Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 15 aprile 2020, n. 13177

Presidente: Fidelbo - Estensore: De Amicis

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto del 7 novembre 2019 la Corte d'appello di Bari ha parzialmente accolto l'appello proposto nell'interesse di Michele R. avverso il decreto applicativo della misura ablativa della confisca nei suoi confronti adottata dal Tribunale di Foggia il 25 gennaio 2017, confermando la misura di prevenzione patrimoniale della confisca di un bene immobile nella sua disponibilità (sito in Foggia, strada Sprecacenere, identificato nel catasto del Comune di Foggia al foglio 51, p. 11°, 376, sub 4, intestato a C. Concetto e ad altre quattro persone) e al contempo accogliendo il gravame relativamente al sequestro di due buoni postali dell'importo di euro 500,00 ciascuno, intestati entrambi alla figlia R. Lucrezia Pia.

2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore del R., deducendo violazioni di legge in relazione agli artt. 1, lett. a) e lett. b), 4, 16, 19, 24 del d.lgs. n. 159 del 2011 e vizi di omessa motivazione per avere la Corte distrettuale genericamente fondato le sue argomentazioni sull'accertamento della sola pericolosità generica, la cui sussistenza avrebbe ricavato dalle mere pendenze giudiziarie del R., così discostandosi dai principii di recente affermati nella giurisprudenza costituzionale e di legittimità.

Al riguardo il ricorrente evidenzia, in particolare: a) che a carico del ricorrente risulta solo una condanna irrevocabile per un tentativo di furto risalente al 25 maggio 1997, mentre per taluni procedimenti penali pendenti a suo carico per i delitti di ricettazione, riciclaggio ed usura commessi fra il 2007 e il 2014 è stata omessa la motivazione riguardo alla capacità di tali attività delittuose di produrre con continuità una illecita base reddituale; b) che non è stata accertata, inoltre, la necessaria correlazione temporale fra la manifestazione della pericolosità e il momento di acquisto del bene immobile oggetto della richiesta.

3. Con requisitoria depositata il 27 febbraio 2020 il P.G. ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio del decreto impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente, deve rilevarsi che la legittimazione del proposto ad impugnare non riposa, come erroneamente affermato nell'incipit del ricorso, sulle conseguenze che dall'eventuale accertamento della pericolosità generica potrebbero, in tesi, derivare sulla valutazione della capacità a delinquere nei procedimenti penali di merito a suo carico pendenti e richiamati nel provvedimento impugnato, dovendo l'interesse richiesto dall'art. 568, comma 4, c.p.p. essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare (Sez. un., n. 42 del 13 dicembre 1995, Timpani, Rv. 203093), non alla prospettazione di conseguenze solo ipoteticamente ricollegabili ad eventuali epiloghi decisori di giudizi di altra natura nei suoi confronti instaurati.

Nel procedimento di prevenzione, di contro, lo spazio di legittimazione da riconoscere al proposto per dare effettivamente corpo all'interesse richiesto per impugnare il provvedimento di confisca di beni formalmente intestati a terzi presuppone, a monte, la esplicita indicazione delle ragioni che nel caso concreto lo inducono a contraddire sul punto in luogo dei titolari formali del bene colpito dalla misura ablativa (cfr. Sez. 6, n. 35240 del 27 giugno 2013, Cardone, Rv. 256265): condizione, questa, che nel caso di specie deve ritenersi in effetti soddisfatta là dove le specifiche ragioni di doglianza dal ricorrente mosse in ordine all'affermazione di pericolosità sociale ed al mancato accertamento della correlazione temporale tra il giudizio di pericolosità e l'epoca dell'acquisto immobiliare si fondano sulla circostanza di fatto, non contestata da alcuno dei terzi interessati ed espressamente riconosciuta finanche nel provvedimento impugnato, che la disponibilità del bene immobile oggetto della misura ablativa è senza dubbio riconducibile alla persona del proposto e che egli pacificamente ne fa uso quale proprietario.

2. Ciò premesso, deve rilevarsi come le doglianze prospettate nel ricorso siano fondate e vadano accolte per le ragioni di seguito indicate.

È noto che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 27 febbraio 2019, l'oggetto del giudizio di pericolosità non può riguardare l'ipotesi di cui all'art. 1, lett. a), del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ma soltanto quella ivi contemplata nella lett. b), a sua volta concernente la posizione di «coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose».

Ora, in tema di misure di prevenzione, questa Corte ha affermato che, alla luce della richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, le "categorie di delitto" legittimanti l'applicazione di una misura fondata sul giudizio di c.d. "pericolosità generica" ai sensi dell'art. 1, lett. b), d.lgs. cit. devono presentare il triplice requisito - da ancorare a precisi elementi di fatto, dei quali il giudice di merito deve rendere adeguatamente conto in motivazione - per cui deve trattarsi di delitti commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale, che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto e che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l'unica, o quantomeno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo (Sez. 2, n. 27263 del 16 aprile 2019, Germanò, Rv. 275827).

In assenza di un giudicato penale, inoltre, il giudice della prevenzione può ricostruire in via autonoma la rilevanza penale di condotte emerse durante l'istruttoria (da ultimo cfr. Sez. 5, n. 48090 dell'8 ottobre 2019, Ruggeri, Rv. 277908), ma occorre che le dette "attività delittuose" siano poste in essere in modo non episodico, bensì cronologicamente apprezzabile. È necessaria, quindi, non solo una continuità nell'illecito e nel reddito conseguentemente prodotto, con espulsione dal novero delle valutazioni rilevanti ai fini della pericolosità generica di tutto ciò che assuma le caratteristiche di sporadicità ed occasionalità (cfr. Sez. 2, n. 30974 del 1° marzo 2018, Saracchini), ma occorre altresì che tali attività delittuose abbiano consentito una produzione di reddito illecito idoneo, anche parzialmente, a sostentare il proposto ed eventualmente il suo nucleo familiare.

Per quel che attiene, poi, alle misure patrimoniali del sequestro e della confisca, i suddetti requisiti devono essere accertati, in conformità al consolidato orientamento di questa Corte (Sez. un., n. 4880 del 26 giugno 2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262605), sì come avallato dalla richiamata decisione della Corte costituzionale, in relazione al lasso temporale nel quale si è verificato, nel passato, l'illecito incremento patrimoniale che la confisca intende neutralizzare.

Secondo quanto affermato nella menzionata decisione delle Sezioni unite, infatti, la necessità della correlazione temporale «discende dall'apprezzamento dello stesso presupposto giustificativo della confisca di prevenzione, ossia dalla ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività illecita», con la conseguenza che l'ablazione patrimoniale si giustificherà se, e nei soli limiti in cui, le condotte criminose compiute in passato dal soggetto risultino essere state effettivamente fonte di profitti illeciti, in quantità ragionevolmente congruente rispetto al valore dei beni che s'intendono confiscare, e la cui origine lecita egli non sia in grado di giustificare.

3. A tale quadro di principii il provvedimento impugnato non si è uniformato poiché si è limitato a richiamare genericamente l'esistenza di una serie di procedimenti penali pendenti nei confronti del proposto per reati di ricettazione, riciclaggio ed usura, nonché per reati aggravati dalla circostanza di cui all'art. 7 della l. n. 203 del 1991, senza specificare quali siano i fatti da essi ricavabili e la rilevanza che essi concretamente possono assumere ai fini del giudizio di prevenzione, con riferimento ai presupposti di configurabilità, nei termini sopra evidenziati, dell'ipotesi di pericolosità sociale di cui all'art. 1, lett. b), d.lgs. cit.

Non esplorato, inoltre, risulta l'aspetto della necessaria correlazione temporale tra il momento dell'acquisto dell'immobile e il manifestarsi della pericolosità del proposto, avendo il provvedimento impugnato, per un verso, circoscritto l'accertamento al solo elemento di fatto della rilevata sproporzione tra il valore del bene colpito dalla misura ablativa e le possibilità economiche del ricorrente, per altro verso contraddittoriamente affermato, in altro passaggio della motivazione, che i beni per i quali è stata richiesta la misura "sono stati tutti acquisiti successivamente alle manifestazioni della pericolosità sociale del proposto accertate con le sentenze annotate nel certificato penale e a quelle cui si riferiscono i procedimenti nei quali lo stesso è imputato".

Elementi, quelli or ora prospettati, potenzialmente decisivi ai fini della pronuncia sui punti oggetto di ricorso, in relazione ai quali, tuttavia, il provvedimento impugnato ha omesso di confrontarsi, offrendo una motivazione meramente apparente (Sez. un., n. 33451 del 29 maggio 2014, Repaci, Rv. 260246).

4. Sulla base delle su esposte considerazioni, conclusivamente, s'impone l'annullamento con rinvio del decreto impugnato, affinché la Corte d'appello in dispositivo indicata provveda ad eliminare i vizi sopra rilevati, uniformandosi al quadro dei principii in questa Sede stabiliti.

P.Q.M.

Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Bari.

Depositata il 28 aprile 2020.

L. Bolognini, E. Pelino (dirr.)

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