Corte di cassazione
Sezione II penale
Sentenza 9 ottobre 2020, n. 29792

Presidente: Gallo - Estensore: Perrotti

RITENUTO IN FATTO

1. Il giudice per l'udienza preliminare del tribunale di Nola, con la sentenza emessa in data 21 giugno 2018 all'esito del giudizio abbreviato, aveva riconosciuto la responsabilità degli imputati per i fatti loro ascritti e, avvinti i detti reati sotto il vincolo della continuazione, aveva condannato il P. alla pena di anni cinque, mesi uno e giorni dieci ed euro 2800 di multa, il R. alla pena di anni sette e mesi quattro di reclusione ed euro 7.000 di multa, oltre le sanzioni accessorie e la confisca disposte nei confronti di entrambi.

1.1. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, preso atto della rinunzia ai motivi di ricorso svolti in tema di accertamento della responsabilità (per il solo P.), ha ridotto le sanzioni rispettivamente irrogate, limitando, per P., l'entità degli aumenti disposti per la continuazione con i due reati satellite (P e Q) a mesi sette di reclusione ed euro seicento di multa per ciascun reato, così riducendo la sanzione finale ad anni cinque di reclusione ed euro 266 di multa; per R., riducendo la pena base per il più grave reato sub 1 ad anni sei e mesi 5 di reclusione ed euro 2.400 di multa e contenendo gli aumenti disposti per i singoli reati satellite, posti in continuazione, così riducendo la sanzione finale ad anni sei e mesi sei di reclusione ed euro 3.666 di multa. Seguiva la rimodulazione delle sanzioni accessorie.

2. Avverso tale provvedimento ricorrono gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, deducendo a motivi della impugnazione gli argomenti in appresso succintamente rappresentati, secondo quanto previsto dall'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.

2.1. Vincenzo P.:

inosservanza o erronea applicazione della legge penale, vizio esiziale di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b ed e, c.p.p.), in relazione al rifiuto di riconoscere le circostanze attenuanti generiche, in ragione della giovane età dell'imputato al momento dei fatti, della sua incensuratezza, della ammissione dei fatti, delle difficoltà economiche che attanagliano il nucleo familiare d'origine, che, se non giustificano il fatto storico, consentono quanto meno di inquadrarlo in una luce differente.

2.2. Vincenzo R.:

2.2.1. violazione e falsa applicazione della legge penale sostanziale, contraddittorietà ovvero manifesta illogicità della motivazione (art. 606, comma 1, lett. b ed e, c.p.p. in relazione al quarto comma dell'art. 628 c.p. ed alle ipotesi descritte al n. 1 del terzo comma dello stesso articolo), giacché la Corte territoriale (così come il primo giudice) ha individuato il minimo edittale della pena detentiva in anni sei di reclusione, facendo applicazione della disciplina sanzionatoria dettata dal quarto comma dell'art. 628 c.p. (introdotto con l. 103/2017, a decorrere dal 3 agosto 2017), senza tuttavia tener contro del fatto che due delle diverse aggravanti riconosciute (uso dell'arma e più persone riunite) sono inserite nella terna elencata al n. 1 del terzo comma e quindi per esse il legislatore ha già previsto un regime sanzionatorio aggravato, che non può essere ulteriormente inasprito per effetto della disposizione del quarto comma, che trova evidentemente applicazione laddove le aggravanti siano collocate in numeri diversi del medesimo terzo comma, o qualora esse concorrano con le aggravanti di cui all'art. 61 c.p.;

2.2.2. ancora, violazione e falsa applicazione della legge penale (art. 606, comma 1, lett. b, c.p.p., in relazione agli artt. 15, 628, comma terzo, n. 1, terza ipotesi, e 112, primo comma, n. 4, c.p.), non potendo concorrere le due distinte aggravanti (più persone riunite e concorso con il minore), essendo una ipotesi specializzante dell'altra;

2.2.3. nuovamente, violazione della legge penale sostanziale e vizio esiziale di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b ed e, c.p.p., in riferimento alla disciplina della continuazione tra reati), per avere la Corte omesso di valutare la evidente omogeneità delle violazioni che si chiedeva di avvincere in continuazione (rapine commesse in tempi diversi con le stesse modalità) in ragione della medesimezza del disegno criminoso;

2.2.4. infine ancora, violazione della legge penale sostanziale e vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b ed e, c.p.p., in relazione all'art. 62-bis c.p.) per avere la Corte di merito rifiutato il riconoscimento delle circostanze attenuanti innominate, pur a fronte della confessione in giudizio, spontanea ed immediata, dei fatti, del risarcimento offerto e del contesto generazionale in cui le condotte sono maturate, elementi tutti sottostimati ed immotivatamente ritenuti soccombenti nel giudizio di merito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il motivo comune a entrambi i ricorrenti i difensori lamentano violazione della legge penale sostanziale e mera apparenza della motivazione quanto alla negazione delle richieste circostanze attenuanti generiche.

La Corte di merito ha viceversa espressamente motivato - in modo congruo ed immune da vizi logici - sul tema del trattamento circostanziale, ritenendo di non poter assecondare la richiesta in ragione della gravità particolare dei fatti, così come correttamente aggravati. Tale valutazione risulta conforme ai generali criteri applicativi della norma di cui all'art. 62-bis c.p. Sul punto è bene ricordare che le circostanze attenuanti atipiche, introdotte dal decreto legislativo luogotenenziale n. 288 del 14 settembre 1944, rappresentano uno strumento di individualizzazione della risposta sanzionatoria lì dove sussistano - in positivo - elementi del fatto o della personalità, tali da rendere necessaria la mitigazione, ma non previsti espressamente da altra disposizione di legge. L'applicazione della norma necessita - pertanto - di un substrato cognitivo e di una adeguata motivazione, nel senso che è da escludersi l'esistenza di un generico potere discrezionale del giudice di riduzione dei limiti legali della sanzione, dovendo di contro apprezzarsi e valorizzarsi un «aspetto» del fatto o della personalità risultante dagli atti del giudizio (tra le molte Sez. VI, 28 maggio 1999, n. 8668). Da qui, stante l'ampia tipizzazione di fattori circostanziali da un lato e la necessità di ancorare l'applicazione della norma ad un preciso indicatore di minor disvalore del fatto-reato dall'altro, è derivato il filone interpretativo che individua nelle categorie generali descritte nell'art. 133 c.p. il principale "serbatoio" di ipotesi, capace di razionalizzare e rendere controllabile la valutazione del giudicante. Si è pertanto ritenuto che la valutazione sotto diversi profili (commisurazione della pena nell'ambito edittale e riconoscimento o negazione delle attenuanti generiche) della stessa situazione di fatto è del tutto legittima, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte per distinti fini e conseguenze (Sez. 1, n. 1376 del 28 ottobre 1997, Rv. 209841).

Le linee-guida della «gravità del reato» (art. 133, comma 1, c.p.) e della «capacità a delinquere del colpevole» (art. 133, comma 2, c.p.) restano pertanto gli indicatori essenziali cui ancorare la particolare valutazione postulata dall'art. 62-bis c.p. e ciò conduce - da sempre - a ritenere il «fatto» della confessione processuale, così come quello del ristoro patrimoniale (solo parziale) del danno patrimoniale e del patema sofferto, come possibile fattore di attenuazione della sanzione, ai sensi dell'art. 133, secondo comma, n. 3, c.p. (sub specie di condotta susseguente al reato e sua possibile incidenza sulla valutazione della capacità a delinquere).

Pur a fronte della commissione di reati di elevata gravità, non vi è dubbio - pertanto - che l'apporto confessorio e l'avvenuto, benché parziale, risarcimento possono legittimamente fondare il riconoscimento delle circostanze attenuanti, sempre che - ed è questo il tema - la confessione non sia un "semplice" fattore di agevolazione nella ricostruzione del fatto controverso ed il risarcimento non si riveli soltanto quale "espediente strategico"; ma l'uno e l'altro siano viceversa precisi «indicatori» di riconsiderazione critica del proprio operato e contrita discontinuità con il precedente modus agendi (tra le molte Sez. 6, n. 3018 dell'11 ottobre 1990, Rv. 186592; Sez. 6, n. 11732 del 27 gennaio 2012, Rv. 252229). Tanto si impone in ragione della correlazione - interna alla norma dell'art. 133 c.p. - tra la "condotta susseguente al reato" e la categoria della "capacità a delinquere" (nel senso che ciò che emerge nel primo ambito va qualificato come incidente sulla seconda), specie in un contesto sostanziale e processuale la cui evoluzione «storica» consegna ad altri istituti - a cavallo tra diritto e processo - il compito di attenuare la sanzione in «cambio» di scelte di semplificazione processuale (riti speciali di cui agli artt. 438 ss. e 444 e ss. c.p.p.). Non è un caso, pertanto, che anche lì dove si sia riaffermata - come valore costituzionale - la libertà del giudice di valorizzare come indicatore positivo ai fini previsti dall'art. 62-bis la condotta susseguente al reato (Corte cost., sentenza n. 183 del 2011 dichiarativa della illegittimità del limite di apprezzamento che era stato introdotto dal legislatore del 2005, in ipotesi di recidiva qualificata) si è precisato a più riprese che l'irragionevolezza della scelta legislativa era nel suo automatismo di inibizione, posto che la condotta susseguente al reato «può segnare una radicale discontinuità negli atteggiamenti della persona e nei suoi rapporti sociali, di grande significato per valutare l'attualità della capacità a delinquere». Il finalismo rieducativo della pena trova dunque un riconoscimento lì dove - in sede di quantificazione processuale - si possa dare peso a condotte «che manifestino una riconsiderazione critica del proprio operato».

Nella fattispecie, i giudici di merito - rilevato che la confessione (ad opera, peraltro, del solo R.) era intervenuta su una piattaforma indiziaria ben solida ed autonoma - non hanno ritenuto che la scelta fosse espressione di autentica resipiscenza e, tenuto conto della scarsissima efficacia processuale della parziale ammissione degli addebiti, non hanno conferito alla confessione giudiziale ed al ridottissimo ristoro offerto alcuna efficacia attenuante, anche per l'indubbio disvalore che le aggravanti riconosciute rappresentano in soggetti dediti al crimine di settore in forma certamente non episodica, come la pluralità dei fatti contestati dimostra. Motivazione altrettale ha sorretto la decisione di rigetto, quanto alla prospettata giovine età (di per sé non significativa) degli agenti, del contesto ambientale e generazionale, men che meno per la incensuratezza del P., che lo stesso legislatore ha inteso escludere dal novero dei fattori di ricognizione. In un tale coacervo, l'agognato riconoscimento attenuante, come correttamente argomenta la Corte territoriale, confligge con lo spirito stesso delle attenuanti e con la necessaria discrezionalità nello scrutinio richiesto al giudice del merito circa l'effettività dei presupposti della valenza attenuante delle circostanze riconosciute. Giudizio che, se correttamente argomentato, non è censurabile nella sede di legittimità (Sez. 5, n. 5579 del 26 settembre 2013, Rv. 258874; Sez. 6, n. 6866 del 25 novembre 2009, Rv. 246134).

1.1. Quanto alla misura della sanzione, individuata per P. nel minimo edittale (anni sei di reclusione) e per R. in misura motivatamente di poco superiore, la Corte di merito ha spiegato, in maniera logica e coerente, che la articolata gravità dei fatti, le modalità violente degli stessi, la rilevanza del bottino realizzato e la biografia criminale del R., hanno condotto a tale dosaggio; così valorizzando fattori di calcolo di natura normativa (art. 133 c.p.) sapientemente maneggiati dal giudice del merito, in guisa tale da inibire sul punto l'inverto censorio della Corte di legittimità (per un efficace decalogo si veda Sez. 3, n. 6877 del 26 ottobre 2016).

2. Quanto alla dedotta violazione di legge in materia di efficacia ingravescente della molteplicità di aggravanti ritenute (art. 112, primo comma, n. 4, e 628, terzo comma, n. 1, c.p., nel loro concorrente polimorfismo) - in ragione del minimo edittale (art. 628, comma quarto, c.p.) indicato in sei anni dalla riforma del 2017 (l. n. 103/2017, in vigore dal 3 agosto dello stesso anno) ed oggi in sette anni (l. n. 36 del 26 aprile 2019, art. 6, comma 1, lett. c), in caso di concorso tra più circostanze indicate al comma terzo dell'art. 628 o di concorso tra una di queste e le circostanze di cui all'art. 61 c.p. - la Corte di merito ha motivato il proprio convincimento (pena base calcolata in anni sei di reclusione per effetto della concorrenza di più circostanze aggravanti interne al n. 1 del terzo comma dell'art. 628 c.p.) sulla base della distinta e diversa ontologia delle fattispecie aggravanti, topograficamente tipizzate al n. 1 del terzo comma dell'art. 628 c.p. (uso delle armi, travisamento e più persone riunite), richiamando sul punto due precedenti conformi di questa Corte.

2.1. Il tema soffre un quasi secolare contrasto di giurisprudenza in ordine al molteplice effetto aggravante determinato dalla ricorrenza di più fattispecie, tra quelle descritte nell'ambito topografico dello stesso n. 1 (per la concorrenza agli effetti della pena: Cass. 9 marzo 1936, in Giust. pen. 1936, II, 1486; Id. 4 marzo 1936, in Giust. pen. 1936, II, 1324; Id. 5 febbraio 1936, in Giust. pen. 1936, II, 1168; Sez. 2, n. 2689 del 31 maggio 1971, Rv. 119522; Sez. 2, n. 1529 del 5 dicembre 1975, Rv. 132449; Sez. 2, n. 7771 del 1° dicembre 1976, Rv. 136215; Sez. 1, n. 550 del 7 marzo 1978, Rv. 138714; Sez. 2, n. 7010 del 14 marzo 1985, Cillo, Rv. 170102; Sez. 5, n. 135 del 13 gennaio 2000, Lo Gatto, Rv. 215485; Sez. 5, n. 4621 del 7 novembre 2000, Polverino, Rv. 217770; Sez. 4, n. 27748 del 10 maggio 2007, Rv. 236834; Sez. 5, n. 20723 del 29 gennaio 2016, n.m.; Sez. 2, n. 23978 del 20 maggio 2016, n.m. Per il cumulo giuridico, con unico aumento, in caso di ricorrenza di più fattori di aggravamento, in ragione della sede topografica di giacenza delle diverse fattispecie: Cass. 10 luglio 1936, in Giust. pen. 1937, II, 1101; Cass. 7 luglio 1937, in Giust. pen. 1938, II, 142; 26 gennaio 1949, in Giur. compl. della C.S. XXX, 1, 408; 11 gennaio 1949, ibid., 276; 3 luglio 1945, in Riv. Pen. 1945, 1451; Sez. 2, n. 41004 del 6 luglio 2011, Rv. 251372; Sez. 2, n. 18743 del 6 aprile 2018, Massimino, n.m.; Sez. 2, n. 7838 del 29 gennaio 2020, n.m., ma le ultime due non affrontano direttamente il tema).

2.1.1. A ben vedere, nessuno ha mai dubitato della natura ontologicamente plurale e ben differente delle tre ipotesi, che conferiscono al fatto dimensione aggravata. Quel che invece è - da subito - rimasto controverso è se, nella pacifica possibilità di concorrenza delle tre distinte ipotesi interne alla sistematica catalogazione, debba riconoscersi alla concorrenza delle ridette circostanze effetto ulteriormente ingravescente (entro i limiti stabiliti dal quarto comma dell'art. 63 c.p.), oltre quanto già previsto per il grappolo di aggravanti interne al n. 1; ovvero se, in tali casi, si debba procedere ad aumento unico, in ragione del fatto che quelle diverse ipotesi sono considerate "cumulativamente", come modalità della stessa maggior capacità criminale espressa (così la più ascoltata dottrina coeva alla codificazione del 1930 e ad essa consonante in spirito).

2.2. Nella morfologia della norma, ante riforma del 2017, si contendevano dunque opposti orientamenti che privilegiavano, uno la sistematica topografica («... sotto lo stesso numero raggruppa la circostanza delle più persone riunite, del travisamento e dell'uso delle armi, si deve far luogo ad un unico aumento. Il collegio ritiene, infatti, corretto, considerare unitariamente la previsione individuata sotto il numero 1, non solo in ragione della sua sistematica collocazione, collegate dalla virgola, in un unico paragrafo, ma soprattutto perché l'azione tipica e più frequente della rapina aggravata, per quanto insegna l'esperienza giudiziaria più datata, si connota proprio dalla compresenza delle tre circostanze indicate dal n. 1. Con ciò non si vuole assolutamente negare quanto già affermato dalla sentenza n. 27748 del 2007, Rv. 236834, in ordine alla natura diversificata delle singole circostanze del n. 1, perché anche questo collegio ritiene che le circostanze abbiano individualità autonoma e pertanto esse vadano considerate e ritenute per l'affetto aggravante anche quando, nella situazione concreta, non siano compresenti. Ai soli fini della commisurazione della pena, tuttavia, ritiene questo collegio che, quando si verifica la compresenza di più circostanze dello stesso alinea n. 1, è logico ed equo ritenere l'aggravante unitaria»: così Sez. 2, n. 41004 del 2011, Rv. 251372), l'altro la valorizzazione della singola dimensione ontologica o del disvalore specifico reso palese da ciascuna distinta e ben individuata condotta («... le diverse ipotesi dell'art. 628, comma terzo, numero uno, c.p. prevedono distinte circostanze aggravanti, in quanto rappresentano differenti aspetti di criminalità, che trovano il loro fondamento comune nella maggiore efficacia intimidatrice dell'azione. Dette aggravanti possono concorrere fra loro. Di conseguenza nel caso di imputazione per rapina, aggravata per l'uso dell'arma e per il numero delle persone, il periodo massimo per la carcerazione preventiva nel periodo istruttorio dev'essere fissato in due anni, dovendosi applicare un primo aumento corrispondente al massimo della metà della pena base di dieci anni di reclusione e, successivamente, un secondo aumento corrispondente alla meta della pena così calcolata»: Sez. 2, n. 2689/1971, Rv. 119522; ancor più esplicitamente, Sez. 2, n. 7771 del 1° dicembre 1976, Rv. 136215).

2.2.1. Volendo offrire alle opposte interpretazioni la colorazione dogmatica propria delle più avvedute dottrine "repubblicane", si potrebbe collocare il primo orientamento tra quelli che leggono il n. 1, del terzo comma dell'art. 628 c.p., come una norma a più fattispecie alternative equipollenti; mentre il secondo potrebbe iscriversi tra quelli che leggono tale elencazione come una disposizione a più norme distinte, che - se concorrenti - cumulano (fuori dalle ipotesi di specialità, assorbimento o consunzione) i loro effetti ingravescenti.

2.3. In questo immanente e divaricato panorama interpretativo si è affacciato l'intervento riformatore del 2017 (seguito, in un crescendo rossiniano, dalla novella del 2019, cit. al punto 2), che con la seguente disposizione normativa "Se concorrono due o più delle circostanze di cui al terzo comma del presente articolo, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell'art. 61, la pena è della reclusione da sei a venti anni...", mutando la morfologia del quarto comma dell'art. 628 c.p., sembra aver mostrato indifferenza verso la topografica collocazione delle disposizioni aggravanti ad effetto speciale, imponendo solo un più elevato minimo edittale (senza effetti sul computo dei termini massimi della custodia cautelare e senza intaccare il limite invalicabile indicato, quale cumulo giuridico, al quarto comma dell'art. 63 c.p.) per tutte le ipotesi di concorrenza tra circostanze interne ed esterne (quelle comuni descritte all'art. 61 c.p.) al terzo comma dell'art. 628 c.p.

Né poteva pretendersi dal legislatore una più incisiva precisione didascalica, giacché è evidentemente compito dell'interprete divisare (indipendentemente dalla collocazione topografica e dalla differente ontologia) sostanziale omogeneità o sovrapponibilità di disvalori, di offese, di interessi da tutelare, nell'ambito della tipicità offerta dal legislatore.

2.4. Naturalmente, la possibile concorrenza presuppone risolta a monte la diversa eventualità della continenza (art. 68 c.p.) o della specialità (art. 15 c.p.); ma non è questo il caso delle aggravanti descritte al n. 1 del comma terzo (cit.), che rappresentano altrettante ipotesi diverse di maggior disvalore espresso nel differente manifestarsi, essendo evidente che "agire nella violenza" travisati, in più persone riunite o armati, rappresenta modalità differenti di manifestare la propria carica criminale, disvalore penale ed accresciuta capacità intimidatrice od offensiva, atta ad incutere timore nella vittima o a superare l'eventuale sua resistenza. Ebbene, nessuna delle tre epifanie criminali "contiene" l'altra, nessuna è speciale rispetto all'altra, nessuna assorbe in sé il disvalore e lo spregio dell'altra. Non vi è pertanto ragione di negare che alla concorrenza delle diverse ipotesi aggravanti debba corrispondere una più severa risposta retributiva (minima) della sanzione (agire riuniti in più persone compresenti, travisate nell'aspetto e armate, costituisce anche una notevolissima facilitazione nel guadagnare il risultato voluto e va più gravemente sanzionato rispetto all'azione condotta da una sola persona armata o travisata o unita ad altri). In questi sensi depone l'argomento della interpretazione letterale e la stessa sistematica codicistica.

2.5. Può pertanto affermarsi il seguente principio: l'intervento novellatore del 2017 (l. 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017), che ha dato al quarto comma dell'art. 628 c.p. un contenuto nuovo, affermando che "Se concorrono due o più delle circostanze di cui al terzo comma del presente articolo, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell'art. 61, la pena è della reclusione da sei a venti anni...", indica un più elevato minimo edittale anche nel caso in cui concorrano più circostanze aggravanti interne al medesimo numero (1) del terzo comma dell'art. 628 c.p. Consegue che ciascuno dei numeri interni al catalogo del ridetto terzo comma contiene una disposizione a più norme autonome ed eventualmente concorrenti.

2.6. Il motivo di ricorso è pertanto infondato.

3. Manifestamente infondato e meramente ripetitivo del motivo di gravame proposto nella sede di merito e rigettato dalla Corte con diffusa, precisa e puntuale motivazione, è il secondo motivo speso nell'interesse del R. La Corte ha argomentato sul punto, rappresentando l'evidenza di una totale autonomia tra l'aggravante di cui al n. 4 del primo comma dell'art. 112 c.p. (concorso del minore nel fatto commesso o determinazione del minore a commetterlo) e quella del n. 1 del terzo comma dell'art. 628 c.p. (più persone riunite), essendo differenti le modalità di manifestazione della condotta, l'interesse tutelato, la ratio aggravatrice e l'oggettività giuridica, potendo dunque ontologicamente coesistere le differenti condotte espressive di differente disvalore della condotta e carica criminale dell'autore. Non ricorrendo le ipotesi di assorbimento consunzione o specialità disciplinate dagli artt. 68 e 15 c.p., le due aggravanti evidentemente concorrono. Il motivo di ricorso - che richiama peraltro una contrastante giurisprudenza (Sez. 6, n. 16515 dell'11 marzo 2010, Rv. 247004; Sez. 2, n. 20217 del 6 maggio 2016, Rv. 266893) formatasi in ordine alla differente ipotesi di concorso tra l'aver agito in "più persone riunite" e quella disciplinata dal n. 1 del comma primo dell'art. 112 c.p. (cinque o più partecipi) - così come quello immediatamente successivo, è inconferente e si risolve, pertanto, nella mera riproposizione delle argomentazioni già prospettate al giudice della revisione nel merito e da questi motivatamente respinte, senza svolgere alcun ragionato confronto con le specifiche argomentazioni spese in motivazione; senza cioè indicare le ragioni delle pretese illogicità o della ridotta valenza dimostrativa degli elementi a carico, e ciò a fronte di puntuali argomentazioni contenute nella decisione impugnata, con cui il ricorrente rifiuta di confrontarsi. Si è ritenuto «inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso» (Sez. 6, n. 20377 dell'11 marzo 2009, Arnone, Rv. 243838). Nella medesima prospettiva è stata rilevata, per un verso, l'inammissibilità del ricorso per cassazione «i cui motivi si limitino a enunciare ragioni ed argomenti già illustrati in atti o memorie presentate al giudice a quo, in modo disancorato dalla motivazione del provvedimento impugnato» (Sez. 6, n. 22445 dell'8 maggio 2009, Candita, Rv. 244181). E non è comunque sufficiente, ai fini della valutazione di ammissibilità, che ai motivi di appello vengano aggiunte «frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento attaccato e l'indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito» (Sez. 6, n. 8700 del 21 gennaio 2013, Leonardo, Rv. 254584).

4. La medesima sorte processuale avvince anche il terzo motivo di ricorso speso nell'interesse del R. Evidente il difetto di specificità del motivo che non si confronta con la diffusa, puntuale e precisa motivazione spesa nel merito per negare i presupposti della unicità del disegno criminoso tra le rapine oggetto del presente giudizio ed il precedente allegato dalla difesa in appello. La natura stessa dei delitti di rapina commessi presuppone l'improvvisazione e la indipendenza di ciascuna singola ideazione, fuori dalla dimostrazione di una specifica e determinata programmazione criminale che identifichi almeno gli obiettivi da aggredire, in maniera sufficientemente determinata, non può apprezzarsi alcuna unicità di disegno ideazione e volizione delle singole condotte cronologicamente ben separate.

5. Dell'ultimo motivo di ricorso (negazione delle circostanze attenuanti generiche) si è già detto in apertura; attesa la natura comune all'altro ricorrente del motivo proposto si richiama pertanto il punto 1.

6. Al rigetto dei ricorsi segue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Depositata il 27 ottobre 2020.