Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
Sezione III
Sentenza 8 aprile 2020, n. 698

Presidente: Quiligotti - Estensore: Pignataro

Considerato che, così come risulta dagli atti di causa:

- il Comune di Mazara del Vallo, con deliberazione di Giunta Municipale n. 101 del 27 febbraio 1996, approvò il progetto relativo ai lavori di completamento del restauro del Palazzo dei Cavalieri di Malta, sede di uffici comunali, per l'importo totale di lire 3.400.000.000, da appaltare previa asta pubblica, tenuta in data 26 febbraio 1997 e conclusasi con l'aggiudicazione a favore dell'impresa Soc. Coop. a r.l. Edil Verde Costruzioni Generali, per il prezzo complessivo, al netto del ribasso d'asta, pari a lire 2.353.090.515;

- l'impresa Isperia s.r.l., in qualità di partecipante alla predetta gara, proponeva, dapprima, il 25 marzo 1997, ricorso in opposizione e, poi, il 6 giugno 1997, ricorso straordinario al Presidente della Regione siciliana per l'annullamento, previa sospensione cautelare, del verbale di gara nella parte in cui risultava ammessa l'aggiudicataria Edilverde;

- il Comune di Mazara del Vallo, nelle more della decisione, procedeva, il 9 settembre 1997, alla stipulazione del contratto, rep. n. 10676, con l'aggiudicataria Edilverde, alla quale consegnava i lavori il 6 ottobre successivo: da tale data iniziava a decorrere il termine di esecuzione di venti mesi previsto dall'art. 12 del capitolato speciale d'appalto;

- il Presidente della Regione siciliana, con decreto n. 382 del 10 maggio 1999, accoglieva però il ricorso straordinario dell'impresa Isperia s.r.l. e annullava i provvedimenti impugnati (non condividendo la relazione n. 17272 del 16 settembre 1997 con la quale l'Ufficio legale della Regione si era espresso a favore del rigetto e uniformandosi al parere favorevole all'accoglimento pronunciato dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana in sede consultiva);

- il Comune di Mazara del Vallo, con ricorso proposto al T.A.R. Sicilia, Palermo, n.r.g. 2114, depositato il 9 luglio 1999, e anche la Edilverde, con ricorso n.r.g. depositato il 26 luglio 1999, domandavano la revocazione del D.P.R.S. n. 382/1999, previa sospensione cautelare che veniva respinta rispettivamente con ordinanze n. 1564 e n. 1565 del 29 settembre 1999, poiché tale rimedio andava proposto innanzi al Presidente della Regione siciliana;

- il Comune di Mazara del Vallo, dopo avere disposto a seguito del decreto n. 382/1999, in data 20 luglio 1999, la sospensione dei lavori con decorrenza dal 4 giugno 1999, dopo il diniego di sospensione cautelare procedeva alla riapertura del pubblico incanto il 13 dicembre seguente, aggiudicando e affidando questa volta l'esecuzione della parte di lavori non ancora eseguiti all'impresa Isperia s.r.l. in qualità di mandataria dell'A.T.I. costituita con le imprese Sogeme s.p.a., Eredi Pullara Salvatore s.a.s. ed Elettrosud s.r.l., per il prezzo complessivo offerto di lire 2.373.029.997 (con un ribasso medio d'asta del 12,75639%); successivamente approvava, con determinazione n. 63 del 12 febbraio 2001, il progetto dei lavori residui e il 1° marzo seguente stipulava il nuovo contratto rep. n. 11123 con la T. & T. Costruzioni s.r.l. (nel frattempo subentrata all'impresa Isperia s.r.l. a seguito di cessione del ramo d'azienda) alla quale, il 2 aprile 2001, consegnava i lavori residui, da compiere entro sei mesi; stipulava, il 7 febbraio 2002, rep. n. 11243, un contratto integrativo relativo a una perizia di variante e suppletiva di completamento, e, dopo varie sospensioni, i lavori venivano ultimati, il 27 novembre 2002;

- la T. & T. Costruzioni, a questo punto, proponeva al Comune di Mazara del Vallo la definizione in via transattiva del contenzioso pendente (v. note del 21 aprile e del 21 giugno 2002) cui seguiva la formulazione da parte del Comune di Mazara di una proposta di deliberazione della Giunta Municipale, n. 26 del 22 luglio 2002, che però non veniva approvata nel termine del 15 settembre 2002 indicato come perentorio dall'impresa odierna ricorrente (v. nota del 2 settembre 2002) che, conseguentemente, con atto di citazione notificato il 12 maggio 2004, conveniva il Comune di Mazara del Vallo innanzi al Tribunale di Marsala, per sentirlo condannare al risarcimento degli asseriti danni subiti;

- il T.A.R. Sicilia, Palermo, sez., nel frattempo, con sentenze n. 864 e n. 865 del 25 maggio 2005, dichiarava inammissibili i ricorsi n.r.g. 2114 e n.r.g. 2323 del 1999 proposti, rispettivamente, dal Comune di Mazara del Vallo e dall'impresa Isperia s.r.l., al fine della revocazione del decreto del Presidente della Regione Siciliana, n. 382 del 10 maggio 1999, poiché tale rimedio andava proposto innanzi allo stesso Presidente; disponeva la compensazione delle spese di entrambi i giudizi;

- il Tribunale di Marsala dichiarava, infine, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo, con sentenza 3 maggio 2007, n. 51, confermata - su appello dell'impresa T. & T. Costruzioni, notificato il 12 novembre 2007 - dalla Corte di Appello di Palermo, con sentenza n. 1816, depositata il 12 dicembre 2012 e passata in autorità di cosa giudicata per decorso del termine lungo di un anno dalla pubblicazione, il 27 gennaio 2014; anche il giudice ordinario disponeva la compensazione delle spese di lite.

Considerato che l'impresa T. & T. Costruzioni s.r.l. con ricorso in riassunzione, notificato il 19 marzo 2014 e depositato il giorno 11 aprile seguente, chiede la condanna del Comune di Mazara del Vallo al risarcimento dei danni asseritamene subiti, quantificati in complessivi euro 260.980,71, per l'illegittimità dell'aggiudicazione del 26 febbraio 1997 dei lavori di completamento del restauro del Palazzo dei Cavalieri di Malta, sede di uffici comunali, parzialmente eseguiti dall'aggiudicataria impresa Edilverde.

Quanto agli elementi costitutivi dalla responsabilità ex art. 2043 c.c., invocando la colpa della Amministrazione direttamente discendente dall'illegittima aggiudicazione della gara, deduce la sussistenza del danno ingiusto da risarcire mediante il ricorso agli istituti del lucro cessante (utile d'impresa) e del danno emergente (importo delle spese generali e delle spese legali sostenute); chiede anche il risarcimento del danno per il ritardo nella consegna dei lavori "a titolo di riconoscimento del prezzo chiuso", oltre rivalutazione monetaria e interessi legali, nella misura di seguito indicata:

1) euro 113.620,52 pari al 10% dell'importo (euro 1.136.205,18) complessivo dei lavori eseguiti dalla Impresa Edilverde s.r.l., aggiudicataria "in prima istanza", a titolo di mancato utile;

2) euro 42.607,69 pari al 15% del 25% dell'importo (euro 1.136.205,18) complessivo dei lavori eseguiti dalla Edilverde s.r.l., a titolo di spese generali;

3) euro 91.841,08 pari al 5% annuo dell'ammontare complessivo dei lavori residui eseguiti dalla ricorrente (euro 459.205,39), moltiplicato per gli anni (1998-1999-2000 e 2001) di ritardo nella consegna dei lavori, e ciò a titolo di riconoscimento del "prezzo chiuso", previsto e disciplinato dall'art. 46 della l.r. n. 10/1993 (recte: art. 45 ("Prezzo chiuso") della l. 29 aprile 1985, n. 21, sostituito dall'art. 57 della l.r. 12 gennaio 1993, n. 10);

4) euro 12.911,42 a titolo di rimborso delle spese legali.

In via istruttoria, la ricorrente chiede che, nell'ipotesi di contestazione sul quantum, sia disposta c.t.u. per la quantificazione delle voci di danno indicate.

Considerato che:

- il Comune di Mazara del Vallo si è formalmente costituito in giudizio con atto del 12 agosto 2014.

Con memoria del 23 maggio 2019, ha eccepito la prescrizione del diritto al risarcimento del danno conseguente all'annullamento dell'aggiudicazione della gara alla Società Cooperativa a r.l. Edil Verde, avvenuta in data 26 febbraio 1997, per superamento del termine di cinque anni di cui all'art. 2947 c.c., sia se lo si consideri decorrente dalla predetta data di aggiudicazione, sia da quella di accoglimento del ricorso straordinario, proposto dall'impresa Isperia, con D.P. n. 382 del 10 maggio 1999, poiché l'azione di risarcimento è stata proposta avanti il Giudice ordinario, con atto di citazione notificato al Comune di Mazara del Vallo soltanto in data 12 maggio 2004.

Controdeduce, altresì:

1) la mancata dimostrazione dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa (grave) da parte dei funzionari dell'amministrazione comunale, sotto vali profili; innanzitutto, se la ricorrente avesse realmente voluto ottenere l'appalto ovvero l'immediata sospensione dei provvedimenti impugnati, piuttosto che esperire il ricorso straordinario al Presidente della Regione - per il quale al momento della sua proposizione la legge non prevedeva l'istituto della sospensione, introdotto soltanto con la novella di cui all'art. 3, ultimo comma, della l. n. 205/2000 - avrebbe potuto attivarsi, a tal fine, attraverso il ricorso innanzi il competente T.A.R.; d'altra parte, in assenza di sospensione cautelare e nelle more della decisione del ricorso straordinario, non era ipotizzabile, l'annullamento in autotutela dell'aggiudicazione, stante la prevalenza dell'interesse pubblico all'esecuzione dei lavori e a evitare un contenzioso con l'aggiudicataria il cui esito sarebbe stato sfavorevole. Correttamente, quindi, si procedeva il 9 settembre 1997, alla stipulazione del contratto rep. n. 10676 con l'aggiudicataria Edilverde e alla consegna dei lavori il 6 ottobre successivo, così come, altrettanto correttamente, quando, due anni dopo la sua proposizione, il ricorso straordinario proposto dall'impresa Isperia, era accolto e, per l'effetto, annullata l'aggiudicazione, veniva disposto l'affidamento dei lavori residui all'odierna ricorrente.

Si sostiene, peraltro, che sulla questione di diritto oggetto del ricorso - contrasto tra l'offerta in cifre e l'offerta in lettere, dovuto a un errore materiale facilmente riconoscibile e violazione dell'art. 5 della l. n. 14/1973 che non avrebbe permesso alla stazione appaltante alcuna modificazione dei prezzi unitari indicati nelle offerte dei concorrenti per cui nell'ipotesi di discrasia tra i prezzi offerti in cifre e quelli offerti in lettere era vincolante quest'ultima - coesistevano indirizzi interpretativi discordanti, tanto è vero che sul punto si era espresso, in senso diametralmente opposto al parere n. 890/1997 del C.G.A., l'Ufficio Legislativo e Legale della Presidenza della Regione siciliana che, con relazione n. 17272/573.97.8 aveva ritenuto il ricorso dell'Isperia destituito da fondamento atteso che la spropositata discordanza tra importo in lettere e cifre di un prezzo unitario sembrava rientrare fra gli errori materiali correggibili, tanto più che l'importo rilevato dall'amministrazione appariva coerente con il totale del prezzo offerto; e, in tal senso, era orientata la giurisprudenza secondo la quale il principio generale secondo cui, in caso di contrasto con l'offerta in cifre e l'offerta in lettere, doveva essere privilegiata quest'ultima offerta, non operava ove il contrasto era dovuto a un errore materiale facilmente riconoscibile;

2) l'omessa prova delle varie voci di danno o, comunque, la mancanza del loro fondamento normativo.

Infine, nel caso di accoglimento del ricorso, ha chiesto che sia accertato e dichiarato il diritto alla compensazione giudiziale con il credito vantato nei confronti dell'impresa ricorrente per i lavori per i quali è lite, nella misura di euro 51.539,11 (cfr. nota direttori lavori prot. n. 49201 del 28 luglio 2014 e certificato di collaudo del 2 luglio 2012);

- parte ricorrente ha replicato con memoria del 17 giugno 2019, insistendo nelle difese già articolate in ricorso;

- all'udienza pubblica del 23 luglio 2019, entrambe le parti hanno chiesto la spedizione in decisione della causa, che è stata riservata dal Collegio.

Ritenuto, preliminarmente, che è infondata l'eccezione di prescrizione del risarcimento del danno, sollevata dal Comune resistente.

E, invero, la presente controversia ha a oggetto un'azione risarcitoria conseguente all'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa cui è applicabile ratione temporis il termine di prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c., con decorrenza dalla data del passaggio in giudicato del decreto al Presidente della Regione siciliana n. 382 del 10 maggio 1999, di annullamento dell'aggiudicazione in sede di ricorso straordinario (cfr. da ultimo C.d.S., sez. III, 3 agosto 2018, n. 4802, C.G.A.R.S., sez. giur., 13 luglio 2018, n. 412).

Ritenuto, nel merito, che va accertata la presenza dei requisiti dell'invocata responsabilità del Comune di Mazara del Vallo, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2043 c.c., al fine dell'ottenimento del risarcimento, per equivalente monetario, del danno causato dall'aggiudicazione illegittima dell'appalto di che trattasi, in funzione integrativa della parziale tutela in forma specifica già ottenuta con l'esecuzione di parte dei lavori.

Tale responsabilità, in linea di principio, è consequenziale all'illegittimità dell'aggiudicazione e all'accertata spettanza del bene della vita (ex plurimis C.d.S., sez. V, 28 settembre 2015, n. 4499) e non richiede l'elemento soggettivo della colpa: in materia di responsabilità per i danni derivanti dalla mancata aggiudicazione di una gara di appalto, invero, la giurisprudenza amministrativa è ormai univocamente orientata nel senso che in base ai principi enunciati in materia di gare di appalto dalla giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia CE, sez. III, 30 settembre 2010, causa C-314/2009) è da escludere che il risarcimento sia subordinato al riconoscimento di una colpa, comprovata o presunta, nell'emanazione di atti illegittimi da parte della stazione appaltante, ovvero al difetto di alcuna causa di esonero di responsabilità (C.d.S., V, 25 febbraio 2019, n. 1257; Id., 2 gennaio 2019, n. 14; III, 22 agosto 2018, n. 5014; III, 21 marzo 2018, n. 1828; III, 19 gennaio 2018, n. 358; Ad. plen., n. 2 del 2017; V, 2 gennaio 2019, n. 14; V, 31 dicembre 2014, n. 6450; V, 27 marzo 2013, n. 1833; V, 8 novembre 2012, n. 5686; V, 31 gennaio 2012, n. 482; V, 21 novembre 2011, n. 6127; V, 24 febbraio 2011, n. 1193).

L'odierna impresa ricorrente, dunque, avrebbe subito, per effetto dell'illegittimo operato della stazione appaltante (accertato con sentenza passata in giudicato) un danno derivante dalla mancata aggiudicazione dell'appalto, eseguito per lo più interamente da un'impresa che non avrebbe dovuto essere ammessa alla gara.

L'impresa ricorrente ha, al riguardo, indicato le seguenti voci di danno: 1) spese generali; 2) spese legali; 3) mancato utile; 4) ritardo nella consegna dei lavori.

La richiesta risarcitoria, tuttavia, così come proposta, non può essere accolta.

Devono, innanzitutto, essere escluse le spese generali, in forza del consolidato orientamento secondo il quale non è ristorabile il danno per spese e costi di partecipazione alla gara, per le spese generali, legali e di progettazione, perché la partecipazione alle gare d'appalto comporta per i partecipanti dei costi che ordinariamente restano a carico dell'imprese medesime, sia in caso di aggiudicazione, sia di mancata aggiudicazione (cfr. C.d.S., sez. IV, 23 maggio 2016, n. 2111; 17 febbraio 2014, n. 744; sez. III, 10 aprile 2015, n. 1839).

In particolare, riguardo alle spese generali, va osservato che sono voci di costo che l'impresa comunque sostiene a prescindere dall'esecuzione di commesse pubbliche e che vanno a ridurre il risultato di esercizio annuo, secondo i principi e le regole di contabilità aziendale comunemente applicabili e pertanto, rispetto a esse, difetta il rapporto di causalità con l'illegittima aggiudicazione dell'appalto (C.d.S., V, 26 luglio 2019, n. 5283).

Per quanto riguarda le spese di giudizio si osserva come tale costo non costituisce un danno emergente di cui può essere chiesto un risarcimento in via autonoma ex art. 2043 c.c.

In materia di spese processuali, invero, non trova applicazione la disciplina generale dell'illecito aquiliano dettata dall'art. 2043 c.c., ma la disciplina contenuta negli artt. 91, 92, 93, 94, 96 e 97 c.p.c. in forza dell'espresso rinvio contenuto nell'art. 26 c.p.a.; ebbene, tali norme pongono principi differenti rispetto a quelli che regolano la responsabilità aquiliana, poiché la difesa in giudizio, pure quando avvenga a sostegno di una pretesta infondata, non rappresenta, in quanto tale, un illecito.

Da tali norme emerge chiaramente come la regolamentazione delle spese processuali spetti, in via esclusiva, al giudice che definisce il giudizio nel cui ambito quelle spese sono state sostenute e non possono essere richieste proponendo un'autonoma azione risarcitoria fondata sull'art. 2043 c.c., in quanto, se ciò fosse possibile, si avrebbe un'evidente elusione del regime delle spese processuali dettato dagli artt. 91-97 c.p.c. e, soprattutto, del principio dell'accessorietà della pronuncia sulle spese legali (in termini, v. C.d.S., VI, 9 giugno 2008, n. 2751).

In ordine alla risarcibilità del mancato utile (lucro cessante), indicato dalla ricorrente in euro 113.620,52 pari al 10% dell'importo (euro 1.136.205,18) complessivo dei lavori eseguiti dalla Impresa Edilverde s.r.l., aggiudicataria, vanno richiamati i condivisibili principi espressi dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 12 maggio 2017, n. 2.

Premesso che la base di calcolo della percentuale di mancato utile va parametrata al prezzo indicato nell'offerta dal concorrente che chiede il risarcimento del danno (C.d.S., V, 26 luglio 2019, n. 5283; id., V, 28 maggio 2019, n. 3492; C.G.A., 6 novembre 2019, n. 947; id., 21 ottobre 2019, n. 917) ai sensi degli artt. 30, 40 e 124, comma 1, c.p.a., spetta all'impresa danneggiata offrire la prova dell'an e del quantum del danno che assume di aver sofferto, ossia dell'utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell'appalto poiché nell'azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento (art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.); quest'ultimo, infatti, si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l'asimmetria informativa tra amministrazione e privato la quale contraddistingue l'esercizio del pubblico potere e il correlato rimedio dell'azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall'art. 2697, primo comma, c.c.

Ne consegue che va esclusa la pretesa di ottenere l'equivalente del 10% dell'importo complessivo dei lavori eseguiti dalla Impresa Edilverde, sia perché detto criterio percentuale esula storicamente dalla materia risarcitoria, sia perché non può essere oggetto di applicazione automatica e indifferenziata non potendo formularsi un giudizio di probabilità fondato sull'id quod plerumque accidit secondo il quale il danno da lucro cessante sia commisurabile ad una percentuale del 10% dell'importo complessivo dei lavori eseguiti dalla Impresa Edilverde s.r.l., aggiudicataria illegittima.

A ciò va aggiunto che il mancato utile sarebbe spettato per la parte di appalto non eseguito nella misura concretamente provata solo se l'impresa ricorrente avesse dimostrato di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa. In difetto di tale dimostrazione, può presumersi che l'impresa ricorrente abbia riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori ovvero che avrebbe potuto riutilizzarli, usando l'ordinaria diligenza dovuta al fine di non concorrere all'aggravamento del danno, a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. I-quater, 3 giugno 2019, n. 7132).

Ai fini della sussistenza dell'aliunde perceptum, segnatamente in relazione al settore degli appalti, la giurisprudenza assolutamente prevalente e condivisa riguardo al caso di specie, infatti, ritiene applicabile il meccanismo della presunzione (semplice) fondata sull'id quod plerumque accidit, secondo cui l'imprenditore (specie se in forma societaria), in quanto soggetto che esercita professionalmente un'attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili, normalmente non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali alternative dalla cui esecuzione trae utili.

In altre parole, se, da un lato, non risulta ragionevolmente predicabile la condotta dell'impresa che immobilizza le proprie risorse in attesa dell'aggiudicazione di una commessa, o nell'attesa dell'esito del ricorso giurisdizionale volto a ottenere l'aggiudicazione, atteso che possono essere molteplici le evenienze per cui potrebbe risultare non aggiudicataria della commessa stessa (il che corrobora la presunzione) dall'altro, ai sensi dell'art. 1227, comma 2, c.c., il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno, sicché il comportamento inerte dell'impresa ben può assumere rilievo in ordine all'aliunde percipiendum.

In tal modo, in sostanza, si vuole evitare che la sentenza che vede l'impresa vittoriosa diventi occasione e strumento di ingiusta locupletazione (C.d.S., sez. V, 9 dicembre 2013, n. 5884; id., V, 27 marzo 2013, n. 1833; id., V, 7 giugno 2013, n. 3155; id., V, 8 novembre 2012, n. 5686).

Sotto il profilo probatorio, poiché l'onere di provare (l'assenza del)l'aliunde perceptum grava non sull'amministrazione, ma sull'impresa, in mancanza del suo assolvimento, va del tutto esclusa la risarcibilità del mancato utile.

Sul punto va condivisa la giurisprudenza secondo la quale "il riconoscimento del lucro cessante deve ritenersi subordinato:

a) all'assolvimento, in positivo, di un preciso onere probatorio, inteso a dimostrarne, anche per via indiziaria, la consistenza, avuto riguardo alle caratteristiche dell'appalto, al mercato di riferimento, alle condizioni operative dell'impresa, alle dimensioni organizzative, alle risorse reali e finanziarie disponibili, alle multiformi peculiarità della fattispecie;

b) alla dimostrazione, in negativo, anche qui per via indiziaria (e, per esempio, mediante la non disagevole allegazione dei libri contabili) della mancata interinale utilizzazione delle proprie risorse reali e personali e della obiettiva ed involontaria immobilizzazione delle stesse, nonché della diligente condotta imprenditoriale, preordinata a non trascurare occasioni di utile impiego, nell'esclusivo e non commendevole intento di aggravare il danno da mancata aggiudicazione" (C.d.S., V, 23 agosto 2019, n. 5803).

Alla luce delle esposte premesse, e in mancanza di utili allegazioni di opposta consistenza, deve presumersi che la società ricorrente abbia, secondo l'id quod plerumque accidit e, comunque, alla luce dell'evidenziato onere di non aggravamento (per sé in grado di elidere il danno suscettibile di ristoro, ex art. 1227 c.c.) utilizzato diversamente personale, beni e capitali (della cui consistenza e composizione non viene data specifica contezza), con la logica conseguenza che alcun utile avrebbe potuto prospetticamente conseguire dall'appalto non aggiudicato, legittimandosi la presunzione di integrale utilizzazione delle risorse disponibili e palesandosi, con ciò, non arbitrario argomentare l'integrale elisione, piuttosto che la semplice decurtazione, del lucro prospetticamente ricavabile dalla esecuzione integrale dell'appalto per cui è causa.

Neppure è risarcibile la voce di danno relativa al riconoscimento del "prezzo chiuso", previsto e disciplinato dall'art. 45 ("Prezzo chiuso"), comma 4, della l. 29 aprile 1985, n. 21, sostituito dall'art. 57 della l.r. 12 gennaio 1993, n. 10, perché il precedente art. 44 ("Immodificabilità del corrispettivo") della l.r. n. 21 del 1985 prevedeva, al comma 2, che non fosse "comunque consentito ricorrere al prezzo chiuso quando la durata del contratto pattuita sia inferiore o pari a ventiquattro mesi" e, come risulta dal contratto di appalto rep. 10676 del 9 settembre 1997, in atti, la durata era prevista in venti mesi (v. art. 12 del C.S.A.).

Ritenuto, pertanto, che il ricorso va rigettato.

Ritenuto, infine, che in ragione della peculiarità della vicenda, le spese di lite vanno eccezionalmente compensate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.