Corte di cassazione
Sezione IV penale
Sentenza 1° ottobre 2019, n. 50110

Presidente: Ciampi - Estensore: Bruno

RITENUTO IN FATTO

1. M. Riccardo, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze che, in riforma della pronuncia assolutoria resa dal Tribunale di Firenze, lo ha ritenuto responsabile del reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale.

La difesa deduce, in sintesi, giusta il disposto di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p., i seguenti motivi di ricorso.

I) Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. in relazione alla valutazione delle prove dichiarative assunte in primo grado da reputarsi decisive [a]i fini dell'affermazione di responsabilità; mancato rispetto del canone di giudizio di cui all'art. 533, comma 1, c.p.p. che impone di emettere la pronuncia di condanna solo ove la responsabilità sia accertata al di là di ogni ragionevole dubbio; violazione dell'art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

II) Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per vizi risultanti dal testo del provvedimento impugnato e da atti del procedimento (c.d. travisamento della prova) in relazione all'asserita sussistenza dei reato di cui all'art. 589, comma 1 e 2, c.p.

Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 589, comma 1 e 2, c.p.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il primo motivo di censura risulta fondato ed il suo accoglimento ha valore assorbente rispetto ad ogni ulteriore doglianza difensiva proposta.

Era contestato al ricorrente di avere cagionato la morte di C. Faustina mentre costei, a piedi, si apprestava a terminare l'attraversamento della strada, per colpa generica, consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, nonché, per colpa specifica, consistita nella violazione dell'art. 141 cod. strada, avendo l'imputato omesso di mantenere il controllo del proprio veicolo e di arrestarne la marcia in presenza di un ostacolo ben visibile.

Il Tribunale di Firenze, con sentenza del 12 ottobre 2018, aveva assolto il M. dal delitto di omicidio colposo, così argomentando la decisione assunta: "la ricostruzione dell'incidente stradale è priva di affidabilità poiché non è stato fornito alcun rilievo attendibile in ordine al punto d'urto, alla posizione assunta dalla vettura dopo l'urto, alla posizione del corpo ancora in vita della vittima dopo l'urto: tale ricostruzione appare il frutto di dichiarazioni inutilizzabili e inutilizzate (quelle dell'imputato) e del sentito dire da operatori dell'assistenza non identificati; la prova orale del PM è stata limitata all'agente operante - intervenuto quando la scena del fatto era stata ormai completamente alterata - e al medico di pronto soccorso che non ha potuto fornire alcuna informazione utile sul punto della carreggiata nel quale il corpo della vittima ha trovato lo stato di quiete dopo l'urto; è unicamente dimostrato il nesso causale tra l'urto, le lesioni patite dalla donna e il decesso intervenuto quasi tre mesi dopo il fatto; al contrario la consulenza del perito Alfonso Martini (sentito all'udienza del 24 marzo 2015 e la cui relazione è stata acquisita agli atti del dibattimento) ha fornito elementi suggestivi per una dinamica nella quale: a) a causa dell'andamento curvilineo della strada nel tratto precedente il punto d'urto i veicoli procedenti in senso contrario a quello del M. avrebbero potuto occultare all'imputato la vista dalla parte iniziale dell'attraversamento compiuto dalla sig.ra C. in violazione dell'art. 190 C.d.S.; b) i danni evidenziati sulla vettura del M. a seguito dell'urto sarebbero dimostrativi di un'andatura particolarmente contenuta e, in ogni caso, inferiore ai prescritti 50km/h".

In seguito ad impugnazione proposta dal P.G., la Corte d'appello ha ribaltato il verdetto assolutorio, sostenendo che il Giudice di primo grado aveva del tutto omesso di considerare gli esiti della relazione di consulenza tecnica del P.M., affidata al C.T. dr. Cafaro, da cui risultava che le lesioni riportate dalla vittima erano tutte localizzate sulla parte destra del corpo, ad eccezione della frattura di entrambe le tibie.

L'assenza di lesioni sulla parte sinistra del corpo attesterebbe, secondo la ricostruzione offerta dalla Corte d'appello, che l'impatto tra la vettura ed il pedone sarebbe avvenuto mentre la donna attraversava la strada da sinistra a destra rispetto alla direzione di marcia dell'imputato, nell'ambito della sua stessa corsia.

La Corte di merito ha osservato inoltre, sulla base della testimonianza assunta dal teste di Polizia intervenuto sul posto, che "l'imputato aveva avuto tutto il tempo per accorgersi della presenza del pedone sulla strada e porre in essere la manovra di guida idonea ad evitarne l'investimento".

In virtù di tali considerazioni, la Corte di merito ha concluso affermando che "il sinistro in questione è stato determinato da colpa dell'imputato, il quale, pur trovandosi nella condizione di potersi accorgere della presenza di un pedone in attraversamento sulla carreggiata (il quale non ha tenuto alcuna condotta imprevedibile e anomala, pur non essendosi avvalso delle strisce pedonali poste a circa 70 metri di distanza), non ha arrestato tempestivamente il proprio veicolo, né ha effettuato alcuna manovra di evitamento del pedone".

3. Secondo i principi da tempo espressi in sede di legittimità, nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, devono essere evidenziati elementi ulteriori rispetto a quelli esaminati in primo grado perché non è sufficiente, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera e diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, che sia in grado di vincere ogni ragionevole dubbio (Sez. 6, n. 45203 del 22 ottobre 2013, Paparo, Rv. 25686901; Sez. 6, n. 8705 del 24 gennaio 2013, Farre, Rv. 25411301; Sez. 2, n. 11883 dell'8 novembre 2012, dep. 2013, Berlingeri, Rv. 25472501; Sez. 6, n. 34487 del 13 giugno 2012, Gobbi, Rv. 25343401).

Inoltre, nel caso in cui la reformatio in peius sia frutto di una diversa valutazione di prove dichiarative, per effetto della sentenza della Corte E.D.U. del 5 luglio 2011 nel caso Dan c/ Moldavia, si è chiarito che il giudice ha l'obbligo di rinnovare l'istruttoria dibattimentale e di escutere nuovamente i dichiaranti, qualora valuti diversamente la loro attendibilità rispetto a quanto ritenuto in primo grado (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 29827 del 13 marzo 2015, Rv. 265139; Sez. 6, n. 44084 del 23 settembre 2014, Rv. 260623; Sez. 3, n. 11658 del 24 febbraio 2015, Rv. 262985).

La pronuncia delle Sezioni unite della Cassazione nel caso Dasgupta, chiamata a risolvere il profilo della rilevabilità d'ufficio - in sede di giudizio di cassazione - della violazione dell'art. 6 CEDU per avere, il giudice d'appello, riformato la sentenza assolutoria di primo grado esclusivamente sulla base di una diversa valutazione delle dichiarazioni di testimoni, senza procedere a nuovo esame degli stessi, ha puntualizzato importanti principi in materia. In particolare, si è ivi affermato che: il mancato rispetto, da parte del giudice dell'appello, del dovere di procedere alla rinnovazione delle fonti dichiarative in vista di una reformatio in peius va inquadrato non nell'ambito di una violazione di legge, ma in quello di un vizio di motivazione; l'esigenza di rinnovazione della prova dichiarativa si può prospettare anche nell'ambito di un giudizio abbreviato o in caso di impugnazione ai soli effetti civili; la necessità, per il giudice di appello, di procedere anche d'ufficio alla rinnovazione dibattimentale, nel caso di riforma della sentenza di assoluzione, sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva, non consente distinzioni a seconda della qualità soggettiva del dichiarante; il dovere di rinnovare gli apporti dichiarativi si configura con riguardo a quelli ritenuti decisivi ai fini del giudizio assolutorio di primo grado.

La pronuncia in commento si fa carico di specificare quali siano le prove decisive, affermando il seguente principio: «Costituiscono prove decisive al fine della valutazione della necessità di procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale delle prove dichiarative nel caso di riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado fondata su una diversa concludenza delle dichiarazioni rese, quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l'assoluzione e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull'esito del giudizio, nonché quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell'appellante, rilevanti - da sole o insieme ad altri elementi di prova - ai fini dell'esito della condanna» (Sez. un., n. 27620 del 28 aprile 2016, Dasgupta, Rv. 267491).

Il giudice di appello potrà, dunque, pervenire a differente esito decisorio purché ciò avvenga sulla base di elementi istruttori trascurati dal giudice di primo grado, in particolare mettendo in rilievo di quali elementi decisivi quest'ultimo non abbia tenuto adeguato conto, ovvero rinnovando l'istruttoria ove ritenga di non condividere la valutazione della prova dichiarativa operata in primo grado (Sez. un., n. 27620 del 28 aprile 2016, Dasgupta, Rv. 26748701).

È d'uopo rilevare, a completamento di tale excursus, come il principio della necessità della rinnovazione della istruttoria dibattimentale in caso di diversa valutazione di una prova dichiarativa decisiva, già ampiamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, abbia trovato esplicita codificazione nell'art. 603, comma 3-bis, c.p.p., come introdotto dall'art. 1, comma 58, della l. 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017, il quale stabilisce che, nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice debba disporre la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale.

3.1. In relazione al caso concreto, esaminando la sentenza impugnata alla luce dei principi esposti, deve osservarsi come la riforma del giudizio sia scaturita anche da una diversa interpretazione della testimonianza resa dal teste di Polizia Municipale B., a cui il Giudice di primo grado non aveva attribuito alcun significativo valore ai fini della decisione, evidenziando che egli era intervenuto "quando la scena del fatto era stata ormai completamente alterata".

Il passaggio stride con le argomentazioni svolte dalla Corte di merito che ha invece tratto dalla suddetta testimonianza elementi rilevanti ai fini della formazione del proprio convincimento, incasellando le sue dichiarazioni nel più ampio contesto argomentativo della motivazione e così affermando testualmente: "Dalla deposizione del teste di P. G. è emerso che al momento del sinistro non pioveva (mentre pioveva quando la Polizia Municipale giunse sul luogo; circa 20 minuti dopo, come risulta dalle foto in atti), vi era ancora luce solare, la strada era in discesa (rispetto alla direttrice di marcia dell'imputato) con curva a sinistra a visuale libera (l'ampia visibilità è ben evidente nelle foto in atti). Il teste ha affermato che la sagoma del pedone, in quelle condizioni concrete, poteva essere avvistata dall'imputato già da 40 metri di distanza".

4. Alla luce delle superiori considerazioni s'impone l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Firenze perché provveda, rinnovata la istruttoria dibattimentale, a nuovo esame del suddetto teste di Polizia Municipale.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d'appello di Firenze, altra Sezione.

Depositata l'11 dicembre 2019.