Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 23 aprile 2020, n. 2573

Presidente: Maruotti - Estensore: Di Carlo

FATTO E DIRITTO

1. Nell'ambito del giudizio civile avente ad oggetto la richiesta di condanna del Comune di San Benedetto del Tronto al pagamento del conguaglio maturato a seguito della cessione volontaria delle aree oggetto di un procedimento di espropriazione per pubblica utilità, il Tribunale di Ascoli Piceno (con la sentenza n. 140 del 14 febbraio 2013) ha così provveduto:

"1) Condanna il convenuto Comune di San Benedetto del Tronto a pagare all'attrice H. Anna, quale erede di S. Enrico, a sua volta erede di T. Maria Luisa, la quota di competenza della medesima H., previa dimostrazione da parte dell'attrice della quota di proprietà dell'immobile descritto nell'atto di compravendita 14.04.1982, rep. N. 39479 a rogito Notaio Tommaso Faenza, sull'importo complessivo di E 123.366,05 dovuto quale conguaglio per le causali di cui alla parte motiva;

2) Condanna il Comune convenuto al pagamento, in favore dell'attrice, dei due terzi delle spese del giudizio (ora compensi) liquidandole per l'intero in complessivi E 7.500,00 oltre IVA e Cap come per legge, compensando tra le parti la restante parte di un terzo".

2. I ricorrenti hanno chiesto l'ottemperanza di questa sentenza, ai sensi dell'art. 112, comma 2, lett. c), del c.p.a.

3. Il Tar delle Marche ha accolto il ricorso ed ha compensato le spese di lite.

4. Il Comune di San Benedetto del Tronto ha appellato la pronuncia, articolando un'unica, complessa censura.

4.1. Error in judicando - Errata applicazione e violazione art. 112 c.p.a. - Contraddittorietà e illogicità della sentenza.

Il Tar delle Marche avrebbe errato nell'accogliere il ricorso, perché non si sarebbe verificata la condizione alla quale era stato sottoposto, da parte del giudice civile, l'obbligo del pagamento della somma di denaro, e cioè la previa dimostrazione della quota di proprietà dell'immobile da parte dell'attrice Anna H. Anna, in qualità di erede del signor S. Enrico, a sua volta erede della signora T. Maria Luisa.

Il Tar avrebbe errato, inoltre, nella parte in cui - dopo avere premesso che "il Collegio, in questa sede, non può esprimersi sulla sufficienza della prova della quota di proprietà fornita dai ricorrenti" - ha concluso che "l'idoneità di tale prova deve essere primariamente valutata dall'amministrazione intimata", senza considerare, di converso, che l'accertamento della titolarità del diritto di proprietà pro quota, rispetto agli altri eredi, sull'asse ereditario, rappresenta una condizione essenziale ai fini della formazione (e dell'esecuzione) di un valido titolo esecutivo, e che l'accertamento medesimo rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.

5. I signori H. si sono costituiti, per resistere al gravame.

6. All'udienza camerale del 16 aprile 2020, la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio ai sensi dell'art. 84 del d.l. n. 18 del 2020.

7. L'appello è fondato e va, pertanto, accolto.

8. La Sezione ritiene decisive, nel senso dell'accoglimento del gravame, le seguenti considerazioni.

a) Non è in discussione il principio secondo il quale, per le sentenze del giudice ordinario che abbiano comportato la soccombenza di una Pubblica Amministrazione, il rimedio dell'esecuzione civile e del giudizio di ottemperanza sono concorrenti.

Correttamente, pertanto, il Tar ha osservato che l'accoglimento dell'opposizione al precetto nel giudizio civile di esecuzione non spiega effetti rispetto al giudizio instaurato col ricorso di primo grado.

b) Le ragioni dell'inammissibilità del rimedio azionato riposano, invece, sulle seguenti considerazioni.

c) Il comma 2, lett. c), dell'art. 112 del c.p.a. ammette il giudizio di ottemperanza delle sentenze passate in giudicato del giudice ordinario "al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato".

d) I momenti di cognizione ammessi nel giudizio di ottemperanza sono soltanto quelli strettamente conseguenziali al giudicato o con lo stesso connessi (vale a dire, la domanda di pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria maturati dopo il giudicato; la domanda dei danni conseguenziali alla mancata esecuzione o alla impossibilità di esecuzione del giudicato; la domanda di chiarimenti sul giudicato).

e) Non sono ammissibili momenti di cognizione autonomi in relazione alle sopravvenienze o, come è accaduto nel caso di specie, agli spazi "bianchi" lasciati dal giudicato, perché non decisi con una statuizione suscettibile - anch'essa - di passare in giudicato, oppure rimessi ad un successivo accertamento (Cass., sez. un., n. 27277/2011).

f) La valutazione della prova della quota di proprietà della signora Anna H. implica un accertamento, in punto di fatto e di diritto, non eseguibile dal giudice amministrativo e rientrante, naturaliter, nella giurisdizione del giudice ordinario.

Sotto questo profilo, la sentenza impugnata ha correttamente rilevato che "il Collegio, in questa sede, non può esprimersi sulla sufficienza della prova della quota di proprietà fornita dai ricorrenti"), mentre è giunta ad una conclusione erronea nella parte in cui ha concluso che tale accertamento debba essere rimesso, ai fini dell'esecuzione del giudicato, alla valutazione dell'Amministrazione intimata.

L'Amministrazione pubblica, infatti, per espressa disposizione di legge (art. 112, comma 2, lett. c), cit.) è obbligata a conformarsi al giudicato soltanto "per quanto riguarda il caso deciso".

g) Dalla lettura della sentenza portata ad esecuzione, ed in particolare dal suo dispositivo come in epigrafe letteralmente riportato, risulta che tale tipo di accertamento, nel caso deciso, non è stato compiuto.

La condanna al pagamento della somma di denaro, per quanto determinata nel suo ammontare complessivo rispetto al compendio ereditario considerato, non è stata determinata nell'ammontare specifico della quota spettante all'erede Anna H., ed è anzi stata sottoposta a condizione.

L'accertamento della verificazione della condizione "giudiziale" non è di ordine meramente aritmetico ed implica, all'opposto, un complesso accertamento di fatto e di diritto sulla titolarità del diritto di proprietà nascente dall'acquisto della qualità di erede, la quale a sua volta fonda la legittimazione attiva quale condizione processuale dell'azione, ivi compresa l'azione esecutiva.

h) Il giudice amministrativo, in sede di azione esecutiva, non può procedere all'interpretazione del titolo esecutivo se non nei limiti in cui l'attività esegetica sia strumentale all'ordine di esecuzione, poiché l'esercizio di tale attività - esulante dallo specifico accertamento del caso deciso - comporterebbe una violazione del c.d. limite esterno della giurisdizione (Cass., sez. un., n. 25344/2009; C.d.S., sez. VI, n. 7563/2010).

9. In definitiva, per le considerazioni che precedono, l'appello va accolto e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado va dichiarato inammissibile.

10. La condanna degli appellanti alla refusione delle spese di lite del doppio grado del giudizio in favore del Comune segue la regola della soccombenza, in base ai parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014 e s.m.i. Al Comune appellato spetta, altresì, la restituzione del contributo unificato versato per l'instaurazione del grado di appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello n. 4861/2019, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado.

Condanna gli appellanti, in solido tra di loro, alla refusione in favore del Comune appellato delle spese del doppio grado del giudizio, liquidate in complessivi 24.000,00 euro, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. se dovute come per legge, nonché alla restituzione del contributo unificato pagato per il grado d'appello.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.