Corte di cassazione
Sezione IV penale
Sentenza 14 gennaio 2020, n. 10787

Presidente: Piccialli - Estensore: Nardin

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 3 aprile 2019 la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza del Tribunale di Messina nella parte in cui Andrea B. è stato dichiarato responsabile del reato di cui all'art. 186, comma 2, lett. c), c.d.s. per essersi posto alla guida di un autoveicolo in stato di ebbrezza, con l'aggravante di avere provocato un sinistro stradale, rigettando il motivo di appello inerente l'illegittima reiezione dell'istanza di messa alla prova.

2. Avverso la sentenza propone ricorso Andrea B., a mezzo del suo difensore, formulando un unico motivo con il quale lamenta la violazione della legge processuale penale, per erronea applicazione dell'art. 464-bis c.p.p. Osserva che l'imputato ha presentato rituale istanza all'UEPE, richiedendo l'elaborazione di un programma di trattamento per la messa alla prova, da produrre all'udienza dibattimentale unitamente all'istanza di sospensione del procedimento, ex art. 464-bis c.p.p.; che l'UEPE ha redatto il programma richiesto, prendendo atto della volontà dell'imputato di svolgere la prova presso la Congregazione dei padri Rogazionisti, facendo presente, tuttavia, che il medesimo, il quale versava in condizioni sanitarie precarie e si trovava ricoverato presso una comunità terapeutica a causa di una ricaduta nella dipendenza da alcool, aveva richiesto al responsabile del servizio di poter svolgere il lavoro di pubblica utilità, successivamente alla dimissione dalla struttura; che, cionondimeno, il giudice di seconda cura ha ritenuto di rigettare l'istanza asserendo che neppure all'udienza di decisione è stato chiarito quali fossero le condizioni dell'imputato e se il medesimo fosse in grado di dare immediata esecuzione al programma, benché B. già con l'atto di appello avesse chiesto la sospensione del procedimento e l'ammissione alla messa alla prova. Assume che le argomentazioni sottese dalla Corte territoriale al diniego sono gravemente contraddittorie. Invero, la sentenza, da un lato, riconosce la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi di ammissione al beneficio, dall'altro, conclude affermando che l'interessato non può essere ammesso al programma in quanto non si dà conto delle condizioni di salute in cui il medesimo si trova, al fine di consentirne la compatibilità con l'esecuzione del programma. Siffatta valutazione, tuttavia, avrebbe dovuto essere espletata - su sollecitazione della Corte di appello - dall'UEPE, che avrebbe dovuto convocare B. e verificarne le condizioni. L'assenza di questa verifica comporta l'illegittimità del diniego e l'annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va accolto.

2. La sentenza ha condiviso la decisione del giudice di prima cura, che ha rigettato la richiesta di messa alla prova, formulata ex art. 464-bis c.p.p., ritenendo l'insussistenza delle condizioni di ammissione, atteso che l'inizio dell'attività di cui al programma concordato con l'UEPE non era determinabile, dipendendo dalle dimissioni dalla struttura di cura, il che avrebbe comportato la sospensione del processo senza termine, eventualità non prevista dal codice di rito.

3. Ora, la sospensione del procedimento con messa alla prova, introdotto con il titolo V-bis, aggiunto al codice di procedura penale con l'art. 4, comma 1, lett. a), della l. 28 aprile 2014, n. 67, prevede che l'imputato, entro i termini di cui all'art. 464-bis c.p.p., o nel corso delle indagini preliminari ai sensi dell'art. 464-ter c.p.p., formuli istanza scritta di ammissione, allegando un programma di trattamento elaborato dall'Ufficio dell'esecuzione penale esterna, che ne stabilisca le modalità di svolgimento, le prescrizioni comportamentali ed, eventualmente, le condotte rivolte alla mediazione con la persona offesa.

L'istanza forma oggetto di valutazione del giudice di merito - o del giudice per le indagini preliminari, laddove sia formulata prima dell'esercizio dell'azione penale (ex art. 464-ter c.p.p.) - la cui positiva valutazione è subordinata, ai sensi dell'art. 464-quater, comma 3, c.p.p., "alla duplice condizione dell'idoneità del programma di trattamento e della prognosi favorevole in ordine all'astensione dell'imputato dal commettere ulteriori reati; si tratta - secondo la giurisprudenza di legittimità - di due giudizi diversi rimessi alla discrezionalità del giudice, guidata dai parametri indicati dall'art. 133 c.p. Ne consegue che l'impossibilità di formulare con esito favorevole la prognosi in ordine alla capacità a delinquere dell'imputato impedisce che quest'ultimo ottenga il beneficio richiesto, indipendentemente dalla presentazione del programma di trattamento" (Sez. 5, n. 7983 del 26 ottobre 2015 - dep. 26 febbraio 2016, Matera e altro, Rv. 266256).

Nell'ipotesi in cui il giudice ritenga che il programma di trattamento non sia congruo o presenti lacune che lo rendono non sufficiente, sotto il profilo della realizzazione dello scopo rieducativo, può - anche previamente acquisendo elementi utili tramite i servizi sociali e la polizia giudiziaria - modificare o integrare il programma, con il consenso dell'imputato (art. 464-quater, comma 4, c.p.p.).

4. La questione controversa, sottesa alla decisione ed alla sua impugnazione, riguarda la configurabilità di una condizione ostativa all'ammissione relativa ad un parametro diverso dall'idoneità del programma o dalla favorevole valutazione circa la futura astensione dalla commissione di reati, consistente nell'apprezzamento del tempo necessario alla realizzazione del programma, per cause indipendenti dalla sua esecuzione.

5. Elementi per la risoluzione del quesito si ricavano dalla lettura sistematica delle norme che regolano l'istituto.

6. Il legislatore, invero, non trascura di considerare l'incidenza del "tempo" fra le condizioni di ammissibilità della concessione della messa alla prova, ma lo fa facendo riferimento al tempo previsto per il completamento del programma rieducativo, stabilendo che il procedimento, al fine della realizzazione della messa alla prova, non può essere sospeso per un periodo "superiore a due anni se si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria" e "superiore a un anno quando si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria" (art. 464-quater, comma 5, lett. a) e b), c.p.p.).

Si tratta di termini che decorrono dalla sottoscrizione del verbale della messa alla prova da parte dell'imputato (art. 464-quater, comma 6, c.p.p.) e quindi, sostanzialmente, dall'inizio dell'esecuzione del programma e che costituiscono un limite di ammissibilità del trattamento individuale, che non può essere favorevolmente valutato, se previsto dall'UEPE, per un lasso temporale superiore.

Tuttavia, i limiti temporali di cui al quinto comma dell'art. 464-quater cit., ai sensi dell'art. 464-quinquies c.p.p., possono essere prorogati, per una sola volta e solo su richiesta dell'imputato che alleghi "gravi ragioni" che impediscono di concludere il programma nei tempi dal medesimo previsti e che, come si è visto, non possono essere superiori a quelli di cui alle lett. a) e b) del quinto comma dell'art. 464-quater c.p.p.

Premesso, dunque, che il termine di cui all'art. 464-quater, comma 5, lett. a) e b), è prorogabile su istanza motivata da gravi ragioni, indipendentemente dalla durata del programma, purché previsto nei limiti di cui alla medesima disposizione, occorre chiedersi se il rito consenta al giudice, prima ancora della valutazione della sussistenza dei requisiti di idoneità del programma predisposto dall'UEPE e della formulazione di un giudizio prognostico positivo, di negare l'accesso alla messa alla prova sulla base della previsione del pronostico negativo sulla durata della sospensione del procedimento.

La risposta non può essere tout court positiva.

Innanzitutto, si tratta di un giudizio non previsto dall'ordinamento e che, pertanto, non può costituire parametro di ammissibilità del provvedimento di messa alla prova.

In secondo luogo, il procedimento consente di affrontare l'ipotesi della difficoltà di completamento del programma individuale, nei termini da esso previsti - comunque contenuti in quelli di cui alle lett. a) e b) cit. - a mezzo della richiesta di proroga per "gravi ragioni". Il che significa che il legislatore, introducendo siffatta causa di estinzione del reato, ne ha voluto preservare il valore rieducativo, considerandolo prevalente rispetto alla durata del processo, purché il compimento della messa alla prova intervenga in un lasso di tempo non superiore alla proroga - non reiterabile - concessa dal giudice.

Siffatto bilanciamento delle esigenze rieducative, il cui raggiungimento legittima l'estinzione del reato, con quelle della durata del processo è principio cardinale che giustifica la sua sospensione, in attesa dello svolgimento della messa alla prova.

Ebbene, in questa prospettiva, in presenza della predisposizione di un trattamento da parte dell'UEPE, occorrerà che il giudice - non potendo esimersi dalla valutazione prevista a fronte della proposizione dell'istanza - ne verifichi l'idoneità, in base ai parametri di cui all'art. 133 c.p., congiuntamente formulando la prognosi sulla futura astensione dalla commissione di nuovi reati. Qualora, nondimeno, in presenza dei presupposti di meritevolezza dell'ammissione, siano rese note condizioni di incompatibilità per ragioni di salute con l'immediato inizio della messa alla prova, il giudice non potrà limitarsi a negare l'ammissione, dovendo accertare, invece, se si tratti di una situazione che non consente di dare corso al programma di trattamento.

Deve, infatti, rilevarsi che l'art. 168-bis c.p. non si limita a prevedere il contenuto della messa alla prova ed i limiti edittali che ne autorizzano la concessione, ma precisa che il suo svolgimento deve essere articolato con modalità "che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell'imputato".

La lettera della disposizione, dunque, chiarisce che, di per sé, le condizioni di salute non possono limitare l'accesso alla messa alla prova e che anzi, le modalità di prestazione debbono essere tali da "non pregiudicare" le eventuali esigenze di salute dell'imputato.

L'onere della verifica della compatibilità fra salute e modalità di svolgimento, peraltro, si riflette sul disposto dell'art. 464-quater, comma 4, c.p.p., che assegna al giudice il compito di verificare la necessità di "integrare o modificare il programma", sulla base delle informazioni raccolte tramite la polizia giudiziaria ed i servizi sociali (od altri enti) relativi alle condizioni di vita dell'imputato, ciò rilevando anche sulla determinazione degli obblighi e delle prescrizioni del trattamento (art. 464-bis, comma 5, c.p.p.).

Il giudice, pertanto, avuto notizia di impedimenti di salute che possano riverberarsi sul regolare e tempestivo svolgimento della messa alla prova è tenuto a valutarli, non respingendo aprioristicamente la domanda, ma richiedendo i necessari approfondimenti ai servizi a ciò deputati, in modo da eventualmente rendere il programma compatibile con le necessità dell'imputato, senza pregiudicare la possibilità per il medesimo di percorrere la strada del reinserimento sociale introdotta con la l. 67/2014.

Siffatto accertamento, specificamente previsto, dall'art. 464-bis, comma 5, c.p.p., ai fini della "concessione" della messa alla prova, non può essere omesso dal giudice che è tenuto a provvedervi, come chiarito dal combinato disposto degli artt. 168-bis c.p., 464-quater, comma 4, e 464-bis, comma 5, c.p.p.

Solo laddove dagli accertamenti svolti risulti l'impossibilità - e non la semplice difficoltà, cui il giudice deve provvedere adattando gli obblighi e le prescrizioni - di svolgere l'attività che forma oggetto del programma, il giudice potrà negare l'accesso alla messa alla prova, in quanto il programma di trattamento come presentato non potrà essere svolto, neppure se opportunamente modificato, rilevandosi così inidoneo allo scopo che gli è proprio: il reinserimento dell'imputato.

Queste indispensabili valutazioni sono state del tutto omesse dalla Corte territoriale, che rigettando il motivo di appello si è limitata a constatare che la relazione UEPE ha dato notizia del ricovero dell'imputato in una struttura per alcoldipendenti e che il medesimo non aveva dato notizie sul suo stato di salute, né sull'eventuale data di dimissioni, cui l'inizio dell'attività concordata era subordinato. Su questa base ha confermato la decisione di diniego impugnata.

Cionondimeno, il giudice chiamato a decidere avrebbe dovuto svolgere gli accertamenti di cui supra, tramite l'UEPE, e verificare l'eventuale modificabilità del programma di trattamento per renderlo conciliabile con il programma di cura dell'imputato e solo in caso di incompatibilità avrebbe potuto provvedere al diniego per inidoneità del programma proposto.

Non resta, dunque, che accogliere il ricorso, annullando la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Messina.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Reggio Calabria.

Depositata il 30 marzo 2020.