevede, per il conseguimento del diploma di laurea in odontoiatria, un percorso di studi teorici e pratici della durata minima di 5 anni e 5000 ore di insegnamento; viceversa, il percorso di studi seguito dalla ricorrente in Argentina prevede un impegno didattico orario pari a sole 4.351 ore di formazione.

2. Secondo il Tar - pronunciatosi con sentenza n. 10343/2018, reiettiva del ricorso intentato in primo grado dalla odierna parte appellante - l'insufficienza delle ore di insegnamento relative al corso di laurea sostenuto all'estero costituisce un ostacolo insuperabile e vincolante rispetto alle decisioni dell'amministrazione, e ciò proprio ai sensi dell'art. 41, comma 2, del d.lgs. n. 206 del 2007, recante recepimento della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali.

Il giudice di primo grado ha inoltre escluso che al titolo della ricorrente possano essere applicate le misure compensative previste dall'art. 22 del d.lgs. 206/2007, a tal fine assumendo che "sino alla emanazione del decreto legislativo n. 15 del 28 gennaio 2016 le carenze da recuperare mediante misure compensative potevano tra l'altro riguardare sia il gap temporale (durata minima corso di laurea) sia il gap contenutistico (materie affrontate nel corso di studio all'estero)"; ma che, a partire dal 2016 (in seguito alla entrata in vigore del d.lgs. n. 15 del 2016, abrogativo della lett. a) del comma 1 dell'art. 22 del decreto 206/2007 riferito al presupposto del "gap temporale") si può "procedere al riconoscimento generale mediante applicazione di misure compensative dei soli titoli in cui si riscontri un certo gap contenutistico, non anche di quelli in cui si registri altresì un gap di natura temporale", e ciò al fine di "garantire un certo livello minimo di qualificazione necessario a preservare la qualità delle relative prestazioni professionali (cfr. undicesimo considerando della direttiva 2005/36/CE)".

Infine, secondo il Tar, i casi asseritamente contrastanti con tale impostazione - portati dalla ricorrente a dimostrazione della ingiusta disparità di trattamento subìta - fanno riferimento a vicende antecedenti al d.lgs. n. 15/2016 che, in quanto tali, non possono essere assunte ad utile parametro di confronto.

3. Nella presente sede di appello, la ricorrente pone:

- una questione processuale, sostenendo che il Giudice di prime cure avrebbe posto a fondamento della sua decisione una tematica rilevata d'ufficio (relativa alla asserita impossibilità di individuare le misure compensative di cui all'art. 22 del d.lgs. n. 206/2007 nei casi di "gap temporale"), senza provocare su di essa il preventivo contraddittorio delle parti;

- una questione di merito (già dedotta in primo grado con il primo motivo), stando alla quale dalla lettura sistematica del quadro normativo emergerebbe che la durata minima di 5.000 ore (art. 41, comma 2, d.lgs. n. 206/2007) è imprescindibile per il professionista che voglia beneficiare del riconoscimento automatico ex art. 31 d.lgs. n. 206/2007; mentre non lo è per il professionista che chieda di beneficiare del "sistema generale di riconoscimento";

- una seconda questione di merito (reiterativa del secondo motivo del ricorso di primo grado), secondo la quale il Ministero, nel valutare il titolo abilitante in questione, avrebbe dovuto considerare non solo la durata del programma didattico previsto nell'ordinamento argentino (4.351 ore), ma anche l'attività professionale svolta dalla ricorrente come assistente universitaria e i corsi di specializzazione post laurea dalla stessa conseguiti, nel loro totale assommanti ad un monte orario superiore al limite minimo delle 5000 ore;

- una censura di carenza di proporzionalità nell'interpretazione della direttiva comunitaria 2005/36/CE, in relazione alla quale la parte appellante invoca l'attivazione della questione pregiudiziale comunitaria ovvero, in subordine, dell'incidente di legittimità costituzionale.

4. Il Ministero della Salute si è costituito con atto meramente formale.

5. A seguito dell'accoglimento dell'istanza cautelare, disposto ai sensi dell'art. 55, comma 10, c.p.a. con ordinanza n. 2614/2019, la causa è stata discussa e posta in decisione all'udienza pubblica del 14 novembre 2019.

DIRITTO

1. Il primo motivo - riferito alla presunta violazione dell'art. 73, comma 3, c.p.a. - è fondato e meritevole di accoglimento.

Dalla lettura degli atti di causa relativi al primo grado di giudizio e delle risultanze del procedimento che ha condotto all'adozione del provvedimento in quella sede gravato, trova conferma l'assunto secondo il quale l'argomento fondante la ratio della decisione appellata ha avuto ingresso, nel thema decidendum, su autonomo impulso dell'organo giudicante e senza essere [in] precedenza sottoposto al contraddittorio delle parti.

2. Il riferimento è alla tesi secondo la quale il d.lgs. n. 15/2016, modificando l'art. 22 del d.lgs. n. 206/2007 (ed in particolare abrogando la lett. a) del comma 1, riferita al presupposto del "gap temporale") avrebbe impedito l'individuazione di misure compensative per colmare il deficit di durata del corso di laurea straniero (punto 5, lett. da "a" a "h" della sentenza).

3. Effettivamente, trattasi di postulato inedito rispetto alla pluralità di argomenti spesi dalle parti tanto nel corso del giudizio di primo grado, quanto nell'interlocuzione procedimentale che ha preceduto - attraverso lo scambio del preavviso di rigetto e della memoria di risposta ai motivi ostativi - l'adozione del provvedimento di diniego.

4. La tematica sviluppata sua sponte dal giudice di primo grado non è stata sottoposta all'attenzione delle parti in udienza, con invito alle stesse ad esprimersi sul punto, e ciò in patente violazione dell'art. 73, comma 3, c.p.a., il quale prevede che "se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale. Se la questione emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice riserva quest'ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie".

Come anche di recente ribadito da questa sezione, il dovere del giudice di venire in soccorso alle parti ex art. 73, comma 3, c.p.a. costituisce un meccanismo di tutela volto ad evitare pronunce "a sorpresa" su profili che esplicano una influenza decisiva sul giudizio (C.d.S., sez. III, 26 luglio 2019, n. 5275; 30 aprile 2019, n. 2802; 15 gennaio 2018, n. 165).

5. Nel caso di specie, non vi è dubbio che la variazione normativa introdotta dal d.lgs. n. 15/2016 ha assunto, agli occhi del giudice di primo grado, la rilevanza di questione "dirimente", tale da orientare il rigetto della totalità dei motivi di ricorso dedotti, fornendo argomento di confutazione diretta del motivo sub A), e, in via derivata e logico-consequenziale, anche dei successivi motivi sub B), C) e D).

6. Per i suesposti motivi, l'appello va accolto, con conseguente annullamento della sentenza appellata e rinvio della causa al giudice di primo grado, ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a.

7. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese processuali dei due gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie ai sensi di cui in motivazione e, per l'effetto, annulla la sentenza impugnata, con rinvio della causa al giudice di primo grado.

Compensa tra le parti in causa le spese dei due gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.