Corte di cassazione
Sezione II civile
Ordinanza 6 novembre 2020, n. 24827
Presidente: Oricchio - Relatore: Oliva
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 15 giugno 2001 G. Bruno e C. Angela convenivano in giudizio Ga. Antonello innanzi il Tribunale di Massa per ottenere l'individuazione dell'esatto confine tra i fondi degli attori e del convenuto e per sentir condannare quest'ultimo alla demolizione delle opere eseguite in violazione della disciplina urbanistica vigente ed al risarcimento del danno correlato. Deduceva parte attrice che il convenuto aveva realizzato una sopraelevazione del proprio edificio a distanza inferiore a quella legale dal confine tra i fondi, ed aveva inoltre demolito e ricostruito, ingrandendolo, un altro manufatto insistente sul suo terreno, occupando la proprietà degli attori per circa 2 mq.
Si costituiva il convenuto resistendo alla domanda ed eccependo che G. Bruno aveva concesso al padre del Ga. l'autorizzazione alla sopraelevazione dell'edificio.
Con sentenza n. 421/2004 il Tribunale di Massa rigettava la domanda relativa alla sopraelevazione valorizzando l'assenso alla sopraelevazione manifestato dal G.; accoglieva invece l'altra domanda concernente il secondo manufatto, del quale ordinava la demolizione.
Interponevano appello gli originari attori avverso detta decisione e si costituiva in seconda istanza il Ga. per resistere al gravame.
Con la sentenza impugnata, n. 777/2015, la Corte di Appello di Genova accoglieva l'impugnazione ordinando all'odierno ricorrente la demolizione della sopraelevazione.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione Ga. Antonello affidandosi a due motivi.
Resistono con controricorso G. Piero, G. Enzo, G. Roberto, G. Cinzia e C. Angela, tutti aventi causa di G. Bruno, e l'ultima anche in proprio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta a violazione ed errata applicazione degli artt. 873 c.c. e 31 del Regolamento edilizio del Comune di Massa in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto valorizzare l'assenso del G. Bruno alla sopraelevazione dell'edificio di proprietà Ga. ed applicare in favore di quest'ultimo il criterio della prevenzione.
La doglianza è infondata.
Premesso che la questione della prevenzione risulta posta soltanto con il ricorso in Cassazione, poiché di essa non si fa alcun cenno nella sentenza impugnata ed il ricorrente non deduce, nel motivo in esame, di averla dedotta nei gradi di merito del giudizio, occorre ribadire che le distanze minime previste dai regolamenti locali non sono utilmente derogabili, a differenza di quelle generali previste dal codice civile, per effetto di pattuizioni tra i confinanti. In proposito, occorre ribadire che "In tema di distanze legali nelle costruzioni le prescrizioni contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi, essendo dettate - contrariamente a quelle del codice civile - a tutela dell'interesse generale a un prefigurato modello urbanistico, non sono derogabili dai privati. Ne consegue l'invalidità - anche nei rapporti interni - delle convenzioni stipulate fra proprietari confinanti le quali si rivelino in contrasto con le norme urbanistiche in materia di distanze, salva peraltro rimanendo la possibilità - per questi ultimi - di accordarsi sulla ripartizione tra i rispettivi fondi del distacco da osservare" (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 2117 del 4 febbraio 2004, Rv. 569890; conformi, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 6170 del 22 marzo 2005, Rv. 581472; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 9751 del 23 aprile 2010, Rv. 612554; Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 26270 del 18 ottobre 2018, Rv. 650783).
La Corte ligure, pertanto, ha correttamente applicato gli insegnamenti di questa Corte, ritenendo invalida la pattuizione intervenuta tra le parti circa la deroga delle distanze minime previste dal regolamento locale del Comune di Massa.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 872 c.c. e 31 del Regolamento edilizio del Comune di Massa in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe potuto al massimo accogliere la domanda risarcitoria, ma non anche quella di demolizione, poiché il fabbricato di proprietà Ga. esisteva da tempo immemore e non ha alcun edificio frontistante; la sua eventuale inedificabilità interesserebbe soltanto un triangolo di circa 2 mq., soltanto al primo piano, e quindi non avrebbe senso ordinare la demolizione di una così minima porzione, ma sarebbe più che sufficiente la condanna al risarcimento del danno.
La doglianza è infondata. L'art. 872 c.c. prevede infatti espressamente il diritto di colui che ha subito un danno per effetto della violazione delle distanze legali previste dal codice civile o da esso richiamate (e quindi anche per violazione delle prescrizioni contenute nei regolamenti locali, espressamente richiamati dal successivo art. 873 c.c.), di agire per il risarcimento del danno "salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino". Le due azioni, ripristinatoria e risarcitoria, quindi, coesistono tanto in ipotesi di violazione delle norme codicistiche che in caso di violazione dei regolamenti locali, a prescindere da qualsiasi considerazione circa l'entità della violazione. L'unica diversità sussiste nel fatto che mentre il danno da risarcire dev'essere provato nella sua effettiva sussistenza ed entità, il diritto al ripristino, mediante demolizione, consegue automaticamente all'accertamento della violazione, indipendentemente dall'esistenza o entità del danno e a prescindere dall'eventuale esercizio, o mancato esercizio, da parte della P.A. del potere di ordinare la demolizione del manufatto edificato o modificato in violazione delle distanze legali (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 7747 del 2 agosto 1990, Rv. 468494; conf. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1838 del 23 marzo 1982, Rv. 419679 e Cass., Sez. 2, Sentenza n. 20608 del 24 settembre 2009, Rv. 610079). Analogo principio sussiste in caso di costruzione che violi, al tempo stesso, la distanza minima dal confine ed il vincolo disposto dal regolamento edilizio comunale a tutela del paesaggio (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 8532 del 6 aprile 2018, Rv. 648009). Va anche ribadito che "In tema di violazione delle distanze legali, ove sia disposta la demolizione dell'opera illecita, il risarcimento del danno va computato tenendo conto della temporaneità della lesione del bene protetto dalle norme violate, non già avendo riguardo al valore di mercato dell'immobile, diminuito per effetto della detta violazione, essendo tale pregiudizio suscettibile di eliminazione" (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 19132 del 9 agosto 2013, Rv. 627849; conf. Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 14294 del 4 giugno 2018, Rv. 648840). Profilo, quest'ultimo, che tuttavia non viene in rilievo nel caso di specie, nulla avendo dedotto il ricorrente circa l'entità del risarcimento comminatogli.
In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto - ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 - della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo [di] contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell'impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.300 di cui euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.