Corte costituzionale
Sentenza 25 giugno 2020, n. 128
Presidente: Cartabia - Redattore: Sciarra
[...] nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Toscana 7 maggio 2019, n. 22 (Disposizioni transitorie ed urgenti in materia di incarichi di posizione organizzativa della Regione Toscana), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 1°-4 luglio 2019, depositato in cancelleria il 5 luglio 2019, iscritto al n. 78 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 2019.
Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana;
udito il Giudice relatore Silvana Sciarra secondo le prescrizioni del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1) lettera c), in collegamento da remoto, senza discussione orale, in data 9 giugno 2020;
deliberato nella camera di consiglio del 10 giugno 2020.
RITENUTO IN FATTO
1.- Con ricorso iscritto al n. 78 del reg. ric. 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale della legge della Regione Toscana 7 maggio 2019, n. 22 (Disposizioni transitorie ed urgenti in materia di incarichi di posizione organizzativa della Regione Toscana), in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.
L'art. 1 della legge regionale impugnata, rubricato «Incarichi di posizione organizzativa», stabilisce quanto segue: «Gli incarichi di posizione organizzativa della Regione Toscana proseguono nella loro efficacia fino al completamento delle procedure di attribuzione attivate successivamente all'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 23, comma 4, del d.lgs. 75/2017 e, comunque, non oltre il 31 ottobre 2019».
I successivi artt. 2 e 3 contengono, rispettivamente, la «Norma finanziaria», con cui si stabilisce che dalla legge «non derivano nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio regionale», e l'individuazione del giorno di entrata in vigore della legge («il giorno della pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana»).
Il ricorrente ha dedotto, in primo luogo, il contrasto della legge regionale impugnata con l'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione sia alle disposizioni dettate dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sia a ciò che prevede l'art. 13 del Contratto collettivo nazionale di lavoro (da ora in avanti: CCNL) del comparto «Funzioni locali», per il periodo 2016-2018, sottoscritto in data 21 maggio 2018.
L'art. 13, comma 3, di tale CCNL stabilisce quanto segue: «Gli incarichi di posizione organizzativa di cui all'art. 8 del CCNL del 31.3.1999 e all'art. 10 del CCNL del 22.1.2004, già conferiti e ancora in atto, proseguono o possono essere prorogati fino alla definizione del nuovo assetto delle posizioni organizzative, successivo alla determinazione delle procedure e dei relativi criteri generali previsti dal comma 1 dell'art. 14 e, comunque, non oltre un anno dalla data di sottoscrizione del presente CCNL». Tale disposizione, secondo il ricorrente, sarebbe «espressione della competenza esclusiva dello Stato» per la disciplina del rapporto di lavoro pubblico. Ne deriverebbe l'illegittimità costituzionale della legge regionale impugnata per invasione della sfera di competenza legislativa dello Stato nella materia dell'ordinamento civile. Argomenti in senso contrario, peraltro, non potrebbero essere tratti dal carattere temporaneo delle norme impugnate, posto che «il principio di riserva di contrattazione collettiva non può essere derogato nemmeno in via provvisoria» (è citata la sentenza di questa Corte n. 81 del 2019).
In secondo luogo, il ricorrente ha dedotto la violazione dell'art. 3 Cost., ancora in relazione al disposto dell'art. 13 del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018, ritenendo che un'ulteriore proroga degli incarichi di posizione organizzativa determinerebbe «una disparità tra il personale della Regione Toscana ed il restante personale destinatario del richiamato art. 13 del CCNL Funzioni locali, della quale non è dato vedere alcuna ragionevole giustificazione».
2.- Si è costituita in giudizio la Regione Toscana, in persona del proprio Presidente pro tempore, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Le posizioni organizzative oggetto dell'impugnata legge regionale, «assegnate a personale di categoria D», riguarderebbero - afferma la Regione - lo svolgimento sia di funzioni «di particolare complessità», caratterizzate da un «elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa», sia di attività «richiedenti elevata competenza specialistica». Le figure organizzative de quibus, inoltre, sarebbero dotate di «responsabilità diretta verso l'esterno».
La Regione evidenzia che, a seguito della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), attuata in Toscana con la legge regionale 3 marzo 2015, n. 22, recante «Riordino delle funzioni provinciali e attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni). Modifiche alle leggi regionali 32/2002, 67/2003, 41/2005, 68/2011, 65/2014», un consistente numero di personale di categoria D è stato trasferito, per mobilità, dalle Province toscane alla Regione, mantenendo il proprio trattamento economico accessorio «differenziato rispetto a quello dei regionali».
La previsione di cui all'art. 13 del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018, nel prevedere la possibilità di disporre la proroga degli incarichi di posizione organizzativa in essere fino alla definizione del nuovo assetto delle posizioni organizzative, non risulterebbe «temporalmente allineata» con la necessità di assicurare la progressiva armonizzazione del trattamento economico accessorio del personale transitato dalle Province («ivi compresa la remunerazione degli incarichi di posizione organizzativa»).
La Regione assume che la legge dello Stato (art. 1, comma 800, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020»), al fine di consentire tale progressiva armonizzazione, aveva consentito alle amministrazioni di incrementare il fondo per il salario accessorio. Era stata, tuttavia, posta la condizione che fossero rispettati i parametri indicati dall'art. 23, comma 4, lettere a) e b), del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l), m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche». Tali parametri avrebbero dovuto essere definiti con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, cui il medesimo art. 23 rinvia.
Tuttavia, il d.P.C.m. è stato pubblicato solo in data 4 maggio 2019 ed è entrato in vigore nell'ordinario termine di quindici giorni, quindi «a distanza di un solo giorno dal termine previsto dall'art. 13 ultimo comma del CCNL». La Regione sostiene che ne sarebbe derivata «la sostanziale, oggettiva impossibilità di procedere, entro tale termine, alle verifiche richieste dal citato comma 800, nonché alle ulteriori attività necessarie per l'attuazione del riassetto organizzativo», presupponendo quest'ultimo «la stipula del contratto collettivo decentrato» recante, ai sensi dell'art. 7, comma 4, lettera a), del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018, i «criteri di ripartizione delle risorse disponibili per la contrattazione integrativa».
In un siffatto contesto, la legge regionale, censurata dallo Stato, non costituirebbe «un tentativo di lesione di prerogative nazionali», ma risulterebbe «espressione degli autonomi poteri organizzativi dell'ente», ai sensi dell'art. 5 del d.lgs. n. 165 del 2001. In sostanza, secondo la Regione resistente, tale legge avrebbe disciplinato «un aspetto squisitamente organizzativo», come tale escluso dalla contrattazione collettiva secondo quanto previsto dall'art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001 e rimesso alla «discrezionalità programmatica» della Regione. Non sarebbe stata lesa la competenza dello Stato nella materia dell'ordinamento civile, poiché non vi sarebbe stata invasione alcuna nell'area riservata alla contrattazione collettiva.
Inoltre, secondo la Regione, il termine indicato dall'art. 13 del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018 sarebbe da intendersi quale termine ordinatorio e non perentorio e non comporterebbe decadenza alcuna. In conclusione, afferma la Regione, la legge impugnata sarebbe stata emanata nell'esercizio della competenza legislativa regionale residuale, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost., in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa regionale.
Neppure vi sarebbe violazione dell'art. 3 Cost., posto che «la norma trova applicazione per tutti i titolari di posizione organizzativa nell'ambito della Regione».
3.- Con successiva memoria, depositata in prossimità della data fissata per l'udienza, la Regione ha ribadito le proprie argomentazioni difensive, insistendo - in particolare - sulla «buona fede» del proprio operato, avendo essa, ancor prima della pubblicazione del d.P.C.m., avviato il necessario confronto sindacale prodromico alla revisione delle posizioni organizzative. Queste ultime - come la Regione riferisce - sono state, infine, conferite (a seguito dei decreti del Direttore generale n. 14618 del 9 settembre 2019, e n. 14668 del 10 settembre 2019) in data 12 settembre 2019, in esito ad apposita procedura di avviso.
Entrambe le parti hanno chiesto la decisione della causa allo stato degli atti, ai sensi del punto 1, lettera c), del decreto della Presidente della Corte costituzionale del 24 marzo 2020 (Ulteriori misure per garantire la continuità dei giudizi costituzionali durante l'emergenza COVID-19).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l'intera legge della Regione Toscana 7 maggio 2019, n. 22 (Disposizioni transitorie ed urgenti in materia di incarichi di posizione organizzativa della Regione Toscana), che si compone di tre articoli.
L'art. 1 detta la disciplina degli incarichi di posizione organizzativa della Regione, prevedendo il proseguimento della loro efficacia «fino al completamento delle procedure di attribuzione attivate successivamente all'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 23, comma 4, del D.Lgs. 75/2017 e, comunque, non oltre il 31 ottobre 2019». L'art. 2 stabilisce che dalla legge regionale «non derivano nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio regionale». L'art. 3, infine, individua il giorno di entrata in vigore della legge.
Il ricorrente deduce la violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, in relazione alle disposizioni dettate dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), e ritiene che vi sia contrasto con l'art. 13 del Contratto collettivo nazionale di lavoro (da ora in avanti: CCNL) del comparto «Funzioni locali», per il periodo 2016-2018, sottoscritto in data 21 maggio 2018. Tale art. 13, al comma 3, prevede che gli incarichi di posizione organizzativa ancora in essere, già conferiti sulla base dei precedenti contratti collettivi nazionali di comparto, avrebbero potuto essere prorogati - nelle more della definizione del nuovo assetto delle posizioni organizzative - non oltre il termine di un anno dalla data di sottoscrizione dello stesso CCNL.
La legge regionale impugnata, inoltre, contrasterebbe anche con l'art. 3 Cost., poiché, «autorizzando un'ulteriore proroga degli incarichi di posizione organizzativa conferiti, da cui evidentemente discendono effetti economici», determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra il personale della Regione Toscana e il restante personale destinatario dell'art. 13 del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018.
2.- Preliminarmente, in punto di ammissibilità delle questioni proposte, deve evidenziarsi che l'impugnazione del Presidente del Consiglio dei ministri investe l'intera legge reg. Toscana n. 22 del 2019, composta, come detto, di tre articoli. Anche se le specifiche doglianze si riferiscono al contenuto del solo art. 1 della legge regionale, è di tutta evidenza che i tre articoli sono tenuti insieme da un forte e coerente nesso, tanto da non ingenerare incertezze circa il contenuto delle censure e, in conseguenza, circa lo scrutinio di costituzionalità (sentenza n. 22 del 2006).
Questa Corte ha chiarito che se «è inammissibile l'impugnativa di una intera legge ove ciò comporti la genericità delle censure che non consenta la individuazione della questione oggetto dello scrutinio di costituzionalità», sono, invece, ammissibili «le impugnative contro intere leggi caratterizzate da normative omogenee e tutte coinvolte dalle censure» (tra le tante, sentenze n. 247 del 2018, n. 14 del 2017 e n. 141 del 2010).
Questo è il caso della legge regionale impugnata, poiché gli artt. 2 e 3 hanno «funzioni meramente accessorie» rispetto al contenuto dell'art. 1 (sentenze n. 14 del 2017 e n. 201 del 2008), occupandosi, rispettivamente, di precisare gli effetti finanziari dell'intervento regionale e di regolarne l'efficacia temporale.
3.- Nel merito, le questioni non sono fondate.
4.- La legge regionale impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri è preceduta da un ampio preambolo, in cui si sottolinea l'esigenza di adeguare l'assetto organizzativo regionale alle disposizioni del già citato contratto collettivo sottoscritto il 21 maggio 2018, anche in vista dell'obiettivo di «consentire la progressiva armonizzazione del trattamento economico del personale delle città metropolitane e delle province transitato in altre amministrazioni pubbliche ai sensi dell'articolo 1 della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni)». Il conferimento dei nuovi incarichi di posizione organizzativa (quali delineati nel previsto riassetto) è stato accompagnato da un necessario e parallelo incremento dei fondi destinati al trattamento economico accessorio, previsto dal legislatore statale. L'art. 1, comma 800, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020) - richiamato nel preambolo della legge reg. Toscana n. 22 del 2019 - ha stabilito infatti che gli enti presso cui è transitato il personale proveniente dalle Città metropolitane e dalle Province (per effetto dell'art. 1, comma 92, della legge 7 aprile 2014, n. 56, recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni») possono provvedere all'incremento, entro una certa misura, dei fondi destinati al trattamento economico accessorio, al fine di consentire la progressiva armonizzazione dello stesso trattamento di tale personale con quello del personale dell'amministrazione di destinazione. Coerentemente, l'art. 67 del citato CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018 ha previsto che l'importo del Fondo «Risorse decentrate» è stabilmente incrementato sia con gli importi necessari a sostenere, a regime, gli oneri del trattamento economico del personale trasferito (a fronte di una corrispondente decurtazione delle risorse decentrate dell'amministrazione di provenienza), sia con gli importi corrispondenti agli adeguamenti dei fondi destinati al trattamento economico accessorio dello stesso personale trasferito, con apposita menzione proprio dell'ipotesi prevista dall'art. 1, comma 800, della legge n. 205 del 2017 (art. 67, comma 2, lettera e, del CCNL).
Obiettivi di sperimentazione, volti analogamente a premiare la produttività e l'efficienza delle amministrazioni regionali attraverso un uso accorto del trattamento economico accessorio, si riscontrano, del resto, nella coeva scelta del legislatore statale di incrementare, a decorrere dal 1° gennaio 2018 e sino al 31 dicembre 2020, a determinate condizioni, «l'ammontare della componente variabile dei fondi per la contrattazione integrativa destinata al personale in servizio presso i predetti enti», come previsto dall'art. 23, comma 4, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l), m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», anche in deroga al limite generale previsto dal comma 2 dello stesso art. 23. In questo stesso arco temporale, peraltro, si colloca la vigenza del contratto collettivo stipulato il 21 maggio 2018, prima richiamato.
4.1.- Le posizioni organizzative oggetto della legge reg. Toscana n. 22 del 2019 sono state istituite a far data dal Contratto collettivo nazionale del comparto Regioni e autonomie locali sottoscritto il 31 marzo 1999 (artt. 8 e seguenti) e, in seguito, sono state previste nel Contratto collettivo nazionale sottoscritto il 22 gennaio 2004 (in particolare, art. 10). Si tratta, secondo quanto inizialmente previsto dall'art. 45, comma 3, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), di figure professionali che, in posizione di elevata responsabilità, svolgono compiti di direzione o che comportano iscrizione ad albi oppure che rivestono carattere tecnico-scientifico e di ricerca. Tali figure sono ora previste dall'art. 40, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, come sostituito dall'art. 54, comma 1, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni), che, all'ultimo periodo, così recita: «Nell'ambito dei comparti di contrattazione possono essere costituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità». Tali posizioni, secondo la contrattazione collettiva già richiamata, sono assegnate a personale di categoria D e - corrispondentemente a quanto, ora, indicato dal CCNL del comparto «Funzioni locali», sottoscritto in data 21 maggio 2018 - prevedono lo svolgimento di funzioni «di particolare complessità», per le quali è richiesto «un elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa» (in linea con l'art. 13, comma 1, lettera a, del medesimo CCNL). Esse, inoltre, fanno riferimento ad attività che richiedono competenze specialistiche e che comportano responsabilità diretta verso l'esterno (in linea con l'art. 13, comma 1, lettera b, del già citato CCNL).
Nell'attingere alla contrattazione collettiva per la definizione delle funzioni inerenti a tali posizioni organizzative, la Regione Toscana ha inteso far fronte, nel caso specifico, alla mobilità di personale appartenente all'area D, proveniente dalle Città metropolitane e dalle Province. Si tratta, in particolare, di personale che ha quale titolo di studio la laurea e che è chiamato a svolgere «attività con contenuti di alta professionalità, comprese quelle comportanti anche l'iscrizione ad albi professionali» (art. 13, comma 1, lettera b, del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018). La Regione ha riferito in giudizio - e l'Avvocatura dello Stato non ha contraddetto tale affermazione - che si tratta, nel caso in esame, di avvocati (cui è affidata la rappresentanza e la difesa della stessa Regione in giudizio), e ingegneri (cui sono affidati incarichi di progettazione).
4.2.- Nel procedere all'assegnazione delle posizioni organizzative e nell'adibire il personale alle funzioni prima descritte, la Regione esprime dunque la propria discrezionalità nell'organizzazione amministrativa di uffici che impongono un alto livello di professionalità. Le posizioni che si rivelano speculari al conferimento dell'incarico di posizione organizzativa non sono equiparabili al più elevato profilo dei dirigenti, di cui non hanno né le funzioni né lo status.
Difatti, l'attribuzione di posizione organizzativa, fermo restando l'originario atto di reclutamento, si sostanzia, di volta in volta, nell'assegnazione del personale a funzioni caratterizzate da alto livello di responsabilità, che rispondono a specifiche esigenze degli uffici regionali. Come affermato di recente dalla Corte di cassazione, il conferimento di una posizione organizzativa non comporta l'inquadramento in una nuova categoria contrattuale, ma unicamente l'attribuzione temporanea di una posizione di responsabilità, con correlato beneficio economico, alla scadenza della quale il dipendente resta inquadrato nella categoria di appartenenza, con il relativo trattamento economico (da ultimo, Cassazione civile, sezione lavoro, ordinanza 10 luglio 2019, n. 18561).
La posizione organizzativa, creata per sottrazione dalle funzioni dirigenziali, cui si fanno risalire ancor più pregnanti compiti strategici e di coordinamento, si caratterizza dunque per la temporaneità dell'assegnazione, cui corrisponde una quota accessoria della retribuzione. Essa può cessare anche prima del tempo indicato, «in relazione a intervenuti mutamenti organizzativi o in conseguenza di valutazione negativa della performance individuale» (così, per il caso che occupa, l'art. 14, comma 3, del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018).
5.- Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il lavoro pubblico, anche regionale, deve ricondursi, per i profili privatizzati del rapporto, alla materia dell'ordinamento civile e quindi alla competenza legislativa statale esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. I profili "pubblicistico-organizzativi" ad esso afferenti rientrano, invece, nell'ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, e quindi nella competenza legislativa residuale della Regione prevista dall'art. 117, quarto comma, Cost. (tra le tante, sentenze n. 25 del 2020, n. 241 del 2018 e n. 149 del 2012).
La proroga degli incarichi di posizione organizzativa già in essere, disposta dalla censurata legge reg. Toscana n. 22 del 2019, si iscrive in questo quadro di riferimento. Essa è stata dettata da evidenti ragioni di natura organizzativa, volte ad assicurare - specie in settori interessati dal trasferimento di personale e delle relative funzioni ai sensi della legge n. 56 del 2014 - la necessaria continuità dell'azione amministrativa (sentenza n. 252 del 2016). A questo non semplice innesto di personale in mobilità nell'assetto organizzativo regionale si collega una scelta discrezionale ispirata al principio di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione, di cui all'art. 97, secondo comma, Cost. (sentenze n. 23 del 2019 e n. 15 del 2017).
Nel caso di specie, in particolare, la Regione era chiamata ad assicurare la continuità delle funzioni già assegnate, nelle more dell'individuazione, con apposito d.P.C.m., dei parametri che consentissero di quantificare le complessive risorse per il trattamento accessorio del personale destinatario di posizioni organizzative (ai sensi di quanto stabilito dall'art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 75 del 2017, come richiamato dall'art. 1, comma 800, della legge n. 205 del 2017). La Regione Toscana, nel prorogare le posizioni già attribuite, anche oltre il termine indicato dal CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018, ha quindi ritenuto di esercitare i poteri discrezionali di cui è titolare, premurandosi al contempo di consultare le parti sociali (come riferito in giudizio dalla Regione stessa, senza che ciò sia stato smentito dallo Stato) in vista dell'imminente riassetto delle posizioni organizzative.
Si deve inoltre precisare che, in data 19 maggio 2019 - e, dunque, a distanza di pochi giorni dall'entrata in vigore della legge reg. Toscana n. 22 del 2019 - è entrato in vigore il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dall'art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 75 del 2017 (d.P.C.M. 8 marzo 2019, recante «Disposizioni, in via sperimentale, sul trattamento accessorio del personale in servizio presso le regioni a statuto ordinario e le Città metropolitane»). La Regione Toscana, subito dopo, si è prontamente attivata per concludere, entro tempi ragionevoli, il procedimento volto alla definizione delle nuove posizioni organizzative, ai sensi degli artt. 13 e seguenti del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018, giungendo infine ad attribuirle formalmente in data 12 settembre 2019, con contestuale cessazione degli incarichi già attribuiti.
5.1.- Si deve dunque concludere con l'affermare che non è fondata la questione sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, con riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
6.- Non è fondata neanche la censura della legge reg. Toscana n. 22 del 2019, prospettata dal Presidente del Consiglio dei ministri con riferimento all'art. 3 Cost.
Il ricorrente ritiene vi sia disparità di trattamento tra il personale della Regione Toscana ed il restante personale destinatario dell'art. 13 del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018.
La disciplina impugnata, ricondotta, come si è detto, nell'alveo della competenza legislativa regionale residuale in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa, comporta di per sé l'esercizio di una discrezionalità piena, anche nella disciplina di aspetti dettagliati, quali sono da intendersi le proroghe degli incarichi di posizione organizzativa conferiti a personale in mobilità dalle Città metropolitane e dalle Province e ai correlati effetti economici che ne conseguono. Ne derivano possibili e ragionevoli differenziazioni fra le amministrazioni regionali, purché le scelte operate si svolgano nell'ambito delle competenze loro assegnate e nel rispetto del principio di buon andamento e imparzialità di cui all'art. 97, secondo comma, Cost.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale della legge della Regione Toscana 7 maggio 2019, n. 22 (Disposizioni transitorie ed urgenti in materia di incarichi di posizione organizzativa della Regione Toscana), promosse, in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.