Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
Brescia, Sezione I
Sentenza 28 settembre 2020, n. 665

Presidente: Gabbricci - Estensore: Garbari

FATTO

Con il provvedimento in epigrafe la Questura di Bergamo ha revocato al ricorrente il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, perché da indagini successive al rilascio è emerso che lo straniero ha presentato all'amministrazione un certificato di residenza risultato contraffatto e quindi falso, in virtù del quale ha richiesto allo S.U.I. di Bergamo il ricongiungimento familiare della coniuge, ottenendone il relativo nulla osta.

Avverso l'atto impugnato sono dedotti due motivi di censura:

I. Violazione dell'art. 3, comma 3, d.P.R. 394/1999 e diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., perché il provvedimento è stato redatto solamente in lingua italiana, non compresa e non parlata dal ricorrente, né tale atto indica le ragioni che hanno reso impossibile tradurlo nella lingua del destinatario;

II. Violazione dell'art. 7 e 8 della l. 7 agosto 1990, n. 241 e diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., per omessa comunicazione dell'avvio del procedimento.

L'istanza cautelare è stata respinta con ordinanza n. 464 del 21 dicembre 2019.

L'amministrazione intimata si è costituita con memoria di mero stile.

All'udienza pubblica del 4 marzo 2020 il Collegio ha disposto istruttoria a carico della Parte resistente, che ha ottemperato con il deposito in giudizio in data 6 maggio 2020.

Il ricorrente non ha prodotto memorie o documenti in replica.

La causa è stata quindi trattenuta in decisione all'udienza pubblica del 23 settembre 2020.

DIRITTO

Il provvedimento qui censurato e la produzione documentale effettuata a seguito della disposta istruttoria evidenziano che:

- il ricorrente ha dichiarato all'amministrazione di risiedere in Bergamo, presso un indirizzo già noto, in quanto utilizzato da altri cittadini cinesi per istruire pratiche di ricongiungimento familiare ed oggetto di articolata attività d'indagine svolta dalla locale Squadra Mobile, che ha portato all'avviso di conclusione delle indagini nei confronti di 15 persone, individuate come componenti di un'associazione criminale finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina;

- in data 8 novembre 2018 lo stesso esponente è stato iscritto nel registro degli indagati, unitamente ad altri connazionali, gravemente indiziati di aver ottenuto fraudolentemente il nulla osta all'ingresso di familiari in territorio nazionale, in violazione delle norme sul t.u. immigrazione;

- nella banca dati anagrafe di Bergamo egli non risulta censito, in quanto la sua pratica di iscrizione anagrafica era stata rigettata, a riprova della sua consapevolezza di commettere un illecito amministrativo, godendo dei conseguenti benefici.

Tanto premesso il gravame è infondato.

In conformità al combinato disposto degli artt. 4, comma 2, e 5 del d.lgs. 268/1998 [recte: 286/1998 - n.d.r.] e come evidenziato da numerosi precedenti pronunce anche di questo Tribunale va, infatti, ribadito che "la presentazione da parte di cittadino extracomunitario di un documento falso in sede di richiesta di rilascio del permesso di soggiorno costituisce valida causa di revoca ovvero di annullamento dello stesso, atteso che per legge la presentazione di documentazione falsa o contraffatta o di false attestazioni a sostegno della domanda di rilascio comporta automaticamente, oltre alle relative responsabilità penali, l'inammissibilità della stessa e del relativo provvedimento (tra le tante, C.d.S., sez. III, 13 febbraio 2019, n. 1038; sez. VI, 27 aprile 2020, n. 1490; T.A.R. Parma, sez. I, 15 aprile 2019, n. 96; T.A.R. Torino, sez. I, 17 ottobre 2016, n. 1290)" (T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 6 luglio 2020, n. 520).

Il ricorrente ha prodotto scientemente una certificazione di residenza ideologicamente falsa, perché riportante un indirizzo presso il quale egli non risiedeva.

Pertanto, a prescindere dalla sua responsabilità penale, che non rileva ai fini del presente gravame, "è indubbio che egli si è procurato ed ha utilizzato documentazione ideologicamente falsa per conseguire l'accoglimento delle proprie istanze, e ciò costituisce l'unica - ma sufficiente - ragione che ha indotto la questura a negare il rilascio dei titoli di soggiorno richiesti dallo straniero (...) non appare rilevante indagare se e in quale misura il ricorrente abbia partecipato al sodalizio criminoso; anzi, è verosimile ritenere che egli ne sia rimasto totalmente estraneo e si sia limitato, per così dire, a beneficiare, illecitamente, dei "pacchetti" offerti a caro prezzo dal predetto sodalizio, frutto di attività criminale. Ciò che invece rileva nel presente giudizio, costituendo la ragione esclusiva dei provvedimenti impugnati, è la circostanza che il ricorrente, per conseguire il rilascio dei titoli richiesti, si è avvalso scientemente di documenti falsi, in quanto attestanti falsamente una residenza diversa da quella effettiva dello straniero" (T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 520/2020 cit.).

Né, come già evidenziato in sede cautelare, la declaratoria di illegittimità del provvedimento avversato può essere pronunciata in ragione dei denunciati vizi di carattere formale, giacché da un lato la mancata traduzione del provvedimento è suscettibile unicamente di rimettere il suo destinatario in termini per l'impugnativa, circostanza che qui non si rende necessaria, atteso che non vi è stata conseguente menomazione del suo diritto di difesa, dall'altro l'esponente non ha fornito in giudizio alcun argomento suscettibile di una diversa determinazione dell'amministrazione laddove evidenziato in sede istruttoria, trovando quindi applicazione l'art. 21-octies della l. 241/1990.

Il ricorso deve quindi essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente alla refusione alla resistente amministrazione delle spese di lite, che liquida in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.