Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 6 aprile 2020, n. 2305

Presidente: Garofoli - Estensore: Tulumello

FATTO E DIRITTO

1. La sentenza impugnata ha respinto il ricorso degli odierni appellanti, ricorrenti in primo grado, proposto contro la proclamazione, all'esito delle elezioni regionali tenutesi il 24 febbraio 2019, del Presidente della Regione Sardegna e degli eletti in Consiglio regionale, nonché contro tutti gli atti preordinati, connessi e successivi.

Il ricorso di primo grado lamentava la violazione o falsa applicazione dell'art. 21, comma 1, della Legge regionale statutaria della Sardegna, 12 novembre 2013, n. 1; nonché eccesso di potere e abuso del diritto per violazione e falsa applicazione del terzo comma della disposizione ora citata.

La tesi dei ricorrenti era nel senso che alcune liste fossero state illegittimamente ammesse alla competizione elettorale, in conseguenza dell'errata applicazione del comma terzo dell'art. 21 della Legge Regionale Statutaria della Sardegna del 12 novembre 2013, n. 1, nella parte in cui non richiede sottoscrizioni per la presentazione di liste di candidati che siano espressione di partiti o gruppi o movimenti politici di carattere nazionale o regionale, "ai quali, con dichiarazione formale, aderisca almeno un consigliere regionale in carica alla data di indizione dei comizi elettorali".

L'illegittimità sarebbe consistita nel fatto che successivamente alla c.d. "adesione tecnica" con dichiarazione formale da parte di Consiglieri regionali uscenti, alcuni dei suindicati Consiglieri non si sarebbero candidati in alcuna lista, altri avrebbero presentato formale dichiarazione di accettazione della candidatura di consigliere regionale in liste diverse: la tesi di parte ricorrente, odierna appellante, è nel senso che le adesioni dei consiglieri in carica non possano essere meramente statiche ed istantanee, ma postulino un'adesione dinamica, con la conseguenza che l'adesione dovrebbe permanere per tutta la durata del procedimento elettorale.

2. La sentenza del T.A.R. Sardegna n. 546/2019, oggetto di gravame, ha respinto tale interpretazione, osservando che l'unico requisito posto dalla norma all'esonero dall'obbligo di raccolta delle firme di presentazione è l'adesione del Consigliere uscente.

Il primo giudice ha quindi affermato che l'interpretazione letterale della disposizione implicata impedisce una addizione in sede esegetica di requisiti dalla stessa non previsti.

Inoltre, il T.A.R. ha argomentato la propria decisione osservando che, ove si optasse per la tesi dei ricorrenti, si esporrebbe la lista che si avvale della modalità di presentazione in esame ad un evidente rischio di sopravvenienze aleatorie, sicché nessuna lista finirebbe ragionevolmente con l'esporsi ad un simile rischio (dipendente sostanzialmente da fatto del terzo), per cui la disposizione in questione verrebbe in tal modo resa inapplicabile alla stregua di un criterio di normale prudenza.

Il T.A.R. ha altresì escluso che gli atti impugnati fossero affetti dal dedotto vizio di difetto di motivazione, trattandosi di atti vincolati ed essendo sufficiente il rinvio in essi contenuto alla disposizione di cui all'art. 21 della legge regionale n. 1 del 2013 (richiedendosi semmai una più approfondita motivazione nell'ipotesi, opposta a quella considerata, di esclusione della lista).

Il primo giudice ha, infine, respinto anche il motivo di ricorso inerente la ripartizione del numero dei seggi in Consiglio regionale in proporzione al numero di abitanti per circoscrizione.

3. Gli odierni appellanti, con ricorso in appello notificato l'8 luglio 2019 e depositato il successivo 12 luglio, contestano la sentenza impugnata in relazione a tutti e tre i profili che hanno costituito oggetto del giudizio di primo grado.

Può prescindersi dall'esame delle eccezioni sollevate dalle parti in rito, in ragione dell'infondatezza nel merito del ricorso in appello non dipendente dai profili dedotti in tali eccezioni, incluse quelle relative a questioni nuove che sarebbero state dedotte per la prima volta in appello, nonché al deposito di documenti per la prima volta in questo grado di giudizio, dal momento che il gravame è stato deciso indipendentemente dall'esame di tali questioni e di tali documenti.

4. Il primo motivo del ricorso in appello è relativo al profilo della ricognizione dei presupposti per la modalità di presentazione della lista alternativa alla raccolta delle sottoscrizioni dei cittadini elettori.

Questa Sezione, nella recente sentenza n. 7633/2019, ha esaminato una questione fortemente analoga, ancorché relativa ad altra legge regionale.

Sul piano dei princìpi, indifferente alla formulazione della specifica disposizione regionale, tale sentenza ha anzitutto premesso il richiamo alla costante e pacifica giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in merito alla necessità di operare, con riferimento alle disposizioni regolanti il procedimento elettorale, una applicazione ed interpretazione rigidamente ancorata al dato letterale, proprio per evitarne travisamenti e strumentalizzazioni, dal momento che "un'interpretazione sostanziale o dinamica del collegamento previsto dalla norma" finirebbe "per esulare dal piano strettamente giuridico, che è l'unico sindacabile dal giudice".

La sentenza richiamata ha quindi affermato che "una volta che il legislatore regionale, con valutazione discrezionale, abbia individuato gli elementi di fatto, indici di adeguata rappresentatività, e perciò idonei a giustificare l'esonero dall'obbligo di raccolta delle firme di presentazione, compito dell'interprete è verificare che tali enunciati costituiscano "di per sé fatti indicativi di una certa rappresentatività della lista che intende partecipare alla competizione elettorale, sufficienti ad integrare gli estremi del paradigma normativo, senza che sia necessario, per giustificare l'esonero dall'obbligo della raccolta delle firme di presentazione, postulare implicitamente anche l'ulteriore esistenza di un legame (collegamento), più o meno intenso (o meglio di decrescente intensità, secondo la ricostruzione operata dei primi giudici dell'articolo in esame) con il partito politico od il gruppo politico cui fanno "politicamente" riferimento". Ciò in quanto "ammettere la necessità di un simile ulteriore elemento a completamento della fattispecie, (...) o meglio ricollegare ad esso (la cui natura squisitamente politica non è seriamente dubitabile) l'effetto giuridico di presupposto implicito della norma che esonera le liste dall'obbligo di raccolta delle liste di presentazioni implica, dal punto vista logico, ancor prima che dal punto di vista giuridico-sistematico, la negazione della stessa ratio della norma (i.e. di favorire la più ampia partecipazione possibile di liste alla competizione elettorale), assicurando per converso in via di fatto ai partiti e gruppi politici (tradizionali ovvero che quelli già presenti nelle precedenti elezioni), anche attraverso i loro gruppi consiliari, una sorta di controllo politico sull'ingresso nella competizione elettorale di nuove liste, diverse da quelle che con loro sono, direttamente o indirettamente, connesse" (Consiglio di Stato, V, sentenza 8145/2010, cit.)".

La sentenza 7633/2019 ha infine ricordato che "la sentenza della V Sezione di questo Consiglio di Stato n. 8145/2010 ha in realtà respinto - con le argomentazioni che si sono richiamate - il tentativo di aggiungere un (ulteriore) requisito inespresso nel dato letterale della disposizione legittimante l'esonero dalla raccolta delle sottoscrizioni: operazione ermeneutica identica a quella proposta dagli odierni appellanti (e per le stesse ragioni non ammissibile)".

È appena il caso di osservare che la citata sentenza n. 8145/2010 ha una rilevanza nella fattispecie dedotta in relazione ai princìpi affermati in punto di interpretazione delle norme in materia di procedimento elettorale: ma quanto al concreto esito dell'applicazione di siffatti princìpi non può essere invocata, essendo relativa all'esegesi di una disposizione regionale relativa ad altra regione, avente diversa formulazione testuale ed inserita in un differente contesto normativo.

Identiche considerazioni valgono evidentemente anche per l'invocata sentenza di questa Sezione n. 3024/2019, relativa alla legge n. 21/2009 della Regione Piemonte.

5. L'applicazione alla fattispecie dedotta dei superiori princìpi, dai quali il Collegio non ravvisa motivo per discostarsi, conduce alla delibazione di infondatezza della censura in esame.

L'art. 21, comma 3, della legge regionale sarda n. 1 del 2013, stabilisce che "Nessuna sottoscrizione è richiesta per la presentazione di liste di candidati con contrassegni tradizionalmente usati o ufficialmente riconosciuti dai partiti o gruppi o movimenti politici di carattere nazionale o regionale che abbiano avuto eletto, nella legislatura in corso alla data dell'indizione dei comizi, un proprio rappresentante nel Consiglio regionale o ai quali, con dichiarazione formale, aderisca almeno un consigliere regionale in carica alla data di indizione dei comizi elettorali; nessuna sottoscrizione è parimenti richiesta nel caso in cui la lista sia contraddistinta da un contrassegno composito nel quale sia contenuto quello di un partito o gruppo politico esente da tale onere".

Il requisito che la norma pone per la modalità di presentazione considerata è duplice: che vi sia una formale adesione alla lista di un consigliere regionale, e che costui sia in carica alla data di indizione dei comizi elettorali.

La ratio della norma è evidente: poiché la partecipazione alla competizione elettorale implica un radicamento sociale della lista, o comunque del partito o movimento politico di riferimento, la prova di tale radicamento può ottenersi o attraverso la raccolta delle sottoscrizioni dei cittadini (art. 21, primo comma), ovvero attraverso la modalità contemplata dal citato terzo comma dell'art. 21.

Per valutazione discrezionale del legislatore regionale entrambe tali modalità, per come disciplinate dalle rispettive disposizioni, sono parimenti rappresentative dell'esistenza di un apprezzabile e significativo legame, comunque sufficiente a legittimare la partecipazione alla competizione elettorale, fra la lista, e la struttura o area politica di riferimento, e la società civile.

6. Né tale valutazione discrezionale si atteggia ad irragionevole, nella parte in cui limita il collegamento alla puntuale adesione, senza richiedere una coerenza diacronica dell'impegno politico del consigliere aderente.

In disparte le dirimenti considerazioni svolte dal primo giudice in merito alla irragionevole pretesa di ancorare la legittimazione della lista ad un evento futuro ed aleatorio (l'impegno politico personale del singolo consigliere che ha manifestato l'adesione), la soglia di legittimazione stabilita dal legislatore regionale con riferimento al collegamento esistente al momento dell'indizione dei comizi elettorali rappresenta una equilibrata sintesi fra l'esigenza di individuare una seria ed effettiva corrispondenza fra la lista e la pregressa presenza consiliare, e la necessità di non rendere tale collegamento dipendente da variabili personali che peraltro non eliderebbero il dato storico della rappresentatività costituito dalla dichiarazione di adesione.

In tal senso il paventato rischio di un "trasferimento della rappresentatività" non costituisce un elemento di irragionevolezza dell'assetto posto dalla disposizione in esame, proprio per il punto di equilibrio e di sintesi individuato nei sensi appena esposti dal legislatore regionale.

Del resto, contrariamente a quanto sostenuto nella censura in esame, il significato letterale del termine "adesione" implica una condivisione programmatica, ma non anche un concreto impegno nell'ambito del medesimo procedimento elettorale, non potendo evidentemente trarsi un diverso ausilio esegetico dal significato eventualmente diverso che all'adesione diano gli statuti dei vari partiti o movimenti politici (la cui natura implica che le conseguenze della loro violazione abbiano una rilevanza meramente interna).

In tal senso la disposizione in esame ha effettivamente richiesto, come sostengono gli appellanti, un quid pluris rispetto a quella previgente (art. 12 dell'abrogata legge regionale n. 7 del 1979): il collegamento, prima qualificato come mera presenza della lista in Consiglio regionale (l'avere propri rappresentanti nel Consiglio uscente), deve ora consistere quanto meno nell'adesione di uno dei consiglieri uscenti alla nuova lista.

L'atto di adesione rappresenta dunque una manifestazione volitiva prima non richiesta: ma nessun corretto argomento ermeneutico consente di dedurre da tale modifica legislativa l'addizione normativa invocata dagli appellanti, che pretendono di aggiungervi un requisito ulteriore, del tutto estraneo alla formulazione letterale della norma e, per quanto sopra chiarito, anche alla sua stessa ratio legis (proprio il riferimento alla intenzione del legislatore contenuto nella censura in esame conduce a ritenere infondata la censura medesima)

7. La circostanza, infine, che il consigliere regionale di un partito manifesti adesione alla lista di altro partito rileva al più sul piano della coerenza politica e del rispetto degli impegni dallo stesso assunti con il partito di appartenenza: ma non anche sul piano della legittimità dell'adesione, avuto riguardo al paradigma normativo in esame.

La disposizione, infatti, così come non richiede alcun requisito di ultrattività (degli effetti) della dichiarazione, non richiede neppure identità di appartenenza politica fra l'aderente e la lista, posto che il dato che rileva è quello del collegamento fra presenza nel consiglio uscente e volontà di supportare la lista medesima: in tal senso il richiamo alla libertà del mandato prevista dall'art. 67 della Costituzione (peraltro con riferimento ai parlamentari) aggiunge argomenti a favore della ragionevolezza della soluzione prescelta dal legislatore sardo, per come letteralmente interpretata dai primi giudici.

8. Del tutto privo di rilievo appare poi il riferimento alla possibile lesione della libertà di voto dell'elettore, che potrebbe essere fuorviato dal fatto che una lista è stata ammessa alla competizione elettorale grazie all'apporto (determinante) di un consigliere regionale uscente che poi al momento delle elezioni o non si candida, o si candida con altra formazione: è evidente che la libertà di voto si manifesta, consapevolmente, proprio al momento del voto, quando tutti gli elementi necessari sono ormai chiari e definiti.

Anzi, tale argomento prova troppo: perché proprio la segnalata incoerenza politica, priva - come detto - di rilevanza giuridica ai fini che qui interessano, potrebbe costituire una penalizzazione, in termini di consenso elettorale manifestato in piena libertà e consapevolezza, della lista che di tale meccanismo si è avvalsa.

9. I motivi di appello concernenti il difetto di motivazione e la prova di resistenza sono dipendenti, per loro espressa formulazione, dall'accoglimento della censura precedentemente esaminata: in ragione dell'infondatezza del motivo pregiudicante anche queste due ulteriori censure devono quindi ritenersi infondate.

10. Il quarto motivo del ricorso in appello ripropone la questione, già agitata nel terzo motivo del ricorso di primo grado, della violazione del principio di rappresentatività territoriale.

La questione, in sostanza, inerisce all'applicazione del correttivo, previsto dalla legge regionale sarda in esame, consistente nell'attribuire almeno un seggio alla circoscrizione che non abbia riportato alcun candidato eletto, con corrispondente sottrazione di tale seggio ad altre circoscrizioni (art. 18 della l.r. n. 1/2013).

La censura contesta l'individuazione delle circoscrizione cedenti, e lamenta che queste non sarebbero state le più popolose (Sassari, Oristano, Cagliari e Olbia), ma le meno popolose (Ogliastra, Nuoro, Medio campidano e Sulcis).

La censura è infondata.

La stessa è stata già esaminata da questa Sezione, e risolta nel senso della legittimità dell'operato dell'Ufficio elettorale regionale nell'attribuzione dei seggi alle circoscrizioni in applicazione delle disposizioni invocate, nelle sentenze n. 1039/2020 e 1037/2020, alle quali il Collegio si riporta, non ravvisando ragione per discostarsi dalle stesse.

Né possono trarsi argomenti di segno contrario dall'invocata sentenza della Corte costituzionale n. 35 del 2017: sia perché relativa all'elezione del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati (con individuazioni di parametri di costituzionalità relativi alla "forma di governo parlamentare disegnata dalla Costituzione", ed evidentemente non esportabili); sia perché concernente il diverso tema del premio di maggioranza e delle soglie di sbarramento; sia, infine, perché essa specifica come "questa Corte ha sempre riconosciuto al legislatore un'ampia discrezionalità nella scelta del sistema elettorale che ritenga più idoneo in relazione al contesto storico-politico in cui tale sistema è destinato ad operare, riservandosi una possibilità di intervento limitata ai casi nei quali la disciplina introdotta risulti manifestamente irragionevole (sentenze n. 1 del 2014, n. 242 del 2012, n. 271 del 2010, n. 107 del 1996, n. 438 del 1993, ordinanza n. 260 del 2002)".

Nella citata sentenza n. 1037/2020 di questa Sezione si è peraltro esaminato anche il profilo della compatibilità della disciplina in esame con la Costituzione, osservandosi che "Le disposizioni della cui legittimità costituzionale si dolgono gli odierni appellanti, e il risultato concreto della loro applicazione, contemperano pertanto il principio della proporzionalità politica con quello della rappresentanza territoriale, secondo un equilibrio, disegnato dal legislatore regionale, che non supera il limite della manifesta irragionevolezza, ma che anzi risponde ad una logica maggiormente garante del principio dell'uguaglianza del voto rispetto a quanto propugnato nel ricorso in appello (che, portato alle estreme conseguenze, determinerebbe l'attribuzione di un seggio ad un candidato che abbia riportato una percentuale del quoziente più alta rispetto a quella ottenuta, in una circoscrizione più vasta, da un candidato che sarebbe invece escluso)".

In argomento e nello stesso senso va altresì, conclusivamente, richiamata la sentenza della V Sezione di questo Consiglio di Stato, n. 3614/2015, nella parte in cui ha affermato che "in base all'art. 24 dello Statuto Speciale, "I consiglieri regionali rappresentano l'intera Regione", confermandosi l'irrilevanza costituzionale del principio di rappresentanza territoriale così come dedotto dalla parte appellante. Peraltro, il principio della rappresentanza territoriale, così come configurato in appello, è privo di copertura costituzionale, rendendo così irrilevante anche le doglianze relative alla dedotta contrarietà, della censurata normativa regionale, ai principi della personalità e uguaglianza del voto".

11. In conclusione il ricorso in appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Sussistono le condizioni di legge, avuto riguardo alla novità e alla complessità delle questioni trattate, per disporre la compensazione fra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.