Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 10 luglio 2019, n. 552

Presidente: Lapalorcia - Estensore: Liberati

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 9 maggio 2018 il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Terni ha applicato a Gianluca B., su sua richiesta ai sensi dell'art. 444 c.p.p., la pena, condizionalmente sospesa, di due anni di reclusione, in relazione ai reati cui agli artt. 5 (capi A et B della rubrica), 10 (capo C) et 8 (capo D) d.lgs. 74/2000, disponendo anche la confisca, ai sensi dell'art. 12-bis d.lgs. 74/2000, delle somme corrispondenti a quelle oggetto degli omessi versamenti di cui ai capi A et B.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Perugia, affidato a un unico motivo, mediante il quale ha lamentato la violazione e l'errata applicazione dell'art. 13-bis d.lgs. 74/2000, per l'accoglimento della richiesta di applicazione della pena su richiesta e la pronunzia della relativa sentenza nonostante la mancanza della condizione richiesta dalla disposizione denunciata, e cioè l'estinzione dei debiti tributari con il pagamento delle sanzioni amministrative e degli interessi, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento, costituendo tale adempimento condizione di ammissibilità al rito speciale, anche se i reati erano stati commessi anteriormente alla introduzione dell'art. 13-bis citato (da parte dell'art. 12 d.lgs. 158/2015), trattandosi di norma di natura processuale, di immediata applicazione e vincolante (come chiarito nella sentenza n. 9990 del 2017 di questa Corte), da applicare anche alla fattispecie di cui all'art. 10 d.lgs. 74/2000.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con le conseguenti statuizioni, ritenendo ammissibile il ricorso in relazione alla violazione di legge denunciata dal pubblico ministero ricorrente, anche in presenza delle limitazioni introdotte dal comma 2-bis dell'art. 448 c.p.p., sia perché la questione dell'accesso al rito è estranea alla applicazione della pena, sia perché la mancata estinzione dei debiti tributari (con il pagamento delle sanzioni amministrative e degli interessi) avrebbe incidenza sulla correttezza della qualificazione giuridica, in quanto in assenza di detta condizione il giudice avrebbe dovuto ritenere trattarsi di ipotesi in cui la pena non è concordabile tra le parti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. Deve, anzitutto, darsi atto della ammissibilità del ricorso, in quanto i rilievi del pubblico ministero sono rivolti nei confronti della diminuzione di pena di cui ha beneficiato l'imputato ai sensi dell'art. 444 c.p.p., indebitamente, ad avviso del ricorrente, a causa della mancanza di una delle condizioni di ammissibilità della applicazione della pena su richiesta, costituita dalla estinzione integrale dei debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, o dal ravvedimento operoso, richiesti, alternativamente, dall'art. 13-bis, comma 2, d.lgs. 74/2000 per l'accesso a tale rito, sicché detti rilievi debbono essere ritenuti ammissibili, essendo volti a denunciare l'illegalità della pena, in quanto diminuita ai sensi dell'art. 444 c.p.p. nonostante la mancanza della condizione richiesta per accedere a tale rito alternativo e beneficiare della relativa diminuzione di pena.

Considerando la nozione di pena illegale, come efficacemente sintetizzata dalle Sezioni unite (in particolare, Sez. un., n. 40986 del 19 luglio 2018, Pittalà, Rv. 273934/01-273934/02, e Sez. un., n. 33040 del 26 febbraio 2015, Jazouli, Rv. 264205/01-264207/01), come la pena che, per specie ovvero per quantità, non corrisponde a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice in questione, così collocandosi al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal codice penale, o che, comunque, è stata determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione basato su una cornice edittale inapplicabile, perché dichiarata costituzionalmente illegittima o perché individuata in violazione del principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole, anche la pena determinata attraverso l'applicazione di una diminuzione non consentita, per l'assenza di una delle condizioni richieste per accedere al rito alternativo, va considerata illegale, in quanto determinata mediante l'applicazione di una diminuzione priva del presupposto espressamente previsto per l'accesso al rito alternativo e, quindi, per la sua applicabilità (costituita, per i reati previsti dal d.lgs. 74/2000, fatta eccezione per quelli di cui agli artt. 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater d.lgs. 74/2000, dal pagamento integrale dei debiti tributari o dal ravvedimento operoso). Si tratta, cioè, di una pena che per quantità non corrisponde a quella applicabile, a causa della assenza del presupposto previsto dalla legge per l'accesso al rito alternativo e alla relativa diminuzione di pena, con la conseguente illegalità della stessa nel senso anzidetto, che consente il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 448, comma 2-bis, c.p.p., avverso la sentenza che tale diminuzione di pena abbia indebitamente, in assenza del presupposto espressamente richiesto dalla legge per l'accesso al rito, applicato.

3. Nel merito il ricorso è fondato.

L'art. 13-bis, comma 2, d.lgs. 74/2000, richiede espressamente, per l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p. ai delitti previsti da tale decreto (eccettuati quelli di cui agli artt. 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater, cfr., in proposito, Sez. 3, n. 38684 del 12 aprile 2018, Incerti, Rv. 273607), l'estinzione dei debiti tributari, mediante integrale pagamento degli importi dovuti (anche a seguito delle speciali procedure conciliative di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie), o il ravvedimento operoso.

Nel caso in esame la sentenza di applicazione della pena su richiesta è stata pronunciata in relazione a due contestazioni di violazione dell'art. 5 d.lgs. 74/2000 (capi A et B), nonché a una contestazione di violazione dell'art. 10 (capo C) e a una di violazione dell'art. 8 (capo D), sicché in relazione a tali ultime due contestazioni essa, in mancanza della suddetta condizione di ammissibilità del rito, di cui non si dà atto nella sentenza, non avrebbe potuto essere pronunciata, e quindi, non avrebbe potuto [essere] applicata la diminuzione di un terzo della pena, con la conseguente violazione del disposto del secondo comma dell'art. 13-bis citato, che determina l'illegalità della pena.

Tale disposizione deve, infatti, ritenersi applicabile anche alle condotte realizzate anteriormente alla sua entrata in vigore (essendo stata inserita dall'art. 12 del d.lgs. 158/2015), trattandosi di norma di natura esclusivamente procedimentale, quale condizione per accedere al rito speciale, da applicare al momento della pronuncia della sentenza, indipendentemente dall'epoca di realizzazione delle condotte (cfr. Sez. 6, n. 9990 del 25 gennaio 2017, Mirelli, Rv. 269645; Sez. 6, n. 25257 del 22 marzo 2018, Perfetti, Rv. 273656-01).

4. La sentenza impugnata deve, in conclusione, essere annullata senza rinvio, stante la sussistenza della denunciata illegalità della pena applicata su richiesta, con la trasmissione degli atti al Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Terni per l'ulteriore corso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Terni per l'ulteriore corso.

Depositata il 10 gennaio 2020.

M. Marazza

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