Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 22 novembre 2019, n. 397
Presidente: Sabeone - Estensore: Caputo
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza deliberata, all'esito del giudizio abbreviato, il 17 ottobre 2017, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Milano dichiarava Manfredi R. responsabile dei reati di abuso di informazioni privilegiate (art. 184, comma 1, lett. a), d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58: d'ora in poi, TUF), perché, essendo in possesso di informazioni privilegiate in quanto chief investiment officier delle società del gruppo Zurich in Italia (a capo dell'ufficio che curava gli investimenti di Zurich Investiment Life s.p.a., Surich Life Insurance Italia s.p.a., Zurich Life and Pension s.p.a., Zuritel s.p.a.), acquistava, vendeva ovvero compiva altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio e per conto terzi, su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime e, segnatamente, essendo in possesso di informazioni privilegiate concernenti le azioni delle società di seguito indicate, negoziate sul MTA, acquistava: 22.290 azioni Ei Towers nel periodo 20 maggio 2013-5 marzo 2014; 37.500 azioni Fiera Milano nel periodo 6 agosto-20 settembre 2013; 32.500 azioni IVS Group nel periodo 8 luglio 2013-19 marzo 2014; 26.500 azioni Sias nel periodo 9 settembre-25 settembre 2913; 10.000 azioni Datalogic il 4 ottobre 2013; 25.000 azioni Isagro il 22 e il 23 ottobre 2013; 10.000 azioni Cnh Industrial in data 28 marzo 2014; con le circostanze attenuanti generiche, la continuazione e la riduzione per il rito, l'imputato veniva condannato alla pena di anni 1 di reclusione ed euro 20 mila di multa (pena-base, anni 2 di reclusione ed euro 40 mila di multa; ridotta per l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche ad 1 e mesi 4 di reclusione ed euro 27 mila di multa; aumentata per la continuazione di giorni 20 di reclusione ed euro 500 di multa per ciascuno dei 6 ulteriori reati, così pervenendo alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione ed euro 30 mila di multa; ridotta come sopra per il rito); nei confronti dell'imputato venivano altresì applicate, per la durata di mesi 10 e giorni 20, le pene accessorie dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici, dell'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese e l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, nonché della pubblicazione della sentenza; venivano infine riconosciuti i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione e veniva rigettata la domanda risarcitoria della parte civile Consob.
Investita delle impugnazioni dell'imputato e della parte civile, la Corte di appello di Milano, con sentenza deliberata il 3 ottobre 2018, ha condannato l'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile Consob (liquidati in euro 25 mila) e ha nel resto confermato la sentenza di primo grado.
2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione Manfredi R., attraverso i difensori Avv.ti Guido Carlo Alleva e Antonio Golino, articolando tre motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.
In premessa, il ricorso segnala che, per i medesimi fatti, all'imputato, con delibera sanzionatoria di Consob non impugnata, sono state applicate la sanzione amministrativa pecuniaria di 100 mila euro, la sanzione amministrativa accessoria ai sensi dell'art. 187-quater, comma 1, TUE, per un periodo di mesi 6, la confisca ex art. 187-sexies TUF dei beni già in sequestro (ossia euro 2.830,01 ed euro 187.033,99).
2.1. Il primo motivo denuncia inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 649 c.p.p. in relazione all'art. 4 del Protocollo Addizionale n. 7 alla Cedu. La Corte di appello ha correttamente vagliato i requisiti delineati dalla sentenza della Corte EDU, Grande Camera, 15 novembre 2016 A e B c. Norvegia circa la connessione temporale tra i procedimenti, la interazione tra le diverse autorità competenti in ordine alla raccolta e alla valutazione della prova e la prevedibilità dell'avvio di due procedimenti, ma si è posta in contrasto con l'art. 4 cit. lì dove ha ritenuto la sussistenza della connessione sostanziale tra i procedimenti richiesti dalla sentenza della Corte EDU. Erroneamente il giudice di appello ha ritenuto che i due procedimenti perseguirebbero uno scopo diverso in quanto per l'applicazione della sanzione amministrativa è sufficiente la colpa: infatti, nell'ambito del procedimento, l'imputato era stato sanzionato a titolo di dolo e, successivamente, per lo stesso titolo soggettivo è stato condannato in sede penale con gravi sanzioni. Inoltre, le sanzioni irrogate dal giudice penale si sommano a quelle applicate da Consob, che, per la loro afflittività e per il loro cumulo assumono finalità social-preventive e punitive, al pari delle tipiche sanzioni penali, sicché viene meno la diversità di scopi perseguiti dai due procedimenti sanzionatori, diversità necessaria per escludere la violazione del principio del ne bis in idem di cui all'art. 4 cit.
Erroneamente la Corte di appello ha affermato che il giudice di primo grado aveva tenuto conto delle sanzioni disposte nel procedimento amministrativo, posto che ha applicato le pene accessorie senza considerare le sanzioni amministrative accessorie precedentemente disposte: sanzioni tutte dal contenuto sostanzialmente identico e, come ritenuto dalla sentenza n. 223 del 2018 della Corte costituzionale, dall'elevato carico afflittivo.
L'unica parte del trattamento sanzionatorio "accessorio" già disposto nell'ambito del procedimento amministrativo e tenuto in considerazione dal giudice penale è quello relativo alla confisca. Al riguardo i giudici di merito hanno ritenuto facoltativa la confisca ex art. 187 TUF (a fronte del carattere obbligatorio della confisca disposta in sede amministrativa): ad un'analisi congiunta degli artt. 187 e 187-sexies TUE (nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 107) tale considerazione si fondava sulla mancanza dell'avverbio "sempre" nella prima disposizione, ma tale conclusione è in contrasto con la giurisprudenza di legittimità e di merito.
Inoltre, la Corte di appello ha trascurato il disposto di cui all'art. 187-terdecies TUF, non riguardante peraltro la pena della reclusione (come evidenziato dalla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea C-537/16, Garlsson Real Estate SA e a.), rilievo riferibile anche alla formulazione della disposizione successiva alla novella di cui al d.lgs. n. 107 del 2018, sicché il sistema delineato dalla disciplina in questione non soddisfa il principio del ne bis in idem di cui all'art. 4 del Prot. 7 alla Cedu.
Il procedimento amministrativo e l'odierno procedimento penale non presentano la connessione materiale necessaria per escludere la violazione del ne bis in idem, sicché è necessario sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p. in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost. e in relazione all'art. 4 del Prot. n. 7 alla Cedu, tanto più che la sentenza n. 102 del 2016 della Corte costituzionale è intervenuta prima della sentenza A e B c. Norvegia della Corte EDU.
2.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione dell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. La Corte di appello non ha assolto al giudizio di proporzionalità del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato all'imputato nei termini richiesti dalle Corti sovranazionali, limitandosi ad affermazioni di mero principio non sorrette da una disamina degli specifici elementi del caso in esame ed affermando erroneamente che il giudice di primo grado aveva tenuto conto delle sanzioni adottate da Consob. In tal modo, in relazione ad imputazioni di abuso di informazioni privilegiate che procuravano a R. un ingiusto profitto pari a circa 50 mila euro, all'imputato erano applicate sanzioni amministrative pecuniarie - in forma di sanzione, confisca del profitto illecito e confisca dei beni utilizzati per commetterlo - per un ammontare totale pari a 300 mila euro, cui si aggiungeva la sanzione interdittiva accessoria per mesi 6 e la pubblicazione della delibera sanzionatoria nel bollettino Consob. Alla risposta sanzionatoria amministrativa (ma sostanzialmente penale) definitiva, si aggiungeva quella penale con l'applicazione di una pena detentiva, di un'ulteriore pena pecuniaria di 20 mila euro di multa e di ulteriori pene interdittive accessorie per la durata di mesi 10 e giorni 20, oltre alla pubblicazione della sentenza: tale complessiva risposta sanzionatoria è priva di proporzionalità con particolare riguardo al fatto storico, in violazione del principio del ne bis in idem di cui all'art. 50 cit., tanto più che non è stata considerata l'assenza di alterazione del corso dei titoli oggetto di acquisto personale da parte dell'imputato e di qualsiasi percepibile turbamento degli investitori.
2.3. Il terzo motivo denuncia inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 187-undecies, comma 2, TUF. Erroneamente la Corte di appello, riformando sul punto la decisione di primo grado, ha ritenuto che il danno risarcibile a Consob derivi dalla semplice commissione dell'abuso di mercato, senza necessità di prova ulteriore della sussistenza del danno e del nesso di causalità tra condotta e danno. A Consob è riconosciuta la rappresentatività degli interessi lesi dal reato e la possibilità di agire in giudizio per la riparazione degli eventuali danni all'integrità del mercato, ma i profili del danno devono essere oggetto di rigoroso accertamento, tanto più che, nel caso di specie, vi è prova che la condotta illecita non ha provocato al mercato alcun pregiudizio, non essendosi verificata alterazione del corso dei titoli oggetto di acquisto, né alcun turbamento percepibile dagli investitori.
3. Con memoria depositata il 7 novembre 2019, il difensore e procuratore speciale della parte civile Consob avv. Valentina Falciani ha chiesto che il ricorso sia rigettato.
3.1. Con riferimento al primo motivo, la memoria richiama la giurisprudenza costituzionale, anche recente, che, ricollegandosi agli approdi della giurisprudenza Cedu, ha sottolineato la centralità della valutazione sulla proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio: approccio, questo, ripreso anche dalla giurisprudenza di legittimità. La memoria si sofferma poi sulla complementarietà degli scopi perseguiti dalle norme sanzionatorie penali e amministrative, rimarcando come nel caso di specie la definitività delle sanzioni amministrative irrogate da Consob sia riconducibile alla scelta dell'odierno imputato di non impugnare la relativa delibera.
3.2. Con riferimento al secondo motivo, la memoria, richiamate recenti decisioni della Corte di giustizia dell'Unione europea, rileva che Consob ha applicato sanzioni amministrative pecuniarie e accessorie nei confronti di R. in relazione al medesimo fatto storico oggetto del presente procedimento, non potendo, tuttavia, operare il divieto di bis in idem di cui all'art. 50 CDFUE in considerazione dei limiti applicativi di cui all'art. 52 della stessa Carta: pacifica è la prevedibilità della reazione punitiva, sussiste il coordinamento tra i procedimenti e, quanto alla proporzionalità del cumulo delle sanzioni irrogate al ricorrente rispetto alla gravità del reato, devono essere valutati molteplici elementi, relativi all'entità della lesione all'integrità del mercato (solo per quanto concerne le azioni Ei Towers l'imputato ha sfruttato sei informazioni privilegiate), alla quantità e al valore complessivo degli strumenti finanziari negoziati (acquistati da R. utilizzando le informazioni privilegiate in misura pari a 1.484.732 euro) e al profitto conseguito (pari a 50 mila euro), dovendosi tener presente che il giudizio abbreviato ha determinato la riduzione della pena e che opera il meccanismo compensativo tra sanzioni amministrative e pene pecuniarie di cui all'art. 187-terdecies TUF. Nel presente giudizio, la proporzionalità del trattamento sanzionatorio è già stata valutata dai giudici di merito, che non hanno disposto la confisca ex art. 187 TUF tenendo conto espressamente della già disposta confisca amministrativa ex art. 187-sexies TUF.
3.3. In ordine al terzo motivo, la memoria richiama gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità e, segnatamente, l'indirizzo che attribuisce alla responsabilità ex art. 187-undecies, comma 2, TUF natura "polifunzionale" (e, dunque, anche preventiva e sanzionatorio-punitiva e non solo compensativo-riparatoria), sicché prescinde dalla prova del danno nel senso tradizionale di perdita subìta o mancato guadagno ex art. 1223 c.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è solo in parte meritevole di accoglimento.
2. La complessa vicenda - eminentemente giurisprudenziale - concernente il rapporto tra il principio del ne bis in idem, anche nelle sue declinazioni sovranazionali, e il regime di "doppio binario" sanzionatorio che caratterizza, tra le altre, la disciplina degli abusi di mercato è stata esaminata da varie pronunce di legittimità (in ordine di tempo, Sez. 5, n. 45829 del 16 luglio 2018, Franconi; Sez. 5, n. 49869 del 21 settembre 2018, Chiarion Casoni; Sez. 5, n. 5679 del 9 novembre 2018 - dep. 2019, Erbetta; Sez. 5, n. 39999 del 15 aprile 2019, Respigo), concordi nell'individuazione del nucleo essenziale dell'assetto di detto rapporto. Il riferimento ai menzionati arresti della giurisprudenza di questa Corte consente di contenere in termini di sintesi la ricostruzione degli indirizzi, infine, maturati in seno alle giurisdizioni sovranazionali e alla Corte costituzionale.
2.1. Superando l'indirizzo delineato dalla sentenza della Corte EDU, sez. II, 4 marzo 2014, Grande Stevens, la sentenza della Grande Camera della Corte EDU, 15 novembre 2016, A. e B. c. Norvegia ha rimarcato come gli Stati possano legittimamente scegliere «risposte giuridiche complementari di fronte ad alcuni comportamenti socialmente inaccettabili» attraverso procedure diverse che formino «un insieme coerente in maniera tale da trattare sotto i suoi diversi aspetti il problema sociale in questione» e a condizione che «tali risposte giuridiche combinate non rappresentino un onere eccessivo» per la persona interessata (§ 121): in forza dell'art. 4 Prot. n. 7, la Corte stessa verifica se la doppia incriminazione sia il frutto di «un sistema integrato che permette di reprimere un illecito sotto i suoi vari aspetti in maniera prevedibile e proporzionata e che forma un insieme coerente, in modo tale da non causare alcuna ingiustizia all'interessato» (§ 122). Dall'art. 4 cit., osserva ancora la Corte di Strasburgo in un passaggio di grande rilievo, non discende il divieto di comminare una sanzione amministrativa - pur se qualificabile come "penale" - per fatti per i quali è opportuno perseguire penalmente l'autore in relazione a un elemento ulteriore rispetto al mero mancato pagamento dell'imposta: oggetto dell'art. 4 cit. è prevenire l'ingiustizia per la persona che sia perseguita o punita due volte per la stessa condotta criminalizzata, ma ciò non esclude la legittimità di un approccio "integrato" che involga «fasi parallele condotte da autorità diverse con finalità diverse» (§ 123).
La Grande Camera osserva quindi che, nei casi in cui è prevista la repressione in forza sia della legge penale, sia di quella amministrativa, il modo più sicuro per garantire il rispetto dell'art. 4 cit. sarebbe quello di prevedere un meccanismo in grado di unificare i due procedimenti: tuttavia, l'art. 4 cit. «non esclude che si possano tenere procedimenti misti, anche fino alla conclusione degli stessi», purché tra tali procedimenti sussista un «nesso materiale e temporale sufficientemente stretto», ossia che gli scopi perseguiti e i mezzi utilizzati per raggiungerli siano sostanzialmente complementari e presentino un nesso temporale e che «le eventuali conseguenze derivanti da una tale organizzazione del trattamento giuridico del comportamento in questione devono essere proporzionate e prevedibili per la persona sottoposta alla giustizia» (§ 130).
Ai fini della valutazione della sussistenza di tali condizioni, continua la Grande Camera, è necessario valutare: a) se i procedimenti abbiano scopi complementari e investano, anche in concreto, aspetti diversi della stessa condotta antisociale censurata; b) se la duplicità dei procedimenti sia, in base alla legge e nella pratica, una conseguenza prevedibile dello stesso comportamento sanzionato; c) se i procedimenti siano condotti in modo tale da evitare, per quanto possibile, «qualsiasi ripetizione nella raccolta e nella valutazione degli elementi di prova, soprattutto grazie a una interazione adeguata tra le diverse autorità competenti, facendo apparire che l'accertamento dei fatti compiuto in uno dei procedimenti è stato ripreso nell'altro»; d) se, soprattutto, «la sanzione imposta all'esito del procedimento conclusosi per primo sia stata tenuta presente nell'ambito del procedimento che si è concluso per ultimo, in modo da non finire con il far gravare sull'interessato un onere eccessivo, rischio, quest'ultimo, che è meno suscettibile di presentarsi se esiste un meccanismo compensatorio concepito per assicurare che l'importo globale di tutte le pene pronunciate sia proporzionato» (§ 132). La Grande Camera sottolinea, inoltre, la necessità di valutare se le sanzioni non formalmente penali non siano riconducibili al "nucleo essenziale" del diritto penale, poiché, «se, a titolo supplementare, tale procedimento non ha carattere veramente infamante, vi sono meno possibilità che faccia gravare un onere sproporzionato sull'accusato» (§ 133).
2.2. Il significativo mutamento registratosi nella giurisprudenza della Corte EDU con la sentenza della Grande Camera, 15 novembre 2016, A. e B. c. Norvegia è stato rilevato anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 43 del 2018: ha osservato il giudice delle leggi che «la rigidità del divieto convenzionale di bis in idem, nella parte in cui trova applicazione anche per sanzioni che gli ordinamenti nazionali qualificano come amministrative, aveva ingenerato gravi difficoltà presso gli Stati che hanno ratificato il Protocollo n. 7 alla CEDU, perché la discrezionalità del legislatore nazionale di punire lo stesso fatto a duplice titolo, pur non negata dalla Corte di Strasburgo, finiva per essere frustrata di fatto dal divieto di bis in idem», sicché, allo scopo di alleviare tale inconveniente, la Corte EDU ha enunciato «il principio di diritto secondo cui il ne bis in idem non opera quando i procedimenti sono avvinti da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto ("sufficiently closely connected in substance and in time"), attribuendo a questo requisito tratti del tutto nuovi rispetto a quelli che emergevano dalla precedente giurisprudenza», precisando che: «legame temporale e materiale sono requisiti congiunti; [...] il legame temporale non esige la pendenza contemporanea dei procedimenti, ma ne consente la consecutività, a condizione che essa sia tanto più stringente, quanto più si protrae la durata dell'accertamento; [...] il legame materiale dipende dal perseguimento di finalità complementari connesse ad aspetti differenti della condotta, dalla prevedibilità della duplicazione dei procedimenti, dal grado di coordinamento probatorio tra di essi, e soprattutto dalla circostanza che nel commisurare la seconda sanzione si possa tenere conto della prima, al fine di evitare l'imposizione di un eccessivo fardello per lo stesso fatto illecito»; inoltre, si dovrà anche valutare «se le sanzioni, pur convenzionalmente penali, appartengano o no al nocciolo duro del diritto penale, perché in caso affermativo si sarà più severi nello scrutinare la sussistenza del legame e più riluttanti a riconoscerlo in concreto». Pertanto, sottolinea ancora la sentenza n. 43 del 2018, «il ne bis in idem convenzionale cessa di agire quale regola inderogabile conseguente alla sola presa d'atto circa la definitività del primo procedimento, ma viene subordinato a un apprezzamento proprio della discrezionalità giudiziaria in ordine al nesso che lega i procedimenti, perché in presenza di una "close connection" è permesso proseguire nel nuovo giudizio ad onta della definizione dell'altro. Inoltre neppure si può continuare a sostenere che il divieto di bis in idem convenzionale ha carattere esclusivamente processuale, giacché criterio eminente per affermare o negare il legame materiale è proprio quello relativo all'entità della sanzione complessivamente irrogata. Se pertanto la prima sanzione fosse modesta, sarebbe in linea di massima consentito, in presenza del legame temporale, procedere nuovamente al fine di giungere all'applicazione di una sanzione che nella sua totalità non risultasse sproporzionata, mentre nel caso opposto il legame materiale dovrebbe ritenersi spezzato e il divieto di bis in idem pienamente operante». Rileva conclusivamente la sentenza 43 del 2018 del giudice delle leggi che «si è passati dal divieto imposto agli Stati aderenti di configurare per lo stesso fatto illecito due procedimenti che si concludono indipendentemente l'uno dall'altro, alla facoltà di coordinare nel tempo e nell'oggetto tali procedimenti, in modo che essi possano reputarsi nella sostanza come preordinati a un'unica, prevedibile e non sproporzionata risposta punitiva, avuto specialmente riguardo all'entità della pena (in senso convenzionale) complessivamente irrogata», sicché «ciò che il divieto di bis in idem ha perso in termini di garanzia individuale, a causa dell'attenuazione del suo carattere inderogabile, viene compensato impedendo risposte punitive nel complesso sproporzionate».
2.3. Con la pronuncia della Grande Camera della Corte EDU, deve rilevarsi come si siano registrate significative convergenze tra gli orientamenti delle Corti europee, nei più alti consessi di ciascuna, in tema di ne bis in idem a norma dell'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Cedu e dell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e in riferimento alla previsione per il medesimo illecito di sanzioni penali e di sanzioni amministrative alle quali debba riconoscersi natura sostanzialmente penale.
Secondo la Corte di Giustizia (sentenza della Grande Sezione del 26 febbraio 2013 Aklagarem c. Akeberg Fransson, C-617/10), quando debba verificarsi la conformità ai diritti fondamentali di una disposizione o di un provvedimento nazionale, le autorità e i giudici nazionali possono «applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come interpretata dalla Corte, né il primato, l'unità e l'effettività del diritto dell'Unione»; con particolare riferimento al principio del ne bis in idem, ha osservato ancora la sentenza Fransson, spetta al giudice nazionale «valutare, alla luce di tali criteri, se occorra procedere ad un esame del cumulo di sanzioni tributarie e penali previsto dalla legislazione nazionale sotto il profilo degli standard nazionali», circostanza, questa, che «potrebbe eventualmente indurlo a considerare tale cumulo contrario a detti standard, a condizione che le rimanenti sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive».
Le valutazioni cui è chiamato il giudice nazionale ai fini indicati dalla Corte di Giustizia non presentano profili di incompatibilità rispetto a quelle delineate dalla Grande Camera della Corte Edu (15 novembre 2016, A. e B. c. Norvegia): venuto meno, a seguito del revirement sancito della Grande Camera, l'automatismo che faceva discendere la violazione del divieto di bis in idem dal riconoscimento della natura "convenzionalmente" penale della sanzione qualificata come amministrativa applicata cumulativamente ad altra sanzione penale, il divieto di cui all'art. 4 cit. non opera se i due procedimenti siano sufficientemente connessi nella sostanza e nel tempo e siano assicurate sanzioni complessivamente proporzionate e prevedibili, dovendosi verificare, come si è visto, la complementarietà degli scopi e l'incidenza su profili diversi del fatto illecito, la prevedibilità dei due procedimenti e la loro configurazione in modo da escludere duplicazioni nell'acquisizione e nella valutazione degli elementi posti a base dell'irrogazione della sanzione "amministrativa" e di quella (anche formalmente) penale, nonché, la previsione di meccanismi compensativi idonei ad assicurare la proporzionalità complessiva del trattamento sanzionatorio. Verifiche, queste, alle quali vanno associate quelle, prescritte dalla Corte dell'Unione, relative - oltre alla proporzionalità - all'effettività e alla dissuasività dell'apparato sanzionatorio.
2.4. In questo quadro si collocano le tre pronunce rese il 20 marzo 2018 dalla Grande Sezione della Corte di giustizia dell'Unione europea nelle cause Menci (C-524/15), Garlsson Real Estate SA in liquidazione, Ricucci Stefano, Magiste international SA c. Consob (C-537/16) e Di Puma c. Consob e Consob c. Zecca (C-596/16 e C-597/16).
La sentenza Menci, che, per l'articolato apparato motivazionale, può essere assunta quale termine principale per l'esame dell'orientamento accreditato dalla Grande Sezione (salvo l'approfondimento specifico per la tematica del ne bis in idem in rapporto alla disciplina degli abusi di mercato, oggetto in particolare della sentenza Garlsson Real Estate), richiama i consolidati criteri funzionali all'identificazione della natura sostanzialmente penale di una sanzione formalmente amministrativa (criteri sostanzialmente assimilabili ai criteri Engel elaborati dalla Corte EDU) e all'accertamento dell'idem, ossia dell'esistenza di uno stesso reato sulla base dell'identità dei fatti materiali (sentenza Menci, rispettivamente, §§ 26 ss. e §§ 34 ss.; conforme la sentenza Garlsson Real Estate, §§ 28 ss. e 36 ss.). Sul punto, mette conto rilevare, con riferimento alla fattispecie oggetto del presente giudizio, che del tutto pacifici, alla stregua dei criteri richiamati e della giurisprudenza delle due Corti europee, sono la natura sostanzialmente "penale" del trattamento sanzionatorio irrogato da Consob e l'identità dei fatti attribuiti all'imputato nel presente giudizio e in quello che ha condotto all'irrogazione della sanzione formalmente amministrativa, come riconosciuto dagli stessi giudici di merito.
Nel delineare la portata della tutela accordata dall'art. 50 CDFUE, la Grande Sezione mette in correlazione detta norma con l'art. 52, comma 1, CDFUE e, dalla lettura coordinata di esse, trae una serie di indicazioni volte ad individuare le condizioni in presenza delle quali il cumulo di sanzioni sostanzialmente penali (seppur formalmente eterogenee) non integra una violazione del principio del ne bis in idem secondo il diritto dell'Unione europea. Al riguardo, viene in rilievo, in primo luogo, la necessaria base legale della disciplina del cumulo sanzionatorio e, segnatamente, la previsione dello stesso attraverso «norme chiare e precise che consentano al soggetto dell'ordinamento di prevedere quali atti e omissioni possano costituire oggetto di un siffatto cumulo di procedimenti e di sanzioni» (sentenza Menci, §§ 42 e 49; conforme la sentenza Garlsson Real Estate, §§ 44 e 52). In secondo luogo, le sentenze del 20 marzo 2018 richiamano la necessaria complementarietà finalistica del cumulo sanzionatorio e, con essa, il ruolo decisivo del giudice interno: un cumulo di procedimenti e di sanzioni di natura penale può essere giustificato allorché detti procedimenti e dette sanzioni riguardino, in vista della realizzazione di un «obiettivo di interesse generale», «scopi complementari vertenti, eventualmente, su aspetti differenti della medesima condotta di reato interessata, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare» (sentenza Menci, § 44; conforme la sentenza Garlsson Real Estate, § 46). La Grande Sezione delinea poi, in terzo luogo, un requisito afferente al necessario coordinamento tra i procedimenti, ossia a una previsione normativa tale da far sì che «gli oneri derivanti, a carico degli interessati, da un cumulo del genere siano limitati a quanto strettamente necessario al fine di realizzare l'obiettivo» di interesse generale richiamato (sentenza Menci, § 52; conforme la sentenza Garlsson Real Estate, § 54). La Corte di giustizia richiama, quindi, un canone di proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio, canone che - a conferma della dimensione prevalentemente sostanziale riconosciuta al ne bis in idem pure nell'ambito del diritto dell'Unione europea - rinviene il proprio fondamento anche nell'art. 49, comma 3, della Carta, in forza del quale le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato: in questa prospettiva, la Grande Sezione rileva che «al cumulo di sanzioni di natura penale devono accompagnarsi norme che consentano di garantire che la severità del complesso delle sanzioni imposte corrisponda alla gravità del reato di cui si tratti, considerato che un'esigenza siffatta discende non soltanto dall'articolo 52, paragrafo 1, della Carta, ma altresì dal principio di proporzionalità delle pene di cui all'articolo 49, paragrafo 3, della medesima», norme che «devono prevedere l'obbligo per le autorità competenti, qualora venga inflitta una seconda sanzione, di far sì che la severità del complesso delle sanzioni imposte non sia superiore alla gravità del reato constatato» (sentenza Menci, § 55; conforme la sentenza Garlsson Real Estate, § 56). Anche sotto questo profilo centrali sono - nel percorso argomentativo della sentenza Menci - il ruolo del giudice nazionale e il riferimento alla fattispecie concreta (sia sotto il profilo della gravità dell'illecito, sia sotto quello della proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio), posto che «spetta, in definitiva, al giudice del rinvio valutare la proporzionalità dell'applicazione concreta della summenzionata normativa nell'ambito del procedimento principale, ponderando, da un lato, la gravità del reato tributario in discussione e, dall'altro, l'onere risultante concretamente per l'interessato dal cumulo dei procedimenti e delle sanzioni di cui al procedimento principale» (sentenza Menci, § 59; anche la sentenza Garlsson Real Estate richiama, ai §§ 59 e 61, la necessaria verifica, sul punto, da parte del giudice del rinvio).
La sentenza Menci ha poi espressamente richiamato i più recenti approdi della giurisprudenza della Corte EDU: rilevato che «nella misura in cui la Carta contiene diritti corrispondenti a diritti garantiti dalla CEDU, l'articolo 52, paragrafo 3, della Carta, prevede che il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione», sicché occorre «tenere conto dell'articolo 4 del protocollo n. 7 della CEDU ai fini dell'interpretazione dell'articolo 50 della Carta», la Corte di giustizia richiama le conclusioni cui è giunta la Corte EDU con la sentenza della Grande Camera, 15 novembre 2016, A. e B. c. Norvegia, secondo cui «un cumulo di procedimenti e di sanzioni tributarie e penali volte a reprimere una medesima violazione della legge tributaria non lede il principio del ne bis in idem, sancito all'articolo 4 del protocollo n. 7 della CEDU, quando i procedimenti tributari e penali di cui trattasi presentano un nesso temporale e materiale sufficientemente stretto».
2.5. Con specifico riferimento alla disciplina degli abusi di mercato, la sentenza Garlsson Real Estate - intervenuta in un caso, per così dire, "simmetrico" a quello in esame, in cui la sanzione (anche formalmente) penale era divenuta definitiva e il giudizio a quo riguardava la sanzione formalmente amministrativa irrogata da Consob - ha riconosciuto come sussistenti alcune delle condizioni sopra richiamate.
Quanto alla necessaria base legale, la Corte di giustizia ha fatto riferimento alla disciplina prevista in materia dal TUF, riferimento senz'altro estensibile anche all'abuso di informazioni privilegiate che viene in rilievo nel caso in esame.
Quanto alla necessaria complementarietà finalistica del cumulo sanzionatorio, la Grande Sezione ha identificato l'obiettivo di interesse generale sotteso alla normativa statale in tema di abusi di mercato nella tutela dell'integrità dei mercati finanziari dell'Unione e della fiducia del pubblico negli strumenti finanziari, rilevando che, alla luce dell'importanza attribuita dalla giurisprudenza della stessa Corte di giustizia al fine di realizzare tale obiettivo, «un cumulo di procedimenti e di sanzioni di natura penale può essere giustificato qualora tali procedimenti e tali sanzioni perseguano, ai fini del conseguimento di un simile obiettivo, scopi complementari riguardanti, eventualmente, aspetti diversi del medesimo comportamento illecito interessato, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare» (§ 46); invero, sembra alla Grande Sezione «legittimo che uno Stato membro voglia, da un lato, scoraggiare e reprimere ogni violazione, intenzionale o meno, del divieto di manipolazione del mercato applicando sanzioni amministrative stabilite, se del caso, in maniera forfettaria e, dall'altro, scoraggiare e reprimere violazioni gravi di tale divieto, che sono particolarmente dannose per la società e che giustificano l'adozione di sanzioni penali più severe» (§ 47).
Con riguardo alla proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio, la sentenza Garlsson Real Estate ha osservato, richiamando la direttiva 2003/6, che «la proporzionalità di una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, non può essere messa in dubbio per il solo fatto che lo Stato membro di cui trattasi abbia optato per la possibilità di un cumulo siffatto, a pena di privare detto Stato membro di tale libertà di scelta» (§ 49), sicché «una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede una tale possibilità di cumulo è idonea a realizzare l'obiettivo di cui al punto 46 della presente sentenza» (§ 50).
In ordine al requisito del necessario coordinamento tra i procedimenti, in modo da limitare gli oneri derivanti dal cumulo a quanto strettamente necessario al fine di realizzare l'obiettivo, la sentenza Garlsson Real Estate ha rilevato la necessità di «norme che assicurino un coordinamento volto a ridurre allo stretto necessario l'onere supplementare che un simile cumulo comporta per gli interessati» (§ 55). Sotto il profilo della proporzionalità, inoltre, la disciplina deve «prevedere l'obbligo per le autorità competenti, in caso di irrogazione di una seconda sanzione, di assicurarsi che la severità dell'insieme delle sanzioni inflitte non ecceda la gravità del reato accertato» (§ 56). Con specifico riferimento alla fattispecie concreta oggetto del giudizio a quo, la Grande Sezione ha osservato che, se è vero che l'obbligo di cooperazione e di coordinamento tra il pubblico ministero e la Consob previsto all'art. 187-decies TUF può ridurre l'onere derivante, per l'interessato, dal cumulo di un procedimento riguardante una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale e di un procedimento penale per condotte illecite che integrano una manipolazione del mercato, tuttavia «nel caso in cui sia stata pronunciata una condanna penale in forza dell'articolo 185 del TUF al termine di un procedimento penale, la celebrazione del procedimento riguardante la sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale eccede quanto è strettamente necessario per il conseguimento dell'obiettivo di cui al punto 46 della presente sentenza, qualora tale condanna penale sia idonea a reprimere l'infrazione commessa in modo efficace, proporzionato e dissuasivo» (§ 57). La sentenza Garlsson Real Estate ha poi rilevato che i fatti oggetto della norma penale (l'art. 185 TUF, nel caso di specie), devono presentare una certa gravità e che «le pene che possono essere inflitte in forza di tale disposizione comprendono la reclusione nonché una multa, il cui spazio edittale corrisponde a quello previsto per la sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale» (di cui all'art. 187-ter TUF, nel caso di specie) (§ 58); alla luce di tale rilievo, la Grande Sezione afferma che «il fatto di proseguire un procedimento di sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale ai sensi di tale articolo 187-ter eccederebbe quanto strettamente necessario per conseguire l'obiettivo di cui al punto 46 della presente sentenza, nei limiti in cui la condanna penale pronunciata in via definitiva, tenuto conto del danno causato alla società dal reato commesso, sia idonea a reprimere tale reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare» (§ 59); sproporzione, questa, non scongiurata dal meccanismo delineato dall'art. 187-terdecies TUF, in quanto esso «sembra avere ad oggetto solamente il cumulo di pene pecuniarie, e non il cumulo di una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale e di una pena della reclusione», sicché «detto articolo non garantisce che la severità dell'insieme delle sanzioni inflitte sia limitata a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato in questione» (§ 60).
2.6. Le sentenze della Grande Sezione del 20 marzo 2018 hanno delineato la portata del principio del ne bis in idem in termini per i quali possono estendersi alla giurisprudenza della Corte di giustizia i rilievi svolti dalla Corte costituzionale (sent. n. 43 del 2018) a proposito dell'orientamento della Corte Edu delineato dalla sentenza della Grande Camera, 15 novembre 2016, A. e B. c. Norvegia (espressamente richiamata dalla sentenza Menci), ossia, da un lato, che il principio opera sulla base di un apprezzamento proprio della discrezionalità giudiziaria in ordine al nesso che lega il procedimento penale e quello solo formalmente amministrativo e, dall'altro, che il criterio eminente per affermare o negare il legame tra detti procedimenti è quello relativo all'entità della sanzione complessivamente irrogata: di grande rilievo, in tal senso, è il fondamento del canone di proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio individuato dalla Grande Sezione, un fondamento che instaura una correlazione tra l'art. 50 e l'art. 49, comma 3, della Carta.
Una conferma di tale conclusione si rinviene nella sentenza n. 222 del 2019 della Corte costituzionale, lì dove ha rimarcato che «la recente giurisprudenza tanto della Corte europea dei diritti dell'uomo, quanto della Corte di giustizia dell'Unione europea [...] non affermano affatto che la mera sottoposizione di un imputato a un processo penale per il medesimo fatto per il quale egli sia già stato definitivamente sanzionato in via amministrativa integri, sempre e necessariamente, una violazione del ne bis in idem», posto che secondo la «giurisprudenza delle due Corti europee, l'eccessiva onerosità per l'interessato dei procedimenti amministrativo e penale deve essere esclusa allorché essi risultino avvinti da una stretta connessione sostanziale e temporale», mentre decisiva è la valutazione sulla sproporzionalità dell'«irrogazione di una pena detentiva» - destinata con ogni verosimiglianza, peraltro, a essere condizionalmente sospesa - rispetto «alla gravità del reato [...], se combinata con la sanzione amministrativa già applicata».
D'altra parte, la sentenza Garlsson Real Estate ha esaminato la disciplina del "doppio binario" dettata in tema di abusi di mercato dal TUF, ribadendo il ruolo del giudice nazionale nella valutazione del complessivo trattamento sanzionatorio ed individuando un profilo di illegittimità dell'art. 187-terdecies TUF nella parte in cui ha ad «oggetto solamente il cumulo di pene pecuniarie, e non il cumulo di una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale e di una pena della reclusione». La circostanza che nel giudizio a quo venisse in rilievo, a fronte dell'irrevocabilità della condanna penale, l'applicazione della sanzione irrogata da Consob non incide sulle valutazioni generali della sentenza del 20 marzo 2018, in toto riferibili anche al caso in esame; il che esclude in radice la ravvisabilità di questioni da sottoporre nuovamente all'esame della Corte di giustizia.
3. La ricognizione della prospettiva delineata dalle più recenti decisioni delle Corti europee e della Corte costituzionale, nella quale si è posta la giurisprudenza di legittimità, consente di esaminare i motivi del ricorso in esame, muovendo dal primo, che denuncia la violazione del divieto di bis in idem così come previsto dalla Cedu.
Al riguardo, Sez. 5, n. 49869 del 21 settembre 2018, Chiarion Casoni ha preso le mosse dalla «verifica della conformità della disciplina del TUF al principio del ne bis in idem, così come ricostruito, nella sua portata applicativa, dalla sentenza della Grande Camera A. e B. c. Norvegia», escludendo, in primo luogo, che «le sanzioni amministrative comminate per l'abuso di informazioni privilegiate siano riconducibili al "nucleo duro" del diritto penale (ossia si presentino come connotate da particolare attitudine stigmatizzante)» e sottolineando poi come la disciplina degli abusi di mercato preveda un meccanismo compensativo - l'art. 187-terdecies TUF - «finalizzato ad assicurare la complessiva proporzionalità delle sanzioni penali e amministrative irrogate all'agente», meccanismo idoneo a render ragione dello «stretto "collegamento" tra gli esiti del procedimento penale e del procedimento relativo all'applicazione della sanzione amministrativa funzionale ad assicurare la proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio». Il punto, tuttavia, dovrà essere esaminato nuovamente - anche con specifico riferimento alla disciplina ex art. 187-terdecies TUF - alla luce delle indicazioni offerte, con riferimento al diritto dell'Unione europea e segnatamente all'art. 50 CDFUE, dalla citata sentenza della Corte di giustizia del 20 marzo 2018 Garlsson Real Estate.
Le doglianze del ricorrente non riguardano i profili relativi alla connessione temporale tra i procedimenti, all'interazione tra le diverse autorità competenti in ordine alla raccolta e alla valutazione della prova e alla prevedibilità dell'avvio di due procedimenti: al riguardo, il ricorso ha espressamente dedotto che «non si intende far riferimento a quanto evidenziato dal Giudice di secondo grado circa la connessione temporale tra procedimenti, la interazione tra diverse autorità competenti tra procedimenti, la interazione tra le diverse Autorità competenti in ordine alla raccolta ed alla valutazione della prova e la prevedibilità dell'avvio di un duplice procedimento derivanti dalla medesima condotta», considerando «pacifico che tali requisiti indicati dalla Grande Camera siano stati positivamente vagliati dalla Corte di appello di Milano in modo corretto». L'espressa e univoca esclusione di profili di censura in merito ai punti indicati dedotta dall'impugnazione impedisce che possa darsi seguito ad alcune considerazioni svolte dai difensori (neppure con motivi aggiunti, ma solo) in sede di discussione orale in merito ad alcune pronunce della Cedu successive alla sentenza A. e B. contro Norvegia (ma comunque in linea, sul piano della definizione dei princìpi guida, con la decisione della Grande Camera), ostandovi la disciplina del mezzo di impugnazione e le regole poste da essa in merito a tempi e modi della devoluzione delle questioni a questa Corte di legittimità. Il rilievo appena svolto ha carattere del tutto assorbente, alla luce delle regole preclusive che disciplinano la devoluzione delle questioni alla Corte di cassazione; ad esso, peraltro, può aggiungersi, ad abundantiam, che neppure risulta uno iato temporale tra l'avvio dei due procedimenti: come attestato dalla sentenza di primo grado, quello penale è stato iscritto il 22 ottobre 2014 e l'azione penale è stata esercitata il 5 novembre 2015, laddove la delibera di Consob è intervenuta il 30 luglio 2015 ed è divenuta irrevocabile il 5 novembre 2015 in quanto non impugnata dall'interessato, il che spiega la protrazione del procedimento penale, articolatosi nei due gradi di merito e nel presente giudizio di legittimità.
Le doglianze, invece, si concentrano, in primo luogo, sulla diversità dello scopo perseguito dai due procedimenti, diversità contestata sulla base del rilievo che l'imputato, anche rispetto all'illecito amministrativo, ha agito con dolo. La censura non è fondata poiché il rilievo che «in tema di sanzioni amministrative per la violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, il giudizio di colpevolezza è ancorato a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, limitando l'indagine all'accertamento della "suità" della condotta inosservante, con la conseguenza che, una volta integrata e provata dall'autorità amministrativa la fattispecie tipica dell'illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall'art. 3 della l. 24 novembre 1981, n. 689, l'onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza» vale, in uno con l'equiparazione, per l'illecito amministrativo, del tentativo alla consumazione (art. 187-bis, comma 6, TUF), a «mettere in luce una più marcata finalizzazione dell'illecito amministrativo alla tutela oggettiva del mercato e della fiducia degli investitori; tutela, questa, propria anche del bene protetto dalla norma incriminatrice dell'illecito penale, in relazione al quale, tuttavia, essa si salda alle ulteriori finalizzazioni tipiche della sanzione penale e, in particolare, all'istanza special-preventiva»; pertanto, «gli scopi delle diverse previsioni sanzionatorie non sono, dunque, in toto sovrapponibili, risultando, comunque, complementari e danno vita a un sistema integrato che, per un verso, chiama in causa, di regola in prima battuta (e, comunque, attraverso procedimenti che garantiscono la convergenza degli apporti conoscitivi), l'autorità amministrativa portatrice di peculiari competenze tecniche nelle complesse dinamiche dei mercati finanziari e, per altro verso, fa leva sulla tutela penale rispetto alle più gravi violazioni della disciplina in tema di abusi di mercato» (Sez. 5, n. 49869 del 21 settembre 2018, Chiarion Casoni).
Le ulteriori censure investono il trattamento sanzionatorio e, anche alla luce del riferimenti fatti sul punto dal ricorrente alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, saranno esaminate di seguito.
4. È infatti necessario dar conto delle questioni relative alla conformità della disciplina del TUF al principio del ne bis in idem così come configurato dal diritto dell'Unione europea e alla luce delle pronunce della Grande Sezione del 20 marzo 2018.
4.1. Pacifica l'esistenza di una base legale della disciplina del cumulo sanzionatorio, valgono per il profilo della necessaria complementarietà finalistica i rilievi già formulati, essendo solo opportuno sottolineare come la stessa sentenza Garlsson Real Estate abbia rimarcato che, alla luce dell'importanza attribuita dalla giurisprudenza della Corte di giustizia al fine di assicurare la tutela dell'integrità dei mercati finanziari dell'Unione e della fiducia del pubblico negli strumenti finanziari, «un cumulo di procedimenti e di sanzioni di natura penale può essere giustificato qualora tali procedimenti e tali sanzioni perseguano, ai fini del conseguimento di un simile obiettivo, scopi complementari riguardanti, eventualmente, aspetti diversi del medesimo comportamento illecito interessato, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare» (§ 46).
Sotto tali profili, pertanto, deve escludersi che la disciplina del cumulo sanzionatorio comminata dal TUE si ponga in contrasto con l'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
4.2. Una diversa, più articolata, valutazione, invece, deve essere riservata agli ulteriori profili messi in luce dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Quanto al coordinamento tra i procedimenti funzionale alla limitazione allo stretto necessario degli oneri derivanti dal cumulo e al connesso profilo della proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio, la sentenza Garlsson Real Estate ha rilevato, per un verso, che la prosecuzione del procedimento (in sede amministrativa, nel caso lì esaminato) eccederebbe il limite strettamente necessario qualora la «condanna penale pronunciata in via definitiva, tenuto conto del danno causato alla società dal reato commesso, sia idonea a reprimere tale reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare» (§ 59) e, per altro verso, che la sproporzione non risulta scongiurata dal meccanismo delineato dall'art. 187-terdecies TUF, in quanto esso «sembra avere ad oggetto solamente il cumulo di pene pecuniarie, e non il cumulo di una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale e di una pena della reclusione» (§ 60). Al riguardo, dunque, pur ravvisando profili di illegittimità della disciplina interna, avuto particolare riguardo alla mancata riferibilità del meccanismo "compensativo" ex art. 187-terdecies TUF anche alla pena della reclusione comminata dalla norma penale in materia di abusi di mercato, la sentenza Garlsson Real Estate riconosce comunque un margine di apprezzamento, in relazione alla fattispecie concreta, in capo al giudice nazionale. Prospettiva, questa, avvalorata dalla riformulazione dell'art. 187-terdecies, TUF, che, nel testo introdotto dall'art. 4 del d.lgs. 10 agosto 2018, n. 107, stabilisce che, quando per lo stesso fatto è stata applicata una sanzione amministrativa pecuniaria ovvero una sanzione penale, «l'autorità giudiziaria o la Consob tengono conto, al momento dell'irrogazione delle sanzioni di propria competenza, delle misure punitive già irrogate».
È, dunque, compito del giudice nazionale verificare la sussistenza o meno dei requisito della proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio applicato al ricorrente (cfr. Sez. 5, n. 45829 del 16 luglio 2018, Franconi; Sez. 5, n. 5679 del 9 novembre 2018 - dep. 2019, Erbetta): «giudizio che, nella prospettiva eminentemente - pur se non esclusivamente - sostanziale assunta dal divieto di bis in idem a seguito della recente convergenza degli orientamenti delle Corti europee (convergenza registrata anche dalla Corte costituzionale), integra un elemento essenziale della garanzia, tanto nella prospettiva della Cedu, quanto in quella del diritto dell'Unione europea» (Sez. 5, n. 49869 del 21 settembre 2018, Chiarion Casoni), posto che «nella verifica della compatibilità con il principio del ne bis in idem del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato all'autore dell'abuso di mercato, il giudice comune deve valutare la proporzionalità del cumulo sanzionatorio rispetto al disvalore del fatto, da apprezzarsi con riferimento agli aspetti propri di entrambi gli illeciti (quello penale e quello "formalmente" amministrativo) e, in particolare, agli interessi generali sottesi alla disciplina degli abusi di mercato (anche sotto il profilo dell'incidenza del fatto sull'integrità dei mercati finanziari e sulla fiducia del pubblico negli strumenti finanziari), tenendo conto, con riguardo alla pena della multa, del meccanismo "compensativo" di cui all'art. 187-terdecies TUF; qualora detta valutazione dovesse condurre a ritenere il complessivo trattamento sanzionatorio lesivo della garanzia del ne bis in idem, nei termini sopra diffusamente richiamati, il giudice nazionale dovrà dare applicazione diretta al principio garantito dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, disapplicando, se necessario e, naturalmente, solo in mitius, le norme che definiscono il trattamento sanzionatorio» (Sez. 5, n. 49869 del 21 settembre 2018, Chiarion Casoni; Sez. 5, n. 39999 del 15 aprile 2019, Respigo). Conclusione, questa, imposta dal rilievo che «il principio del ne bis in idem garantito dall'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea conferisce ai soggetti dell'ordinamento un diritto direttamente applicabile nell'ambito di una controversia come quella oggetto del procedimento principale» (sentenza Garlsson Real Estate, in dispositivo).
4.3. Ferma restando, dunque, la prioritaria, in ordine logico, «verifica della compatibilità procedimentale tra i percorsi che hanno portato, da un lato, all'irrogazione della sanzione amministrativa "sostanzialmente penale" in via definitiva e, dall'altro, ad infliggere la pena in relazione alla quale vi è ricorso, ovvero alla valutazione sulla sufficiently close connection in substance and time» (Sez. 5, n. 39999 del 15 aprile 2019, Respigo), profili non attinti dal ricorso in esame o, come si è visto, non meritevoli di accoglimento, la valutazione circa la proporzionalità del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato - sulla quale si concentrano le doglianze del ricorrente - apre la strada, nel caso in cui detta valutazione giunga ad un esito di incompatibilità del complessivo trattamento sanzionatorio con la garanzia del ne bis in idem nei termini indicati, a due ipotesi alternative, accomunate dall'«applicazione diretta del principio garantito dall'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, disapplicando le norme interne che definiscono il trattamento sanzionatorio» (Sez. 5, n. 49869 del 21 settembre 2018, Chiarion Casoni), ma divergenti quanto alla portata di tale applicazione diretta della norma di diritto dell'Unione europea.
4.3.1. La prima ipotesi è quella che implica la disapplicazione in toto della norma relativa al trattamento sanzionatorio non ancora irrevocabile, ipotesi che è dato rinvenire «solo quando la "prima" sanzione sia, da sola, proporzionata al disvalore del fatto, avuto riguardo anche agli aspetti propri della "seconda" sanzione e agli interessi generali sottesi alla disciplina degli abusi di mercato»: invero, «solo in presenza di una sanzione irrevocabile idonea, da sola, ad "assorbire" il complessivo disvalore del fatto, dunque, il giudice comune dovrà disapplicare in toto la norma che commina la sanzione non ancora irrevocabile, così escludendone l'applicazione» (Sez. 5, n. 49869 del 21 settembre 2018, Chiarion Casoni). Considerata «l'esclusione delle sanzioni amministrative comminate per l'abuso di informazioni privilegiate dal "nucleo duro" del diritto penale» (Sez. 5, n. 39999 del 15 aprile 2019, Respigo), tale ipotesi viene in rilievo nel caso in cui «la valutazione circa la violazione del ne bis in idem riguardi la sanzione amministrativa, essendo già divenuta irrevocabile quella penale (ossia nel caso preso in considerazione dalla sentenza Garlsson Real Estate)» ovvero, nel caso opposto, qualora «la sanzione amministrativa - evidentemente attestata sui massimi edittali in rapporto ad un fatto di gravità, sotto il profilo penale, affatto contenuta - risponda, da sola, al canone della proporzionalità nelle diverse componenti riconducibili ai due illeciti» (Sez. 5, n. 49869 del 21 settembre 2018, Chiarion Casoni).
La fattispecie concreta in esame non è riconducibile all'ipotesi ora menzionata: al ricorrente, infatti, è stata irrogata la sanzione (formalmente) amministrativa nella misura di 100 mila euro, a fronte di una cornice edittale che, nella formulazione vigente all'epoca dei fatti, andava dai 100 mila ai 5 milioni di euro e, dopo le modifiche introdotte dall'art. 9 d.lgs. 10 agosto 2018, n. 107, va da 20 mila a 5 milioni di euro: anche, dunque, considerando la più favorevole disciplina oggi in vigore, la sanzione amministrativa irrogata al ricorrente in relazione alle plurime violazioni contestate si attestava in prossimità del minimo edittale, il che esime questa Corte dal prendere in esame, ai fini ora in rilievo, l'entità delle ulteriori sanzioni.
4.3.2. Fuori dall'ipotesi eccezionale (e, come si è appena visto, non ricorrente nel caso di specie) in cui la sanzione amministrativa sia, da sola, proporzionata al disvalore del fatto, valutato alla luce degli aspetti propri di entrambi gli illeciti e, in particolare, degli interessi generali sottesi alla disciplina degli abusi di mercato, qualora «la sanzione irrogata da Consob sia già divenuta irrevocabile, la verifica del giudice penale circa la legittimità, rispetto al principio del ne bis in idem, del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato all'autore degli illeciti [...] può comportare esclusivamente la rideterminazione delle sanzioni penali attraverso la disapplicazione in mitius della norma che commina dette sanzioni solo nel minimo edittale, con esclusione della multa, in virtù del meccanismo "compensativo" di cui all'art. 187-terdecies TUE, e, con riguardo alla reclusione, fermo restando il limite minimo insuperabile dettato dall'art. 23 c.p.» (Sez. 5, n. 49869 del 21 settembre 2018, Chiarion Casoni; Sez. 5, n. 5679 del 9 novembre 2018 - dep. 2019, Erbetta).
5. Colgono dunque nel segno, nei termini e con i limiti indicati, alcune delle ulteriori censure del ricorrente.
5.1. Non quella volta ad eccepire l'illegittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p., eccezione che è manifestamente infondata alla luce della diretta applicabilità del diritto dell'Unione europea - e del già messo in luce "allineamento" degli orientamenti delle Corti europee (e della Corte costituzionale) - al fine di assicurare l'effettività del divieto di bis in idem: del resto, analoga questione è giù stata ritenuta manifestamente infondata da questa Corte sulla base del rilievo che «essa fonda su un'interpretazione tendente a ridimensionare la portata innovativa della sentenza A e B contro Norvegia che, invece, la stessa Consulta, nella sentenza 43/2018 che aveva ad oggetto una questione analoga, ha ampiamente valorizzato, restituendo gli atti ai Giudice rimettente affinché valutasse la propria impostazione alla luce del novum giurisprudenziale» (Sez. 5, n. 5679 del 9 novembre 2018 - dep. 2019, Erbetta).
5.2. Infondate sono altresì le doglianze articolate sempre nel primo motivo e incentrate sulla confisca ex art. 187 TUF, posto che nel caso di specie detta confisca non è stata applicata dal giudice penale in virtù di una «interpretazione adeguatrice dell'articolo 187 TUF in modo che sia rispettato il principio del ne bis in idem» (così la sentenza di primo grado).
5.3. Sono fondate, alla luce dei rilievi svolti, le ulteriori censure. La Corte di appello (così come il giudice di primo grado, che pure si era diffusamente soffermato sulla questione del ne bis in idem, giungendo, come si è detto, a non disporre la confisca ex art. 187 TUF) non ha operato una compiuta valutazione della proporzionalità del cumulo sanzionatorio rispetto al disvalore del fatto, proporzionalità, come si è visto, che va scrutinata con riferimento agli aspetti propri di entrambi gli illeciti (quello penale e quello "formalmente" amministrativo) e, in particolare, agli interessi generali sottesi alla disciplina degli abusi di mercato (anche sotto il profilo dell'incidenza del fatto sull'integrità dei mercati finanziari e sulla fiducia del pubblico negli strumenti finanziari). Né questa Corte è in grado di operare siffatta ulteriore verifica, poiché essa investe la proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio e, dunque, implica valutazioni comprensive anche delle sanzioni irrogate da Consob, rispetto alle quali non possono trarsi elementi decisivi dalle conformi sentenze di merito che rendano superfluo il rinvio per nuovo esame sul punto (cfr. Sez. un., n. 3464 del 30 novembre 2017 - dep. 2018, Matrone, Rv. 271831). Eloquenti in tal senso sono le stesse deduzioni della parte civile, che richiama una serie di dati (relativi all'entità della lesione dell'integrità del mercato, alla quantità e al valore complessivo degli strumenti finanziari negoziati, al profitto complessivo conseguito) il cui complessivo apprezzamento nella prospettiva indicata implica valutazioni di merito precluse a questa Corte.
6. Si impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Il giudice del rinvio dovrà «valutare la proporzionalità del cumulo sanzionatorio rispetto al disvalore del fatto, da apprezzarsi con riferimento agli aspetti propri di entrambi gli illeciti (quello penale e quello "formalmente" amministrativo) e, in particolare, agli interessi generali sottesi alla disciplina degli abusi di mercato (anche sotto il profilo dell'incidenza del fatto sull'integrità dei mercati finanziari e sulla fiducia del pubblico negli strumenti finanziari), tenendo conto, con riguardo alla pena della multa, del meccanismo "compensativo" di cui all'art. 187-terdecies TUF» (Sez. 5, n. 49869 del 21 settembre 2018, Chiarion Casoni); in caso in cui accerti il carattere sproporzionato del complessivo trattamento sanzionatorio, anche con riferimento alle sanzioni accessorie, il giudice del rinvio dovrà rideterminare le «sanzioni penali attraverso la disapplicazione in mitius della norma che commina dette sanzioni solo nel minimo edittale, con esclusione della multa, in virtù del meccanismo "compensativo" di cui all'art. 187-terdecies TUF, e, con riguardo alla reclusione, fermo restando il limite minimo insuperabile dettato dall'art. 23 c.p.» (Sez. 5, n. 49869 del 21 settembre 2018, Chiarion Casoni).
7. Anche il terzo motivo deve essere accolto.
7.1. In premessa, mette conto soffermarsi sulla natura della responsabilità civile delineata dall'art. 187-undecies TUF.
Al riguardo, Sez. 5, n. 8588 del 20 gennaio 2010, Banca Profilo Spa, Rv. 246243 ha sottolineato come la lettera della disposizione introdotta dalla l. 18 aprile 2005, n. 62 faccia riferimento ad «un'endiadi, prevedendo due distinte statuizioni: sia la facoltà riconosciuta a Consob di costituirsi parte civile ("La Consob può costituirsi parte civile") sia la facoltà specifica di questa parte di ripetere i danni conseguenti ai reati di market abuse ("e richiedere, a titolo di riparazione dei danni cagionati all'integrità del mercato una somma..."). Ed è questo secondo profilo che presenta un carattere innovativo, includendo il riconoscimento di un diritto (o se si preferisce di una "situazione giuridica soggettiva") che prima non era stato formulato dal legislatore»: ora, mentre «per quanto attiene alla legittimazione alla costituzione di parte civile, la previsione dell'art. 187-undecies può ritenersi una ricognizione di una già consolidata giurisprudenza», «non così è consentito affermare per la distinta potestà di formulare istanza di riparazione dai danni conseguiti all'integrità del mercato", diritto introdotto con la riforma portata dalla legge 18 aprile 2005 n. 62». Sez. 5, n. 8588 del 2010 esclude, quindi, che «Consob possa agire per il ristoro patrimoniale delle conseguenze di un illecito che non vulnera la sua soggettività o la sua sfera patrimoniale» (richiamando la disposizione il pregiudizio all'integrità del mercato) e che, in mancanza di adeguata indicazione legislativa, sia possibile attribuire a Consob «poteri di sostituzione nell'esercizio dei diritti dei risparmiatori, né la legge attribuisce all'organo una potestà vicaria nella riscossione della somma assegnata dal giudice a riparazione del pregiudizio al mercato».
Ferma restando l'endiadi messa in luce da Sez. 5, n. 8588 del 2010, utili indicazioni si rinvengono nella giurisprudenza civile, che, muovendo dal rilievo secondo cui «negli ultimi decenni sono state qua e là introdotte disposizioni volte a dare un connotato lato sensu sanzionatorio al risarcimento (...), ma non lo si può ammettere al di fuori dei casi nei quali una qualche norma di legge chiaramente lo preveda» (Sez. un., Sentenza n. 9100 del 6 maggio 2015, Rv. 635451-2), ha affermato, su un piano generale ma richiamando, tra l'altro, proprio la disciplina ex art. 187-undecies, comma 2, d.lgs. n. 58 del 1998 della riparazione in favore di Consob dei danni cagionati dai reati in esame all'integrità del mercato, che «accanto alla preponderante e primaria funzione compensativo riparatoria dell'istituto (che immancabilmente lambisce la deterrenza) è emersa una natura polifunzionale [...], che si proietta verso più aree, tra cui sicuramente principali sono quella preventiva (o deterrente o dissuasiva) e quella sanzionatorio-punitiva».
7.2. A fronte della statuizione del giudice di primo grado, che aveva rigettato la domanda della parte civile escludendo la sussistenza dei presupposti della riparazione, la Corte di appello ha ritenuto che «Consob, in conseguenza della commissione di reati [di abuso di mercato: n.d.r.] subisca un danno immediato e diretto dalla lesione dell'interesse all'integrità del mercato e che l'esistenza di tale danno comprometta l'efficienza e la trasparenza dei meccanismi di mercato in danno dell'economia pubblica, non necessitando di alcuna prova specifica» (di qui la liquidazione in misura pari alla metà del profitto conseguito dall'imputato).
Nei termini indicati, la statuizione del giudice di appello sul punto non è in linea con le connotazioni della fattispecie in esame messe in luce dalla giurisprudenza penale e civile di questa Corte sopra richiamata.
In primo luogo, la sentenza impugnata non ha articolato la propria decisione in correlazione ai plurimi profili funzionali propri della fattispecie di cui all'art. 187-undecies TUF e, innanzitutto, alla duplice posizione riconosciuta a Consob dalla norma: la prima, espressione della facoltà, per così dire, "ordinaria" di costituirsi parte civile, soggetta, in quanto tale, agli ordinari criteri imputativi e ai corrispondenti oneri di deduzione; la seconda, espressione della specifica facoltà di veder riparati i danni conseguenti ad abusi di mercato.
In secondo luogo, la decisione impugnata non ha tenuto conto della necessità di valutare la componente della riparazione associabile alla sua funzione sanzionatorio-punitiva alla luce del complessivo trattamento sanzionatorio (penale e "solo formalmente" amministrativo): valutazione, questa, imposta appunto dalla natura di tale componente della riparazione disciplinata dall'art. 187-undecies TUF, in relazione alla quale - alla luce dei rilievi esposti in precedenza - l'apprezzamento del giudice deve modulare il quantum della riparazione in modo da renderla compatibile con la necessaria proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio, per assicurare la quale il giudice, se necessario, può disapplicare in parte qua la norma indicata, escludendo la riparazione nella sua componente sanzionatorio-punitiva.
8. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio ed al risarcimento del danno con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Milano; nel resto il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio ed al risarcimento del danno con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso.
Depositata il 9 gennaio 2020.