Corte di cassazione
Sezione III civile
Sentenza 1° luglio 2020, n. 13446

Presidente: Frasca - Estensore: Guizzi

FATTI DI CAUSA

1. La società ANAS S.p.a. ricorre, sulla base di sette motivi, per la cassazione della sentenza n. 7796/17, dell'11 dicembre 2017, della Corte di Appello di Roma, che - respingendo il gravame da essa esperito, in via incidentale, avverso la sentenza n. 10115/16, del 19 maggio 2016, del Tribunale di Roma - ha confermato la condanna dell'odierna ricorrente a corrispondere alla società Luxo Limited l'importo di euro 43.489.000,00, oltre interessi e rivalutazione dal 7 dicembre 1994.

2. Riferisce, in punto di fatto, l'odierna ricorrente di essere stata convenuta in giudizio dalle società Luxo e Cordusio (la seconda, in qualità di fiduciaria della prima), le quali esponevano di essere titolari del 100% delle azioni della società Fidel S.p.a., nonché delle azioni e dei diritti concatenati alle società del gruppo, operante nel settore delle costruzioni, oltre che cessionarie di tutti gli attivi delle società controllate dalla holding.

Su tali basi, nonché deducendo che il gruppo Fidel svolgeva la sua attività imprenditoriale in via sostanzialmente esclusiva nei confronti di ANAS, le attrici lamentavano che, partire dal 1992, la convenuta si sarebbe resa inadempiente ai propri obblighi contrattuali, non pagando i lavori eseguiti, non approvando tempestivamente le perizie di variante necessarie alla corretta contabilizzazione dei lavori, non eliminando gli impedimenti alla regolare esecuzione dei lavori medesimi, con conseguente fermo delle attività, e non esaminando nei tempi stabiliti le richieste per maggiori oneri. Orbene, atteso che tali gravi inadempimenti avrebbero provocato sia la perdita di liquidità del gruppo, che la conseguente insolvenza di tutte le società facenti capo alla holding, tanto da determinare la messa in liquidazione del gruppo stesso e la cancellazione della società Fidel, in data 6 luglio 2005, le predette società dichiaravano di agire in giudizio in qualità di socio azionista e di acquirenti attivi delle procedure, chiedendo il risarcimento del danno.

Accolta la domanda risarcitoria dal primo giudice, il gravame esperito da ANAS, in via incidentale, veniva rigettato dalla Corte capitolina, al pari dell'appello principale proposto dalla Luxo, in relazione alla riconosciuta limitazione del danno risarcibile.

3. Avverso la decisione della Corte capitolina ha proposto ricorso per cassazione l'ANAS, sulla base di sette motivi.

3.1. Con il primo motivo si deduce - con riferimento all'art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), c.p.c. - violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 112, 115, 116 e 342 c.p.c.

La ricorrente lamenta l'avvenuta reiezione del motivo di appello (il primo) da essa proposto, sulla carenza di titolarità, in capo alle società attrici, delle posizioni sostanziali giudizialmente dedotte, avendo la Corte capitolina ritenuto lo stesso meramente ripetitivo delle argomentazioni difensive svolte in primo grado, evidenziando come l'allora appellante non avesse apportato alcun concreto elemento sulla base del quale potesse "dirsi vinta la presunzione derivante dalle risultanze delle visure del registro delle imprese della Camera di Commercio".

Anche al fine di soddisfare il requisito dell'autosufficienza, oltre che per dimostrare la non fondatezza dell'assunto della Corte territoriale, l'odierna ricorrente riporta le considerazioni svolte, sul punto, nei propri precedenti scritti defensionali di primo grado, ovvero la comparsa di costituzione e risposta, la comparsa conclusionale di primo grado e la successiva memoria di replica, ponendole a confronto con la decisione adottata, a riguardo, dal Tribunale di Roma, riproducendo, infine, le specifiche censure proposte, sul punto, attraverso l'atto di appello incidentale. Su tali basi, pertanto, l'odierna ricorrente ritiene che la sentenza impugnata sia censurabile, là dove ha emesso un giudizio di "ripetitività" delle doglianze espresse da essa ANAS, rispetto a quelle formulate in prime cure.

In ogni caso, la Corte territoriale non avrebbe tenuto in debita considerazione che, ai fini dell'ammissibilità dell'appello, deve ritenersi comunque adeguata la deduzione, nel gravame, di un insieme di elementi che direttamente, ovvero per relationem rispetto a quanto dedotto in prime cure, si contrapponga al contenuto della sentenza impugnata, in modo da consentire l'identificazione dell'ambito del devolutum e delle ragioni del gravame (è citata Cass., Sez. un., sent. 16 novembre 2017, n. 27199).

Inoltre, l'erroneità della decisione risulterebbe ancora più evidente nella parte in cui essa ha posto a carico di ANAS, convenuta in giudizio, l'onere di provare - in punto di titolarità del rapporto controverso - il contrario di quanto parte attrice avrebbe dovuto provare (senza farlo), e ciò nonostante l'odierna ricorrente avesse evidenziato come, nei bilanci della Luxo, non vi fosse traccia alcuna di elementi che potessero attestare la successione, della stessa, nei diritti facenti capo alle società del gruppo Fidel. In forza di tali rilievi, la ricorrente confida nell'accoglimento del motivo, richiamandosi al principio, enunciato dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui la questione della titolarità del diritto sostanziale, dedotto dall'attore in giudizio, attiene al merito della controversia, cioè alla fondatezza della domanda attorea, sicché parte attrice è onerata dall'allegazione degli elementi probatori che dimostrino la sussistenza di ragioni giuridiche che collegano il diritto alla sua persona (Cass., Sez. un., sent. 16 febbraio 2016, n. 2951).

3.2. Con il secondo motivo si deduce - con riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c. - violazione e falsa applicazione degli artt. 2193, 2331, 2355, 2470 e 2559 c.c.

In questo caso, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto l'eccezione di carenza di legittimazione sostanziale attiva - sollevata da essa ANAS - sulla base delle emergenze risultanti dalle visure camerali, prodotte in giudizio da controparte, ignorando che la finalità della pubblicità dichiarativa è solo di rendere opponibile a terzi un determinato contesto fattuale.

La ricorrente ritiene, dunque, che non possa essere "condiviso l'opinamento giudiziale della ricorrenza di una «presunzione derivante dalle risultanze delle visure»", posto che esse riguardano esclusivamente l'opponibilità a terzi degli atti posti in essere dagli organismi societari, risultando, così, non idonee a provare l'avvenuto trasferimento delle azioni delle società del gruppo Fidel in capo a Luxo.

Quanto, invece, alla società Cordusio, la ricorrente reputa non convincente il rilievo della Corte territoriale, secondo cui la produzione delle comunicazioni trasmesse dagli organi delle procedure concorsuali delle società del gruppo Fidel costituirebbe adempimento dell'onere probatorio circa la sussistenza delle cessioni in favore della predetta società.

3.3. Con il terzo motivo si deduce - con riferimento all'art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), c.p.c. - violazione e falsa applicazione degli artt. 1965 e ss. c.c. e degli artt. 100, 115 e 342 c.p.c.

La doglianza della ricorrente investe, in questo caso, la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto "privo di concreta censura" il motivo di gravame indirizzato da essa ANAS avverso l'affermazione, contenuta nella decisione del Tribunale, secondo cui l'allora convenuta non aveva avuto difficoltà a riconoscere le società attrici come titolari delle azioni, dei diritti, e degli attivi delle società del gruppo Fidel. Esito al quale il Tribunale era pervenuto sulla base di un contratto di transazione in atti, avendo il primo giudice ritenuto "superflua" la diversità sia dell'oggetto della transazione, rispetto a quello della presente controversia, sia dei soggetti titolari delle posizioni attive azionate.

Evidenzia, per contro, l'odierna ricorrente di avere avanzato una specifica censura sul punto (richiamando, nuovamente, Cass., Sez. un., sent. n. 27199 del 2017, cit.), avendo sottolineato come l'accordo di componimento in parola avesse causa petendi diversa da quanto oggetto della presente controversia, così come, parimenti, diverse risultavano le parti contrattuali.

Ciò detto, la ricorrente ribadisce di aver sottolineato come nel contratto di transazione fosse carente qualunque profilo di natura confessoria idoneo a produrre effetti ulteriori e diversi rispetto a quelli propri dell'accordo transattivo, atteso che ogni riconoscimento ivi contenuto era strettamente e rigorosamente e funzionale alla finalità propria del contratto de quo e come tale inutilizzabile per altri scopi, non trattandosi di un negozio di accertamento e non potendo assumere valore confessorio, per mancanza del cosiddetto animus confitenti (è citata Cass., Sez. 3, sent. 19 giugno 2015, n. 12691).

3.4. Il quarto motivo ipotizza - con riferimento all'art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), c.p.c. - violazione degli artt. 112, 342 e 346 c.p.c., nonché degli artt. 2943 e ss. c.c.

In questo caso, la doglianza del ricorrente investe la sentenza impugnata per avere ritenuto inammissibile, per genericità, la censura con la quale era stata eccepita l'inidoneità, ad interrompere la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, della missiva inviata dall'avvocato Nicola Lippi.

In particolare, a tale esito la Corte territoriale perveniva sul rilievo che il motivo fosse generico nell'escludere che la nota consentisse di individuare i soggetti di diritto mandanti del legale nei rapporti obbligatori rispetto ai quali vi sarebbe stata inadempienza del committente (ovvero di ANAS). La sentenza impugnata, inoltre, sottolineava come, nell'articolazione della censura, il contenuto della missiva non fosse neppure riportato, pervenendo, così, all'esito della declaratoria di inammissibilità del motivo di gravame in quanto non "autosufficiente".

Di qui, pertanto, la dedotta violazione degli artt. 342 e 346 c.p.c., nonché dell'art. 112 c.p.c., avendo la Corte capitolina eluso il dovere di delibazione del motivo di appello.

D'altra parte, che il motivo non potesse considerarsi privo di specificità sarebbe confermato dal fatto che l'odierna ricorrente aveva contestato sia l'assenza di contemplatio domini in capo all'avvocato Lippi, sia di qualsiasi riferimento, nella missiva in questione, ai rapporti obbligatori da essa considerati.

3.5. Il quinto motivo ipotizza - con riferimento all'art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), c.p.c. - violazione degli artt. 112, 115, 116 e 342 c.p.c., nonché degli artt. 2943 e ss. c.c.

La contestazione investe, in questo caso, la declaratoria di inammissibilità, sempre per genericità, del medesimo motivo di censura relativo alla prescrizione del diritto al risarcimento del danno, quanto alla ipotizzata non idoneità, ad interrompere il corso della prescrizione, anche della nota dell'ottobre 2000 dell'avvocato Ratto.

Nel riprodurre il contenuto della nota, l'odierna ricorrente sottolinea di avere articolato, in appello, una serie di doglianze, concernenti, per un verso, il difetto di sottoscrizione del documento e la mancata ricezione dello stesso da parte di essa ANAS (non risultando, per vero, la nota neppure protocollata), nonché, per altro verso, la circostanza che la nota richiama sempre e soltanto la titolarità di azioni inerenti alle società SIR, Mantelli ed Edistra, laddove l'intero gruppo Fidel comprendeva ben ventotto società, donde l'assenza, anche in questo caso, di contemplatio domini.

Il motivo di gravame, pertanto, risulterebbe tutt'altro che generico, non essendo, inoltre, condivisibile neppure l'assunto della Corte capitolina circa la supposta tardività della contestazione operata dall'odierna ricorrente - solo con memoria di replica - della idoneità di tale nota ad interrompere il corso della prescrizione. Sebbene la ricorrente si dica consapevole dell'orientamento di questa Corte secondo cui non è censurabile in sede di legittimità la valutazione sulla idoneità di un atto a produrre l'effetto interruttivo della prescrizione, essa si richiama il principio in forza del quale, una volta ritualmente eccepita la prescrizione dalla parte convenuta in giudizio, è onere della sola attrice produrre idonei atti interruttivi, debitamente firmati, e quindi non inesistenti, ipotesi, quest'ultima, verificatasi nel presente caso.

3.6. Il sesto motivo ipotizza - con riferimento all'art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), c.p.c. - violazione degli artt. 1218, 1292, 1387, 1655 e ss. e 1710 c.c., nonché dell'art. 4 della l. 29 maggio 1989, n. 205, dell'art. 25 della l. 11 febbraio 1994, n. 109 e dell'art. 2 della l. 24 luglio 1961, n. 729, oltre che degli artt. 112, 115, 116 e 342 c.p.c.

Deduce la ricorrente di aver evidenziato l'erroneità della decisione del primo giudice consistita nell'affermare la responsabilità della convenuta, quale concedente, per presunti inadempimenti consumati dalle concessionarie, nell'ambito degli appalti contratti con le società del gruppo Fidel.

La ricorrente riproduce gli argomenti con i quali aveva contestato le conclusioni raggiunte dal primo giudice (ed adesive rispetto a quelle che l'allora appellante indicava come le erronee valutazioni espresse nella consulenza tecnica d'ufficio), avendo essa ANAS dedotto, in appello, l'assoluta estraneità del "concedente rispetto ai rapporti obbligatori intercorsi fra i concessionari e le imprese appaltatrici, con ogni conseguente carenza di titolarità da parte di queste ultime di azioni nei confronti dell'ente qui appellante". In particolare, ANAS sottolinea di aver richiamato, nel proprio appello incidentale, "il notorio e consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui il ricorso allo strumento della concessione per la realizzazione di un intervento pubblico comporta, analogamente a quanto accade nel caso della delegazione intersoggettiva tra enti pubblici, l'estraneità dell'amministrazione all'attività negoziale realizzata dal concessionario privato, il quale, infatti, agisce in nome e per conto proprio, assumendo, in via esclusiva su di sé le relative obbligazioni nei confronti dei terzi, senza che sia possibile configurare, al riguardo, neppure una responsabilità di tipo solidale del concedente".

Detti principi sarebbero stati disattesi dal giudice di prime cure, la cui valutazione l'allora appellante ebbe a segnalare come "ingiustificatamente «appiattita» sulla consulenza tecnica d'ufficio che attribuisce valenza al «fatto che la provvista finanziaria, nel caso in esame, era carico di ANAS»", circostanza, tuttavia, non decisiva, "in quanto ciò rileva esclusivamente nei rapporti tra concedente e concessionario". D'altra parte, la stessa normativa sulla disciplina delle concessioni specifica che all'ANAS spetta solo la vigilanza sulla esecuzione dei lavori delle opere date in concessione (art. 2 della l. n. 729 del 1961), così come la l. n. 205 del 1999 aveva stabilito che - "per velocizzare i lavori di Mondiali e Colombiadi" - ANAS potesse ricorrere a due diversi tipi di concessione, confermando così che essa ha "operato prevalentemente in regime di concessione e non di appalto".

Orbene, a fronte di dette puntuali argomentazioni censorie, fondate sui principi statuiti dalla giurisprudenza di legittimità, la Corte territoriale avrebbe disatteso le prospettazioni difensive dell'allora appellante sulla base di una erronea e sintetica motivazione, incentrata sul rilievo che il motivo di gravame, proposto sul punto da ANAS, sarebbe stato "del tutto generico, a fronte della motivazione del Tribunale". Essa, in particolare, non avrebbe risposto alcunché riguardo alle difese dell'ANAS (sopra riassunte), senza cogliere, inoltre, la ratio della perizia di variante nell'ambito della vigente legislazione - art. 25 della l. n. 109 del 1994 - in materia di opere pubbliche, quale istituto notoriamente previsto per soddisfare soltanto esigenze pubblicistiche nella stazione appaltante, ritenendo, sul punto, la censura dell'allora appellante addirittura del tutto generica, facendole carico, in particolare, "di dimostrare, in relazione ad ogni singolo appalto preso in esame dai CTU, che la mancata approvazione delle perizie di variante non costituisse un inadempimento".

Pertanto, tale decisum, secondo la ricorrente, "oltre a porsi in insanabile contrasto con la normativa di diritto sostanziale citata nell'epigrafe del presente motivo di ricorso, non coglie affatto il senso delle censure dell'ANAS appellante, "sostanzialmente declinando ogni doverosa deliberazione della critica rivolta dalla parte pubblica appellante, così violando anche il diritto processuale rispetto a quanto previsto dagli artt. 112 e 342 c.p.c.", persino invertendo, con affermazione "illogica e priva di significato giuridicamente rilevante", gli oneri probatori fra le parti. La sentenza, infatti, ha fatto carico alla difesa di ANAS di articolare la propria censura con riferimento ai singoli rapporti negoziali, quando, invece, "risulta provato che in relazione ad essi parte attrice non ha documentato alcunché, limitandosi a produrre mera pubblicità dichiarativa inidonea assolutamente agli effetti della presente controversia". Il tutto, infine, senza tacere del fatto che, come chiarito dalle Sezioni unite di questa Corte, la responsabilità del concessionario nei confronti del soggetto danneggiato è prevista da norme imperative e non potrebbe neppure essere esclusa da eventuali accordi intercorsi tra concedente e concessionario (è citata, in particolare, Cass., Sez. un., sent. 7 dicembre 2016, n. 25038).

3.7. Il settimo motivo ipotizza - con riferimento all'art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), c.p.c. - violazione degli artt. 1223, 1224, 1225 e 1965 e ss. c.c., nonché degli artt. 112 e 342 c.p.c.

Il ricorrente assume, in questo caso, di avere censurato la decisione del primo giudice, con uno specifico motivo di appello incidentale, in relazione al computo degli interessi, da corrispondere in relazione ai singoli inadempimenti addebitati ad essa ANAS, anche ai fini della valutazione della somma dalla stessa dovuta a titolo di responsabilità extracontrattuale. In questo modo, tuttavia, sarebbe stato violato il principio del ne bis in idem, in quanto tale componente risultava già inclusa negli importi oggetto della transazione "tombale" del 2005.

Orbene, siffatta censura era quella formulata con il ridetto motivo di appello incidentale (con il quale ANAS si era doluta, in particolare, del fatto che il primo giudice si sarebbe inopinatamente appiattito sugli esiti della CTU), sicché essa risultava senz'altro rispettosa dei dettami dell'art. 342 c.p.c., diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale.

4. Ha proposto controricorso la società Luxo per chiedere che l'avversaria impugnazione sia dichiarata inammissibile o infondata, nonché per svolgere ricorso incidentale, sulla base di un unico motivo.

4.1. In via preliminare, tuttavia, la società Luxo eccepisce l'inammissibilità della avversaria impugnazione, per intempestività.

Rileva, infatti, che la società ANAS risulta aver impugnato anche per revocazione - con atto di citazione notificato ad essa Luxo il 22 febbraio 2018 - la medesima sentenza della Corte capitolina, poi fatta oggetto di ricorso per cassazione. Di conseguenza, poiché tra la data suddetta e quella in cui la società ANAS ha richiesto la notificazione del ricorso per cassazione, ovvero il 30 aprile 2018, risultano decorsi più di sessanta giorni, non sarebbe stato osservato il termine breve ex art. 325, comma 2, c.p.c.

La controricorrente, infatti, richiama il principio secondo cui "la notificazione della citazione per la revocazione di una sentenza di appello equivale, sia per la parte notificante che per la parte destinataria, alla notificazione della sentenza stessa ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, onde la tempestività del successivo ricorso per cassazione va accertata non soltanto con riguardo al termine di un anno dal deposito della pronuncia impugnata, ma anche con riferimento a quello di sessanta giorni dalla notificazione della citazione per revocazione, a meno che il giudice della revocazione, a seguito di istanza di parte, abbia sospeso il termine per ricorrere per cassazione, ai sensi dell'art. 398, comma 4, c.p.c.", evenienza, peraltro, quella della sospensione, che non costa nel caso di specie (sono citate, in particolare, Cass., Sez. 1, sent. 13 agosto 2015, n. 16828 e Cass., Sez. 3, sent. 4 dicembre 2012, n. 21718).

In ogni caso, la controricorrente assume che i singoli motivi del ricorso principale sarebbero inammissibili o non fondati.

4.2. Essa svolge, inoltre, un unico motivo di ricorso incidentale con cui censura la decisione della Corte di Appello nella parte in cui ha ritenuto che, in virtù del principio dell'equivalenza delle cause, non potesse ricadere su ANAS anche la parte di dissesto non riconducibile al 50% di responsabilità ad essa direttamente riferibile e un ulteriore terzo di responsabilità per gli appalti affidati dalle concessionarie. In questo modo, infatti, sarebbe stato disatteso - secondo la ricorrente incidentale - il principio secondo cui, "in materia di risarcimento del danno da fatto illecito, ove esistano più possibili danneggianti, la graduazione delle colpe tra di essi ha una mera funzione di ripartizione interna tra i coobbligati della somma versata a titolo di risarcimento del danno, e non elide affatto la solidarietà tra loro esistente: ne consegue che la circostanza che il danneggiato si sia rivolto in giudizio contro uno solo degli autori del fatto dannoso [...] non comporta la rinuncia alla solidarietà esistente tra tutte le persone alle quali lo stesso fatto dannoso sia imputabile, sicché, se anche nel corso del giudizio emerga la graduazione di colpa tra i vari corresponsabili, ciò non preclude al danneggiato la possibilità di chiedere di essere integralmente risarcito da uno solo dei corresponsabili" (è citata Cass., Sez. 3, sent. 5 ottobre 2004, n. 19934).

5. Ha proposto controricorso la società Cordusio, per chiedere l'estromissione dal presente giudizio (nonché, in via di subordine, per aderire alle conclusioni rassegnate da Luxo).

La controricorrente, infatti, si duole che la Corte capitolina abbia negato la sua estromissione dal giudizio, decisione assunta sul rilievo dell'opposizione manifestata - peraltro solo in occasione dell'udienza di precisazione delle conclusioni di primo grado - dalla società ANAS, sul presupposto di un proprio preteso interesse alla permanenza in causa di tutte le parti del giudizio in vista della regolazione delle spese processuali.

Orbene, sul rilievo che un rifiuto immotivato (ovvero, comunque, fondato su motivi non meritevoli di tutela) non è di ostacolo alla estromissione della parte, che può, pertanto, essere sempre disposta, la società Cordusio chiede a questa Corte di provvedere in tal senso, non essendovi dubbi che essa abbia ritrasferito a Luxo - in corso di causa - la proprietà delle azioni sulle quali si fonda la pretesa risarcitoria azionata in giudizio.

6. La ricorrente e la controricorrente Luxo hanno presentato memorie, ex art. 378 c.p.c., ciascuna insistendo nelle proprie argomentazioni e replicando a quelle avversarie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Il ricorso principale è inammissibile, in quanto tardivamente proposto.

7.1. Questa Corte, ancora di recente, ha ribadito che "la notificazione della citazione per la revocazione di una sentenza di appello equivale, sia per la parte notificante che per la parte destinataria, alla notificazione della sentenza stessa ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, onde la tempestività del successivo ricorso per cassazione va accertata non soltanto con riguardo al termine di un anno dal deposito della pronuncia impugnata, ma anche con riferimento a quello di sessanta giorni dalla notificazione della citazione per revocazione, a meno che il giudice della revocazione, a seguito di istanza di parte, abbia sospeso il termine per ricorrere per cassazione, ai sensi dell'art. 398, comma 4, c.p.c.". (da ultimo, Cass., Sez. 5, ord. 5 settembre 2019, n. 22220; nello stesso senso, Cass., Sez. 1, sent. 13 agosto 2015, n. 16828, non massimata; Cass., Sez. 3, sent. 22 marzo 2013, n. 7261, Rv. 625600-01 e Cass., Sez. 3, sent. 4 dicembre 2012, n. 21718, non massimata).

Orbene, come non ha mancato di rilevare la stessa ricorrente incidentale, "la ragione che in questi casi giustifica il decorso del termine c.d. breve a carico dell'impugnante è che, presupponendo l'esercizio della prima impugnazione la conoscenza della sentenza impugnata [...] ricorre esattamente la situazione di notum facere realizzata dalla notificazione della sentenza, cui allude l'art. 326 c.p.c., comma 1. Invero, se la conoscenza della sentenza per effetto della notificazione al difensore (art. 285 c.p.c., in relazione all'art. 170 c.p.c., comma 1) si realizza tramite la consegna da parte dell'ufficiale giudiziario fidefacente al riguardo della copia integrale della stessa, appare evidente che, quando il difensore della parte esercita per conto di questa il diritto di impugnazione, il notum facere relativo alla sentenza, idoneo al decorso del termine per impugnare, si realizza a maggior ragione nel momento in cui alla redazione dell'atto di impugnazione (atto interno alla sfera del mandato alle liti) segue l'esternazione nel processo con effetti per tutte le sue parti tramite la notificazione dell'impugnazione (e nel caso ve ne siano più con effetto dall'ultima notificazione). La conoscenza della sentenza è, infatti, rivelata nel processo dalla necessaria implicazione che deriva dall'essere essa sottoposta a critica mediante un'impugnazione. Detta conoscenza, poi, è rivelata sempre tramite atto dell'ufficiale giudiziario, cioè tramite la notificazione dell'impugnazione. Non si tratta di interpretazione analogica, perché l'ipotesi di conoscenza legale idonea al decorso del termine breve che si è individuata non riguarda un equipollente della notificazione, ma semplicemente un modo di realizzazione proprio del suo effetto, tra l'altro provocato dalla stessa parte riguardo alla quale al notum facere relativo alla sentenza è dato rilievo, e, quindi, l'operazione ermeneutica è semmai un'interpretazione meramente estensiva, che, com'è noto, è ammissibile pur in presenza di norme eccezionali" (così Cass., Sez. 3, sent. n. 21718 del 2012, cit.).

7.2. Orbene, poiché nel caso in esame la proposizione della revocazione della sentenza di appello (sentenza fatta oggetto anche di ricorso per cassazione) è avvenuta con atto di citazione notificato a Luxo il 22 febbraio 2018, entro sessanta giorni da tale data avrebbe dovuto compiersi anche la notificazione del ricorso per cassazione, avvenuta, invece, il 30 aprile 2018, con conseguente violazione del termine breve ex art. 325, comma 2, c.p.c.

7.3. Né, d'altra parte, in senso contrario potrebbe osservarsi quanto segue.

7.3.1. Non fondato è, innanzitutto, il rilievo - formulato da ANAS nella memoria depositata in vista della udienza pubblica di discussione - secondo cui, avendo essa proposto la revocazione con il ministero di un difensore del libero foro, tale circostanza precluderebbe l'effetto di far decorrere il termine breve per il ricorso per cassazione, tenuto conto che in appello essa ANAS era difesa dall'Avvocatura dello Stato.

A prescindere, infatti, dal rilievo che il notum facere, di cui sopra si è detto, si produce nei riguardi della parte in quanto tale, indipendentemente da chi ne sia il difensore, deve, poi, considerarsi che l'ANAS non è neppure un soggetto tenuto ad avvalersi obbligatoriamente del patrocinio della difesa erariale (Cass., Sez. 1, sent. 14 settembre 2006, n. 19786, Rv. 592962-01; Cass., Sez. 3, sent. 10 aprile 2010, n. 7983, Rv. 612239-01).

Di conseguenza, essa non potrebbe neppure, astrattamente, invocare la circostanza - ipotizzabile, difatti, solo nei casi in cui manchi il patrocinio ex lege dell'Avvocatura dello Stato - che la nullità conseguente all'illegittima rappresentanza, nel giudizio di revocazione, da parte di un difensore del libero foro (nullità rilevabile, in quella sede, anche d'ufficio da parte del giudice dell'impugnazione; cfr. Cass., Sez. un., sent. 20 ottobre 2017, n. 24876, Rv. 645661-01), sia idonea a privare di ogni effetto la proposta revocazione.

Conclusione, questa, che rende superfluo stabilire se, in concreto, detta nullità sia effettivamente suscettibile di escludere che l'attività di notificazione dell'impugnazione, anch'essa nulla (ma, oggi, rimediabile ai sensi del vigente testo dell'art. 182 c.p.c.), abbia, comunque, l'effetto di far decorrere il termine di una diversa impugnazione esperibile.

7.3.2. Né, infine, potrebbe darsi rilievo alla circostanza che parte del presente giudizio di legittimità risulta essere anche la società Cordusio, sicché - in applicazione del principio dianzi richiamato, secondo cui la notificazione dell'atto di revocazione determina, rispetto a tutte le parti del giudizio, il decorso del termine breve per la proposizione del ricorso per cassazione, ma "con effetto dall'ultima notificazione" (così Cass., Sez. 3, sent. n. 21718 del 2012, cit.) - diventerebbe rilevante stabilire se la notificazione nei suoi confronti dell'atto di revocazione fosse in grado di "fare salvo" il rispetto del termine, ex art. 325, comma 2, c.p.c., per la proposizione del ricorso per cassazione.

Trattandosi, per vero, di circostanza utile a paralizzare l'eccezione di intempestività del ricorso, formulata da Luxo, l'onere di provarla era a carico della stessa ANAS, che non lo ha adempiuto.

8. In ragione dell'inammissibilità del ricorso principale, quello incidentale di Luxo è privo di efficacia ex art. 334, comma 2, c.p.c.

9. Le spese seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico della ricorrente principale e liquidate come da dispositivo.

10. A carico della ricorrente principale rimasta soccombente, sussiste l'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale ed inefficace il ricorso incidentale tardivo, e, per l'effetto, condanna la società ANAS S.p.a. a rifondere, alla società Luxo Limited e alla società Cordusio, le spese del presente giudizio, liquidate, per ciascuna di esse, in euro 4.000,00, più euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

A. Massari

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