Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 10 giugno 2020, n. 19113

Presidente: Di Nicola - Estensore: Gai

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'impugnata ordinanza, il Tribunale di Vallo della Lucania, in funzione di giudice di esecuzione, ha respinto l'istanza avanzata da P. Pasquale, legale rappresentante della società P. s.n.c. di P. Francesco, con cui, previa declaratoria di assenza del titolo esecutivo per sottoporre a sequestro la somma di euro 120.981,97 sul c/c n. 848268 intestato alla P. s.n.c. di P. Francesco, ha chiesto la restituzione della predetta somma.

1.1. Deve premettersi, per la comprensione della vicenda, che, con decreto emesso in data 28 marzo 2019, il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Vallo della Lucania disponeva il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto dei reati tributari, di cui agli artt. 110 c.p., 2 e 8 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, contestati nei capi G) e H) a P. Francesco e P. Antonio, reati commessi in seno alla società P. s.n.c. di P. Francesco e nell'esclusivo interesse di quest'ultima; che in esecuzione di tale provvedimento era stata sottoposta a sequestro la somma di denaro di euro 120.981,97 sul c/c n. 848268 intestato alla P. s.n.c. di P. Francesco (mentre nessun sequestro era stato disposto nei confronti degli indagati per assenza di beni da apprendere).

A seguito di istanza di riesame, proposta dagli indagati P., il Tribunale di Salerno annullava il decreto di sequestro preventivo, ai sensi degli artt. 324, comma 7, 309, comma 9 c.p.p., per assenza di autonoma valutazione da parte del giudice dei presupposti richiesti per l'emissione del decreto di sequestro preventivo, ex art. 344, comma 7, e 309, comma 9, c.p.p., limitatamente ai beni personali degli indagati, e dichiarava inammissibile il ricorso degli stessi P. con riguardo ai "beni non personali" degli indagati per carenza di interesse.

1.2. Con istanza di incidente di esecuzione, ai sensi degli artt. 666, 670 c.p.p., P. Pasquale, legale rappresentante della società P. s.n.c. di P. Francesco, chiedeva la restituzione della somma di denaro previa declaratoria di assenza di titolo esecutivo per sottoporre a sequestro la somma di denaro di euro 120.981,97 sul c/c n. 84868 intestato alla società.

Con la decisione impugnata, il Tribunale di Vallo della Lucania, quale giudice dell'esecuzione, respingeva l'istanza attesa la non configurabilità in capo alla predetta società "della qualità di persona giuridica con conseguente confusione del patrimonio sociale con quello dei soci".

L'incidente di esecuzione era preceduto da due richieste al Pubblico Ministero con cui il ricorrente chiedeva la restituzione di detta somma di denaro. Il Pubblico Ministero dichiarava il non luogo a provvedere "non essendovi in sequestro la somma".

2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso per cassazione P. Pasquale, nella qualità di legale rappresentante della società P. s.n.c. di P. Francesco, soggetto dichiaratosi terzo estraneo al reato al quale sono stati sequestrati i beni, deducendo con un unico e articolato motivo di ricorso la violazione di cui all'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p. in relazione all'erronea applicazione di legge in relazione agli artt. 185, 670, e 321 e 587 c.p.p.

L'ordinanza avrebbe errato nel respingere l'istanza di restituzione non avendo considerato che il tribunale del riesame, adito dagli indagati P. Francesco e P. Antonio, aveva annullato il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato tributario, con riguardo ai beni personali ed aveva dichiarato inammissibile l'impugnazione con riguardo ai beni non personali, tra cui la somma sequestrata sul conto corrette della società P. s.n.c. di P. Francesco, e che il Pubblico Ministero, richiesto di restituire la somma, aveva rilevato che, all'esito dell'annullamento del tribunale del riesame, non vi era nessuna misura cautelare. In tale contesto l'istanza di restituzione rivolta al Giudice era stata respinta con motivazione illogica e non corretta in diritto nella parte in cui il Giudice aveva escluso l'autonomia patrimoniale della società ai sensi dell'art. 2291 c.c. Sotto altro profilo l'ordinanza impugnata non avrebbe tenuto conto degli effetti estensivi favorevoli derivati dell'annullamento del decreto di sequestro pronunciato dal tribunale del riesame anche nei confronti del provvedimento di sequestro della somma di denaro sul conto corrente della società. Il sequestro era stato, infatti, disposto in funzione della "confisca diretta dei conti correnti degli indagati" e non nei confronti della società. La misura cautelare sarebbe priva di titolo.

3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto l'inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso proposto da P. Pasquale, legale rappresentante della società P. s.n.c. di P. Francesco, quale terzo interessato e avente diritto alla restituzione delle cose sequestrate, non è fondato e va, pertanto, rigettato.

P. Pasquale, legale rappresentante della società dal 1° novembre 2019 (doc. 14), impugna l'ordinanza con la quale il Tribunale di Vallo della Lucania, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha rigettato la richiesta di restituzione della somma di denaro di euro 120.981,97 sequestrata sul c/c n. 848268 intestato alla P. s.n.c. di P. Francesco, in esecuzione di un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato fiscale commesso, secondo l'incolpazione provvisoria, da P. Antonio e P. Francesco quali legali rappresentanti all'epoca dei fatti, decreto di sequestro del 23 marzo 2019 ed eseguito in data 16 aprile 2019. È incontroversa la circostanza che la misura ha attinto somme presenti sul conto corrente della società nel cui interesse sono stati commessi i reati fiscali e che ne ha tratto vantaggio, e che la misura cautelare era finalizzata alla confisca diretta del profitto del reato ai sensi dell'art. 12-bis del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

Ora il ricorrente, terzo interessato, deduce che l'ordinanza del giudice dell'esecuzione, che ha rigettato la richiesta di restituzione, sarebbe viziata dalla denunciata violazione di legge laddove avrebbe escluso che il vincolo reale sarebbe privo di titolo perché annullato, il decreto di sequestro preventivo, dal tribunale in sede di riesame del provvedimento genetico promosso dagli indagati P., perché privo di autonoma valutazione e chiede l'applicazione dell'effetto estensivo nei confronti della società degli effetti dell'annullamento.

5. La questione posta dal ricorrente richiede un breve excursus sugli approdi ermeneutici della giurisprudenza di legittimità in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato tributario, ex art. 12-bis, e, dall'altro lato, dei rimedi posti dall'ordinamento per la tutela di soggetti terzi, sia pur non estranei, rispetto al reato e ai quali le cose siano state sequestrate.

5.1. Sotto il primo profilo, è orientamento assolutamente consolidato quello secondo cui, in tema di reati tributari, è consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di tale persona giuridica. Non è, invece, consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio (Sez. un., n. 10561 del 30 gennaio 2014, dep. 5 marzo 2014, Gubert, Rv. 258647). Successivamente le Sez. un. Lucci hanno affermato che ove il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato (Sez. un., n. 31617 del 26 giugno 2015, Lucci, Rv. 264437).

È, dunque, consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di tale persona giuridica (Sez. 4, n. 10418 del 24 gennaio 2018, Rubino, Rv. 272238-01; Sez. 3, n. 6205 del 29 ottobre 2014, Mataloni, Rv. 262770-01; Sez. 3, n. 30486 del 28 maggio 2015, Antenucci, Rv. 264392; Sez. 3, n. 6205 del 29 ottobre 2014, Musarra, Rv. 262770). Allorché il profitto del reato tributario sia rinvenibile nelle casse sociali esso è direttamente aggredibile, mentre qualora non sia più rinvenibile nelle casse della società, potranno essere sottoposti a vincolo i beni personali dell'amministratore.

In questo senso il decreto del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Vallo della Lucania che dispone, ai sensi dell'art. 321 c.p.p., "il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato" tributario consente (è titolo per) l'apprensione del profitto del reato, qualora presente, direttamente in capo alla persona giuridica, essendo questo sequestro finalizzato alla confisca diretta del profitto; non legittima, invece, la confisca per equivalente, nel caso di mancanza del profitto nelle casse sociali, nei confronti dei soggetti persone fisiche che hanno commesso il reato tributario perché non disposta (l'oggetto del decreto di sequestro preventivo era limitato, a chiare lettere, alla "confisca diretta" del reato tributario commesso dagli amministratori/indagati P.).

Tuttavia, il decreto di sequestro preventivo è stato annullato in accoglimento dell'istanza di riesame proposta dagli indagati, mentre l'impugnazione è stata dichiarata inammissibile per carenza di interesse (degli stessi indagati) con riguardo al sequestro delle somme di denaro sequestrate sul conto corrente della società, soggetto terzo rispetto al reato.

5.2. Sotto altro ma connesso profilo, la società, terza rispetto al reato tributario commesso dai suoi amministratori, non è priva di rimedi giuridici per fare valere le sue ragioni per ottenere la restituzione di quanto sequestrato.

Sul tema delle prerogative riconoscibili al terzo estraneo al giudizio in ordine alla restituzione delle cose sottoposte a sequestro, la Suprema Corte è addivenuta all'affermazione dell'oramai incontroverso principio per il quale il terzo può procedere in ogni momento, e dunque fin dalla fase delle indagini preliminari, alla richiesta di restituzione delle cose sequestrate e, quanto all'istanza avanzata nel corso delle indagini preliminari, in caso di diniego, può promuovere un iter procedimentale che si snoda attraverso la pronuncia del G.I.P., a cui il P.M., in caso di non accoglimento, per qualsiasi motivo, dell'istanza deve trasmettere il suo parere con le richieste specifiche nonché con gli elementi sui quali fonda le sue valutazioni, e la successiva impugnazione del provvedimento di diniego del G.I.P. al tribunale cautelare, ex art. 322-bis c.p.p., il cui provvedimento può poi essere ricorso per cassazione (Sez. un., n. 48126 del 20 luglio 2017, Muscari, Rv. 270938).

Ne consegue come, nel caso in esame, il tema circa la restituzione dei beni sequestrati fosse del tutto estraneo rispetto a questioni concernenti il titolo esecutivo e che solo in quanto tali sono risolvibili con l'attivazione del procedimento di esecuzione.

Del resto, si è infatti visto come il terzo possa, durante la fase delle indagini preliminari e fino alla pronunzia della sentenza di primo grado, adire il tribunale del riesame ai sensi dell'art. 322-bis c.p.p. (Sez. un., n. 48126 del 20 luglio 2017, cit.), situazione che consente di assicurare pienamente la tutela delle ragioni del terzo.

È palese allora l'errore procedurale compiuto dal ricorrente che si è rivolto al giudice dell'esecuzione, in pendenza di indagini preliminari (o eventualmente di giudizio di cognizione), per la verifica del titolo esecutivo, errore che non è rimediabile in questa sede, ma che comunque, non pregiudica i diritti della società ricorrente la quale potrà far valere le proprie ragioni secondo l'iter procedimentale sopra descritto.

Né può essere accolta la prospettazione difensiva di estensione, ai sensi dell'art. 587 c.p.p., degli effetti favorevoli dell'impugnazione cautelare degli indagati in favore della società.

Rileva, in primo luogo, che alla conclusione negativa milita dapprima il disposto normativo il quale fa chiaro riferimento agli "imputati", che hanno "concorso in uno stesso reato" con disciplina che, sulla base del disposto del secondo comma dell'art. 61 del c.p.p., si estende alla figura dell'indagato, sicché il terzo, sia esso o meno soggetto estraneo al reato ossia la società nel caso in esame, ha una posizione ontologicamente differente rispetto all'imputato/indagato e rispetto al quale giammai potrà ricorre[re] l'ulteriore requisito per l'estensione dell'impugnazione, che si verta "nel caso di concorso di più persone nello stesso reato".

Peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, nel procedimento di riesame delle misure cautelari reali, è escluso l'effetto estensivo dell'impugnazione proposta da uno dei coimputati all'imputato rimasto ad esso estraneo, mentre è possibile l'estensione degli effetti favorevoli della decisione a condizione che questa non sia fondata su motivi personali di uno degli impugnanti e che il procedimento stesso sia sorto e si sia svolto in modo unitario e cumulativo (Sez. un., n. 19046 del 29 marzo 2012, Peroni, Rv. 252529-01; Sez. un., n. 34623 del 26 giugno 2002, Di Donato, Rv. 222261-01).

È stato infatti ritenuto che soltanto nell'ipotesi di procedimento incidentale che sorga e si svolga in modo unitario e cumulativo è possibile, sulla base dei principi propri dell'ordinamento processuale, estendere, ove ne ricorrano i presupposti, gli effetti favorevoli della decisione, purché non fondata su motivi personali di uno degli impugnanti, ad altro coindagato nello stesso procedimento.

In altri termini, nel procedimento di riesame delle misure cautelari reali, l'estensione agli altri coindagati degli effetti favorevoli della decisione emessa presuppone che il procedimento incidentale si svolga in modo unitario e cumulativo (Sez. 2, n. 54298 del 16 settembre 2016, Baldassarri, Rv. 268633-01), con la conseguenza che l'effetto estensivo è escluso per chi sia rimasto estraneo alla pronuncia incidentale della quale si invochi l'estensione e ciò anche nel caso in cui la pronuncia abbia rilevato una violazione della legge processuale che abbia comportato la nullità del provvedimento genetico.

Nulla esclude infatti che, in tali casi, nel procedimento principale sia stato posto riparo alla violazione della legge processuale, con la conseguenza che, se anche si trattasse di imputati o indagati di uno stesso reato, il giudice del procedimento incidentale, successivamente e separatamente attivato dagli interessati, rischierebbe, a causa della frammentazione e autonomia dei relativi procedimenti incidentali scaturenti da un iniziale provvedimento cautelare a struttura plurima, di estendere gli esiti di una pronuncia non più efficace a coloro che ad essa sono risultati estranei.

A riprova di quanto affermato rileva il fatto che, in tema di sequestro preventivo, il terzo che affermi di avere diritto alla restituzione del bene oggetto di sequestro, può dedurre, in sede di merito e di legittimità, unicamente la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene e l'inesistenza di un proprio contributo al reato attribuito all'indagato, senza potere contestare l'esistenza dei presupposti della misura cautelare (Sez. 3, n. 36347 dell'11 luglio 2019, Pica, Rv. 276700-01 principio affermato in relazione all'art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, in motivazione richiama anche Sez. 6, n. 42037 del 14 settembre 2016, Tessarolo, Rv. 268070; Sez. 3, n 15139 del 20 febbraio 2019, Organo, non massimata).

Del resto, il terzo (la società), come si è già visto, ha un rimedio autonomo e disgiunto da quello degli indagati, che può attivare sin dalla fase delle indagini preliminari e poi nel giudizio di cognizione prima che la pronuncia sia divenuta irrevocabile per chiedere la restituzione di quanto sequestrato, e, in caso di diniego, proporre appello dinanzi al tribunale del riesame (Sez. un., n. 48126 del 20 luglio 2017, Muscari e altro, Rv. 270938).

Fermo l'impedimento in precedenza segnalato quanto all'esclusione dell'effetto estensivo dell'impugnazione cautelare, neppure può condurre ad una diversa conclusione la circostanza secondo cui, a prescindere dai profili di responsabilità del legale rappresentante, l'ente che trae profitto dall'altrui condotta illecita non può mai essere considerato "estraneo" al reato ai fini della confisca diretta del profitto medesimo. Di fatti, l'estraneità al reato esige che la persona cui le cose appartengono non abbia partecipato con attività di concorso o altrimenti connesse. Un'utile indicazione si trae dal principio affermato dalla pronuncia Sez. un., n. 10561 del 30 gennaio 2014, Gubert, Rv. 258647, che ha affermato che la nozione di "persona estranea al reato" cui appartiene e va restituita la cosa sequestrata (art. 240 c.p.) è diversa da persona estranea al procedimento penale, in quanto richiede la estraneità al fatto-reato (Sez. 3, n. 17840 del 5 dicembre 2018, Limetti, Rv. 275599-02; Sez. 3, n. 6205 del 29 ottobre 2014, Mataloni, Rv. 262770-01). Anche se persona non estranea al reato, la società non può, a giudizio del Collegio, essere equiparata, per gli specifici effetti della norma di stretta interpretazione, alla posizione dell'imputato/indagato.

6. Tornando al caso di specie, come emerge dalla cronistoria della vicenda giudiziaria in esame, la società terza (sia pure non estranea) rispetto al reato alla quale è stata sequestrata la somma di denaro di euro 120.981,97, quale profitto del reato tributario commesso dagli amministratori, non aveva impugnato il decreto di sequestro avanti al tribunale del riesame ex art. 324 c.p.p., si è rivolta al P.M. chiedendo la restituzione del bene ed ha, poi, promosso incidente di esecuzione, ex art. 670 c.p.p., volto a far valere l'inesistenza del titolo nella fase delle indagini preliminari.

Il modello seguito è fuori dai parametri normativi ed ha condotto ad una decisione, quella impugnata, priva dei presupposti (la definitività della sentenza di condanna appunto) per la sua adozione.

7. È tuttavia legittimo interrogarsi se l'impugnazione del ricorrente possa essere convertita ai sensi dell'art. 568, comma 5, c.p.p., norma che sancisce l'ammissibilità della impugnazione indipendentemente dalla qualificazione ad essa data dalla parte che l'ha proposta e che costituisce espressione di un più ampio principio, in base al quale spetta al giudice dare l'esatta qualificazione dell'atto sottoposto al suo esame (tra le tante, Sez. 5, n. 4111, del 26 ottobre 2000, dep. 2001, Biancardo, Rv. 217935).

Nel caso sottoposto all'esame di questa Corte, peraltro, è tutta la catena procedimentale complessiva che è stata errata, non si tratta di convertire unicamente il ricorso per cassazione qui proposto quale appello cautelare, secondo le indicazioni delle Sez. un. Muscari, perché non vi è solo un atto scorrettamente qualificato, ma anche l'atto a monte, l'ordinanza emessa dal giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 670 c.p.p., si pone, nel caso in esame, al di fuori dei rimedi esperibili dal terzo per ottenere la restituzione di quando sequestratogli. In ogni caso, la società non è priva di rimedi che, come si è visto, potrà attivare in ogni momento.

8. Il ricorso va pertanto rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Depositata il 24 giugno 2020.

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