Consiglio di Stato
Sezione II
Sentenza 19 febbraio 2020, n. 1260

Presidente: Taormina - Estensore: Manzione

FATTO

1. Con separati ricorsi innanzi al T.A.R. per la Lombardia la società Stabili s.r.l. (d'ora in avanti, per comodità, solo Stabili) e la società Ellegi Immobiliare s.p.a. (da qui in poi, Ellegi), hanno impugnato, nella loro rispettiva qualità di proprietaria di immobile limitrofo ovvero di quello ove sono stati effettuati i lavori, i provvedimenti adottati dal Comune di Milano in relazione ad alcune opere edili, genericamente riferibili a terrazzi a servizio delle unità ubicate su tre distinti piani dell'edificio.

In particolare:

- con ricorso n.r.g. 1759/2008 la Ellegi ha impugnato il provvedimento in data 21 maggio 2008 con il quale le è stata negata la sanatoria richiesta in data 14 gennaio 2008 ed ingiunta la demolizione delle opere, a conferma peraltro del precedente provvedimento demolitorio del 13 dicembre 2007;

- con ricorso n.r.g. 1857/2008, la Stabili ha impugnato a sua volta il provvedimento di cui sopra, nonché, con motivi aggiunti, l'ulteriore ordine di demolizione in data 14 novembre 2008, reiterato in ottemperanza alla decisione cautelare del medesimo T.A.R. per la Lombardia n. 1290 del 2008, contestandone la motivazione e chiedendo altresì il risarcimento dei danni subiti;

- con successivo ricorso n.r.g. 2736/2009, la medesima Stabili impugnava infine il permesso di costruire in sanatoria n. 515 del 9 luglio 2009, lamentando vari vizi procedurali, nonché, nel merito, l'errata sussunzione dell'opera sub specie di manutenzione straordinaria, laddove la sua consistenza ne paleserebbe la natura di nuova costruzione.

2. Il T.A.R. per la Lombardia, con sentenza n. 7220 del 2010, dopo aver riunito i tre ricorsi per evidente connessione oggettiva e soggettiva, dichiarava improcedibile quello presentato dalla Ellegi (n.r.g. 1759/2008) per sopravvenuta carenza di interesse. Gli atti impugnati, infatti, erano stati superati sia dal successivo ordine di demolizione del 14 novembre 2008, sia, soprattutto, dal permesso in sanatoria del 3 luglio 2009. Quanto ai ricorsi presentati dalla Stabili, ne dichiarava uno inammissibile (n.r.g. 1857/2008), inclusi i motivi aggiunti, avendo ad oggetto provvedimenti (ingiunzione a demolire e diniego di sanatoria) ad essa favorevoli, come tali inidonei ad arrecarle alcun nocumento, «giacché l'eventuale esecuzione dei medesimi determinerebbe l'integrale rimozione delle opere realizzate da Ellegi, delle quali la stessa esponente ha denunciato l'abusività al Comune di Milano»; l'altro infondato (n.r.g. 2736/2009), stante che il provvedimento di sanatoria sarebbe conseguito ad una nuova istanza di parte relativa a diversa progettualità, sì da lasciare intatte le ragioni della precedente ingiunzione demolitoria e nel contempo giustificare la valutazione positiva da parte degli uffici comunali. Diversamente, infatti, da quanto denunciato in origine, con l'intervento da ultimo prospettato si sarebbe posta in essere una mera manutenzione straordinaria, ripristinando le aperture frontali e laterali, così da realizzare tre balconi aperti (due con parapetti in cristallo ed uno con parapetto in ferro), senza creazione di nuovi volumi e di superficie lorda di pavimento (s.p.l.), secondo l'accezione da attribuire alla relativa dizione giusta la previsione contenuta al riguardo nell'art. 10 del Regolamento edilizio approvato con delibera consiliare n. 81 del 20 luglio 1999.

3. Con l'odierno appello la Stabili contesta la sentenza in epigrafe, sostenendone la erroneità con riferimento a tutti e tre i richiamati ricorsi. Essa in particolare lamenta:

a) quanto al ricorso n.r.g. 1759/2008 proposto da Ellegi, se ne sarebbe dovuta dichiarare la inammissibilità per omessa notifica alla società odierna appellante, quale controinteressata attivamente partecipe del procedimento, conseguito peraltro a sua denuncia, e non l'improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse;

b) quanto al ricorso n.r.g. 1857/2008, avrebbe dovuto esserne esaminato il merito, non palesandosi corretta la configurata carenza di interesse in ragione degli effetti favorevoli alla Stabili dei provvedimenti avversati. L'errata motivazione dei provvedimenti, riveniente dall'errata qualificazione dell'abuso, infatti, sarebbe alla base della valutata possibilità di rilascio della sopravvenuta sanatoria, diversamente preclusa in nuce;

c) quanto infine al ricorso n.r.g. 2736/2009, sussisterebbero vizi di procedura e vizi di contenuto. In primo luogo, sarebbe stato qualificato come nuovo un procedimento chiaramente riconducibile all'istanza di sanatoria originaria, con ciò omettendo di annullare in autotutela, come sarebbe stato doveroso, la precedente ingiunzione a demolire; sarebbero stati pertanto violati i termini per la conclusione del procedimento statuiti dalla l.r. n. 12 del 2005; sarebbe stato qualificato come manutenzione straordinaria un intervento costituente palesemente nuova costruzione, in quanto tale da realizzare nel rispetto delle disposizioni sulla distanza tra gli edifici di cui al d.m. n. 1444/1968.

4. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Milano e la Ellegi, con atto di mero stile, chiedendo la reiezione dell'appello e la conferma della sentenza di primo grado. Con successiva memoria versata in atti in data 31 ottobre 2019 il Comune appellato ha ulteriormente chiarito i termini della vicenda: la differenza di presupposti dell'ingiunzione a demolire del 21 maggio 2008 (reiterata il 14 novembre 2008), in quanto correlata a diversa istanza di sanatoria e il progetto alla fine assentito con il permesso in sanatoria del 3 luglio 2009, giustificherebbero da un lato la non necessità di caducare la prima per non contraddire il secondo; dall'altro la correttezza della mutata opzione ermeneutica, essendo esso riferito ad un abuso del tutto diverso da quello da cui ha tratto origine l'odierno contenzioso. Ciò troverebbe conferma in particolare nella disamina comparata tra le tavole S5 e S6 dell'istanza del 14 gennaio 2008 e quelle, ben diverse, 15 e 16 presentate in data 11 febbraio 2009, all'esito della complessa interlocutoria istruttoria intercorsa tra la Ellegi e gli uffici competenti. Ha altresì precisato come la mancata creazione di "pareti", ancorché finestrate, riveniente da tale diversa progettualità, renderebbe inconferente l'invocato richiamo al d.m. n. 1444/1968 sulla distanza tra edifici, peraltro inapplicabile con riferimento alla proprietà Stabili, siccome ubicata in una strada limitrofa, ma non prospiciente quella di affaccio delle opere de quibus.

5. In vista dell'odierna udienza, la Stabili ha depositato ulteriore memoria e memoria di replica. Ha altresì prodotto copiosa documentazione fotografica riferita allo stato dei luoghi in vari momenti concomitanti con l'evoluzione del procedimento in controversia (da ultimo, datata ottobre 2019).

Alla pubblica udienza del 3 dicembre 2019, sentite le parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

6. Al fine di correttamente inquadrare i confini dell'odierna controversia, il Collegio ne ritiene necessaria una sintetica ricostruzione in fatto e in diritto, indicizzando in rapida successione i provvedimenti che ne hanno caratterizzato l'evoluzione.

Essa ha il suo nucleo centrale nella realizzazione di "terrazzi" a servizio di distinti piani dell'edificio di proprietà Ellegi, la cui sostanziale pannellatura laterale (serramento) ne ha comportato la diversa qualificazione quali opere capaci di generare superficie lorda di pavimento, in quanto tali non assentibili con semplice d.i.a.

A quanto detto è conseguita, peraltro a seguito di espressa denuncia presentata dalla società appellante, l'attivazione del procedimento sanzionatorio sfociato nella prima ordinanza di intimazione a demolire (in data 13 dicembre 2007, mai impugnata) per ritenuta non corrispondenza tra i manufatti realizzati e quelli oggetto della dichiarazione presentata in data 25 settembre 2006 per "balconcini a cielo aperto". In data 14 gennaio 2008 la Ellegi chiedeva di poter sanare l'abuso, ma la relativa istanza veniva rigettata in data 21 maggio 2008, sull'assunto che i manufatti finali non presentavano i necessari lati aperti, essendo pertanto qualificabili come "logge", anziché come "terrazzi". La contestuale ingiunzione a demolire veniva reiterata, con identità contenutistica ma mutato termine di ottemperanza, giusta le indicazioni in tal senso contenute nell'ordinanza n. 1290/2008 con la quale il medesimo T.A.R. per la Lombardia aveva accordato la richiesta sospensiva dell'atto precedente in quanto ne aveva assegnato uno erroneamente inferiore ai 90 giorni previsti dalla legge. Infine con provvedimento n. 515 del 3 luglio 2009 veniva rilasciato il permesso in sanatoria per manutenzione straordinaria di opere ex art. 64 del richiamato Regolamento edilizio, descrivendole come "modifiche esterne con prolungamento di solette per la realizzazione di terrazze e di sovrastante tettoia, prospicienti e a servizio di unità ad uso residenziale poste ai piani terzo, quarto e quinto".

7. Con il primo motivo di appello la Stabili contesta la sentenza n. 7220/2010 in quanto ha dichiarato l'improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso proposto dalla Ellegi, stante che il provvedimento impugnato (diniego di sanatoria in data 21 maggio 2008) era stato "superato" sia da una nuova ingiunzione a demolire, conseguita all'accoglimento dell'istanza cautelare, sia, soprattutto, dal rilascio del permesso: il giudice di prime cure, infatti, avrebbe dovuto piuttosto pronunciare la inammissibilità del ricorso, in quanto non notificato alla Stabili, controinteressata al procedimento come autrice della denuncia dell'abuso.

7.1. Anche a voler prescindere dalla genericità della censura, che non chiarisce se l'invocata inammissibilità dovesse integrare la dichiarata improcedibilità, ovvero sostituirsi ad essa, in tale ultima ipotesi senza specificare l'interesse a tale diversa pronuncia, la Sezione ritiene l'assunto infondato e come tale da respingere.

Se è vero, infatti, che ragioni di ordine logico e di corretta tassonomia delle questioni oggetto di causa impongono al giudice il preliminare accertamento dei presupposti del processo (nell'ordine: giurisdizione, competenza, capacità delle parti, ius postulandi, ricevibilità e rimessione in termini, contraddittorio, estinzione del giudizio), e delle condizioni dell'azione (interesse ad agire, titolo o legittimazione al ricorso, legitimatio ad causam); analoghe ragioni non sovrintendono anche alla rigorosa gerarchizzazione delle stesse, tanto da qualificare come erronea la sentenza di prime cure che, pur favorevole al sedicente controinteressato, ha optato per una declaratoria di improcedibilità anziché di (ipotetica) inammissibilità.

Come chiarito anche dall'Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, accanto alla enunciazione dei principi sottesi al corretto sviluppo del giudizio, sussiste pur sempre la possibilità, riconosciuta da consolidata giurisprudenza, che il giudice, in ossequio a quello superiore di economia dei mezzi processuali in connessione con il rispetto della scarsità della "risorsa-giustizia" (cfr. Cass., Sez. un., nn. 26242 e 26243 del 2014; C.d.S., Ad. plen., 27 aprile 2018, n. 2; id., 27 aprile 2015, n. 5), derogando finanche alla naturale rigidità dell'ordine di esame, ritenga preferibile risolvere la lite rigettando il ricorso nel merito o nel rito in base ad una ben individuata ragione più liquida «sulla scorta del paradigma sancito dagli artt. 49, comma 2, e 74 c.p.a. [...] sempre che il suo esercizio non incida sul diritto di difesa del contro interessato e consenta un'effettiva accelerazione della definizione della lite» (C.d.S., Ad. plen., 25 febbraio 2014, n. 9), e purché sia stata preventivamente assodata, da parte del medesimo giudice, la giurisdizione e la competenza.

7.2. A ciò deve aggiungersi che il riconoscimento della qualifica di "controinteressato" al vicino, ancorché denunciante, sì da ritenere integrato il difetto di contraddittorio in caso di omessa notifica del ricorso, è tutt'altro che pacifica in giurisprudenza, essendo caso mai prevalente l'orientamento opposto (sul punto, v. anche di recente C.d.S., Sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 486; Sez. V, 23 agosto 2019, n. 5817). Altrimenti detto, a radicare la condizione di controinteressato in senso tecnico (ossia di litisconsorte necessario nell'azione di annullamento), secondo il richiamato orientamento giurisprudenziale che il Collegio condivide, non può ritenersi sufficiente la c.d. vicinitas - pur potendo essa integrare il presupposto fattuale della legittimazione ad agire che, in questa materia, è infatti riconosciuta a "chiunque" - occorrendo invece la sussistenza di una diretta lesione, attuale o almeno potenziale, della proprietà (o di altro diritto reale di godimento) del terzo menzionato nell'atto per aver dato impulso con la sua denunzia al procedimento sanzionatorio. Non sembra, in effetti, affatto incongruente che non vi sia una biunivoca corrispondenza tra legittimazione ad agire per l'annullamento di un titolo edilizio illegittimo e qualità di litisconsorte necessario nel giudizio per l'annullamento di un provvedimento sanzionatorio; sia perché la più ampia legittimazione attiva deriva, nel primo caso, da una precisa scelta del legislatore (che, a maggior garanzia del corretto assetto urbanistico, ha inteso estendere tale legittimazione a "chiunque" versi in condizione di oggettivo interesse a perseguire la realizzazione e il mantenimento di tale assetto); sia perché, con riguardo alla seconda ipotesi, un indiscriminato ampliamento del novero dei litisconsorti necessari dal lato passivo (ferma ovviamente restando, invece, la più estesa facoltà di intervenire volontariamente nel giudizio ad opponendum in capo a chiunque altro vi abbia interesse) si risolverebbe in un correlativo restringimento, quantomeno fattuale, della possibilità di agire utilmente in giudizio da parte del destinatario del provvedimento sanzionatorio, e dunque in un'indiretta limitazione del diritto di difesa in giudizio dei propri diritti e interessi, costituzionalmente garantito. La posizione di controinteressato processualmente rilevante non deriva solo dal fatto che il procedimento sanzionatorio sia stato innescato dalla denuncia del terzo, ma dal fatto che dal ripristino dello stato dei luoghi sortisca un vantaggio diretto, ovverosia un positivo ampliamento della sfera giuridica del denunciante (cfr. sul punto C.d.S., Sez. VI, 23 maggio 2017, n. 2416).

7.3. Nel caso di specie, anche a prescindere da un più approfondito scrutinio di tale vantaggio diretto, in verità tutt'altro che chiaro avuto riguardo all'ubicazione - non frontale - dell'immobile in relazione al quale si asseriscono non rispettate le distanze, la violazione del contraddittorio, che costituisce la ratio della relativa disciplina, non si è in alcun modo prodotta giusta la decisione del giudice di prime cure di trattare congiuntamente sia i ricorsi presentati dalla Ellegi, sia quelli facenti capo alla Stabili. Nessuna lesione, neppure potenziale, delle proprie garanzie partecipative è pertanto possibile cogliere nell'omessa notifica di quello di controparte, stante lo sviluppo decisionale unitario dell'intera vicenda.

8. Egualmente infondato si palesa anche, ad avviso del Collegio, il secondo motivo di ricorso, con il quale la Stabili ripropone sostanzialmente tutte le doglianze di prime cure riferite al gravame n.r.g. 1857/2008, contestandone l'omesso scrutinio in ragione della ritenuta carenza di interesse all'impugnativa di provvedimenti a sé favorevoli. Secondo il Tribunale adìto, infatti, l'interesse ad agire che deve sorreggere la proposizione di ogni ricorso giurisdizionale (ai sensi dell'art. 100 del codice di procedura civile) non può sussistere, infatti, «allorché l'attore si limiti a chiedere la correzione della motivazione di un provvedimento a sé pienamente favorevole, i cui effetti (nel caso di specie: demolizione dell'opera abusiva) coincidono anzi con quanto chiesto dalla parte ricorrente al Comune nel corso del procedimento amministrativo».

8.1. Afferma al contrario l'appellante come una corretta motivazione dell'ordine di demolizione avrebbe scongiurato il rilascio del permesso di costruire in sanatoria.

L'assunto, la cui consequenzialità logica appare tutt'altro che chiara, non è comunque condivisibile.

Rileva la Sezione come proprio l'insistita permanenza di un interesse aggiuntivo ad una diversa motivazione ne evidenzia l'inconsistenza: l'intimata demolizione, ove eseguita, avrebbe comunque attribuito alla parte il bene della vita per il quale ha agito in giudizio, con ciò rendendo inutile, se non addirittura deleterio, procrastinarne l'efficacia al solo scopo di ottenerne una commutazione contenutistica.

D'altro canto, l'avvenuto rilascio del permesso in sanatoria, oltre a superare nei fatti la vicenda precedente, prescinde completamente dalla qualificazione dell'abuso sottesa al precedente atto sanzionatorio, ritenendo al contrario sopravvenuta un radicale mutamento della situazione di fatto, tanto da consentirne la legittimazione postuma.

Esso, peraltro, attrae a sé ogni residuo interesse alla valutazione delle opere, dovendo quelle in precedenza realizzate, comunque qualificate, essere demolite, proprio in forza dell'intimazione in tal senso del 21 maggio 2008. La restaurazione dell'ordine violato, dunque, è già avvenuto - rectius, avrebbe già dovuto conseguire - proprio alla declaratoria di improcedibilità del ricorso della Ellegi, così da consolidare gli effetti (vantaggiosi per l'appellante) del diniego di sanatoria e dell'ingiunzione a demolire imposta all'appellata.

9. Resta pertanto da esaminare quanto dedotto al punto III dell'atto di appello in relazione al ricorso n.r.g. 2736/2009 di primo grado.

9.1. Afferma la Stabili che sarebbero stati violati gli artt. 2 della l. n. 241/1990 e 38 della l.r. n. 12 del 2005. Il Comune di Milano, infatti, avrebbe concluso a distanza di oltre un anno il procedimento di sanatoria instaurato dalla Ellegi con istanza del 14 gennaio 2008, non potendo le note successivamente inoltrate dalla stessa essere qualificate come "nuove" domande, in quanto riferite al medesimo intervento già stigmatizzato come abusivo. Quanto detto prescindendo anche dal parere negativo di uno dei funzionari incaricati (nota del 25 maggio 2009).

9.2. Di contrario avviso il giudice di prime cure, il quale ha tracciato uno iato tra procedimento demolitorio, intatto nei suoi effetti sanzionatori rivolti all'ampliamento originariamente realizzato; e procedimento di sanatoria, incentrato sulla mutata progettualità cui alla fine la parte richiedente sarebbe addivenuta, in particolare con le nuove e diverse allegazioni dell'11 febbraio 2009, connotato proprio dal venir meno di tale incremento volumetrico.

Nessun rilievo assumerebbe al riguardo l'evocato superamento del termine di cui all'art. 38 della l.r. n. 12 del 2005, essendo lo stesso declinato per il permesso edilizio "ordinario" e non per quello in sanatoria, ed implicando comunque il solo intervento sostitutivo della Provincia o della Regione, non la caducazione del provvedimento, seppur tardivamente adottato.

10. Su tale questione, la ricostruzione del primo giudice non appare convincente.

10.1. Rileva la Sezione come nel caso di specie l'equivoco di fondo che sembra muovere l'intera vicenda risieda nell'utilizzo di terminologia e conseguente tempistica propri della fase fisiologica di richiesta (preventiva) di un titolo edilizio in relazione a quella, patologica, della richiesta di legittimazione postuma di un intervento, presupponente, cioè, la sua avvenuta realizzazione in assenza di ridetto titolo edilizio, e quindi in maniera abusiva.

L'applicabilità, o meno, al procedimento di rilascio della sanatoria dei termini che la legislazione regionale declina per quello finalizzato all'ottenimento del permesso di costruire, su cui il giudice di prime cure si interroga, salvo poi superare la questione con riferimento alle conseguenze della relativa inosservanza, è tematica soltanto lambita nell'odierno procedimento, sul presupposto (errato) che l'eventuale vizio dell'atto conclusivo dello stesso possa risiedere nella sua tardività.

Nel caso di specie, esso è invece piuttosto da ascrivere alla incontestata stratificazione delle interlocuzioni tra il privato richiedente e l'ufficio, non finalizzate a chiarire i termini di una vicenda fattuale necessariamente esaurita, e della quale si intende sanare l'abusività; bensì a cambiarne i contorni "storici", adattandone in itinere la configurazione. Il che, rileva la Sezione, è di per sé illegittimo in quanto incompatibile con la stessa nozione di sanatoria.

10.2. Prima di procedere all'esame delle censure proposte, si reputa dunque necessario ricordare quali siano gli effetti determinati dalla presentazione di una domanda di sanatoria ordinaria sul provvedimento demolitorio in precedenza adottato dall'amministrazione e, più in generale, sull'abuso edilizio realizzato.

Il Collegio aderisce all'orientamento secondo il quale la validità ovvero l'efficacia dell'ordine di demolizione non risultano pregiudicate dalla successiva presentazione di un'istanza di sanatoria ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, posto che nel sistema non è rinvenibile una previsione dalla quale possa desumersi un tale effetto. Se da un lato, quindi, la presentazione della domanda di sanatoria attraverso l'istituto dell'accertamento di conformità determina inevitabilmente un arresto dell'efficacia dell'ordine di demolizione, all'evidente fine di evitare, in caso di accoglimento dell'istanza, la demolizione di un'opera astrattamente suscettibile di legittimazione; dall'altro, occorre ritenere che l'efficacia dell'atto sanzionatorio sia soltanto sospesa, cioè che l'atto sia posto in uno stato di temporanea quiescenza.

All'esito del procedimento di sanatoria, in caso di accoglimento dell'istanza, l'ordine di demolizione rimarrà privo di effetti in ragione del sopravvenuto venir meno dell'originario carattere abusivo dell'opera realizzata. Di contro, in caso di suo rigetto, l'ordine di demolizione riacquisterà la sua efficacia (in termini, ex multis, C.d.S., Sez. IV, 19 febbraio 2008, n. 849).

11. Il permesso in sanatoria si caratterizza per il suo intervenire ad abuso già realizzato, regolarizzandolo, purché ne sussistano le condizioni, prima fra tutte l'avvenuta presentazione della domanda entro i precisi termini declinati al riguardo dall'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 (per quanto qui di interesse, decorrenti dalla originaria ingiunzione a demolire in data 10 dicembre 2007). Né può ipotizzarsi, una volta creatosi lo iato dell'ingiunzione a demolire, di riesumare il titolo edilizio originario (nel caso di specie la d.i.a. del 25 settembre 2006), avendo la vicenda avuto origine dalla - incontestata - avvenuta realizzazione di opere non corrispondenti alla progettualità riveniente dallo stesso, che il medesimo Comune di Milano, nella memoria di resistenza alla sospensiva richiesta dalla Ellegi in primo grado, descriveva in termini di «evidente e notevole ampliamento dell'edificio preesistente, affiancando ad esso una struttura stabile, perfettamente idonea alla permanenza di persone e collegata direttamente con le unità immobiliari già esistenti, in modo da formare un unico corpo di fabbrica» (pag. 3 e 4 della ridetta memoria).

11.1. La prima ingiunzione a demolire, dunque, mai impugnata e dunque consolidatasi quanto ad effetti, data 10 dicembre 2007 e dà atto dell'avvenuta rimozione dei serramenti, ma non la ritiene satisfattiva ai fini dell'esclusione dell'abuso trattandosi di aggiustamento temporaneo, inidoneo a "ricollocare l'intervento nell'ambito della manutenzione straordinaria o risanamento conservativo"; l'istanza di sanatoria che ne ha temporaneamente sospeso gli effetti, risale al 14 gennaio 2008 e ne ricalca la consistenza, riproducendola come tale negli allegati progettuali destinati a descrivere lo stato dei luoghi per come realizzato, non in funzione di aggiustamenti futuri (più che da allegati progettuali, pertanto, essa è corredata da elaborati grafici). Il procedimento conseguito a tale istanza poteva concludersi alternativamente con la sua reiezione, cui sarebbe conseguita la reviviscenza degli effetti dell'ingiunzione a demolire del dicembre del 2007; ovvero con il suo accoglimento, che, al contrario, ne avrebbe implicato l'implicita caducazione. Tertium non datur, rileva la Sezione, a prescindere dalla tempistica resasi necessaria al completamento della relativa istruttoria.

La scelta da parte del Comune di Milano di reiterare l'ordinanza di demolizione (di cui ha inteso testualmente "rinnovare" i contenuti, richiamandola) nel dispositivo del diniego di sanatoria del 21 maggio 2008 non altera le scansioni procedurali sopra descritte: essa, cioè, non implica certo la reiterata possibilità per la parte destinataria del provvedimento, di presentare nuova istanza di sanatoria del medesimo abuso, con ciò dando vita ad una sorta di circulus inextricabilis costituito dal ripetersi seriale di ingiunzioni demolitorie e susseguenti richieste di sanatoria.

Da qui la fondatezza dell'appello laddove lamenta la contraddittorietà intrinseca tra il provvedimento impugnato e gli atti ad esso presupposti, in quanto, pur ipotizzandosi la diversità oggettiva delle opere sanate rispetto a quelle descritte nella richiesta originaria, è incontrovertibile l'identità dell'istanza che ha portato prima ad un diniego e successivamente all'accoglimento della richiesta di parte.

12. A ben guardare, tuttavia, le interlocuzioni istruttorie tra il Comune e la società richiedente sopravvenute a suddetto diniego, proprio ove qualificate come "nuove istanze", anziché affinamenti interpretativi di quella originaria, si palesano incompatibili con il richiamato concetto di permesso in sanatoria, presupponente uno stato di fatto cronicizzato nella sua illiceità, non modificabile se non sovrapponendo all'abuso originario un nuovo abuso.

In sintesi, ove le istanze presentate in data 22 maggio 2008 (erroneamente in sentenza 27 maggio 2008), 13 giugno 2008 e 18 maggio 2009 dovessero davvero costituire nuove richieste, in ragione della novità dell'abuso di cui in particolare agli allegati planimetrici dell'11 febbraio 2009, il precedente procedimento si sarebbe definitivamente chiuso con l'ordinanza ingiunzione a demolire del 21 maggio 2008. Ma per potersi considerare sussistente un "nuovo" abuso, questa volta sanabile, diversamente dal precedente, avrebbe dovuto essere accertata l'avvenuta ottemperanza al provvedimento sanzionatorio già adottato. Della qual cosa non è traccia nel provvedimento avversato.

13. Il tenore letterale delle note richiamate in sentenza, al contrario, fanno esplicito riferimento alla presunta tardività da parte del Comune nella evasione dell'istanza originaria, paventando anche azioni risarcitorie in ragione del contenzioso civilistico nel contempo sopravvenuto tra le società parti in causa. La Ellegi, cioè, ha via via modificato lo stato di fatto e conseguentemente adeguato lo stato di progetto, con ciò rendendo "fluttuante" la situazione sanabile, in palese contrasto con l'essenza dell'istituto della sanatoria. Di ciò costituisce prova in particolare proprio la nota finale del 14 maggio 2009, ritenuta dirimente dal giudice di prime cure. Essa riferisce infatti degli esiti di un sopralluogo in data 12 marzo 2009 che avrebbe acclarato l'eliminazione totale delle vetrature laterali: senza tuttavia chiarire se con ciò fosse stata accertata l'avvenuta ottemperanza alla più volte richiamata ingiunzione a demolire del 2007, "rinnovata" nel maggio del 2008 e reiterata nel novembre dello stesso anno; ovvero accertato un ulteriore abuso, per il quale era stata presentata una istanza di sanatoria "nuova" mediante il deposito di diverse progettualità. L'adeguamento progressivo, infatti, dei confini dell'illecito, addirittura mediante la presentazione di "varianti" si palesa come ontologicamente distonico rispetto alla sanatoria, che presuppone la fotografia dell'abuso e, alternativamente, la sua legittimazione o la sua demolizione: una legittimazione progressiva partendo dalla mancata demolizione non appare in linea con l'istituto.

13.1. In sintesi, dunque: vuoi che le note sopravvenute costituiscano, come prospettato dall'appellante e condiviso da questo giudice, meri solleciti dell'unica domanda di sanatoria procedibile in quanto presentata nei termini (quella del 14 gennaio 2008, conseguita all'ingiunzione a demolire del 10 dicembre 2007); vuoi che esse si riferiscano ad un abuso diverso (cui possa conseguire una nuova prospettazione grafica), l'esito positivo della vicenda non poteva prescindere dall'indicazione delle sorti del precedente diniego, ma soprattutto della conseguente ingiunzione a demolire. Ciò a maggior ragione laddove si voglia continuare a sostenere - come tenta di fare il Comune appellato, in linea con la ricostruzione del T.A.R. - la cogenza attuale dell'intimazione a demolire in quanto riferita ad (altro) abuso, la cui rimozione tuttavia non si è mai inteso accertare. Tale intrinseca contraddittorietà procedurale è accentuata dalla motivazione particolarmente sintetica del permesso in sanatoria n. 515/2009: dopo aver richiamato l'istanza presentata in data 14 gennaio 2008 e le sue successive integrazioni, infatti, collegando la propria risposta alla stessa senza soluzione di continuità, il Comune di Milano rilascia il titolo a suo tempo richiesto.

14. La fondatezza delle doglianze di cui al punto precedente rende superfluo lo scrutinio di quelle ulteriori pure (ri)prospettate dall'appellante in ordine alla corretta qualificazione dell'abuso.

L'avvenuta rimozione, all'apparenza solo temporanea, delle pannellature vetrate laterali, infatti, starebbe alla base dell'innegabile revirement interpretativo posto in essere dal Comune di Milano, sì da dequotare l'originario abuso, pure di notevole consistenza, in intervento sanabile in quanto non suscettibile di generare incrementi di volumi e superfici.

14.1. A tale riguardo, la Sezione non può esimersi dal richiamare la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in ordine alla rilevanza, ai fini di cui sopra, anche della sola possibilità di chiusura del volume realizzato, non potendosi certo attribuire rilievo contrario alla temporanea rimozione dei pannelli, quale che ne sia la dimensione e il materiale, funzionali allo scopo.

«L'installazione di pannelli in vetro atti a chiudere integralmente un porticato che si presenti aperto su tre lati, determina, senz'altro, la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente incremento della preesistente volumetria» (v. C.d.S., Sez. V, 5 maggio 2016, n. 1822). L'intervento, cioè, va riguardato dall'ottica del risultato finale, ovvero il rilevato aumento di superficie e di volumetria, sia che ciò consegua alla chiusura su tutti i lati, sia che ne implichi anche la copertura, pure con superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili.

14.2. In tale logica, ben scarso rilievo assumono le diversificate denominazioni degli elementi architettonici - "balcone", "terrazza", "loggia" o "loggiato", a mero titolo di esempio. Esse sono state peraltro compiutamente declinate nel Regolamento edilizio-tipo approvato in sede di Intesa Stato-Regioni, in attuazione dell'art. 4, comma 1-sexies, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e pubblicato sulla G.U. n. 268 del 16 novembre 2016, proprio allo scopo di omogeneizzarne gli ambiti definitori, ponendo ordine nel variegato linguaggio utilizzato nella prassi degli uffici, ovvero consacrato in maniera divergente nei singoli provvedimenti normativi comunali. Il riferimento alle stesse, tuttavia, seppur innegabilmente utile ad inquadrare descrittivamente la tipologia dell'intervento realizzato, peraltro assai più agevolmente visualizzabile dalla documentazione fotografica versata in atti, non ne consente anche la diversificazione di regime giuridico, a parità di risultato finale. Anche a voler riconoscere la naturale attitudine di una loggia, ad esempio, in quanto coperta, ad essere agevolmente inglobata nell'alloggio, per migliorarne la fruibilità finanche in termini di sicurezza, il relativo intervento di incorporazione non può in alcun modo qualificarsi come pertinenza in senso urbanistico, in quanto «integra un nuovo locale autonomamente utilizzabile il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie» (C.d.S., Sez. VI, 26 marzo 2018, n. 1893).

15. Nel caso di specie, tuttavia, la qualificazione dell'intervento come manutenzione straordinaria trova consacrazione nella C.T.U. esperita nel corso del giudizio civile pendente innanzi alla Sez. IV del Tribunale di Milano tra le due società, ove si afferma che le strutture realizzate non costituirebbero un "fronte finestrato o cieco" ai fini dell'applicabilità del Titolo III del Regolamento edilizio del Comune di Milano, ma "tre balaustre sovrapposte ai piani terzo, quarto e quinto del fabbricato di Ellegi realizzato ben prima di quello di Stabili che lo fronteggia". Di ciò sarebbe conferma nella descrizione dell'intervento contenuta nel permesso di costruire in sanatoria del 3 luglio 2009. Tale qualificazione toglie ogni rilievo alle prospettate questioni di distanza tra gli edifici rivenienti dal d.m. n. 1444/1968 e dalla disciplina comunale al riguardo.

15.1. Afferma in proposito l'appellante che in realtà nel caso di specie i serramenti sarebbero "solo appoggiati in basso" (pag. 33 del ricorso), con ciò rendendo le aperture del tutto provvisorie, come visualizzabile dalla documentazione fotografica versata in atti.

15.2. L'apparente discrasia tra quanto sembrerebbe effettivamente evincersi dalla richiamata documentazione fotografica e quanto rilevato dal C.T.U. nel sopralluogo ispettivo posto a base della propria relazione peritale, non inficia tuttavia l'affermazione di diritto in forza della quale la strutturale eliminazione della chiusura - rectius, della stessa possibilità di chiusura - costituisce il discrimine per la qualificazione dell'intervento come manutenzione straordinaria ovvero nuova opera.

Non potendosi allo stato dubitare delle risultanze della richiamata C.T.U., è evidente che un eventuale errore empirico di rilevazione non potrebbe comunque avallare, in ragione di quanto sopra detto, una rimozione del tutto fittizia e strumentale delle pareti vetrate, pena la reiterazione dell'abuso, in quanto la sanatoria può ritenersi legittima in parte qua solo e nella misura in cui sia riferita a una struttura inidonea a creare volumi o superfici aggiuntive, di cui, al contrario, postula la permanente mancanza.

16. Le considerazioni di cui sopra, tuttavia, sono state svolte al solo scopo di correttamente orientare l'effetto conformativo della presente decisione: la ritenuta illegittimità, infatti, del permesso in sanatoria n. 515/2009 nella parte in cui riesuma l'istanza di sanatoria già rigettata, pretermettendo qualsivoglia riferimento alla sanzione demolitoria che ne era conseguita, ne implica il necessario annullamento, fatta salva la possibilità che l'amministrazione riediti il proprio potere emendandolo dai vizi evidenziati. Il che, rileva infine la Sezione, presuppone anche la verifica dello stato di fatto all'attualità, ivi compresa la definitività della rimozione delle strutture atte a creare volume, escludendo la trasformabilità anche potenziale dei "balconcini" in strutture chiuse, comunque le si voglia denominare.

17. In conclusione, il Collegio ritiene di accogliere l'appello per la sola parte relativa all'originario ricorso di primo grado n.r.g. 2736/2009, nei sensi e limiti sopra esplicitati; di respingerlo, con conseguente conferma della sentenza n. 7220 del 2010 del T.A.R. per la Lombardia, per le rimanenti parti.

Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.

Le spese del presente giudizio, in ragione della peculiarità della vicenda scrutinata e della parziale reciproca soccombenza, possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei sensi e limiti di cui in motivazione, e, per l'effetto, in riforma della sentenza n. 7220/2010 del T.A.R. per la Lombardia, accoglie il ricorso di primo grado n.r.g. 2736/2009 e annulla il permesso di costruire in sanatoria n. 515 del 9 luglio 2009; lo respinge per il resto, con conseguente conferma della richiamata sentenza.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

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