Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 23 giugno 2020, n. 23027

Presidente: Di Nicola - Estensore: Scarcella

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza 21 novembre 2019, il tribunale del riesame di Caltanissetta rigettava l'istanza di riesame avanzata nell'interesse del M. avente ad oggetto il decreto emesso dal GIP/tribunale di Gela in data 10 ottobre 2019, con cui, in relazione al reato di indebita compensazione (art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2010: capo imputazione n. 5), erano state sottoposte a sequestro preventivo somme di denaro e beni fino a concorrenza dell'importo di oltre 349mila euro, con riferimento alla MA.DE. Costruzioni s.r.l., nonché, in caso di incapienza e per la parte mancante, con riguardo ai coindagati C., Ma. e M. (l.r. della società), quest'ultimo attuale ricorrente.

2. Giova precisare, per migliore intelligibilità dell'impugnazione, che il M. è sottoposto ad indagini quale legale rappresentante della MA.DE. Costruzioni s.r.l., per aver effettuato, con riguardo all'anno di imposta 2016, compensazioni indebite per l'importo pari a quello di cui è stato disposto il sequestro, utilizzando un falso credito di imposta, generato e riferito ad investimenti in aree svantaggiate e, in particolare, al tributo con codice 6742, credito che era stato inserito nei modelli di pagamento F24 utilizzati e portato indebitamente in compensazione, così consentendo, secondo la prospettazione accusatoria, il pagamento di debiti erariali, previdenziali ed assistenziali.

3. Contro l'ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, iscritto all'Albo speciale previsto dall'art. 613 c.p.p., articolando tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p.

3.1. Deduce, con il primo motivo, violazione di legge in relazione all'art. 322-ter c.p.p. e 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000 attesa l'assenza del profitto del reato ipotizzato.

Premesso che è la stessa ordinanza impugnata ad indicare la sussistenza del profitto come elemento necessario affinché si possa procedere anche al sequestro per equivalente, si sostiene che: a) nessun profitto il M. avrebbe conseguito né come singolo né come l.r. della società MA.DE. Costruzioni Generali, che non avrebbe quindi potuto mai avere un vantaggio diretto da tale operazione di compensazione; b) né risulterebbe alcun atto di indagine da cui fosse desumibile tale vantaggio per effetto della insussistente compensazione operata dalla MA.DE. nei termini e modi indicati dal P.M. A tal proposito, al fine di escludere la sussistenza del profitto, la difesa ha richiamato un documento, costituito dalla stampa del c.d. cassetto fiscale della società, da cui risulterebbe l'assenza della contestata compensazione fiscale del 25 luglio 2016, risultando invece solo che in capo alla predetta società è rimasto un debito di euro 306.278,74. Diversamente, nonostante tale risultanza documentale, il tribunale del riesame ha ritenuto che la presentazione del mod. F24 avrebbe di per sé comportato il realizzarsi del profitto a favore della MA.DE. Costruzioni Generali s.r.l., ma si tratterebbe di una circostanza smentita per tabulas, che farebbe quindi cadere l'accusa non solo nei confronti della società ma anche del ricorrente, non essendovi stato profitto per nessuno. In ogni caso, l'assenza di profitto o vantaggio economico per chi ha proceduto alla compensazione, escluderebbe la legittimità del sequestro per equivalente, anche sotto l'ipotizzata sussistenza del risparmio di imposta, per come emerge dalla lettura del provvedimento impugnato.

3.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione e di omessa motivazione sul valore probatorio del cassetto fiscale.

In sintesi, si censura il provvedimento impugnato in quanto avrebbe interpretato in modo assolutamente illogico la prova documentale fornita dalla difesa sull'inesistenza del profitto costituito dal risparmio di spesa impositiva, avendo il tribunale ritenuto che lo stesso attestasse la sussistenza di altri debiti fiscali della MA.DE. Costruzioni Generali s.r.l., non comprensivi di quanto già compensato con l'F24 del 25 luglio 2016. Si tratterebbe di affermazione irrazionale in quanto il documento prodotto, formato dall'Agenzia delle Entrate e non manomettibile dal contribuente, riporterebbe in maniera integrale il debito tributario della società, nella sua storicità, dal 2000 al 2019. Non registrando tale documento alcuna compensazione con crediti per aree svantaggiate, illogico sarebbe quindi quanto affermato dal tribunale del riesame, che invece avrebbe dovuto analizzarlo, avrebbe dovuto valutarne l'attendibilità e motivare sul punto, anche con riferimento al valore probatorio del documento su cui invece si riscontrerebbe un'omessa motivazione. A sostegno di tale assunto, la difesa del ricorrente propone alle pagg. 5/7 del ricorso uno schema riassuntivo dei numeri di ruolo presenti nel documento esistente nel fascicolo delle indagini preliminari (all. 608), e quelli indicati nel cassetto fiscale del 1° giugno 2017, documento presentato dalla difesa in udienza e richiamato nell'ordinanza impugnata, sostenendo che, attesa la coincidenza tra i numeri - salve modeste differenze dovute sia a ruoli emessi dopo il 2016 sia a ruoli cancellati per un importo di poco superiore ai 42mila euro -, sarebbe evidente l'errore in cui è incorso il tribunale, nel momento in cui ha ritenuto che i debiti presenti nel cassetto fiscale depositato in udienza, fossero diversi da quelli presenti nell'all. 608 richiamato, essendo debitrice la società dell'importo di poco più di 300mila euro, mai compensato, donde l'illogicità della motivazione.

3.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine al mancato superamento del limite di punibilità da parte del M. ex art. 10-quater, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000.

In sintesi, si censura il provvedimento impugnato in quanto avrebbe ritenuto, in modo assolutamente illogico e contraddittorio, che sussistesse il fumus del reato ipotizzato, nonostante risultasse documentalmente riscontrato che nel 2017 il debito era pari a poco più di 300mila euro, ciò in altri termini significando che la contestata compensazione non sarebbe mai avvenuta o, comunque, sarebbe avvenuta per un importo sottosoglia, pari a poco più di 42mila euro, somma ricavabile dalla sottrazione dell'importo indicato nell'imputazione sub 5), con i debiti certificati in data 1° giugno 2017 dall'Agente della riscossione. Il M. non sarebbe quindi punibile, difettando uno dei presupposti del sequestro preventivo, ossia il fumus del reato ipotizzato.

4. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta in data 3 giugno 2020, ha chiesto il rigetto del ricorso, in particolare rilevando che: a) il delitto di indebita compensazione di cui all'art. 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 si consuma al momento della presentazione dell'ultimo modello F24 relativo all'anno interessato, in quanto, con l'utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell'indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale (Sez. 3, n. 4958/2019); b) l'eventuale mancato computo della compensazione da parte dello Stato ed il conseguente non aggiornamento del c.d. cassetto fiscale non rilevano, in quanto tali operazioni sono successive alla presentazione del modello, unico fatto direttamente incidente sulla consistenza del rapporto obbligatorio tra Amministrazione e contribuente, e sono relative soltanto alla sua ricognizione, senza alcun effetto costitutivo o modificativo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, trattato ai sensi dell'art. 83, comma 12-ter, del d.l. n. 18/2020, convertito in l. n. 27/2020, è inammissibile.

2. Deve, anzitutto, premettersi che la questione del valore giuridico del cassetto fiscale ed all'inesistenza della contestata compensazione è oggetto di novum per la prima volta dedotto dinanzi a questa Corte, come emerge dall'istanza di riesame proposto davanti al tribunale di Caltanissetta. In tema di misure cautelari, la possibilità di prospettare in sede di legittimità motivi di censura non sollevati innanzi al tribunale del riesame è preclusa ove essi non siano rilevabili d'ufficio (Sez. 4, n. 44146 del 3 ottobre 2014 - dep. 23 ottobre 2014, Parisi, Rv. 260952). In ogni caso, si osserva, oltre ad essere pertinenti le osservazioni del P.G. sul punto, la censura è comunque manifestamente infondata (v. infra).

3. Tanto premesso, come anticipato, il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza, quanto al primo motivo, e inammissibile perché proposto per motivi non consentiti dalla legge, quanto al secondo ed al terzo motivo.

4. Ed invero, quanto al primo motivo, ossia la violazione di legge attesa l'asserita insequestrabilità per equivalente in considerazione dell'assenza di profitto o vantaggio economico per chi ha proceduto alla compensazione, come risulterebbe dalle risultanze del cassetto fiscale, si tratta di censura che tradisce il tentativo del ricorrente di trasformare il vizio di violazione di legge nella tipica manifestazione di "dissenso" del ricorrente in ordine alle risultanze processuali.

I giudici del riesame hanno chiarito le ragioni per le quali detto profitto è stato ritenuto ravvisabile nella condotta dei correi, e, specificamente, anche il motivo per cui anche il M. ben potesse essere ritenuto concorrente nel reato di indebita compensazione.

Si legge nell'ordinanza impugnata (pagg. 4/6) che dagli atti di indagine era emerso, peraltro con gravità indiziaria, che il M., nella qualità di amministratore della MA.DE. Costruzioni Generali s.r.l., in concorso con Ma. Rosario, nella qualità di fornitore di crediti di imposta inesistenti, e con C. Matteo, nel ruolo di intermediario e procacciatore, hanno compensato indebitamente debiti erariali, previdenziali ed assistenziali con inesistenti crediti di imposta per investimenti in aree svantaggiate, per un importo di poco più di 349mila euro, per l'anno di imposta 2016, fatto commesso a Gela il 25 luglio 2016, data di presentazione del Modello F24, con il quale sono stati compensati crediti inesistenti eccedenti la soglia di punibilità prevista dalla legge, presso la filiale di Gela della Banca Montepaschi di Siena.

Ebbene, si legge nell'ordinanza impugnata, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, il provvedimento sottoposto a riesame contiene una motivazione sufficiente in ordine alla sussistenza dei presupposti legittimanti il sequestro, avendo il Gip, per un verso, delineato i ruoli rivestiti da ciascuno degli indagati nell'ambito delle operazioni di indebita compensazione realizzate e, per altro verso, dato atto di tutti gli elementi che compongono il compendio indiziario, indicando con precisione l'importo compensato, il codice tributo utilizzato, nonché le modalità di pagamento.

A tal proposito, proseguono i giudici del riesame, è opportuno evidenziare come gli elementi indiziari emersi a carico del M. vadano, per di più, apprezzati nell'ambito di un più ampio contesto, ovvero inquadrandoli nell'ambito della vasta e complessa operazione investigativa che ha dato origine alla misura cautelare de qua. In questa prospettiva, infatti, è possibile osservare - puntualizzano i giudici del riesame - come le operazioni di indebita compensazione contestate al M. siano state poste in essere facendo ricorso ad un modus operandi pressoché sovrapponibile a quello seguito da tutti gli altri imprenditori coinvolti nell'indagine, constatando come, anche con riguardo al capo di imputazione n. 5), si sia fatto ricorso ad un meccanismo fraudolento ben rodato e consolidato.

4.1. Il Collegio cautelare di merito ha quindi ritenuto sussistente il fumus delicti del reato previsto dell'art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, non sussistendo da un canto dubbio alcuno sull'inesistenza del credito portato in compensazione e, d'altro canto, non essendo ravvisabili allo stato elementi idonei a far ritenere ictu oculi mancante il dolo del soggetto agente, anche sotto forma di dolo eventuale.

Nello specifico, hanno chiarito i giudici del riesame, l'attività di indagine svolta aveva consentito, nel dettaglio, di accertare che la MA.DE. Costruzioni Generali s.r.l. ha compensato debiti erariali, previdenziali ed assistenziali, mediante presentazione di deleghe di pagamento mod. F24, con inesistenti crediti di imposta per investimenti in aree svantaggiate, pari ad euro 349.110,65 (importo pari al profitto confiscabile per cui è stato disposto il sequestro), riferiti al tributo codice 6472.

A ciò, poi, come ulteriori elementi di riscontro, si aggiungono (v. pag. 6 ordinanza impugnata): a) il fatto che la società non avesse effettuato la preventiva comunicazione al centro operativo di Pescara; b) il fatto che nella relativa dichiarazione dei redditi, riquadro RU, non risultasse riportato l'importo del credito disponibile da portare in compensazione; c) il fatto che la società non risultava in possesso di alcun atto registrato attestante l'acquisto di crediti derivanti da investimenti in aree nazionali svantaggiate; d) le risultanze delle intercettazioni telefoniche, e l'acquisizione della e-mail che avevano consentito di acquisire quella del 21 luglio 2016 inviata dal C. al Ma., con allegato l'estratto del ruolo relativo alla società MA.DE. Costruzioni Generali s.r.l., stampato da Equitalia s.p.a., riguardante le cartelle esattoriali non pagate o pagate solo parzialmente, a far data dal 2000, per di più accompagnato da un chiaro messaggio di testo meglio descritto a pag. 6 dell'ordinanza impugnata.

4.2. A fronte di tali elementi, quindi, non vi è dubbio in ordine alla sussistenza del fatto, e quindi del relativo profitto, atteso che, per giurisprudenza di questa Corte il delitto di indebita compensazione di cui all'art. 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, richiede, sotto il profilo oggettivo, che il mancato versamento di imposta risulti formalmente "giustificato" da una illegittima compensazione, ex art. 17 d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, operata tra le somme spettanti all'erario e i crediti vantati dal contribuente, in realtà non spettanti o inesistenti (Sez. 3, n. 15236 del 16 gennaio 2015 - dep. 14 aprile 2015, Chiarolla, Rv. 263051, relativo a fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità del reato in quanto l'imputato non aveva compilato alcun mod. F24 in cui avrebbe dovuto indicare il credito, inesistente o non spettante, da portare in compensazione).

4.3. Nella specie, sussiste la prova della compilazione e presentazione del modello F24, donde la apparentemente contraria risultanza documentale costituita dal cassetto fiscale, non costituisce elemento ex se idoneo a provare l'insussistenza del fumus del reato, come del resto già chiarito dalla giurisprudenza tributaria di legittimità in sede civile (Cass. 5 ottobre 2018, n. 24435). Il delitto di indebita compensazione di cui all'art. 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 si consuma infatti al momento della presentazione dell'ultimo modello F24 relativo all'anno interessato, in quanto, con l'utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell'indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale (Sez. 3, n. 4958/2019). Ciò comporta che l'eventuale mancato computo della compensazione da parte dello Stato, ed il conseguente non aggiornamento del c.d. cassetto fiscale non rilevano, in quanto tali operazioni sono successive alla presentazione del modello, unico fatto direttamente incidente sulla consistenza del rapporto obbligatorio tra Amministrazione e contribuente, e sono relative soltanto alla sua ricognizione, senza alcun effetto costitutivo o modificativo.

In ogni caso, si tratta di questione - come supra anticipato - che non era stata sottoposta espressamente alla valutazione dei giudici del riesame, donde l'asserita violazione di legge non può essere sollevata per la prima vota dinanzi a questa Corte. È invero consolidato l'orientamento di legittimità secondo cui il disposto dell'art. 606, comma terzo, c.p.p. che prevede l'inammissibilità del ricorso se proposto per violazione di legge non dedotta con i motivi di appello, è applicabile anche nel caso di mancata deduzione in sede di riesame poiché il relativo procedimento, avendo carattere sostanziale di impugnazione del merito, si presenta equiparabile all'appello (tra le tante: Sez. 4, n. 839 del 24 giugno 1993 - dep. 21 ottobre 1993, Foti, Rv. 195324).

5. Quanto, poi, al secondo ed al terzo motivo, come anticipato, si tratta di censure inammissibili in questa sede di legittimità, in quanto - in disparte la censurata omessa motivazione in ordine al valore probatorio del c.d. cassetto fiscale, per cui valgono i rilievi esposti a proposito del primo motivo - per il resto, il ricorrente deduce un vizio di manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, che, come è noto, non è deducibile nel procedimento ex art. 325, c.p.p., delimitato dalla deducibilità del solo vizio di violazione di legge.

Sul punto è sufficiente, al fine di pervenire al giudizio di inammissibilità, richiamare la consolidata giurisprudenza di questa Corte, espressa anche autorevolmente dalle Sezioni unite, secondo cui in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di "violazione di legge" per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell'art. 325, comma 1, c.p.p., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, ma non l'illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell'art. 606 stesso codice (per tutte: Sez. un., n. 5876 del 28 gennaio 2004 - dep. 13 febbraio 2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710).

6. Tutte le doglianze poste (dalla asserita rispondenza dei numeri di ruolo presenti nell'all. 608 del fascicolo delle indagini preliminari a quelli indicati nel cassetto fiscale, da un lato, alla asserita individuazione del credito indebitamente compensato secondo un calcolo matematico risultante dalla differenza tra il profitto indicato nell'imputazione sub 5) ed i debiti certificati il 1° giugno 2017 dall'Agente della riscossione), in realtà, costituiscono il tentativo del ricorrente di trascinare sul terreno "del fatto" questa Corte di legittimità, dimenticando tuttavia che il controllo di legittimità sulla correttezza della motivazione non consente alla Corte di cassazione di sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito in ordine alla ricostruzione storica delle vicenda ed all'attendibilità delle fonti di prova, e tanto meno di accedere agli atti, non specificamente indicati nei motivi di ricorso secondo quanto previsto dall'art. 606, primo comma, lett. e), c.p.p. come novellato dalla l. n. 46 del 2006, al fine di verificare la carenza o la illogicità della motivazione (Sez. 1, n. 20038 del 9 maggio 2006 - dep. 13 giugno 2006, P.M. in proc. Matera, Rv. 233783), lett. e), del resto, come anticipato, non deducibile come vizio nella presente fase cautelare reale di legittimità, governata dall'art. 325 c.p.p., che limita la deducibilità al soli vizio di violazione di legge, con esclusione del vizio di motivazione nei termini dedotti dal ricorrente in questa sede.

7. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Depositata il 29 luglio 2020.

P. Dubolino, F. Costa

Codice civile

La Tribuna, 2024

A. Bartolini e al. (curr.)

Le riforme amministrative

Il Mulino, 2024

G. Basile

Schemi di diritto commerciale

Neldiritto, 2024