Corte di cassazione
Sezioni unite penali
Sentenza 16 luglio 2020, n. 27104

Presidente: Fumu - Estensore: Zaza

RITENUTO IN FATTO

1. Vito C. ricorreva avverso l'ordinanza del 20 giugno 2019 con la quale il Tribunale di Taranto aveva confermato in sede di riesame l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari presso lo stesso Tribunale del 24 ottobre 2018, dispositiva dell'applicazione, nei suoi confronti, della misura cautelare degli arresti domiciliari - successivamente sostituita dallo stesso Giudice, con ordinanza del 9 febbraio 2019, con la misura dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria - per i reati di associazione finalizzata alla commissione di delitti di furto di autovetture, ricettazione di parti di ricambio dei mezzi ed estorsione di somme in danno dei derubati per la restituzione dei veicoli, operante fino al giugno del 2018, e per il concorso nel furto dell'autovettura di Barbara Ch., commesso il 6 marzo 2018.

Il provvedimento impugnato era stato pronunciato a seguito di annullamento con rinvio della precedente ordinanza dello stesso Tribunale del 22 novembre 2018, disposto con sentenza della Corte di cassazione del 30 aprile 2019 con riguardo all'assorbente motivo di ricorso a mezzo del quale era dedotta la mancata risposta all'istanza, presentata dalla difesa al pubblico ministero, di diretto esame delle registrazioni delle intercettazioni e delle videoriprese i cui contenuti sarebbero stati indizianti nei confronti del C. con riguardo al reato di furto; essendosi osservato in proposito con la sentenza rescindente che, pur potendo rinvenirsi tale risposta nel diretto deposito degli atti delle indagini presso il Tribunale, nel caso di specie la motivazione dell'ordinanza reiettiva della richiesta di riesame, nella quale si era dato genericamente atto del deposito di un dischetto relativo alle registrazioni utili, non consentiva di comprendere se in tale supporto fossero stati riversati i contenuti oggetto dell'istanza difensiva.

2. Il ricorrente proponeva sei motivi.

2.1. Con il primo motivo deduceva violazione di legge e vizio motivazionale sul rigetto dell'eccezione di inefficacia della misura cautelare in conseguenza della tardività della decisione impugnata rispetto al termine di dieci giorni, previsto dall'art. 311, comma 5-bis, c.p.p., dalla data del 5 giugno 2019 in cui erano pervenuti al Tribunale gli atti trasmessi dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, e in particolare che:

- il rigetto era motivato con la diversa individuazione del giorno di effettiva decorrenza del termine dalla data del 10 giugno 2019, nella quale il fascicolo degli atti provenienti dalla Corte di cassazione sarebbe pervenuto alla cancelleria della Sezione del riesame del Tribunale;

- tale riferimento temporale era il risultato di un travisamento delle risultanze procedimentali, allegate al ricorso, dalle quali risultava che il funzionario della cancelleria della Sezione del riesame, nella richiesta di trasmissione degli atti inviata il 7 giugno all'autorità procedente, attestava che il fascicolo della Corte di cassazione era stato ricevuto dalla stessa cancelleria il giorno precedente;

- la data del 10 giugno era viceversa annotata sulla copertina del fascicolo del riesame come quella in cui erano pervenuti gli atti richiesti all'autorità procedente, a seguito della cui ricezione l'udienza camerale era stata fissata al 14 giugno e successivamente rinviata al 20 giugno per difetto di notifica ai difensori.

2.2. Con il secondo e il terzo motivo si deduceva violazione di legge e vizio motivazionale sugli effetti della mancata trasmissione al Tribunale delle registrazioni che la difesa aveva chiesto di esaminare, e in particolare che:

- pur dandosi atto che le registrazioni non erano state trasmesse al Tribunale e non erano state neppure poste nella disponibilità del Giudice per le indagini preliminari, nel provvedimento impugnato erano state contraddittoriamente confermate le conclusioni dell'ordinanza del 20 novembre 2018 sulla sussistenza dei gravi indizi a carico dell'indagato;

- l'osservazione del Tribunale, per la quale l'istanza di visione delle registrazioni era stata presentata solo con il mezzo della posta elettronica, non teneva conto dell'irrilevanza della forma di presentazione dell'istanza nel momento in cui, come rilevato anche nella sentenza rescindente, l'accesso della difesa alle registrazioni sarebbe stato comunque garantito con il deposito delle stesse unitamente agli atti trasmessi per il riesame;

- l'ulteriore rilievo, per il quale la decisione del Giudice per le indagini preliminari era sufficientemente motivata in base alle annotazioni di servizio trasmesse al Tribunale, per un verso disattendeva il principio di diritto affermato con la sentenza di annullamento, che imponeva di dichiarare l'inutilizzabilità delle intercettazioni e delle videoriprese, non superabile con la prova di resistenza, e per altro profilo non considerava che sui contenuti delle videoriprese non vi era alcuna annotazione di polizia giudiziaria, e che la difesa aveva comunque evidenziato differenze fra le annotazioni e le registrazioni sulla possibilità di identificare in queste ultime la persona del C. e la targa dell'autovettura sottratta alla Ch.

2.3. Con il quarto motivo deduceva violazione di legge e vizio motivazionale nell'omessa valutazione dell'eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, proposta con i motivi di riesame, e dei contenuti specificamente indizianti delle annotazioni di polizia giudiziaria.

2.4. Con il quinto motivo deduceva violazione di legge e vizio motivazionale sulla sussistenza dei gravi indizi per il reato di furto, individuati nei contenuti di una videoripresa e di una conversazione intercettata fra il C. e il coindagato Francesco D., e in particolare che:

- non venivano esaminati i motivi di riesame sull'irrilevanza delle videoriprese, per non esservi identificabile la persona del C., e della conversazione intercettata, in quanto svoltasi tre giorni dopo il furto, e sulla incompatibilità della ricostruzione del Giudice per le indagini preliminari con il contenuto delle intercettazioni;

- il concorso del C. nel reato era ritenuto non motivando sulla sussistenza di un contributo alla realizzazione del delitto che superasse la mera connivenza, giungendo peraltro a conclusioni contraddittorie rispetto all'analoga posizione del coindagato Cipriano F. per il furto dell'autovettura di Erasmo Fu., per la quale il concorso era stato escluso in presenza di conversazioni intercettate di contenuto similare;

2.5. Con il sesto motivo deduceva violazione di legge e vizio motivazionale sulla sussistenza dei gravi indizi per il reato associativo, ritenuta in base all'unico furto in danno della Ch., per il quale non si realizzavano le finalità indicate come tipiche dell'associazione nell'acquisizione di pezzi di ricambio e nell'estorsione per la restituzione del mezzo, ed ai contatti con i coindagati D. e Co., individuati in intercettazioni di contenuto generico, omettendo inoltre di considerare che nell'ordinanza applicativa della misura si faceva cenno ad ulteriori contatti con il coindagato S., in realtà insussistenti.

3. Con ordinanza del 16 gennaio 2020 la Sesta Sezione penale di questa Corte, investita della decisione sul ricorso, rilevava preliminarmente l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale sull'individuazione della data dalla quale decorre il termine di dieci giorni per la decisione sulla richiesta di riesame in sede di rinvio. Si osservava in particolare che, secondo un primo orientamento, il termine decorrerebbe dalla data in cui perviene al tribunale il fascicolo inviato dalla Corte di cassazione, con la sentenza di annullamento con rinvio e gli allegati; mentre altro indirizzo colloca il momento di decorrenza del termine nella data in cui il tribunale riceve gli atti trasmessi dall'autorità procedente a seguito della richiesta in tal senso nuovamente formulata ai sensi dell'art. 309, comma 5, c.p.p. Si dava atto dell'esistenza di un ulteriore profilo problematico nell'identificazione dell'ufficio giudiziario la cui ricezione degli atti determina la decorrenza del termine, anch'esso diversamente risolto dalla giurisprudenza di legittimità con il riferimento alla cancelleria centrale del tribunale ovvero a quella della sezione del riesame. Si ritenevano rilevanti tali questioni nel caso di specie, nel quale il fascicolo della Corte di cassazione risultava pervenuto alla cancelleria centrale del Tribunale di Taranto il 6 giugno 2019 ed a quella della Sezione per il riesame dello stesso Tribunale non oltre il 7 giugno, mentre gli atti richiesti in quest'ultima data alla locale Procura della Repubblica venivano trasmessi il 10 giugno, essendo pertanto la decisione di rinvio, intervenuta il 20 giugno, tempestiva solo rispetto alla seconda di dette date; e si rimetteva pertanto il ricorso alle Sezioni unite per la soluzione del contrasto.

4. Con decreto dell'11 febbraio 2020 il Presidente Aggiunto ha assegnato il ricorso alle Sezioni unite penali, fissandone per l'udienza del 26 marzo 2020 la trattazione, successivamente rinviata ai sensi dell'art. 83, comma 1, d.l. 17 marzo 2020, n. 11, in conseguenza dell'emergenza sanitaria derivante dall'epidemia del Covid-19, e nuovamente fissata per l'odierna udienza.

5. Con memoria depositata il 30 giugno 2020 il Pubblico Ministero ha concluso, sulla questione rimessa alle Sezioni unite, conformemente all'orientamento maggioritario nella giurisprudenza per il quale il termine per la decisione del riesame in sede di rinvio decorre dalla data in cui pervengono al tribunale gli atti dallo stesso nuovamente richiesti all'autorità procedente, in considerazione del dato dirimente dell'autonomia del giudizio di rinvio, fondato su un pieno esame dell'intero materiale probatorio anche a garanzia della stessa posizione dell'indagato, che non può essere delimitato agli atti a suo tempo trasmessi dalla Corte di cassazione e da questa restituiti con la sentenza rescindente, indicati dall'art. 100 disp. att. c.p.p. in quelli funzionali per la decisione sull'impugnazione dinanzi a detta Corte e di regola non comprendenti tutti gli atti utili ai fini della decisione del riesame.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione rimessa alle Sezioni unite è posta nei seguenti termini: "Se, in tema di misure cautelari personali, nel caso di giudizio di rinvio a seguito di ordinanza che abbia disposto o confermato la misura, il termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti, previsto per la decisione dall'art. 311, comma 5-bis, c.p.p., decorra dalla data dell'arrivo alla cancelleria del tribunale o alla cancelleria della sezione del riesame del fascicolo relativo al ricorso per cassazione, comprendente la sentenza rescindente e gli atti allegati, ovvero dalla data in cui il tribunale riceva nuovamente dall'autorità giudiziaria procedente gli atti ad essa richiesti a norma dell'art. 309, comma 5, c.p.p.".

Nella questione si distinguono un primo quesito, accennato nella formulazione appena riportata ma distintamente esposto nell'ordinanza di rimessione, attinente alla determinazione della cancelleria - quella centrale del tribunale ovvero quella della sezione per il riesame - il cui ricevimento degli atti identifica il momento iniziale della decorrenza del termine per la pronuncia della decisione sulla richiesta di riesame, nel caso in cui la stessa sia assunta a seguito di rinvio dalla cassazione, ed un secondo quesito relativo all'individuazione degli atti dalla cui ricezione decorre detto termine.

Come osservato dalla Sezione rimettente, la soluzione di quest'ultimo quesito è decisiva per il giudizio sul primo motivo di ricorso, proposto sul rigetto dell'eccezione di inefficacia della misura cautelare personale in conseguenza della tardività della decisione impugnata rispetto al termine di cui sopra. La verifica degli atti del procedimento conferma infatti che tale decisione, in quanto pronunciata il 20 giugno 2019, dovrebbe considerarsi tempestiva ove si ritenesse la decorrenza del termine dalla data del 10 giugno - allorché pervenivano perché trasmessi dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Taranto gli atti alla stessa richiesti a seguito della ricezione della sentenza rescindente e degli altri atti inviati dalla Corte di cassazione - ma al contrario intempestiva ove detto termine fosse considerato decorrente da tale ricezione, nella specie avvenuta il 6 giugno presso la cancelleria centrale del Tribunale ed attestata al 7 giugno dalla cancelleria della Sezione per il riesame. Anche per questa ragione, oltre che per altre di opportunità espositiva, a tale quesito sarà qui attribuita precedenza nella trattazione.

2. Sul tema oggetto del quesito appena indicato, come pure rilevato nell'ordinanza di rimessione, si registra un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.

2.1. Si tratta di un contrasto di recente insorgenza, in quanto esplicitamente posto in essere da una delle ultime pronunce della Corte Suprema con le quali la questione è stata affrontata (Sez. 1, n. 23707 del 29 gennaio 2018, Battaglia, Rv. 273114), pur essendo detta pronuncia espressiva di un indirizzo implicitamente presupposto, come si vedrà in seguito, da altra decisione avente direttamente ad oggetto l'altro quesito in discussione (Sez. 1, n. 42473 del 17 marzo 2016, Stabile, Rv. 268103).

Secondo tale orientamento, il termine per la decisione sulla richiesta di riesame, nella fase del giudizio di rinvio a seguito di annullamento del precedente provvedimento impugnato, decorre dal momento in cui perviene al tribunale il fascicolo trasmesso dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente. Alla base dell'argomentazione che conduce a questa conclusione vi è la mancanza nella norma che disciplina questa fase del procedimento, ossia l'art. 311, comma 5-bis, c.p.p., di un espresso riferimento al passaggio che determinerebbe una diversa e successiva decorrenza del termine; segnatamente, una nuova richiesta del tribunale di trasmissione degli atti, rivolta all'autorità giudiziaria procedente, corrispondente a quella prevista dall'art. 309, comma 5, c.p.p. per il giudizio ordinario del procedimento di riesame. Questo dato negativo sarebbe da interpretarsi, secondo la citata pronuncia, nel senso dell'esclusione del passaggio di cui si è detto nella fase del rinvio; e ciò per due ordini di considerazioni.

Per un primo aspetto, questa lettura sarebbe coerente con la disposizione dell'art. 623, lett. a), c.p.p., per la quale l'annullamento dell'ordinanza impugnata comporta la trasmissione degli atti al giudice che l'ha pronunciata. Tanto renderebbe infatti non necessario l'ulteriore inoltro di una richiesta di trasmissione degli atti, superato in questa fase dalla disponibilità degli atti già assicurata dalla presenza degli stessi nel fascicolo inviato dalla Corte di cassazione.

Per altro profilo, l'interpretazione più rigorosa della mancata previsione di una nuova richiesta di trasmissione degli atti nella fase del rinvio, nel senso dell'assenza di tale passaggio procedurale, sarebbe conforme al principio affermato dalle Sezioni unite, con riguardo alla stessa norma di cui all'art. 311, comma 5-bis, sulla necessità di intendere in senso altrettanto rigoroso la previsione in detta norma di un termine specifico per il deposito del provvedimento adottato a seguito del giudizio di rinvio, pari a trenta giorni e da ritenersi non prorogabile fino al quarantacinquesimo giorno, come invece ammesso dall'art. 309, comma 10, per il deposito del provvedimento di primo grado (Sez. un., n. 47970 del 20 luglio 2017, Rezmuves, Rv. 270953). Da tale principio si desumerebbe infatti un più ampio carattere di specificità della disciplina normativa della fase di rinvio, dettata dall'art. 311, comma 5-bis, da ritenersi pertanto autonoma e diversa rispetto a quella prevista per il giudizio ordinario; derivandone l'impossibilità di attribuire alla mancanza di un richiamo alla richiesta di trasmissione degli atti all'autorità procedente, presente nella sequenza procedurale indicata nell'art. 309, il significato di un rinvio sottinteso alla relativa disposizione, e dovendosi piuttosto ritenere tale mancanza come espressiva della volontà del legislatore di escludere il momento interlocutorio della richiesta degli atti dalla procedura del giudizio di rinvio.

2.2. La posizione assunta con la sentenza Battaglia si inseriva, come si è accennato, quale dato di discontinuità rispetto ad un indirizzo giurisprudenziale fino a quel momento orientato nel senso della necessità, per la decorrenza del temine previsto per la decisione della fase di rinvio del giudizio di riesame, della ricezione da parte del tribunale degli atti nuovamente richiesti all'autorità giudiziaria procedente.

Si osservava in particolare, a questo proposito (Sez. 2, n. 15695 dell'8 gennaio 2016, Lombardo, Rv. 266729), che anche tale decisione presuppone la disponibilità di tutti gli atti presentati a sostegno della richiesta di applicazione della misura cautelare personale, e necessita altresì della possibilità di esaminare gli elementi eventualmente sopravvenuti rispetto a tale richiesta. Tenuto conto di ciò, quella stessa esigenza di una stretta interpretazione della norma di cui all'art. 311, comma 5-bis, c.p.p., che sarebbe poi stata sottolineata anche nella sentenza Battaglia, veniva intesa come conducente nella direzione della lettura della «ricezione degli atti», testualmente indicata nella norma quale momento iniziale della decorrenza del termine, come riferita agli atti ulteriormente richiesti ai sensi dell'art. 309, comma 5, e non a quelli restituiti dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente.

Questa conclusione veniva ribadita dalla giurisprudenza di legittimità sia precedentemente alla sentenza Battaglia (Sez. 2, n. 32086 del 15 giugno 2017, Arena; Sez. 6, n. 27093 del 1° marzo 2017, Speranza, Rv. 270410), che successivamente alla stessa (Sez. 4, n. 4923 del 21 gennaio 2020, Cacciola; Sez. 5, n. 21710 del 28 febbraio 2018, Marciano, Rv. 273026). Le argomentazioni della pronuncia difforme erano peraltro oggetto di specifici rilievi in altre decisioni di segno contrario (Sez. 2, n. 42329 del 9 luglio 2019, D'Agata, Rv. 277634; Sez. 2, n. 31281 del 26 giugno 2019, Montante, Rv. 276737; Sez. 2, n. 21716 dell'8 marzo 2019, Giglio, Rv. 275787; Sez. 2, n. 15622 del 18 dicembre 2018, Clarà, Rv. 275774).

Quanto in primo luogo al riferimento alla disposizione di trasmissione degli atti dalla Corte di cassazione al giudice che ha pronunciato il provvedimento annullato con rinvio, di cui all'art. 623, lett. a), c.p.p., nella sentenza Clarà se ne rilevava l'inconferenza per la problematica in discussione, dovendosi tenere conto della natura incidentale del procedimento di riesame e della indisponibilità del fascicolo processuale in capo al tribunale dinanzi al quale detto procedimento si svolge; situazione, questa, alla quale si riteneva non idonea a sopperire la restituzione degli atti a suo tempo trasmessi alla Corte di cassazione per il ricorso avverso la prima decisione sul riesame, considerato che l'art. 100 disp. att. c.p.p. dispone l'invio alla Corte Suprema, con il ricorso, degli atti occorrenti per la decisione sull'impugnazione, non necessariamente coincidenti con tutti gli atti in possesso del tribunale e valutati per la pronuncia della decisione poi annullata. Si aggiungeva d'altra parte che la procedura di riesame in fase di rinvio è disciplinata dall'art. 311, comma 5-bis, secondo una sequenza parallela a quella dettata dall'art. 309, comma 5, per il giudizio ordinario, da ritenersi pertanto integralmente richiamata per il giudizio di rinvio in assenza di disposizioni allo stesso specificamente riferite.

L'ulteriore richiamo al principio affermato con la decisione delle Sezioni unite Rezmuves era ritenuto anch'esso irrilevante per il caso di specie con la sentenza Montante, ove si sottolineava che detto principio, stabilito con riguardo alla specifica disposizione relativa al termine per il deposito dell'ordinanza all'esito del giudizio sul rinvio, non incideva in via né analogica, né di interpretazione estensiva sul diverso aspetto del significato da attribuire all'espressione «ricezione degli atti» riportata nell'art. 311, comma 5-bis. Quest'ultima disposizione, come si osservava ancora nella sentenza appena citata, veniva introdotta dall'art. 13 l. 16 aprile 2015, n. 47, intervenendo unicamente sul segmento conclusivo del giudizio di riesame in sede di rinvio e non toccando le precedenti scansioni procedurali; da tanto dovendosi desumere che la disciplina dell'art. 309, comma 5, in tema di richiesta di trasmissione degli atti all'autorità procedente, non limita la sua operatività all'ordinario giudizio di riesame, ma si estende anche alla fase del rinvio, caratterizzando la stessa nei termini di una ripartenza del giudizio anche nei suoi passaggi introduttivi. Si segnalava altresì la conformità di tale profilo procedurale alla natura del giudizio di rinvio, connotata, anche per il procedimento incidentale del riesame, da una completa rivalutazione del materiale probatorio; rilevandosi ancora l'insufficienza, ai fini di questa esigenza valutativa, della restituzione degli atti trasmessi alla Corte di cassazione, in considerazione della fisiologica parzialità della documentazione oggetto di tale trasmissione e della mancanza di disposizioni che prevedano il trattenimento degli atti presso il tribunale del riesame in pendenza del giudizio di cassazione.

3. Il contrasto, nei termini in cui è stato appena delineato, si rivela come vertente non tanto sull'individuazione del momento di decorrenza del termine per la decisione sulla richiesta di riesame in fase di rinvio, che della questione costituisce in realtà un aspetto consequenziale, quanto su un profilo che attiene propriamente alla configurazione della sequenza procedurale del particolare giudizio di rinvio di cui si discute. Si tratta, in altre parole, di stabilire se di tale sequenza, indiscutibilmente introdotta dall'arrivo presso il tribunale della sentenza rescindente e degli altri atti del fascicolo trasmesso dalla Corte di cassazione, costituisca o meno passaggio necessario l'avviso all'autorità procedente per l'invio degli atti, evidentemente ulteriore rispetto a quello già formulato nel primo grado del procedimento incidentale cautelare ai sensi dell'art. 309, comma 5, c.p.p.; e, pertanto, se si possa concludere che la decorrenza del termine di cui sopra abbia inizio solo con la ricezione degli atti trasmessi a seguito di detto avviso.

Se si guarda al contenuto della previsione normativa che direttamente si occupa del giudizio di riesame in fase di rinvio, ossia l'art. 311, comma 5-bis, c.p.p., non vi è dubbio che lo stesso non contenga alcun riferimento specifico ad una nuova richiesta di atti all'autorità procedente; limitandosi la norma a prescrivere che «il giudice decide entro dieci giorni dalla ricezione degli atti e l'ordinanza è depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione», prevedendo di seguito la sanzione di inefficacia della misura cautelare per l'inosservanza di detti termini. Il problema, a questo punto, è se la «ricezione degli atti» menzionata nella disposizione abbia ad oggetto gli atti restituiti dalla Corte di cassazione o, invece, altri atti inviati dall'autorità procedente a seguito di una richiesta rivolta in tal senso alla stessa ai sensi dell'art. 309, comma 5; norma che sarebbe da intendersi, in questa prospettiva, implicitamente richiamata quale operativa anche in sede di rinvio.

Posto che la formulazione letterale del citato comma dell'art. 311 è in sé compatibile con entrambe le letture, nell'ordinanza di rimessione si pone l'accento sulla continuità testuale ravvisabile fra tale formulazione e quella dell'art. 623, comma 1, lett. a), ove quest'ultima prevede, nel caso in cui un'ordinanza sia annullata in cassazione, la trasmissione degli atti al giudice che l'ha pronunciata; continuità che collegherebbe sistematicamente gli atti trasmessi secondo l'ultima disposizione e quelli la cui ricezione è menzionata dall'art. 311 quale momento iniziale di decorrenza del termine per la decisione in sede di rinvio, nel senso di indicare le due previsioni come riferite agli stessi atti, in mancanza di diverse indicazioni desumibili dal testo della norma da ultima citata.

Questa argomentazione non è tuttavia risolutiva. La riconducibilità delle espressioni dell'art. 623 e dell'art. 311 allo stesso compendio di atti è invero fondata su un dato letterale, ossia quello della trasmissione di atti fra diversi uffici giudiziari sia pure nell'ambito dello stesso procedimento, troppo generico per concluderne che gli atti, la cui ricezione è indicata nel comma 5-bis dell'art. 311 ai fini appena descritti, coincidano con quelli inviati dalla Corte di cassazione ai sensi dell'art. 623. Tanto, soprattutto, ove si tenga conto per un verso delle non sovrapponibili estensioni delle materie governate dalle due norme, delle quali quella di cui all'art. 623 è riferita in generale agli effetti dell'annullamento in cassazione delle ordinanze, mentre la disposizione dell'art. 311 riguarda la più delimitata fattispecie del giudizio di rinvio, a seguito di annullamento, nella procedura di riesame dei provvedimenti cautelari; e, per altro, della presenza in quest'ultima procedura di un'articolata e specifica disciplina, dettata dall'art. 309, che prevede per l'ordinario giudizio di riesame la trasmissione di atti dall'autorità procedente al tribunale, alla cui ricezione, distinta e compatibile con quella degli atti provenienti dalla Corte di cassazione, potrebbe ugualmente riferirsi l'indicazione dell'art. 311.

Rimane pertanto centrale la discussione del problema posto pocanzi, relativo all'accertamento della necessità, per il corretto svolgimento del giudizio di rinvio nel procedimento di riesame, di una nuova richiesta di atti all'autorità procedente, in conseguenza di un implicito richiamo alla previsione posta in tal senso dall'art. 309, comma 5, per il giudizio ordinario.

4. In questa prospettiva, occorre partire da una considerazione. L'art. 311, comma 5-bis, c.p.p., unica sede normativa dedicata al particolare giudizio di rinvio di cui si discute, è stato introdotto solo con l'art. 13 l. n. 47 del 2015; in precedenza, questa fase del procedimento cautelare era priva di una disciplina specifica.

In una situazione siffatta, era evidente come tale fase non potesse che ritenersi regolata dalle disposizioni previste dall'art. 309 per l'ordinario giudizio di riesame. E in effetti la giurisprudenza di legittimità, con riguardo ad un aspetto di cui si tratterà più ampiamente di seguito quale quello della possibilità di valutare in sede di rinvio elementi sopravvenuti rispetto alla decisione di annullamento in cassazione, richiamava in diverse occasioni tali disposizioni, in base alle quali la questione veniva risolta in senso positivo (Sez. 6, n. 51684 del 28 novembre 2014, De Micco, Rv. 261452; Sez. 4, n. 33659 del 19 maggio 2010, Calò, Rv. 248344).

Perché la disciplina generale dell'art. 309 possa essere considerata in tutto o in parte inoperante per effetto della novella del 2015, quest'ultima avrebbe dovuto sovrapporvi una normativa tale da governare in termini altrettanto generali la fase del rinvio. Tanto, però, non è ravvisabile anche dalla semplice lettura del testo del comma 5-bis aggiunto all'art. 311 dalla riforma; che si risolve nello stabilire precisi termini per la decisione e per il deposito del provvedimento, e nell'indicare le conseguenze della violazione di detti termini sull'efficacia della misura cautelare. Una delimitazione del contenuto della norma, questa, che veniva peraltro immediatamente colta dalla giurisprudenza di legittimità formatasi sulla stessa, ove se ne rilevava la natura essenzialmente sanzionatoria della possibile inerzia dell'ufficio giudiziario competente a decidere il riesame in sede di rinvio (Sez. 2, n. 15695 dell'8 gennaio 2016, Lombardo, Rv. 266729), in attuazione di principi di celerità di detta decisione in materia cautelare a tutela della libertà personale, affermati anche in sede comunitaria.

Il comma aggiunto all'art. 311, intervenendo in una situazione pregressa nella quale la fase del rinvio era disciplinata come quella ordinaria dall'art. 309, riduceva dunque la sua funzione nel regolare la conclusione di detta fase, ossia quella della decisione, per il solo profilo dell'indicazione della dimensione e della perentorietà dei termini per la pronuncia di tale decisione e per il deposito della relativa motivazione. Con riguardo a tutti i precedenti passaggi procedurali della fase in discussione, la stessa deve quindi ritenersi tuttora ordinata secondo le disposizioni dell'art. 309.

Tanto è del resto conforme alla natura del procedimento incidentale cautelare nel suo complesso. Si tratta, in effetti, di un procedimento le cui espressioni decisorie sono sorrette da valutazioni necessariamente condizionate dallo stato degli atti, nei momenti nei quali sono assunte, e dai dati di fatto che in quei momenti sono disponibili; dati inevitabilmente soggetti a progressive modificazioni in una situazione nella quale il procedimento si svolge parallelamente alla fase delle indagini preliminari. Tali condizioni non vengono meno, evidentemente, con la pronuncia di una sentenza di annullamento in cassazione; e permangono dunque anche nel corso del giudizio di rinvio.

In quest'ultima sede, il generale dovere del giudice di rinvio di uniformarsi al principio di diritto stabilito con la sentenza rescindente non preclude infatti l'esame di circostanze sopravvenute, idonee ad incidere sul quadro cautelare. Le Sezioni unite di questa Corte, pur affermando la ricorrenza di detto obbligo anche con riguardo al giudizio di rinvio nel procedimento cautelare, ne hanno escluso la violazione nel caso in cui il giudice del rinvio rilevi la sopravvenienza del decreto dispositivo del giudizio di merito ai fini delle possibili implicazioni della stessa per la sussistenza dei gravi indizi (Sez. un., n. 39915 del 30 ottobre 2002, Vottari, Rv. 222603). Tale orientamento, lungi dall'essere smentito, ha trovato sostanziale conferma ove, nell'attribuire efficacia preclusiva alla decisione definitiva emessa sull'appello del pubblico ministero contro l'ordinanza di rigetto della richiesta di applicazione di una misura cautelare, si è precisato come si tratti di un'efficacia rebus sic stantibus, superabile in presenza di nuove acquisizioni probatorie che determinino un mutamento della situazione di fatto sulla quale la decisione era fondata (Sez. un., n. 18339 del 31 marzo 2004, Donelli, Rv. 227359). E la possibilità di valutare nel giudizio di rinvio elementi sopravvenuti, purché gli stessi vengano introdotti nel contraddittorio delle parti e detta valutazione sia condotta in conformità al principio di diritto posto con la sentenza di annullamento, è stata ribadita dalla giurisprudenza di legittimità, oltre con le già menzionate sentenze De Micco e Calò, anche con altre pronunce successive all'aggiunta del comma 5-bis all'art. 311 c.p.p. (Sez. 2, n. 22015 del 13 febbraio 2019, Ricucci, Rv. 276652; Sez. 2, n. 53645 dell'8 settembre 2016, Lucà, Rv. 268978; Sez. 2, n. 8854 del 9 febbraio 2016, Vescovi, Rv. 266100); ciò in coerenza con l'analoga posizione assunta dalla giurisprudenza con riguardo all'effetto preclusivo del cosiddetto giudicato cautelare derivante dalla precedente decisione di riesame, ritenuto anch'esso limitato allo stato degli atti e non ostativo all'esame di elementi nuovi che modifichino il quadro cautelare (Sez. 2, n. 49188 del 9 settembre 2015, Masone, Rv. 265555; Sez. 5, n. 1241 del 2 ottobre 2014, dep. 2015, Femia, Rv. 261724).

5. Nel procedimento di impugnazione in materia cautelare, il giudizio in sede di rinvio è condotto pertanto in base agli stessi criteri valutativi propri del giudizio ordinario, che presuppongono un pieno esame del materiale probatorio disponibile al momento in cui il giudizio si svolge, coerentemente con la costante aderenza alla situazione di fatto che è nella natura di tale procedimento. È pertanto conforme a logica giuridica che, anche sul piano procedurale, il giudizio di rinvio si svolga secondo la stessa sequenza prevista per il giudizio ordinario dall'art. 309 c.p.p., come già emergente dal sistema fino alla novella del 2015 e non modificato sostanzialmente da quest'ultima, se non per il limitato aspetto dei tempi della decisione e del deposito della motivazione.

Ne deriva che, essendo parte integrante di detta sequenza l'avviso all'autorità procedente perché la stessa trasmetta al tribunale gli atti presentati a sostegno della richiesta di applicazione della misura cautelare e quelli eventualmente sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini, previsto dal comma 5 dell'art. 309, tale passaggio procedurale deve essere seguito anche nel giudizio di rinvio; conclusione, questa, peraltro rafforzata dal fatto che questo incombente è specificamente funzionale ad assicurare la disponibilità di tutto il materiale utile per la decisione in materia cautelare.

Ma ne segue altresì che la ricezione di questi atti segna anche in sede di rinvio, come previsto dal comma 10 dell'art. 309 per il giudizio ordinario, la decorrenza del termine per la decisione; e che è pertanto a questa ricezione, e non a quella degli atti trasmessi dalla Corte di cassazione, che il comma 5-bis dell'art. 311 fa riferimento in tal senso.

Queste conclusioni sono sorrette anche da un'altra considerazione. La decorrenza di un termine per la decisione è giustificata dalla disponibilità di atti che consentano di assumere tale decisione; e che permettano in particolare al giudice quella piena valutazione del materiale probatorio che si è visto essere necessaria anche nel giudizio di rinvio. Orbene, se gli atti trasmessi dall'autorità giudiziaria che procede, in quanto tali rappresentativi dello stato attuale delle indagini, garantiscono questa completezza di valutazione, altrettanto non può dirsi per gli atti restituiti dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente. Questi ultimi coincidono, infatti, con gli atti trasmessi per la decisione del ricorso per cassazione; la cui individuazione è determinata dall'art. 100 disp. att. c.p.p., come in tutti i casi in cui è impugnato un provvedimento riguardante la liberà personale, negli «atti necessari per decidere sull'impugnazione». È evidente che gli atti occorrenti nell'orizzonte valutativo del giudizio sul ricorso per cassazione, tenuto conto dei limiti nei quali lo stesso è proponibile, appaiono per ciò solo non necessariamente sufficienti nella ben più ampia prospettiva di valutazione del giudizio di rinvio. Ma, a parte questo, il riferimento esclusivo a tali atti, ai fini della decisione e quindi della decorrenza del termine per la relativa pronuncia, escluderebbe la possibilità, per l'autorità procedente, di porre a disposizione del tribunale gli elementi sopravvenuti nel corso della celebrazione del giudizio di cassazione; dei quali invece, come si è visto, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato la rilevabilità nel giudizio di rinvio.

Non conduce in una direzione diversa la pur doverosa attenzione per le esigenze di celerità del procedimento cautelare, valorizzate dall'orientamento espresso con la sentenza Battaglia e indubbiamente perseguite dalla riforma che portava all'introduzione del comma 5-bis dell'art. 311 c.p.p. Va preliminarmente osservato, in linea generale, che tali esigenze devono conciliarsi con quella della completezza degli elementi valutabili per il giudizio, anch'essa rilevante in materia cautelare ed assicurata dall'aggiornamento della disponibilità degli atti, per effetto della trasmissione degli stessi da parte dell'autorità procedente, al momento in cui il giudizio viene pronunciato. Quanto poi in particolare al richiamo dell'indirizzo giurisprudenziale minoritario al principio di diritto affermato con la sentenza delle Sezioni unite Rezmuves, lo stesso è irrilevante per la problematica qui trattata ove tale principio, anche nei termini in cui è stato confermato da successive pronunce di legittimità (Sez. 2, n. 37811 del 26 giugno 2019, Di Donato, Rv. 277088; Sez. 3, n. 11930 del 31 gennaio 2018, Mungelli, Rv. 272302), limita il suo ambito di operatività al contenuto specifico della riforma citata, riguardante per quanto detto solo la parte finale del giudizio di rinvio, sottolineando la tassatività del termine di trenta giorni fissato dalla norma per il deposito dell'ordinanza ed escludendo di conseguenza, per il giudizio di rinvio, la possibilità per il tribunale di disporre il deposito nel termine prolungato fino al quarantacinquesimo giorno, viceversa consentita dall'art. 309, comma 10, c.p.p. per l'ordinario giudizio di riesame; e non incide pertanto sui passaggi precedenti della procedura in sede di rinvio, e segnatamente sulla necessità della nuova richiesta di trasmissione degli atti all'autorità procedente, funzionale all'esigenza di completezza di cui sopra.

L'ulteriore accenno dell'ordinanza di rimessione alla mancanza, nell'orientamento giurisprudenziale maggioritario, di alcun riferimento alle conseguenze di eventuali ritardi nella trasmissione degli atti nuovamente richiesti, rispetto al termine di cinque giorni stabilito dal comma 5 dell'art. 309, riguarda un aspetto superato da quanto in precedenza osservato sulla riproduzione, nel giudizio di rinvio, di tutti i passaggi procedurali del giudizio ordinario di riesame; fra i quali sono pertanto inclusi quelli relativi alla previsione del termine di cui al citato comma 5 ed alla sanzione di inefficacia della misura cautelare prevista dal successivo comma 10 per la violazione di detto termine.

Il quesito posto dalla Sezione rimettente, relativo all'individuazione degli atti la cui ricezione determina la decorrenza dei termini per la decisione del riesame in sede di rinvio e per il deposito della relativa ordinanza, deve pertanto essere risolto, conformemente all'indirizzo giurisprudenziale prevalente, nel senso dell'inizio della decorrenza di detti termini al momento in cui pervengono al tribunale gli atti nuovamente richiesti all'autorità giudiziaria che procede, secondo la sequenza procedurale prevista dall'art. 309 c.p.p. per l'ordinario giudizio di riesame e con le sanzioni processuali ivi previste.

6. Sull'ulteriore quesito nel quale si articola la questione rimessa alle Sezioni unite, concernente l'individuazione della cancelleria la cui ricezione degli atti determina l'inizio della decorrenza dei termini di cui sopra, va preliminarmente rilevato che lo stesso, alla luce della soluzione del quesito precedentemente esaminato, viene ad inquadrarsi in una prospettiva diversa da quella nella quale era collocato nell'ordinanza di rimessione. Per un verso infatti, ove specificamente riferito alla ricezione degli atti trasmessi dalla Corte di cassazione a seguito di annullamento della prima ordinanza pronunciata sulla richiesta di riesame, detto quesito perde indubbiamente rilevanza nel momento in cui tale ricezione non determina, per quanto detto, la decorrenza dei termini per la decisione in sede di rinvio. Ma per altro, tuttavia, il punto in discussione ha incidenza sull'intera sequenza dei passaggi procedurali nei quali la ricezione di determinati atti presso il tribunale competente per il riesame dà luogo alla previsione di termini tassativi per i passaggi successivi.

Tale sequenza ha inizio, per il giudizio di rinvio, proprio con l'arrivo al tribunale degli atti inviati dalla Corte di cassazione, che, nel parallelismo che si è visto sussistere fra detto giudizio e quello ordinario sotto la comune regolamentazione delle disposizioni dell'art. 309 c.p.p., assume la funzione di atto introduttivo della procedura di rinvio, corrispondente a quella svolta per la procedura ordinaria dalla presentazione della richiesta di riesame. Ed è con riguardo al giudizio ordinario, in effetti, che ha cominciato a manifestarsi un contrasto nella giurisprudenza di legittimità sull'identificazione della cancelleria presso la quale la presentazione di detto atto introduttivo avvia la procedura con i relativi effetti, anche dal punto di vista della decorrenza dei termini.

Un primo orientamento, infatti, faceva iniziare tale decorrenza dalla ricezione della richiesta di riesame da parte della cancelleria centrale del tribunale, e non dal successivo passaggio dell'atto alla cancelleria della sezione del riesame; non avrebbero infatti rilievo, secondo tale indirizzo, i tempi di smistamento degli atti fra le ripartizioni interne del tribunale, costituendo quest'ultimo un unico ufficio giudiziario (Sez. 4, n. 2909 del 20 dicembre 2005, dep. 2006, Pristeri, Rv. 232886).

Altra lettura collocava invece l'avvio della procedura nel momento in cui la richiesta di riesame perviene alla cancelleria della sezione del riesame, in quanto competente a decidere sulla stessa (Sez. 3, n. 4417 del 17 dicembre 2009, dep. 2010, Jahaj, Rv. 246014).

Questa seconda posizione è stata ripresa con specifico riferimento al giudizio di rinvio, sul presupposto della decorrenza del termine per la relativa decisione dalla ricezione degli atti provenienti dalla Corte di cassazione, ponendo l'inizio di detta decorrenza al momento in cui detti atti pervengono alla cancelleria della sezione del riesame (Sez. 1, n. 42473 del 17 marzo 2016, Stabile, Rv. 268103); ed è stata confermata, sia pure incidentalmente, nella più volte citata sentenza Battaglia.

7. Per la soluzione del problema è opportuno osservare che la ricezione degli atti introduttivi della procedura di riesame - la richiesta di riesame per la procedura ordinaria e gli atti inviati dalla Corte di cassazione per quella di rinvio - ha come effetto immediato per entrambe le procedure, una volta accertata la necessità anche in sede di rinvio dell'avviso all'autorità procedente per la trasmissione degli atti, l'inizio della decorrenza del termine di cinque giorni previsto dall'art. 309, comma 5, c.p.p. perché questi ultimi atti pervengano al tribunale, la cui inosservanza è sanzionata con l'inefficacia della misura dal successivo comma 10.

La giurisprudenza di legittimità, superando un precedente orientamento di segno contrario (Sez. un., n. 10 del 25 marzo 1998, Savino, Rv. 210804; Sez. 1, n. 3568 del 16 giugno 1998, Capuana, Rv. 211270), ha invero individuato il momento iniziale di decorrenza del termine nella presentazione della richiesta di riesame, e non nel successivo recepimento, da parte dell'autorità precedente, dell'avviso di detta presentazione emesso dal presidente del tribunale (Sez. un., n. 25 del 16 dicembre 1998, dep. 1999, Alagni, Rv. 212073; Sez. 3, n. 2756 del 26 agosto 1999, Diana, Rv. 214789; Sez. 1, n. 2925 del 12 aprile 1999, Caputo, Rv. 213384; Sez. 1, n. 243 dell'11 gennaio 1999, Fiorenti, Rv. 212572; Sez. 2, n. 6636 del 6 novembre 1998, Sofia, Rv. 611965; Sez. 3, n. 3045 del 17 novembre 1998, Liccardo, Rv. 212204; Sez. 4, n. 2295 del 7 luglio 1998, Caruso, Rv. 211845).

Determinante, in questo senso, era il pronunciamento della Corte costituzionale sulla proposta questione di legittimità dell'art. 309, commi 5 e 10, c.p.p., nella parte in cui non vi è prevista alcuna sanzione di inefficacia della misura cautelare per la violazione dell'obbligo di immediatezza dell'avviso all'autorità procedente del deposito della richiesta di riesame; questione ritenuta non fondata a condizione che le citate disposizioni fossero interpretate nel senso della decorrenza del termine per la trasmissione degli atti, a cura dell'autorità procedente, dalla presentazione della richiesta (Corte cost., sent. n. 232 del 1998). La diversa lettura della decorrenza del termine dalla ricezione, da parte della predetta autorità, dell'avviso della presentazione della richiesta, fino a quel momento seguita dalla giurisprudenza, era infatti considerata tale da incorrere nella censura di incostituzionalità, ove il decorso di termini perentori, stabiliti dalla norma, ne risultava affidato a scelte di organi giudiziari non vincolate da tassativi vincoli temporali; essendo pertanto conforme al dettato costituzionale la diversa interpretazione, compatibile con il testo normativo, che legava il momento iniziale della decorrenza al dato certo della presentazione della richiesta di riesame.

Il principio affermato dalla Corte costituzionale, e ribadito dalla successiva giurisprudenza di legittimità, ha decisive implicazioni ai fini che qui interessano. Ne deriva, infatti, un'indicazione di carattere generale per cui il procedimento di impugnazione in materia cautelare, per la sua incidenza sul valore della libertà personale, richiede una celerità di trattazione che esclude la presenza di intervalli temporali non controllabili e non strettamente funzionali alle esigenze giudiziarie. La sequenza procedurale, in altre parole, deve essere caratterizzata da cadenze segnate da tempi certi, che consentano di giungere ad una sollecita definizione; e nella successione di tali cadenze non possono inserirsi momenti di stasi dovuti ad esigenze burocratiche.

A questi criteri si ispiravano del resto le Sezioni unite, pur nell'ambito della superata interpretazione nel senso della decorrenza del termine per la trasmissione degli atti dall'avviso della presentazione della richiesta di riesame ricevuto dall'autorità procedente, ove precisavano che vi è inosservanza del termine per il solo fatto che gli atti non pervengano tempestivamente al tribunale, a nulla rilevando che il loro invio sia avvenuto entro la scadenza del termine (Sez. un., n. 13 del 17 dicembre 1997, Schillaci, Rv. 209034).

Orbene, il transito degli atti dalla cancelleria centrale del tribunale, ove gli stessi siano materialmente pervenuti, alla cancelleria della sezione del riesame, costituisce per l'appunto uno dei passaggi burocratici interni all'ufficio giudiziario i cui tempi di espletamento non possono prolungare, secondo i principi appena enunciati, la sequenza del procedimento di impugnazione in materia cautelare. Tanto essendo valido per gli atti introduttivi sia della procedura ordinaria di riesame che per quella di rinvio, quanto in particolare a quest'ultima la ricezione del fascicolo trasmesso dalla Corte di cassazione dà pertanto inizio al giudizio di rinvio dal momento in cui gli atti stessi pervengono alla cancelleria del tribunale, essendo irrilevante il tempo impiegato per il successivo passaggio del fascicolo alla cancelleria della sezione del riesame; e da quel momento comincia a decorrere il termine di cinque giorni entro il quale l'autorità procedente, all'uopo avvisata, deve provvedere alla trasmissione degli atti richiesti.

8. Deve pertanto essere affermato il seguente principio di diritto:

"Nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento di ordinanza che abbia disposto o confermato la misura cautelare personale, il procedimento di riesame si svolge seguendo le stesse cadenze temporali e con le stesse sanzioni processuali previste dall'art. 309, commi 5 e 10, c.p.p., con inizio di decorrenza dei relativi termini dal momento in cui gli atti trasmessi dalla Corte di cassazione pervengono alla cancelleria del tribunale".

9. Alla luce del principio appena formulato, il motivo dedotto sul rigetto dell'eccezione di inefficacia della misura cautelare è infondato.

Il fascicolo inviato dalla Corte di cassazione perveniva infatti alla cancelleria centrale del Tribunale di Taranto il 6 giugno 2019, ed il giorno seguente, essendo stato detto fascicolo trasmesso alla cancelleria della sezione del riesame di quel Tribunale, venivano richiesti alla Procura della Repubblica in sede gli atti che pervenivano alla stessa cancelleria il 10 giugno, quindi entro il termine di cinque giorni dall'arrivo degli atti del giudizio di legittimità. Da tale ultima data decorreva poi il termine per la decisione, che veniva tempestivamente assunta il 20 giugno.

10. I motivi dedotti sugli effetti della mancata trasmissione al Tribunale delle registrazioni che la difesa aveva chiesto di esaminare sono infondati.

Rammentato che tali registrazioni riguardavano in particolare tracce foniche di intercettazioni e filmati ripresi da videocamere, nelle eccezioni poste dal ricorrente devono essere individuate e distinte due diverse questioni.

10.1. Un primo aspetto concerne il dato, in sé considerato, dell'assenza delle registrazioni fra gli atti posti a disposizione del Tribunale nella procedura di riesame.

Sul punto si osservava nel provvedimento impugnato che le registrazioni non risultavano neppure inviate al Giudice per le indagini preliminari con la richiesta di applicazione della misura cautelare, per effetto di una scelta legittima del pubblico ministero, a cui compete la selezione degli atti da trasmettere a sostegno di tale richiesta, senza che la stessa abbia effetti sull'efficacia della misura; che di conseguenza il Giudice per le indagini preliminari aveva provveduto sull'emissione della misura in base, fra gli altri atti, alle annotazioni di polizia giudiziaria sul contenuto delle registrazioni, queste invece trasmesse; e che pertanto correttamente dette annotazioni, e non anche le registrazioni, erano state poi inviate al Tribunale per il riesame.

A tanto il ricorrente oppone una generica censura di contraddittorietà di tale argomentazione, che sembra sottendere l'adesione ad una tesi di illegittimità della scelta di non presentare le registrazioni a sostegno della richiesta di applicazione della misura cautelare. L'infondatezza di questa tesi è tuttavia chiaramente evidenziata nel costante e condivisibile orientamento giurisprudenziale, per il quale il pubblico ministero non ha l'obbligo di mettere a disposizione del giudice per le indagini preliminari, con la richiesta di cui sopra, l'interezza degli atti dell'indagine, potendo l'organo dell'accusa utilizzare a questi fini gli elementi che egli ritenga rilevanti e ostensibili (Sez. 4, n. 53168 del 5 ottobre 2017, Brahja, Rv. 271682; Sez. 4, n. 44004 del 19 luglio 2013, Jussi, Rv. 257698; Sez. 2, n. 6367 dell'8 febbraio 2012, Protopapa, Rv. 252107; Sez. 5, n. 47080 del 26 ottobre 2011, Rapisarda, Rv. 251441; Sez. 1, n. 47353 del 25 novembre 2009, Crimi, Rv. 245636); principio, questo, specificamente affermato con riguardo al caso, similare a quello in esame, della trasmissione di un'informativa di polizia giudiziaria riportante stralci di una conversazione intercettata, in luogo della registrazione integrale dell'intercettazione (Sez. 6, n. 18448 dell'8 aprile 2016, Provenzano, Rv. 2669281).

Altrettanto conforme ai principi vigenti in materia è la conclusione sull'assenza di alcuna causa di inefficacia della misura per effetto della mancata trasmissione al Tribunale delle registrazioni in discussione, in quanto non facenti parte del compendio degli atti valutati dal Giudice per le indagini preliminari. L'art. 309, comma 5, c.p.p. prevede infatti che, per la decisione sul riesame, vengano posti a disposizione del tribunale gli atti presentati a norma dell'art. 291, comma 1, e quindi quelli inviati al giudice per le indagini preliminari con la richiesta di applicazione della misura, oltre agli elementi sopravvenuti a favore dell'indagato. E che solo con riguardo a tali atti sia ravvisabile, di conseguenza, la sanzione di inefficacia della misura per l'omessa trasmissione, è altresì oggetto di risalente e reiterata affermazione nella giurisprudenza di legittimità (Sez. un., n. 21 del 20 novembre 1996, dep. 1997, Glicora, Rv. 206955; Sez. 1, n. 29036 del 6 febbraio 2018, Scordio, Rv. 273296; Sez. 4, n. 18807 del 23 marzo 2017, Cusmano, Rv. 269885; Sez. 2, n. 21822 del 26 febbraio 2014, Sciolto, Rv. 259844; Sez. 6, n. 7521 del 24 gennaio 2013, Cerbasio, Rv. 254586), anch'essa ribadita relativamente a tematiche analoghe a quella qui trattata, ove la denunciata omissione riguardava i supporti magnetici delle videoriprese (Sez. 3, n. 9158 del 2 febbraio 2016, El Alami, Rv. 266573; Sez. 6, n. 39923 del 12 giugno 2008, Cristiano, Rv. 241874) e delle intercettazioni (Sez. 6, n. 22570 dell'11 aprile 2017, Cassese, Rv. 270036).

10.2. La seconda questione riguarda la mancata risposta all'istanza difensiva di esame delle registrazioni, presentata al pubblico ministero; problematica, lo si ricorda, oggetto dell'annullamento della precedente ordinanza del Tribunale sotto il profilo della necessità di accertare la messa a disposizione delle registrazioni per il riesame, e attualmente superata dalle conclusioni che precedono sull'assenza di tali registrazioni già negli atti trasmessi al Giudice per le indagini preliminari con la richiesta di applicazione della misura.

Sul punto va preliminarmente osservato che la sussistenza dell'obbligo del pubblico ministero di provvedere sull'istanza di accesso alle registrazioni delle conversazioni intercettate ed utilizzate ai fini dell'adozione di una misura cautelare, in tempo utile per consentire l'esercizio dei diritti difensivi nel procedimento di riesame, è stata affermata dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. un., n. 20300 del 22 aprile 2010, Lasala, Rv. 246908; Sez. 4, n. 24866 del 28 maggio 2015, Palma, Rv. 263729; Sez. 2, n. 35692 del 17 aprile 2013, Conte, Rv. 256461), estend[end]one la portata anche al caso in cui l'istanza abbia ad oggetto la visione delle registrazioni di videoriprese (Sez. 3, n. 9158 del 2 febbraio 2016, El Alami, Rv. 266573). Quanto agli effetti dell'inadempimento a tale obbligo, la citata sentenza delle Sezioni unite Lasala limitava gli stessi all'area della responsabilità disciplinare o penale del magistrato del pubblico ministero. La successiva giurisprudenza ha però fatto derivare dalla violazione anche conseguenze attinenti alla validità della prova oggetto delle registrazioni; ravvisandovi una causa di nullità o comunque un vizio nell'acquisizione della stessa, tale da determinarne l'inutilizzabilità nel giudizio cautelare (Sez. 3, n. 10951 del 17 gennaio 2019, Spada, Rv. 275868; Sez. 2, n. 32490 del 7 luglio 2010, Russo, Rv. 248187).

Tale problema di inutilizzabilità delle intercettazioni e delle videoriprese a carico del C. era però ritenuto insussistente nel provvedimento impugnato in base ad una considerazione, ritenuta dirimente, sulla validità dell'istanza di accesso alle registrazioni. Quest'ultima, si osservava, risultava presentata l'8 novembre 2018 alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Taranto con il mezzo della posta elettronica certificata, come del resto ammesso nei motivi depositati dalla difesa dell'indagato alla prima udienza di riesame del 22 novembre 2018; e quindi con un mezzo non consentito o, comunque, tale da imporre alla parte instante l'onere di verificare che l'atto fosse effettivamente pervenuto alla conoscenza del magistrato titolare del procedimento, circostanza nella specie non avvenuta.

L'argomentazione è nel suo complesso conforme ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, nella quale si individuano due orientamenti diversi e tuttavia entrambi conducenti, nel caso di specie, a conclusioni analoghe a quelle assunte dal Tribunale. Secondo un primo indirizzo, infatti, non è consentita alle parti private la presentazione di comunicazioni o istanze mediante la posta elettronica certificata, mezzo il cui uso è previsto solo per le comunicazioni e le notificazioni da effettuarsi a cura della cancelleria (Sez. 1, n. 2020 del 15 novembre 2019, dep. 2020, Turturo, Rv. 278163 per il deposito di motivi aggiunti di impugnazione; Sez. 4, n. 39675 del 23 aprile 2019, Lyadi, Rv. 277577 per l'istanza di riparazione per ingiusta detenzione; Sez. 1, n. 26877 del 20 marzo 2019, Antille, Rv. 276915, Sez. 5, n. 48911 del 1° ottobre 2018, N., Rv. 274160, e Sez. 2, n. 31314 del 16 maggio 2017, P., Rv. 270702 per l'istanza di rinvio per legittimo impedimento; Sez. 4, n. 21056 del 23 gennaio 2018, D'Angelo, Rv. 272740 per l'opposizione a decreto penale; Sez. 1, n. 18235 del 28 gennaio 2015, Livisianu, Rv. 263189 per l'istanza di rimessione in termini). Altre pronunce, ritenendo la presentazione in questa forma irregolare, ma non tale da rendere l'atto irricevibile, la considerano non ostativa all'esame dell'atto in tal modo trasmesso, ove comunque portato all'attenzione del giudice (Sez. 6, n. 2951 del 25 settembre 2019, Di Russo, Rv. 278127); e tuttavia, proprio tenuto conto di quest'ultima condizione, ravvisano la sussistenza di un onere della parte di verificare che l'istanza sia effettivamente ricevuta dalla cancelleria e sottoposta al giudice (Sez. 6, n. 35217 del 18 luglio 2017, C., Rv. 270912; Sez. 2, n. 47427 del 7 novembre 2014, Pigionanti, Rv. 260963).

Nel caso di specie, anche a voler seguire il secondo orientamento, il Tribunale motivava adeguatamente come l'istanza di visione e ascolto delle registrazioni presentata nell'interesse del C. non risultasse pervenuta al magistrato del pubblico ministero competente ad esaminarla, e come l'instante non avesse pertanto assolto l'onere di cui sopra, assumendosi pertanto le relative conseguenze in termini di omessa presentazione dell'istanza nelle forme consentite e di impossibilità di eccepire il mancato esame della richiesta.

Tale motivazione non è oggetto di specifiche censure da parte del ricorrente, il quale si limita a sostenere che le forme di presentazione dell'istanza sarebbero irrilevanti rispetto alla possibilità di consentire comunque l'accesso della difesa alle registrazioni con il deposito delle stesse fra gli atti trasmessi al Tribunale per il riesame; argomento, questo, inconferente nel momento in cui l'irregolare proposta dell'istanza escludeva in radice la sussistenza dell'obbligo del pubblico ministero di porre le registrazioni a disposizione della difesa.

10.3. Qualora si volessero tuttavia trascurare queste considerazioni, prospettando il problema dell'essere le stesse superate dalla necessità di aderire al principio di diritto affermato con la sentenza di annullamento - ove lo stesso chiamava unicamente il Tribunale a verificare l'inclusione delle registrazioni fra gli atti trasmessi per la procedura di riesame e le relative conseguenze in tema di eventuale inutilizzabilità della prova - è comunque decisiva la circostanza, risultante dall'esame degli atti, per la quale già in epoca precedente alla pronuncia della sentenza rescindente la difesa dell'indagato aveva avuto a disposizione le registrazioni di cui si discute. Come attestato in una nota della Squadra Mobile della Questura di Taranto, depositata dalla difesa l'11 aprile 2019 fra gli allegati ai motivi aggiunti al primo ricorso per cassazione, il 25 gennaio 2019 le registrazioni venivano infatti consegnate al difensore avv. Lorenzo Pulito. A conferma di ciò, lo stesso difensore, nell'istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare presentata il 5 febbraio 2019 e parzialmente accolta, affermava di aver potuto «finalmente» visionare la registrazione delle videoriprese; e d'altra parte nessuna ulteriore richiesta di accesso alle registrazioni compariva nella memoria depositata dalla difesa per l'udienza nel giudizio di rinvio.

Tenuto conto di ciò, il ricorso si rivela in conclusione generico ove non vi è precisata l'incidenza sul complesso probatorio degli atti di cui si deduce l'inutilizzabilità, come richiesto dai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. un., n. 23868 del 23 aprile 2009, Fruci, Rv. 243416; Sez. 6, n. 1219 del 12 novembre 2019, dep. 2020, Cocciadiferro, Rv. 278123), e in particolare non è indicato dal ricorrente il pregiudizio che la difesa avrebbe in concreto subito a seguito della mancanza delle registrazioni nel materiale valutato dal Tribunale nel giudizio di riesame, le cui conclusioni erano assunte in base alle annotazioni di polizia giudiziaria sui fatti emergenti da tali registrazioni. I riferimenti del ricorso a difformità fra i contenuti delle annotazioni e delle registrazioni, in quanto indicati unicamente nella possibilità di identificare nelle riprese la persona del C. e il numero della targa dell'autovettura sottratta alla Ch., sono infatti inconferenti ove già nell'ordinanza applicativa della misura, come meglio si dirà in seguito, l'identificazione dell'indagato era affidata all'individuazione del tipo dell'autovettura che compariva nei filmati, in quanto posto in correlazione con altri elementi.

11. Il motivo dedotto sull'omessa valutazione dell'eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche è inammissibile.

Il ricorso è generico sul punto, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, nel mero richiamo ai motivi proposti in sede di riesame, dei quali non viene precisato il contenuto argomentativo (Sez. 6, n. 11008 dell'11 febbraio 2020, Bocciero, Rv. 278716; Sez. 3, n. 13744 del 24 febbraio 2016, Schiorlin, Rv. 266782; Sez. 2, n. 9029 del 5 novembre 2013, dep. 2014, Mirra, Rv. cui nella sentenza rescindente 258962). Nella stessa richiesta di riesame, peraltro, la deduzione si riduceva alla altrettanto generica doglianza di mancanza di gravi indizi di reità e di indispensabilità che giustificassero l'autorizzazione alle intercettazioni; e nella sentenza di annullamento, d'altra parte, non si faceva riferimento a questioni sull'utilizzabilità delle intercettazioni diverse da quelle discusse al punto precedente.

12. Il motivo dedotto sulla sussistenza dei gravi indizi per il reato di furto è infondato.

Il punto era oggetto di motivi di riesame che, in quanto ritenuti assorbiti nella sentenza rescindente, dovevano senza dubbio essere esaminati nel giudizio di rinvio, come peraltro convalidato dalla costante giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 49750 del 4 luglio 2019, Diotallevi, Rv. 277438; Sez. 5, n. 5509 dell'8 gennaio 2019, Castello, Rv. 275344; Sez. 4, n. 49875 del 20 settembre 2018, S., Rv. 274044; Sez. 6, n. 17770 dell'11 gennaio 2018, P., Rv. 272973; Sez. 5, n. 39786 dell'11 luglio 2017, Zordan, Rv. 271074).

Nel provvedimento impugnato era premesso a questo proposito un richiamo agli elementi esposti nell'ordinanza applicativa della misura. Tanto, come pure affermato da condivisibile giurisprudenza, adempie all'obbligo di motivazione ove non vi sia necessità di valutare doglianze difensive idonee a disarticolare l'argomentazione probatoria dell'ordinanza genetica (Sez. 6, n. 566 del 29 ottobre 2015, dep. 2016, Nappello, Rv. 265765; Sez. 6, n. 9752 del 29 gennaio 2014, Ferrante, Rv. 259111); condizione, questa, che non ricorreva nelle censure proposte dal ricorrente, non potendo farsi riferimento a tali fini, secondo i principi rammentati al punto precedente, a rilievi proposti con la richiesta di riesame e non riprodotti nel ricorso.

Nell'ordinanza dispositiva della misura cautelare si osservava che l'autovettura sottratta alla Ch. nella notte fra il 5 e il 6 marzo del 2018 era rinvenuta il successivo 9 marzo a breve distanza dal luogo di dimora del C.; che dalla ripresa di una videocamera sita nel luogo del ritrovamento del veicolo risultava che lo stesso vi era giunto dopo il furto contemporaneamente ad un'autovettura Alfa Romeo 147; che il C. ed il coindagato Danilo Co. in quel periodo avevano la disponibilità di un'autovettura di questo tipo, come evidenziato dalle intercettazioni e da un controllo di polizia eseguito il 17 marzo 2018; e che quaranta minuti dopo il rinvenimento della vettura veniva intercettata una telefonata con la quale il C. riferiva al coindagato D. della scomparsa dell'autovettura che si trovava sotto la sua abitazione.

Il quadro indiziario a carico del C. era pertanto ricostruito nella correlazione fra diversi elementi convergenti nell'indicare il predetto quale concorrente nel furto dell'autovettura. A fronte di questo, le doglianze del ricorrente sull'impossibilità di identificare la persona dell'indagato nelle videoriprese e sul tempo trascorso fra il furto e la conversazione telefonica intercettata si soffermano su singoli particolari e non colgono il significato probatorio della complessiva concordanza dei dati fattuali riportati. La denunciata incompatibilità della ricostruzione accusatoria con i contenuti delle intercettazioni è oggetto di un'affermazione all'evidenza generica, ove tali contenuti non sono precisati. Ed altrettanto generica è la censura di contraddittorietà della motivazione rispetto alla mera connivenza ritenuta per la posizione asseritamente analoga del coindagato F. con riguardo ad altro episodio di furto. Dalla lettura dell'ordinanza genetica risulta infatti che a carico del F. vi era solo l'intercettazione di una conversazione nella quale lo stesso diceva di una situazione di confusione creatasi sotto la sua abitazione in concomitanza con il rinvenimento dell'autovettura sottratta a Erasmo Fu., tale da non chiarire se il F. avesse partecipato al furto, avesse solo custodito l'autovettura o si fosse limitato ad avvisare gli altri indagati del ritrovamento della stessa; mentre per il C., come si è detto, la presenza di un'autovettura dello stesso tipo di quella all'epoca in uso allo stesso all'arrivo del veicolo oggetto di furto nel luogo di custodia, in quanto valutata unitamente alla dimora dell'indagato nella zona ed alla consapevolezza del parcheggio della vettura mostrata dal C. nella conversazione intercettata, era ritenuta dimostrativa del concorso dell'indagato nell'intera operazione delittuosa.

Essendo pertanto il richiamo al contenuto dell'ordinanza applicativa della misura tale da integrare congrua motivazione rispetto a rilievi difensivi inidonei ad incidere sulla concludenza delle relative argomentazioni, non è infine condivisibile il rilievo, proposto dal Pubblico Ministero a sostegno della richiesta di annullamento con rinvio del provvedimento impugnato, per il quale il predetto richiamo sarebbe insufficiente in quanto riferito ad un'ordinanza motivata in base ad intercettazioni e videoriprese le cui registrazioni non erano agli atti, in mancanza di adeguata spiegazione dell'adeguatezza delle annotazioni di polizia giudiziaria. Valgono anche a questi fini, infatti, le considerazioni svolte per altri aspetti sulla mancanza di alcuna deduzione difensiva in ordine a significative difformità delle registrazioni, nella rappresentazione dei contenuti delle intercettazioni e delle riprese, rispetto alle annotazioni, e quindi sul giustificato riferimento motivazionale a queste ultime dei provvedimenti cautelari emessi nei confronti del C.

13. È da ultimo infondato il motivo dedotto sulla sussistenza dei gravi indizi per il reato associativo.

Richiamate anche a questo riguardo le osservazioni di cui al punto precedente sull'adeguatezza motivazionale del rinvio alle argomentazioni dell'ordinanza applicativa della misura, in assenza di deduzioni difensive idonee atte ad incidere significativamente su tali argomentazioni, va osservato che nel provvedimento genetico venivano individuate conversazioni intercettate dalle quali emergeva che il D. si avvaleva nell'attività criminosa della collaborazione del C. e del Co., e che questi ultimi avevano contatti con il coindagato S. per i furti da eseguire e per i rapporti estorsivi con le vittime degli stessi. A tanto deve peraltro aggiungersi quanto rilevato nell'ordinanza del Tribunale annullata, anch'essa oggetto di implicito richiamo nella parte in cui vi si rilevava che la già menzionata conversazione con il D. sulla sparizione dell'autovettura sottratta alla Ch. dal parcheggio presso l'abitazione del C., e il linguaggio criptico utilizzato nell'occasione, denotavano l'inserimento dell'indagato nel contesto associativo.

Le censure del ricorrente si limitano sul punto a rilievi sull'assenza di connotazioni associative nella vicenda del furto dell'autovettura della Ch., inconferenti rispetto ad una motivazione fondata sull'interezza delle conversazioni intercettate, ad una generica doglianza di insufficienza probatoria di tali conversazioni e ad un'altrettanto generica affermazione di insussistenza dei contatti dello S., che trascurava un preciso passaggio dell'ordinanza dispositiva della misura nel quale un contatto di questo genere era collocato in un'intercettazione del 20 febbraio 2018. Si tratta pertanto di deduzioni parziali e comunque non tali da scardinare la ricostruzione richiamata nel provvedimento impugnato.

14. Il ricorso deve in conclusione essere rigettato, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Depositata il 29 settembre 2020.

P. Dubolino, F. Costa

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