Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 30 giugno 2020, n. 4110

Presidente: Poli - Estensore: Conforti

FATTO E DIRITTO

1. La società odierna ricorrente è stata individuata dalla Capitaneria di Porto di Taranto come concessionaria di un'area demaniale marittima per il completamento del Porto di Campomarino di Maruggio, finalizzato allo sviluppo della nautica da diporto e della pesca commerciale.

1.1. Durante l'esecuzione dei lavori necessari alla realizzazione delle opere approvate, la società apportava alcune modifiche al progetto assentito, sicché provvedeva a domandare il rilascio del titolo in sanatoria.

1.2. Nell'ambito del procedimento intrapreso per il rilascio di questo titolo, il Ministero per i Beni Architettonici e Culturali e, segnatamente, la Soprintendenza competente per territorio, esprimeva parere contrario alla sanatoria delle opere edificate in violazione del progetto, ritenendole non in armonia con il contesto paesaggistico.

1.3. Il Comune di Maruggio ordinava, conseguentemente, la riduzione in pristino delle opere già realizzate.

1.4. La società odierna appellante ha dunque impugnato il provvedimento comunale e il parere dell'amministrazione statale innanzi al Tribunale amministrativo regionale, deducendone l'illegittimità e domandandone l'annullamento.

1.5. Il ricorso proposto dall'interessata, deduceva, in particolare, l'illegittimità del diniego della Soprintendenza, articolando avverso questo atto due motivi di ricorso, nei quali censurava, rispettivamente:

a) la violazione dell'art. 146 d.lgs. n. 42 del 2004, per difetto d'istruttoria e di motivazione;

b) l'eccesso di potere, oltre alla contraddittorietà con precedenti atti e determinazioni, nonché l'ingiustizia manifesta.

2. Con la sentenza n. 511 del 2013, il T.A.R., dopo aver affermato che le opere realizzate in difformità, rispetto all'originario progetto, sono di lieve entità e si discostano dal progetto originario per profili trascurabili, correlati, per lo più, a una diversa funzionalità o a una diversa disposizione degli spazi, ha annullato l'ordinanza di riduzione in pristino emessa dal Comune e il parere negativo della Soprintendenza, con il quale si respingeva l'istanza di sanatoria, stigmatizzandone il difetto d'istruttoria e di motivazione che ne sanciva l'illegittimità e nei quali era incorsa l'amministrazione.

2.1. Successivamente alla sentenza, è stato riattivato il procedimento amministrativo al termine del quale il Comune di Maruggio ha adottato una determinazione positiva, nella quale tuttavia si riservava di "approfondire ed eventualmente applicare quanto previsto dagli artt. 167 e 181 d.lgs. n. 42 del 2004".

2.2. A seguito di questa determinazione comunale, la società, con nota del 12 ottobre 2015, ha invitato l'ente locale al rilascio di un "documento che attesti che l'opera è regolarmente sanata e che consenta pertanto alla torre Moline s.p.a., anche in virtù dell'importante investimento sostenuto e che a causa del mancato utilizzo ha subito notevoli danni, di usufruire delle strutture realizzate nella loro interezza".

2.3. A questa nota e ad una successiva diffida, il Comune rispondeva rispettivamente con due comunicazioni (del 26 novembre e 10 dicembre 2015) nelle quali, sostanzialmente, invitava la società a presentare istanza di compatibilità paesaggistica e prospettava la necessità di acquisire l'autorizzazione ex art. 19 del d.lgs. n. 374/1990 dall'Agenzia del Demanio.

3. L'adozione di queste due note, da parte dell'ente locale, determinava l'instaurazione di un nuovo giudizio da parte della società davanti al medesimo T.a.r. (n.r.g. 239/2016).

3.1. Quest'ultima ha domandato l'ottemperanza della sentenza del 2013 e la declaratoria di nullità delle note suindicate del Comune intimato, oltre al parere della Soprintendenza del 20 novembre 2013 e della determinazione conclusiva della Conferenza di servizi del 20 novembre 2013.

Segnatamente, in questo giudizio, la società ha proposto un unico articolato motivo di ricorso, concernente aspetti attinenti al parere negativo della Soprintendenza, già scrutinato e annullato nella pronuncia del 2013, nonché le proposizioni di contenuto caducatorio e conformativo espresse da questo giudicato.

3.2. Il Tribunale amministrativo - con sentenza n. 1572 del 18 ottobre 2016 - in accoglimento della domanda della ricorrente, ha affermato che il riferimento ad ulteriori necessari approfondimenti dei profili paesaggistici e alla necessità di presentare istanza di autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'art. 167 e 181 d.lgs. n. 42 del 2004, contenuto nelle due note, è contrario alla ratio della conferenza di servizi, che implica la concentrazione dei vari procedimenti collegati e preordinati per il conseguimento del bene della vita/utilità finale, in un unico modulo o modello procedimentale, oltre che alle statuizioni del precedente giudicato amministrativo, per il quale si trattava di opere non comportanti rilevanti modifiche strutturali rispetto al progetto assentito, risultando perciò "evidente il difetto istruttorio e motivazionale in cui è incorsa la Soprintendenza nel ritenere che le variazioni siano fortemente impattanti sia livello paesaggistico che visivo...".

Segnatamente, il Tribunale ha accolto il ricorso e ha annullato le predette note dell'amministrazione comunale, evidenziando che "quanto, inoltre, ai profili di compatibilità paesaggistica e ai richiamati artt. 167 e 181 d.lgs. n. 42 del 2004, non può che osservarsi come tale riferimento, svolto dal Comune nelle note impugnate sulla scorta di quanto dedotto in sede di conferenza di servizi dal rappresentante della Soprintendenza (peraltro in termini di applicabilità meramente eventuale delle norme in parola), risulta formulato in modo del tutto generico e insufficiente (d'altronde, dopo la citata ordinanza n. 110/2016, in nessun modo l'A.C. o la Soprintendenza provvedevano a specificarlo o, comunque, a dargli un contenuto concreto), alla luce dei principi che regolano lo strumento della conferenza di servizi, il cui scopo è proprio la tempestiva acquisizione degli indirizzi di tutte le Amministrazioni coinvolte... e, ancor di più, delle indicazioni già formulate sulla vicenda in esame da questo T.A.R., nella sentenza n. 511 del 2013".

4. Di questa seconda sentenza, si è domandata l'ottemperanza nel processo deciso con la sentenza gravata nel presente grado di appello, deducendosi, da parte della società, che "il Comune di Maruggio ha atteso quasi quattro anni senza provvedere, per poi tentare di riaprire la conferenza di servizi" e domandandosi al Tribunale amministrativo regionale di "nominare il Commissario ad acta affinché in luogo dell'Amministrazione comunale provveda al rilascio del certificato di agibilità richiesto su tutti gli immobili presenti nell'area in concessione".

4.1. Con la sentenza n. 361 del 2018, il Tribunale amministrativo regionale ha respinto la domanda di parte ricorrente.

4.2. Il Tribunale amministrativo ha infatti evidenziato che "Il rilascio del certificato di agibilità esula dal contesto delle sentenze citate, riguardando le stesse il richiesto accertamento di compatibilità paesaggistica e l'autorizzazione ex art. 19 del d.lgs. 374/1990 (riguardante l'Agenzia delle Dogane)".

Insomma, per il primo Giudice, gli aspetti concernenti l'agibilità delle opere sarebbero rimaste estranee ai pronunciamenti del 2013 e del 2016.

5. La società ha proposto appello avverso la sentenza gravata.

5.1. Con il primo motivo, la società ne ha lamentato l'erroneità, sottolineando come "la conferenza [di servizi] non si limitava quindi alla verifica della conformità urbanistica-ambientale in area demaniale, ma comprendeva anche la piena legittimità degli immobili. Il cui utilizzo secondo concessione doveva essere coerente con l'originario piano gestionale, cronologicamente scandito e preventivamente approvato nell'arco trentennale della concessione 30/2001".

Per l'appellante, "... l'esito della conferenza doveva evidentemente assicurare il corretto e pieno esercizio dei diritti del concessionario".

Con il medesimo motivo di appello, al punto 1.1, l'appellante ha sottolineato che, con l'istanza del 12 ottobre 2015, ha sollecitato l'ente locale al fine di ottenere l'agibilità per l'intera struttura realizzata, richiamando nella suddetta nota le precedenti richieste in tale senso: le note impugnate nel giudizio culminato nella sentenza del 2016, di cui si è domandata l'ottemperanza nient'altro sarebbero che le risposte alle suddette istanze, "onde l'ottemperanza della stessa sentenza nel presente giudizio non può che determinare l'obbligo dell'amministrazione comunale di riscontrare positivamente, ora per allora, l'istanza della società...".

Viene peraltro evidenziato che la sentenza è errata anche perché "negando... la conclusione favorevole della conferenza di servizi, impedivano... anche la loro conformità urbanistico-edilizia, che ne costituisce il presupposto".

Al punto 1.2, l'appellante ha rilevato che la sentenza è errata anche per non aver rilevato la sussistenza dell'obbligo dell'amministrazione comunale di pronunciarsi positivamente sull'istanza di Torre Moline. Vi sarebbe insomma inottemperanza della sentenza del 2016, poiché l'istanza di Torre Molina s.p.a., alla quale avevano replicato, con dei dinieghi, le note comunali del 2015, annullate dalla predetta sentenza, sarebbe comunque rimasta inevasa, pur dopo tale pronunciamento.

5.2. Con il secondo motivo di appello, si è censurata la sentenza perché essa non si sarebbe pronunciata sulla domanda risarcitoria proposta con il ricorso.

Per l'appellante, "la sentenza impugnata avrebbe comunque dovuto esaminare l'autonoma domanda risarcitoria", perché riferita a danni cagionati dall'inerzia del Comune nel rilascio del certificato di agibilità e dunque non connessa alle statuizioni sull'ottemperanza.

5.3. Con il terzo motivo di appello, si è insistito sulla domanda risarcitoria avente ad oggetto il risarcimento dei mancati utili dell'attività di rimessaggio delle imbarcazioni, di ormeggio a secco, relativi alle attività commerciali previste all'interno del capannone e i relativi canoni di locazione, il danno da perdita dell'avviamento e all'immagine, da deterioramento nel tempo degli immobili, che la società in epigrafe ha patito per non aver potuto svolgere l'attività programmata, a causa del mancato rilascio di tutte le autorizzazioni necessarie e, in particolar modo, del certificato di agibilità.

5.4. Con il quarto motivo, si è rimarcata la sussistenza di un danno scaturente da ritardo, richiamandosi quell'orientamento giurisprudenziale che, rispetto ad iniziative imprenditoriali, riconosce il tempo come bene della vita a sé stante, per consentire all'imprenditore di scegliere consapevolmente le proprie iniziative.

5.5. Con il quinto motivo, si è domandata la condanna al pagamento di interessi e rivalutazione.

6. Si è costituito in giudizio il Comune di Maruggio, resistendo al ricorso ed evidenziando, con la memoria del 9 giugno 2020, come l'oggetto della richiesta di ottemperanza avanzata dalla società "esuli totalmente dal contesto delle sentenze di merito descritte...".

7. Entrambe le parti hanno ulteriormente illustrato le proprie posizioni con altri scritti difensivi e hanno altresì depositato note in vista dell'udienza, domandando il passaggio in decisione della controversia.

8. La causa è stata trattenuta in decisione all'udienza del 25 giugno 2020, svoltasi con modalità telematiche ai sensi dell'art. 84, comma 6, d.l. n. 18 del 2020.

9. L'appello è infondato è va respinto.

10. Il giudizio di ottemperanza, fra le sue funzioni, annovera quella di essere finalizzato a dare attuazione alle sentenze del giudice amministrativo (art. 112, comma 2, lett. "a" e "b") e, segnatamente, a quelle statuizioni della sentenza che obbligano l'amministrazione ad agire nel modo puntualmente disposto in sede giurisdizionale oppure in attuazione delle regole ivi enunciate con riferimento al caso concreto.

L'esecuzione o l'attuazione della sentenza pronunciata nel giudizio di cognizione concerne, dunque, quegli aspetti che, in quanto costituenti la causa petendi e il petitum formulati dalla parte ricorrente, sono poi confluite nella delibazione giudiziaria e nel decisum.

A contrario, è evidente, dunque, che l'ottemperanza non può far conseguire, a chi propone la relativa domanda, utilità o beni della vita ulteriori rispetto a quelli che sono stati oggetto della statuizione giurisdizionale che si assume inattuata, poiché rispetto ad essi non può configurarsi nessun inadempimento della Pubblica amministrazione quanto all'obbligo di eseguire o attuare il comando giudiziario.

11. Con riferimento alla vicenda in esame, la società ha specificamente domandato, in primo grado, una statuizione del giudice dell'ottemperanza finalizzata al "rilascio del certificato di agibilità richiesto su tutti gli immobili presenti nell'area in concessione", senonché il rilascio del provvedimento in questione non ha costituito l'oggetto né della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia del 2013 e né di quella del 2016, delle quali si è sinteticamente riportato il contenuto, e che hanno riguardato altri aspetti della medesima vicenda.

I profili relativi all'agibilità non sono stati né oggetto del provvedimento gravato nel 2013, né oggetto delle due note gravate nel 2016, né oggetto delle domande proposte in quei processi, né, infine, conseguentemente dei due giudicati formatisi in quei giudizi.

Non sono poi condivisibili le deduzioni, contenute in più punti dell'atto di appello, nelle quali la società si duole del fatto che il T.A.R. abbia fatto malgoverno delle regole sulla conferenza di servizi, omettendo di considerare che essa è preordinata all'acquisizione di tutti gli atti di assenso comunque denominati, relativi all'istanza presentata o, comunque, all'iniziativa che necessita, per l'appunto, dell'assenso di più amministrazioni.

La critica non è pertinente rispetto alla sentenza gravata, poiché, nel giudizio di ottemperanza, il Giudice amministrativo, pur disponendo di ampi poteri interpretativi del giudicato, non può travalicare i confini delineati da quest'ultimo.

La critica enucleata nell'appello andava rivolta non alla sentenza di ottemperanza resa in primo grado, bensì, al più, in un eventuale grado di appello, alla sentenza del 2016, ove mai questa, nello scrutinare gli atti impugnati in quel processo, non avesse recepito le su riferite deduzioni, ove formulate nel corso di quel giudizio.

Poiché la sentenza da attuare limita il suo dictum ad aspetti correlati ai soli profili paesaggistici delle opere e si limita a pronunciare l'annullamento del parere della soprintendenza, senza altro statuire in ordine ai profili relativi all'agibilità del compendio immobiliare dell'odierna appellante, il conseguente giudizio di ottemperanza non può pronunciare su aspetti invece concernenti tale ultimo profilo, poiché esso - preme ribadirlo - non è mai entrato nel thema decidendum del processo di cognizione e neppure nell'oggetto del primo giudizio di ottemperanza concluso dalla sentenza del 2016.

Vanno dunque rigettate le censure di appello relativi ai suindicati profili.

12. Quanto ai rimanenti motivi di appello, tutti inerenti alla domanda risarcitoria proposta in primo grado, essi possono essere esaminati congiuntamente, per la loro evidente connessione logica.

A tale riguardo, il Collegio ricorda che l'art. 112, comma 3, c.p.a. prescrive che "Può essere proposta, anche in unico grado dinanzi al giudice dell'ottemperanza, azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonché azione di risarcimento dei danni connessi all'impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione".

Come emerge chiaramente dal dato normativo appena richiamato, la domanda proposta nel giudizio di ottemperanza può avere ad oggetto soltanto quei danni che scaturiscono dall'impossibilità di esecuzione oppure dall'inesecuzione del giudicato.

Ebbene, nella vicenda in esame, la domanda risarcitoria proposta non riguarda il danno derivante dall'inottemperanza delle sentenze del Tribunale amministrativo sopra indicate, poiché il rilascio del certificato di agibilità esula dal contenuto del giudicato, ma attiene, al più, ad un autonomo danno da lesione dell'interesse legittimo pretensivo di cui la società si afferma titolare.

Così qualificata, questa domanda, lungi dall'essere sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 112, comma 3, c.p.a., è disciplinata dall'art. 30, comma 5, c.p.a., sicché andrebbe proposta in un giudizio di cognizione.

A suffragio di questa statuizione depone la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, secondo la quale: "In sede di ottemperanza può essere riconosciuto solo il danno direttamente derivante dalla mancata esecuzione della sentenza data dal giudice amministrativo e rimasta ineseguita" (Cons. giust. amm., 2 dicembre 2019, n. 1005; C.d.S., Sez. IV, 23 settembre 2019, n. 6345; Sez. IV, 27 gennaio 2015, n. 362; C.d.S., Sez. III, 4 novembre 2013, n. 5301).

In definitiva, dunque, le domande risarcitorie, contenute nel secondo, terzo, quarto e quinto motivo di appello vanno respinte.

13. In conclusione, l'appello è infondato.

14. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l'effetto, conferma la sentenza gravata.

Condanna l'appellante al pagamento delle spese del giudizio di appello in favore del Comune di Maruggio, che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e spese generali al 15%).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

L. Carbone, F. Caringella, G. Rovelli

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L. Della Ragione, R. Muzzica

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A. Contrino e al. (curr.)

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