Corte di cassazione
Sezione III civile
Ordinanza 2 novembre 2020, n. 24250

Presidente: Frasca - Relatore: Rossetti

FATTI DI CAUSA

1. Huang Z., cittadino cinese, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui all'art. 4 d.lgs. 25 [recte: 28 - n.d.r.] gennaio 2008, n. 25:

a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, ex art. 7 e ss. d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251;

b) in via subordinata, il riconoscimento della "protezione sussidiaria" di cui all'art. 14 d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251;

c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ex art. 5, comma 6, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il proprio Paese poiché perseguitato dalla polizia a causa della sua fede cristiana.

La commissione territoriale rigettò l'istanza.

2. Avverso tale provvedimento Huang Z. propose, ai sensi dell'art. 35-bis d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui all'art. 1, comma 1, d.l. 17 febbraio 2017, n. 13, del Tribunale di Roma, che la accolse parzialmente con decreto 5 aprile 2019.

Il Tribunale ritenne che:

- lo status di rifugiato non potesse essere concesso perché nella Repubblica popolare cinese vi è libertà di culto, sancita dalla costituzione [il tribunale cita, al riguardo, informazioni tratte dal sito web "Wikipedia"];

- i fatti riferiti dal ricorrente non denotavano una persecuzione da parte dello Stato, ma una persecuzione da parte di autorità della polizia locali; né il ricorrente aveva dedotto di non aver potuto ricevere protezione dalle autorità statali;

- la protezione sussidiaria non poteva essere concessa perché nel caso di specie non ricorreva nessuna delle ipotesi prevista dall'art. 14 d.lgs. 251/2007;

- il tribunale ha convenuto, citando un rapporto di Amnesty International, sul fatto che in Cina l'autorità ostacola l'esercizio della libertà religiosa, ma ha aggiunto che "le campagne delle autorità cinesi tese ad ostacolare l'esercizio della libertà religiosa non espongono al rischio di condanna a morte o all'esecuzione della pena di morte, ovvero di torture o di altre forme di trattamento inumano o degradante";

- infine, il Tribunale ha ritenuto che potesse concedersi al richiedente il permesso di soggiorno per motivi umanitari, in quanto la sua fede cristiana avrebbe potuto esporlo al rischio di persecuzione in caso di rimpatrio, rischio reputato tuttavia dal tribunale "di moderata intensità".

3. Tale decreto è stato impugnato per cassazione da Huang Z. con ricorso fondato su sei motivi.

Il Ministero dell'interno non si è difeso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, perché pongono questioni fra loro strettamente connesse.

Col primo motivo il ricorrente impugna il capo di sentenza il quale ha rigettato la domanda di concessione dello status di rifugiato, prospettando ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c. la violazione - in particolare - degli artt. 2, 8, 11 e 12 del d.lgs. 251/2007.

Deduce il ricorrente che erroneamente il tribunale ha escluso la sussistenza, nel caso di specie, dei presupposti richiesti dall'art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati.

Col secondo motivo il ricorrente deduce che erroneamente il tribunale ha ritenuto che la persecuzione proveniente da organi della polizia non fosse imputabile allo Stato.

1.1. I due motivi sono fondati.

Nel caso di specie, infatti, il tribunale, al contrario di quanto ritenuto dalla commissione territoriale, ha ritenuto "credibile e verosimile" il racconto della propria vicenda personale compiuto dal ricorrente (p. 2, secondo capoverso, del decreto impugnato); nondimeno ha negato la concessione dello status di rifugiato sul presupposto che una persona perseguitata dalla polizia non può ritenersi perseguitata "dallo Stato".

Tale affermazione non può condividersi.

L'art. 5 d.lgs. 251/2007 stabilisce che, ai fini della concessione della protezione internazionale, la persecuzione prospettata dal richiedente deve provenire:

a) dallo Stato;

b) da partiti o da organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio;

c) da soggetti non statuali, se i responsabili di cui alle lett. a) e b), comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione.

Il lemma "Stato" che compare nell'art. 5, lett. a), d.lgs. 251/2007 è, nel mondo del diritto, polisemico. Esso talora designa lo "stato-ordinamento", cioè un ordinamento giuridico superiorem non recognoscens, che la Costituzione designa, oltre che come "stato" tout court (art. 7); anche come "Repubblica" (artt. 5, 29, 114); "Patria" (art. 52); "Italia" (artt. 1, 11) o "Paese" (artt. 3, 47).

Il lemma Stato può designare tuttavia anche lo "stato-apparato", e cioè il complesso delle autorità, delle persone e delle organizzazioni cui lo stato-ordinamento attribuisce il potere di compiere gli atti giuridici e le attività materiali per il perseguimento dei propri fini istituzionali.

Il riferimento allo "Stato" contenuto nell'art. 5, lett. a), d.lgs. 251/2007 va inteso quale sinonimo di "stato-apparato", e non già di "stato-ordinamento".

Ciò per più ragioni: logiche, sistematiche, storiche.

1.2. Dal punto di vista dell'interpretazione logica, una persecuzione non può che essere concretamente messa in atto da persone, e dunque da un apparato, e non da un ordinamento giuridico in quanto tale.

Del resto, anche nel diritto internazionale è pacifico che debbano essere imputati allo Stato in quanto tale gli atti compiuti da qualsiasi organo incardinato nell'amministrazione, e non solo gli agenti governativi in senso stretto.

1.3. Dal punto di vista dell'interpretazione sistematica, anche ad ammettere che l'art. 5 d.lgs. 251/2007 fosse ambiguo, esso deve essere interpretato in modo favorevole al richiedente asilo, in coerenza con la sua ratio.

1.4. Dal punto di vista dell'interpretazione storica, infine, va ricordato che dai lavori preparatori della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004 (recante "norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta"; attuata per l'appunto dal d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251) emerge che mentre vi era contrasto tra quanti volevano limitare la protezione ai soli perseguitati dallo Stato, e quanti volevano estenderla anche alle vittime di persecuzioni private se lo Stato non fosse in grado di offrir loro protezione, nemmeno i primi avevano mai dubitato che la "persecuzione" di cui all'art. 1 della convenzione di Ginevra potesse essere sia quella proveniente dallo Stato, sia quella proveniente da organi statali.

1.5. Deve quindi concludersi che l'art. 5, comma 1, lett. a), del d.lgs. 251/2007, là dove prescrive che la protezione può essere accordata solo alle vittime di persecuzione provenienti "dallo Stato", deve essere interpretato intendendo quest'ultimo lemma come "Stato apparato", e non già come "Stato ordinamento": con la conseguenza che la concessione dello status di rifugiato non può essere negata a chi dimostri di essere perseguitato nel proprio Paese dagli organi della polizia locale, a nulla rilevando che, formalmente, tale persecuzione non sia ammessa o consentita dall'ordinamento giuridico statuale di quel Paese.

2. Gli altri motivi di ricorso restano assorbiti.

3. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

la Corte di cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.