Corte di cassazione
Sezione II penale
Sentenza 17 luglio 2020, n. 24633

Presidente: Gallo - Estensore: Monaco

RITENUTO IN FATTO

Il Tribunale di Palermo, con ordinanza in data 30 ottobre 2019, ha dichiarato la nullità del decreto di citazione a giudizio per omessa notifica dello stesso decreto al difensore di fiducia di B. Nina, imputata del reato di cui all'art. 648 c.p., e ha disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero "per quanto di competenza".

1. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il pubblico ministero che ha dedotto il seguente motivo.

1.1. Abnormità del provvedimento per violazione di legge. Il ricorrente evidenzia che la nomina quale difensore di fiducia risultava depositata in data successiva alla notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari e, pertanto, il giudice, rilevata l'omessa notifica al difensore di fiducia ritualmente nominato, avrebbe dovuto disporre direttamente la rinnovazione del decreto di citazione ai sensi dell'art. 143 disp. att. c.p.p. e non la trasmissione degli atti al pubblico ministero, così determinando una indebita regressione del processo. Ragioni queste per le quali il provvedimento impugnato sarebbe abnorme.

3. In data 5 marzo 2020 è pervenuta in cancelleria la requisitoria con la quale il Procuratore Generale, Sost. Proc. Gen. Dott. Luigi Cuomo, richiamata la giurisprudenza di questa Corte in tema di abnormità, conclude per l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.

1. L'art. 568, comma 1, c.p.p. stabilisce il principio di tassatività dei casi e dei mezzi di impugnazione ed il successivo art. 591, comma 1, lett. b), c.p.p. sanziona con l'inammissibilità ogni impugnazione proposta al di fuori di quanto tipizzato.

La giurisprudenza, al fine di far fronte a situazioni di stallo determinate dall'adozione di provvedimenti strutturalmente o funzionalmente estranei all'ordinamento ha creato la categoria dell'abnormità.

In questi casi la mancata previsione normativa dell'impugnabilità del provvedimento dipende dalla sua imprevedibile estraneità a qualsiasi categoria processuale e il riconoscimento della ricorribilità per cassazione ha lo scopo specifico di superare una situazione di stallo altrimenti non rimediabile.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (da ultimo cfr. Sez. un., n. 20569 del 18 gennaio 2018, P.M. in proc. Ksouri, Rv. 272715; in precedenza Sez. un., n. 5307 del 20 dicembre 2007, dep. 2008, Battistella, Rv. 238240; Sez. un., n. 33 del 22 novembre 2000, dep. 13 dicembre 2000, P.M. in proc. Boniotti, Rv. 217244; Sez. un., n. 26 del 24 novembre 1999, dep. 2000, Rv. 215094; Sez. 6 n. 2325 dell'8 gennaio 2014, F., Rv. 258252; Sez. 2, n. 7320 del 10 dicembre 2013, dep. 2014, Rv. 259159) è affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e la stranezza del contenuto, risulti avulso dall'intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur costituendo in astratto manifestazione di un legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite.

Sotto tale profilo l'abnormità dell'atto processuale può riguardare due profili che si saldano all'interno di un fenomeno unitario (Sez. un., n. 20569 del 18 gennaio 2018, P.M. in proc. Ksouri, Rv. 272715; Sez. un., n. 25957 del 26 marzo 2009, dep. 22 giugno 2009, Toni, Rv. 243590): quello strutturale (allorché l'atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale) e quello funzionale (quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo ovvero una indebita regressione del procedimento, ponendosi, in tal caso, anche in contrasto con il principio costituzionale di ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 Cost., comma 2).

Il fatto che un provvedimento sia illegittimo, pertanto, non giustifica di per sé la sua impugnabilità con ricorso per cassazione in nome della categoria dell'abnormità, che altrimenti diverrebbe un agevole escamotage per bypassare il disposto dell'art. 568 c.p.p.

Tanto premesso il provvedimento impugnato, con il quale il giudice del dibattimento ha dichiarato la nullità del decreto di citazione a giudizio per omessa notifica al difensore e ha disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero "per quanto di competenza", indipendentemente dalla legittimità o meno dello stesso, ovvero dalla corretta applicazione dell'art. 143 disp. att. c.p.p., non può considerarsi abnorme.

Tale provvedimento, infatti, è comunque espressione dei poteri riconosciuti al giudice dall'ordinamento e non determina la stasi del procedimento, potendo il pubblico ministero disporre la rinnovazione della notificazione del predetto avviso. Ragione questa per la quale l'irritualità del provvedimento emesso non integra alcuna ipotesi di abnormità (cfr. sul punto e diffusamente Sez. 1, Sentenza n. 23347 del 23 marzo 2017, Ebrima, Rv. 270273).

Sul punto, d'altro canto, non appare condivisibile la giurisprudenza citata dal ricorrente (di contrario avviso cfr. anche Sez. 5, Sentenza n. 51402 del 9 aprile 2013, Rv. 257889), ove si consideri che l'ambito di rilevanza del vizio di abnormità dell'atto processuale deve ritenersi ridotto, fin dall'intervento della Sezioni unite di questa Corte n. 25957 del 2009, allorché si è precisato che "il regresso del procedimento è atipico, e comporta l'abnormità del relativo provvedimento solo se consegua ad un atto adottato dal giudice in carenza di potere, e invece non è abnorme quando il giudice, dichiarata la nullità del decreto di citazione, restituisca gli atti al pubblico ministero ancorché si tratti di declaratoria originata da un suo errore, in quanto l'atto rientra nella sfera di competenza del giudice e comporta tipicamente la regressione, sicché l'abnormità funzionale, riscontrabile nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, va limitata all'ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo, rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo.

Solo in siffatta ipotesi il pubblico ministero può ricorrere per cassazione lamentando che il conformarsi al provvedimento giudiziario minerebbe la regolarità del processo mentre negli altri casi egli è tenuto ad osservare i provvedimenti emessi dal giudice".

Nella specie si è verificato dunque un regresso "consentito", sia pure su un presupposto asseritamente errato, ma non sussiste alcun impedimento per il pubblico ministero alla rinnovazione della notificazione del decreto di citazione a giudizio.

Il ricorso pertanto - ribadito il principio secondo il quale "non è abnorme il provvedimento con cui il giudice del dibattimento, rilevata la mancanza della notifica all'imputato del decreto di citazione a giudizio, invece di procedere autonomamente alla rinnovazione della stessa, dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero affinché vi adempia, costituendo detto provvedimento espressione di poteri riconosciuti al giudice dall'ordinamento e non determinando, comunque, la stasi del procedimento" (Sez. 4, n. 27027 del 27 aprile 2015, P.M. in proc. Cernat, Rv. 263867) - è inammissibile.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Depositata il 1° settembre 2020.