Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 18 febbraio 2020, n. 10473

Presidente: Ramacci - Estensore: Semeraro

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'ordinanza del 25 ottobre 2019 il Tribunale del riesame di Lecce ha accolto l'appello del pubblico ministero avverso l'ordinanza del 8 ottobre 2019 del giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Brindisi con la quale, di ufficio, in sede di rigetto della richiesta di emissione di mandato di arresto europeo, è stata sostituita la misura cautelare degli arresti domiciliari con l'obbligo di dimora nei confronti di Leonardo U. Il Tribunale del riesame ha di conseguenza ripristinato la misura cautelare genetica degli arresti domiciliari applicata con ordinanza del 24 aprile 2019, per il reato ex art. 73, comma 4, d.P.R. 309/1990.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di Leonardo U. Dopo aver ricostruito l'iter del procedimento, sostiene il ricorrente che il potere di sostituzione ex art. 299 c.p.p. sarebbe derivato dalla richiesta di mandato di arresto europeo, rispetto alla quale il giudice per le indagini preliminari avrebbe interpellato il pubblico ministero sulla persistenza delle esigenze cautelari. La motivazione dell'ordinanza del giudice delle indagini preliminari sarebbe congrua e legittima.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestato infondato.

1.1. Il mandato d'arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro dell'Unione europea, in vista dell'arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro, di una persona, al fine dell'esercizio di azioni giudiziarie in materia penale o dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale. Ai sensi dell'art. 29, comma 1, della l. 69/2005 l'autorità giudiziaria competente emette il mandato d'arresto europeo quando risulta che l'imputato o il condannato è residente, domiciliato o dimorante nel territorio di uno Stato membro dell'Unione europea.

Dunque, all'atto della richiesta di emissione del mandato d'arresto europeo il giudice per le indagini preliminari è tenuto solo a verificare l'esistenza di tale presupposto. Gli artt. 28 e ss. della l. 69/2005 non prevedono il potere del giudice adito per l'emissione del mandato di arresto europeo di procedere di ufficio alla revoca o alla sostituzione della misura cautelare genetica.

1.2. L'art. 299, comma 3, c.p.p., nel prevedere, nel primo periodo, che il giudice provvede con ordinanza sulla richiesta di revoca o di sostituzione delle misure formulata dal pubblico ministero o dall'indagato, subordina l'investitura del giudice per le indagini preliminari alla proposizione della domanda; ciò si inscrive nel principio generale per il quale il giudice per le indagini preliminari esercita le sue funzioni su impulso di parte (art. 328, comma 1, c.p.p.), data la sua natura di giudice «senza processo», il quale nella fase precedente l'esercizio dell'azione penale, non dispone degli atti di indagine e non è a conoscenza dello sviluppo del procedimento.

Le uniche eccezioni sono quelle previste nell'art. 299, comma 3, c.p.p.: il giudice per le indagini preliminari può procedere di ufficio solo quando assume l'interrogatorio della [persona] in stato di custodia cautelare, o quando è richiesto della proroga del termine per le indagini preliminari o dell'assunzione dell'incidente probatorio.

Diversamente accade per la fase successiva all'esercizio dell'azione penale: investito della richiesta di rinvio a giudizio, il giudice per le indagini preliminari dispone del processo, e nell'ambito di questa sua cognizione, in sede di udienza preliminare può provvedere d'ufficio alla revoca o sostituzione delle misure cautelari (art. 299, comma 3, secondo periodo, c.p.p.).

1.3. Il Tribunale del riesame ha pertanto correttamente applicato l'art. 299 c.p.p. ritenendo che il giudice per le indagini preliminari non avesse il potere di ufficio di sostituire la misura cautelare in atto a seguito della richiesta di emissione del mandato di arresto europeo.

2. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, si condanna altresì il ricorrente al pagamento della somma di euro 2.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 28 norme regolamentari c.p.p.

Depositata il 23 marzo 2020.

L. Di Muro, G. Correale (curr.)

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