Corte di cassazione
Sezione II penale
Sentenza 6 maggio 2020, n. 16595

Presidente: Gallo - Estensore: Beltrani

RITENUTO IN FATTO

1. G. Antonio, E. Vincenza, S. Addolorata, D. Alessandro ed E. Emanuele Salvatore ricorrono congiuntamente contro l'ordinanza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del riesame ed appello in tema di misure cautelari, ha rigettato l'appello presentato nell'interesse di G. Antonio, E. Vincenza, S. Addolorata, D. Alessandro ed E. Emanuele Salvatore contro l'ordinanza con la quale, in data 3 luglio 2019, il Tribunale di Napoli, giudice procedente, aveva rigettato la richiesta di declaratoria d'inefficacia ex artt. 297, comma 3, e 303, comma 1, n. 3, c.p.p. della misura cautelare della custodia in carcere applicata ai predetti.

1.1. All'odierna udienza camerale è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito; all'esito, la parte presente ha concluso come da epigrafe, ed il collegio, riunito in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono infondati.

1. I ricorrenti, premesso un ampio riepilogo delle pregresse vicende processuali, caratterizzate, in sintesi, dall'iniziale emissione, all'indomani dell'esecuzione di un provvedimento di fermo in data 8 maggio 2016 - asseritamente costituente dies a quo in riferimento all'evocata retrodatazione -, di ordinanza coercitiva nei confronti degli odierni ricorrenti in relazione a plurime vicende omicidiarie aggravate ex art. 7 l. n. 203 del 1991 (ora art. 416-bis.1 c.p.), seguita dall'emissione, sempre a carico dei predetti, dell'odierno titolo cautelare avete ad oggetto il reato di partecipazione a sodalizio ex art. 416-bis c.p., lamentano violazione dell'art. 297 c.p.p. e vizi di motivazione quanto all'esclusione dell'operatività della disciplina della retrodatazione della data di inizio della custodia in carcere nell'ambito dell'odierno procedimento alla data del menzionato fermo.

In fatto, lamentano che lo stesso GIP, nell'ordinanza coercitiva emessa in danno dei ricorrenti, avrebbe dato atto della cessazione del sodalizio enucleato in coincidenza con le pregresse vicende omicidiarie ed il fermo citato.

In diritto, dopo aver ripercorso i principali orientamenti giurisprudenziali emersi in materia, ed aver prestato adesione all'orientamento asseritamente espresso dalle Sezioni unite con la sentenza Rahulia (cui solo formalmente il Tribunale si sarebbe riportato, in realtà aderendo all'interpretazione che della predetta decisione avrebbe fornito altra successiva decisione di una sezione semplice), lamentano l'irrilevanza della "desumibilità ex ante" degli elementi indiziari acquisiti, asseritamente valorizzata dal Tribunale come elemento ostativo all'accoglimento della prospettazione della difesa; dichiarano, inoltre, la propria non condivisione dell'orientamento più recentemente espresso dalle Sezioni unite (sentenza Gurgone - rectius, Giorgi - del 2018) in argomento, che assegna in linea di massima valore preclusivo, quanto alla deducibilità della odierna questione, alla contestazione "aperta" della permanenza del secondo fatto oggetto di cautela.

Lamentano, infine, la non invocabilità del contributo conoscitivo promanante dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia D.S. rese ex post rispetto alla data di emissione della prima ordinanza coercitiva (ovvero il 27 dicembre 2016), e ribadiscono che, alla data dell'emissione dell'ordinanza coercitiva avente ad oggetto le vicende omicidiarie, il "fatto" associativo oggetto dell'ordinanza coercitiva emessa nell'ambito dell'odierno procedimento era ben conosciuto e conoscibile ex actis; inoltre, anche volendo valorizzare la struttura della contestazione del reato associativo (con permanenza "aperta"), rappresentano che anche le Sezioni unite hanno ammesso la possibilità di offrire la dimostrazione di un diverso tempus commissi delicti, ovvero della cessazione della permanenza: al riguardo, premesso che l'onere della prova dovrebbe incombere sul P.M., la difesa aveva valorizzato le dichiarazioni rese in dibattimento dal teste di PG G., il cui contenuto sarebbe stato travisato dal Tribunale.

2. Gli articolati motivi sono, nel complesso, infondati.

2.1. Il reato associativo nel presente procedimento è contestato al ricorrente quale commesso «con condotta perdurante», quindi in riferimento ad epoca successiva alla esecuzione della prima ordinanza di custodia riguardante la menzionata vicenda omicidiaria.

2.2. In ordine alla tematica della "contestazione a catena" riguardante anche reati associativi, aventi natura permanente, e prosecuzione della condotta criminosa contestata anche dopo l'esecuzione della prima ordinanza - rispetto alla cui data di esecuzione si pretenda far decorrere il termine di custodia della ordinanza "concatenata" - le Sezioni unite (Sez. un., n. 14535 del 10 aprile 2007, Librato, Rv. 235910) hanno ribadito l'orientamento prevalente, secondo il quale la retrodatazione prevista dall'art. 297, comma 3, c.p.p. presuppone che i fatti oggetto dell'ordinanza rispetto alla quale operare la retrodatazione siano stati commessi anteriormente all'emissione della prima ordinanza e tale condizione non sussiste nell'ipotesi in cui l'ordinanza successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato di associazione di stampo mafioso con descrizione del momento temporale di commissione mediante una formula cosiddetta aperta, che faccia uso di locuzioni tali da indicare la persistente commissione del reato pur dopo l'emissione della prima ordinanza, precisando che soltanto rispetto a condotte illecite anteriori all'inizio della custodia cautelare disposta con la prima ordinanza può ragionevolmente operarsi la retrodatazione di misure adottate in un momento successivo, come si desume dalla lettera dell'art. 297, comma 3, c.p.p., che prende in considerazione solo i "fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza"».

Questa interpretazione è stata successivamente ribadita dalle Sezioni unite (Sez. un., n. 48109 del 19 luglio 2018, Giorgi, n.m.), «considerando anche che non vi è stata alcuna altra decisione successiva che se ne sia discostata. Del resto, una diversa interpretazione avrebbe il poco comprensibile effetto di "coprire" con la retrodatazione la prosecuzione dell'attività criminale rispetto alla quale non potrebbero più essere utilizzate misure cautelari», ma con la precisazione che, a fronte di una contestazione aperta, «ben può il giudice o comunque l'indagato offrire una diversa ricostruzione del tempo di commissione del reato (e di cessazione della permanenza)».

3. Trattasi di principi che il collegio condivide e ribadisce.

3.1. Va, pertanto, affermato il seguente principio di diritto:

«in tema di cc.dd. "contestazioni a catena", la retrodatazione prevista dall'art. 297, comma 3, c.p.p. presuppone che i fatti oggetto dell'ordinanza rispetto alla quale operare la retrodatazione siano stati commessi anteriormente all'emissione della prima ordinanza, e tale condizione non sussiste nell'ipotesi in cui l'ordinanza coercitiva successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato di associazione di tipo mafioso con formula "aperta", che indichi la permanenza del reato anche dopo l'emissione della prima ordinanza coercitiva, a meno che gli elementi acquisiti non consentano di ritenere l'intervenuta cessazione della permanenza quanto meno alla data di emissione della prima ordinanza».

4. Ciò premesso, può convenirsi, in generale, con i ricorrenti che l'onere della prova riguardante il tempus commissi delicti, quando da esso possano trarsi effetti sfavorevoli per l'indagato/imputato, incombe sul P.M. il quale, peraltro, nel caso di specie lo ha certamente soddisfatto attraverso gli elementi valorizzati ad integrazione del quadro indiziario riguardante l'enucleazione di un sodalizio di tipo mafioso tuttora operante sul territorio di riferimento, rispetto al quale nulla dimostra il recesso degli odierni imputati.

4.1. Né può ritenersi che a conclusioni diverse inducano gli elementi evocati all'uopo dai ricorrenti, poiché:

- manca un reale riconoscimento di anticipata cessazione della permanenza dell'ipotizzato reato associativo nei titoli cautelari evocati (in particolare, il GIP si era limitato a riepilogare le difficoltà del clan, impegnato in un cruento conflitto con altra fazione, che aveva alterato gli equilibri all'interno del sodalizio e lo aveva indebolito, null'altro);

- non rileva il fatto che l'esistenza del sodalizio fosse anteriormente nota, dovendo discutersi della sua permanenza dopo le iniziali vicende omicidiarie;

- il Tribunale ha dettagliatamente ed incensurabilmente valorizzato le dichiarazioni rese dal teste G. (a partire da f. 7 dell'ordinanza impugnata, con diffuse argomentazioni che appare inutile ritrascrivere), motivatamente escludendo che esse dessero prova dell'anticipata cessazione della permanenza del reato associativo de quo.

5. Deve, quindi, escludersi l'acquisizione in atti di elementi idonei ad offrire una diversa ricostruzione del tempo di commissione del reato, ed in particolare l'intervenuta cessazione ex ante della permanenza dell'enucleato reato associativo.

5.1. A fronte di tali rilievi fattuali, i ricorrenti, in concreto, si limitano a riproporre la propria diversa "lettura" delle risultanze acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito effettivi e decisivi travisamenti degli elementi valorizzati dal Tribunale.

6. Il rigetto dei ricorsi comporta, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

6.1. La cancelleria provvederà agli adempimenti previsti dall'art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p.

P.Q.M.

rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p.

Depositata il 1° giugno 2020.

R. Garofoli

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