Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 26 giugno 2019, n. 7613

Presidente: Tronci - Estensore: Agliastro

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Cagliari, con provvedimento del 6 febbraio 2019, sul ricorso presentato da P. Mario per la revoca della misura di prevenzione personale e patrimoniale applicata con decreto del Tribunale di Lanusei del 16 marzo 2018, rigettava l'appello proposto dal predetto P. Mario che era stato destinatario della misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di Tortolì per anni tre, nonché della confisca di beni immobili, mobili registrati, quote societarie e depositi bancari allo stesso facenti capo direttamente o indirettamente.

Il ricorrente aveva lamentato la carenza di motivazione del provvedimento applicativo che faceva ampi richiami per relationem degli atti della Guardia di Finanza, difettando la valutazione prognostica riguardante l'attualità della pericolosità sociale. La polizia giudiziaria aveva fatto riferimento a decorse indagini per reati tributari e fallimentari poste a base del provvedimento applicativo, per quanto si trattasse di fatti risalenti nel tempo da cui si può desumere l'esistenza di un debito tributario, ma non una pericolosità del proposto.

Si trattava di tre fallimenti risalenti nel tempo, mentre la procedura fallimentare della società SATU era stata chiusa con il pagamento di tutti i debiti.

Quanto all'amministrazione della società Hotel India, la compagna del P., M. Carla, aveva accettato tale incarico, poiché il P. era assoggettato a procedure fallimentari ed altre società amministrate dalla stessa erano state costituite senza tanti investimenti, per potere trarre mezzi di sostentamento familiare e pertanto non si era fatto riferimento a proventi illeciti che invece costituivano il presupposto del provvedimento ablativo, al pari dell'acquisto degli immobili che poi erano stati, invece, oggetto di confisca.

Secondo il proposto, non vi sarebbe stata prova che fossero stati impiegati per tali operazioni commerciali fonti e profitti illeciti e cioè proventi da evasione fiscale e reati fallimentari. Nemmeno poteva rilevare, secondo il prevenuto, la condanna riportata dal P. nel 2017. Quanto al fallimento dei fratelli P., l'ammontare del passivo fallimentare di detta impresa pari a 1.200,00 euro era costituito da debiti tributari maggiorati dalle sanzioni.

La Corte di appello aveva sottolineato che la pericolosità sociale oltre che essere il presupposto della confisca di prevenzione, è anche "misura temporale" quanto al suo ambito applicativo e pertanto, con riferimento alla pericolosità generica propria del caso di specie, l'esame deve essere compiuto con riferimento ai beni acquistati nell'arco del tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale. Nel caso in esame, tale pericolosità aveva riguardato un ampio lasso di tempo corrispondente al periodo compreso tra il 1992 ed il 2014, data di presentazione della richiesta di misura di prevenzione.

In siffatto arco di tempo, il proposto aveva realizzato operazioni immobiliari, mobiliari e finanziarie di consistenza economica sproporzionata rispetto alle capacità reddituali dello stesso e dei propri familiari, in particolare della compagna M. Carla e della madre Me. Maria Luisa.

La Corte di appello aveva rilevato che il P. aveva operato nel corso degli anni come imprenditore palese ed occulto avvalendosi di diverse compagini sociali in cui risultava l'effettivo ed unico titolare e gestore, giovandosi anche dell'attività della compagna per drenare cospicue somme di denaro derivanti dalla reiterata e costante evasione fiscale, come dimostrato dagli accertamenti della Guardia di Finanza, dei consulenti e dei periti nominati nelle varie misure fallimentari e nel procedimento di prevenzione, nonché impossessandosi di cospicue somme di denaro sottratte dalle casse delle varie società di cui era titolare, come dimostrato dai tre fallimenti e relativi reati di bancarotta aggravata per appropriazione dei beni e denaro societario.

Nello stesso lungo arco di tempo non era emersa alcuna giustificazione di un lecito acquisto del cospicuo patrimonio immobiliare oggetto della disposta confisca, a fronte di una "disponibilità finanziaria e reddituale del proposto ufficialmente inesistente e comunque inconsistente".

Aveva osservato, ancora, la Corte di appello che la condotta del P. non risulta avere avuto alcuna variazione nel corso degli anni dal 1992 al 2014 ed era stata sempre connotata dalla gestione di molteplici complessi societari anche per interposta persona, ossia M. Carla, utilizzata come schermo per lo svolgimento di attività imprenditoriali concretamente lucrative per trattenere sia le somme dovute al fisco sia gli utili. Alla M. era stata anche confiscata la liquidazione TFR del precedente lavoro, e ciò per la confluenza sul libretto di deposito di somme di denaro contante senza possibilità di estrapolazione per l'individuazione certa di tale TFR.

Infine, quanto all'intestazione di un immobile alla madre Me. Maria Luisa, si trattava di un bene pacificamente acquistato e gestito dal P. servendosi della propria madre come intestataria fittizia, essendo costei priva di mezzi per tale operazione commerciale e per la gestione dell'immobile medesimo.

2. Ricorre per cassazione P. Mario per il tramite del proprio difensore di fiducia deducendo violazione di legge, falsa applicazione dell'art. 4, lett. c), d.lgs. n. 159/2011; assenza di motivazione su uno degli elementi costitutivi della fattispecie per l'applicazione della misura di prevenzione personale: l'attualità della pericolosità sociale.

La Corte di appello di Cagliari aveva rigettato l'appello contro il decreto del Tribunale di Lanusei del 16 marzo 2018 che gli aveva applicato la misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di Tortolì per anni tre, oltre la confisca di un cospicuo patrimonio appartenente al prevenuto anche per interposta persona. Con i motivi di ricorso vengono impugnate le statuizioni relative all'applicazione della misura di prevenzione di carattere personale e non quelle di carattere reale.

Si censura che i giudici abbiano omesso di operare un giudizio prognostico in relazione all'attualità della pericolosità del prevenuto non rilevandosene traccia nella motivazione dei provvedimenti impugnati. Si fa riferimento al tempo intercorso tra i fatti ritenuti rivelatori della pericolosità nel periodo 1992-2014 ed il momento di applicazione della misura marzo 2018, senza riferimento ad una valutazione prognostica sulla sussistente pericolosità. Prescindere dall'attualità del pericolo e dalla valutazione della probabilità di reiterazione delle condotte, costituisce una elisione degli elementi tipici della fattispecie. La misura è stata applicata in ragione di una ipotesi di pericolosità generica, avendo il procedimento preso le mosse dalla contestazione al prevenuto di una serie di illeciti connessi alla sua attività di imprenditore (nel periodo che va dal 1992 al 2014) e pertanto evasioni fiscali e irregolarità nell'amministrazione di società comunque non connesse a traffici illeciti diversi.

Il prevenuto è incorso in diverse procedure fallimentari con la conseguente impossibilità giuridica per lo stesso di esercitare qualsiasi attività imprenditoriale.

Tale impossibilità giuridica, unitamente alla misura patrimoniale che gli è stata applicata e che gli ha sottratto ogni bene patrimoniale, pone il prevenuto nell'impossibilità di fatto e di diritto di reiterare le condotte che hanno dato luogo al procedimento di applicazione della misura.

Attualmente, il prevenuto dal 9 aprile 2018 svolge attività di lavoro dipendente nel Comune di Tortolì, dove deve scontare la misura personale dell'obbligo di soggiorno, dovendo in conseguenza stare lontano dalla propria famiglia che risiede altrove (Monserrato), con ingiustificato sacrificio del mantenimento dei rapporti familiari; inoltre, considerata la nuova attività lavorativa del prevenuto, si può ritenere in concreto intervenuto un mutamento del suo stile di vita e pertanto non è possibile formulare un giudizio di concreta e attuale pericolosità a carico del prevenuto.

3. In data 31 maggio 2019, il Procuratore Generale presso questa Corte ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte chiedendo l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. La Procura Generale osserva come nel provvedimento impugnato non risulti in alcun modo specificata quale ipotesi di pericolosità generica fondi la misura di prevenzione adottata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. Preliminarmente va ricordato come sia pacifica la possibilità di svolgere in sede di legittimità il controllo inerente all'esatta applicazione della legge sui provvedimenti applicativi della misura di prevenzione, ove si profili l'erroneità della ricostruzione di un elemento costitutivo della fattispecie, oppure la radicale elusione dell'obbligo motivazionale su uno degli elementi che legittima l'applicazione della misura, configurandosi in tali situazioni la nullità del provvedimento ai sensi delle disposizioni di cui all'art. 111, comma 6, Cost., art. 125, comma 3, c.p.p., art. 7, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159. Sebbene il sindacato del giudice di legittimità sia limitato, in materia di misure di prevenzione, alle sole ipotesi di violazione di legge, il difetto di motivazione in punto di pericolosità attuale del proposto è in ogni caso deducibile, se assume le caratteristiche del vizio di assenza di motivazione (Sez. un., n. 111 del 30 novembre 2017, Rv. 271511).

Come è noto, nel giudizio di prevenzione sono individuabili due fasi: una, preliminare, di tipo constatativo, finalizzata ad accertare l'inquadramento del proposto in una delle categorie di pericolosità espressamente «tipizzate» dal legislatore all'art. 1 e all'art. 4 dell'attuale d.lgs. n. 159 del 2001; l'altra, eventuale - perché si svolge solo se la precedente si è conclusa positivamente, ovvero con l'iscrizione del proposto in una delle categorie tipizzate - di tipo «prognostico» in senso stretto, volta a formulare, in termini di «attualità», un giudizio di probabile e concreta reiterabilità di condotte illecite da parte del proposto, evidentemente correlate alla categoria di accertata appartenenza: in questo senso ben può dirsi che questa seconda valutazione è logicamente influenzata dai risultati della prima, nel senso che la prognosi negativa deve necessariamente tener conto della specifica inclinazione delinquenziale che ha determinato l'iscrizione del soggetto ad una categoria anziché ad un'altra. Le due indicate fasi della complessa operazione valutativa attribuita al giudice della prevenzione sono fondate su standard probatori diversi: il giudizio constatativo impone una congrua ricostruzione di «fatti» idonei a determinare l'inquadramento (attuale o pregresso) del soggetto proposto in una delle categorie; il giudizio prognostico sulla pericolosità sociale, avendo ad oggetto il futuro comportamento del proposto, impone la valutazione della complessiva personalità del soggetto, risultante da ogni manifestazione sociale della sua vita sulla scorta di elementi obiettivamente identificabili e non rimessi all'arbitrario apprezzamento del giudicante. Alla stregua della casistica giurisprudenziale, elementi rivelatori della pericolosità sono stati ritenuti, di volta in volta, l'associazione o la relazione del proposto con altri soggetti socialmente pericolosi (Sez. 1, n. 852 del 1° marzo 1993, Rv. 193702, Sez. 1, n. 5838 del 17 gennaio 2011, Rv. 249392) come anche l'accertata predisposizione al delitto desumibile dalle condanne o dalle denunzie a suo carico (Sez. 5, n. 6794 del 14 dicembre 1998, dep. 25 gennaio 1999, Rv. 212209 e Sez. 5, n. 23041 del 28 marzo 2002, Rv. 221676) ed i comportamenti illeciti e antisociali che rendano necessaria una particolare vigilanza da parte degli organi di pubblica sicurezza. Si tratta, comunque, di elementi fattuali e circostanze che il giudice della prevenzione deve autonomamente valutare per apprezzarne il carattere sintomatico ai fini di una prognosi di pericolosità che, dovendo essere il più possibile specifica ed individualizzata, richiede la convergenza di una pluralità di indici e la confutazione di quelli di segno contrario eventualmente allegati dalla difesa.

3. Con il ricorso si è lamentata la violazione di legge in relazione all'art. 4, lett. c), d.lgs. n. 159/2011 e vizio di motivazione nella forma della sua assenza in ordine al requisito dell'attualità della pericolosità sociale, avendo il provvedimento impugnato fatto riferimento soltanto a fatti pregressi commessi tra il 1992 ed il 2014, connessi ad una serie di procedure concorsuali e relative bancarotte, non avendo tenuto presente la circostanza che successivamente il proposto ha iniziato ad esercitare regolare attività di lavoro dipendente.

Operando in tal modo, però, i giudici hanno finito per considerare come indice rivelatore della pericolosità del proposto, anche per l'arco di tempo successivo alla cessazione della permanenza della condotta rilevante giudizialmente accertata, il dato storico della "esistenza in detto periodo di provvedimenti giudiziari" che hanno colpito il ricorrente come imprenditore, attività che non svolge più e, pertanto, il comportamento più recente non può essere confermativo del pericolo di reiterazione di condotte delittuose da parte del proposto.

4. Il giudice della prevenzione, anche in sede di giudizio prognostico, deve compiere una autonoma valutazione strumentale alla precipua ratio dell'istituto delle misure di prevenzione, quali strumenti di carattere preventivo che l'ordinamento predispone ante delictum per esigenze di tutela della società; deve, di conseguenza, fondare la sua prognosi su precisi elementi di fatto e non può limitarsi a recepire acriticamente le valutazioni compiute da altre autorità giudiziarie, per di più, a fini diversi.

Il giudice, in altri termini, può legittimamente fondare il giudizio di attualità della pericolosità sociale sugli elementi fattuali e le circostanze valorizzate nei provvedimenti giudiziari anche diversi dalle sentenze, ma non può limitarsi a recepire le valutazioni contenute in atti giudiziari che non siano sintomatici di condotte espressive di pericolosità sociale, dovendo invece prendere in esame gli elementi fattuali posti a fondamento delle valutazioni poste.

5. Nel caso di specie, il giudice del provvedimento impugnato ha ritenuto che le rovinose attività imprenditoriali del ricorrente, per quanto risalenti nel tempo, rilevassero per delineare il modus vivendi del proposto, sulla base del negativo curriculum vitae, come scelta di vita verso l'acquisizione di risorse finanziarie derivanti da illeciti penali - come l'evasione penale e la bancarotta - utilizzate per la costituzione progressiva di un patrimonio elevatissimo del tutto sproporzionato rispetto alle condizioni reddituali ufficiali e lecite dello stesso.

È evidente la evanescenza di tali affermazioni per delineare l'attualità della pericolosità sociale del proposto, soprattutto per avere omesso di valutare l'incidenza nel giudizio relativo a detta attualità di alcune circostanze evidenziate dalla difesa, pur considerandole positivamente accertate, come il percorso lavorativo intrapreso dallo stesso.

La giurisprudenza ha precisato che, in tema di misure di prevenzione, ai fini del giudizio sull'attualità della pericolosità sociale, è necessario accertare se al soggetto sottoposto siano attribuibili fatti, di qualunque tipo, sintomatici della persistenza di tale pericolosità, rilevando, in tal senso, anche quelli non costituenti reato (Sez. 6, n. 49583 del 3 ottobre 2018, Mancuso, Rv. 274434-01).

Il giudizio di pericolosità sociale non scaturisce solo da pregressi elementi sintomatici e rivelatori di pericolosità, ma anche da fatti recenti dotati di efficacia dimostrativa della persistenza nel tempo della pericolosità. Qui, per contro, il giudizio prognostico di probabile reiterazione di condotte sussumibili nella categoria di pericolosità di cui all'art. 1 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 non risulta sorretto da un'argomentazione completa, logica e coerente: ciò implica la necessità di una puntuale motivazione in punto di attualità della pericolosità sociale.

Ma la carenza più evidente del provvedimento impugnato, come peraltro rilevato dal Procuratore Generale, si annida nella mancanza di specificazione su quale ipotesi di pericolosità generica si fondi la misura di prevenzione personale adottata. Il punto rileva in quanto la Corte costituzionale, con la sentenza n. 24/2019, ha dichiarato «l'illegittimità costituzionale» dell'art. 4, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 159/2011 nella parte in cui stabilisce che i provvedimenti previsti dal capo secondo si applichino anche ai soggetti indicati dall'art. 1, lett. a).

Pertanto, l'essere il proposto dedito abitualmente a traffici delittuosi non può costituire presupposto di applicazione della misura di prevenzione, mentre potrebbe esserlo ove sussistesse il requisito del vivere abitualmente dei proventi di attività delittuose, se idoneamente motivato (riconoscendo il ricorrente tra "coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose").

6. Il provvedimento oggetto di ricorso deve dunque essere annullato, con rinvio alla Corte di appello di Cagliari perché proceda a nuovo esame, attenendosi ai principi enunciati e perché rivaluti le emergenze processuali acquisite, ai fini dell'inserimento o meno del ricorrente in una delle categorie criminologiche tipizzate dall'art. 1 cod. antim., rinvenendo condotte delittuose destinate ad ingenerare un profitto illecito, e vivere "abitualmente" con i proventi dell'attività delittuosa, non adeguatamente scrutinate nel decreto emesso.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Cagliari.

Depositata il 26 febbraio 2020.

L. Tramontano (cur.)

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