Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 9 novembre 2020, n. 6910

Presidente: Montedoro - Estensore: Lamberti

FATTO E DIRITTO

1. L'appellante è proprietario di un fabbricato sito nel Comune di Bucchianico (CH) alla Via Orientale.

In data 24 settembre 2008, aveva presentato la DIA n. 81/2008 per la realizzazione ed il completamento di una recinzione e per la sistemazione dell'area interna alla sua proprietà.

Il Comune, dopo aver chiesto documentazione integrativa, aveva ingiunto di non effettuare l'intervento perché in contrasto con il Regolamento Edilizio, il Piano di Recupero e le N.T.A. del P.R.G., evidenziando in particolare il mancato rispetto della distanza dalla strada comunale, sia per la recinzione, che per il cancello di accesso e che all'interno del centro storico non era consentito l'uso di rete o griglia metallica.

2. In data 26 febbraio 2009, l'appellante integrava la predetta DIA (n. 81/2008), ma il Comune, in data 30 aprile 2009, ordinava di non effettuare l'intervento.

Quindi, l'appellante produceva un nuovo atto progettuale in variante ed in data 29 giugno 2009 comunicava che avrebbe dato inizio ai lavori relativi agli interventi.

3. In data 2 luglio 2012, presentava la SCIA n. 46/2012, avente sempre ad oggetto la "realizzazione e completamento di una recinzione e sistemazione area interna con muri di sostegno per aree a verde e parcheggi, risanamento igienico del fronte anteriore di Viale della Vittoria".

In data 22 ottobre 2012, veniva ingiunto al richiedente di non proseguire i lavori in corso e di rimuovere gli effetti dell'attività svolta, ribadendo che la documentazione era in contrasto con le previsioni urbanistiche.

3.1. Con l'atto del 4 dicembre 2012, il Comune ribadiva quanto già comunicato con la precedente nota del 22 ottobre e, a seguito di sopralluogo, contestava: a) il mancato rispetto della distanza di mt. 1,50 della recinzione dal confine stradale; b) che la recinzione ricadeva sulla sede stradale esistente; c) che i muri definiti nel progetto come di sostegno, in realtà erano muri di recinzione.

Veniva quindi ordinata dapprima la sospensione dei lavori (con atto n. 7 del 15 novembre 2012) e successivamente (con atto n. 9/2012 del 14 dicembre 2012) la demolizione: a) della recinzione fronte strada, perché realizzata con occupazione della sede stradale per mt. 0,87 e perché in contrasto con l'art. 75 del R.E.C. secondo il quale, all'interno del centro storico, è consentito solo l'uso di mattoni a faccia vista o di ferro battuto e le recinzioni possono avere l'altezza massima di cm. 120; b) del cancello di accesso, perché non era arretrato rispetto alla recinzione in modo da consentire la sosta di un veicolo, come previsto dall'art. 75 del R.E.C.; c) dei muri di recinzione di altezza superiore a mt. 1,20 perché in contrasto con lo stesso art. 75.

3.2. L'appellante impugnava tali atti avanti il T.A.R. per l'Abruzzo, lamentando il mancato annullamento in via di autotutela della DIA e della SCIA che avevano legittimato l'esecuzione delle opere.

4. Il Comune, con il provvedimento n. 106 del 14 febbraio 2013, annullava in via di autotutela l'ordine di demolizione impugnato e con la determinazione n. 181 del 28 marzo 2013 annullava parzialmente in autotutela la DIA e la SCIA.

Quindi, con l'ingiunzione del 19 aprile 2013, n. 2/2013, l'amministrazione ha nuovamente ordinato la demolizione delle predette opere abusive.

5. Tali atti sono stati impugnati con ricorso al T.A.R. per l'Abruzzo che, con la sentenza n. 67/2014, ha respinto il ricorso.

Avverso tale pronuncia ha proposto appello il ricorrente originario per i motivi di seguito esaminati.

7. Appare preferibile iniziare l'analisi dal secondo motivo di appello - relativo all'individuazione della natura delle opere eseguite e alla reale situazione dei luoghi - con il quale si lamenta del mancato accoglimento delle censure n. 3, n. 4 e n. 5 del ricorso originario.

7.1. Nell'ordine, l'appellante nega di aver realizzato un muro di recinzione in Viale della Vittoria, ritenendolo invece un muro di sostegno, avente lo scopo di consolidare la struttura preesistente. Ne deriva che, essendo un muro di sostegno, non vi è la necessità di rispettare i criteri e le misure indicate dal Comune negli atti impugnati.

L'appellante rileva che il Comune, negli atti contestati, non avrebbe dimostrato, né motivato, le circostanze in base alle quali si trattasse di muro di recinzione ed il perché tale opera dovesse rispettare le distanze indicate.

7.2. Contesta che la recinzione dallo stesso realizzata avrebbe occupato ed invaso la sede stradale, richiamando a tal fine le risultanze del proprio consulente di parte.

7.3. Contesta inoltre l'impossibilità di installare il cancello ad una distanza inferiore a quella prevista dall'art. 75 del Regolamento Edilizio Comunale, evidenziando come il medesimo regolamento comunale, in presenza di cancelli con dispositivi di apertura automatica, consenta la possibilità di lasciare uno spazio inferiore ai metri 2,40 per la sosta temporanea del veicolo.

7.4. Infine, contesta la necessità di demolire i muri di cinta poiché superiori ad un'altezza di mt. 1,20, sostenendo che le dimensioni corrette degli stessi sia di mt. 1,10, non dovendosi considerare anche i muri di sostegno sopra ai quali era stata installata la recinzione.

8. Le censure sono infondate.

Quanto ai primi rilievi dell'appellante non appare censurabile la valutazione del T.A.R. che ha posto a conforto della propria decisione la CTU espletata in un altro giudizio avanti il Giudice Ordinario, avente ad oggetto le medesime circostanze di fatto.

In tale giudizio, l'ausiliario del Giudice ha concluso nel senso che la recinzione è stata effettivamente costruita sulla strada pubblica e che il muro non ha funzione di sostegno.

8.1. Quanto alla contestata utilizzabilità nel presente giudizio di tale accertamento, deve osservarsi come la giurisprudenza consenta l'utilizzo, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche di prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse ed anche altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse, al fine di trarne non solo semplici indizi o elementi di convincimento, ma anche di attribuire loro valore di prova esclusiva.

Al riguardo, questo Consiglio (Sez. IV, 17 maggio 2012, n. 2847) ha già ammesso la piena utilizzazione della CTU disposta nell'ambito del giudizio civile ancora pendente tra le parti, nonché dell'elaborato redatto dal CTU nel corso del giudizio penale (cfr. anche C.d.S., n. 223/2009: "il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in diverso giudizio fra le stesse o altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse e può, quindi, avvalersi anche di una consulenza tecnica ammessa ed espletata in diverso procedimento, valutandone liberamente gli accertamenti ed i suggerimenti una volta che la relativa relazione peritale sia stata ritualmente prodotta dalla parte interessata").

La provenienza di tale accertamento, formatosi attraverso un ausiliario del Giudice e nel rispetto del principio del contradditorio, ne giustificano la maggior attendibilità rispetto all'accertamento di parte prodotto dal ricorrente. Invero, deve ritenersi che "una perizia di parte, ancorché giurata, non è dotata di efficacia probatoria e pertanto non è qualificabile come mezzo di prova" (C.d.S., Sez. IV, 19 luglio 2018, n. 5128).

Oltretutto il CTU ha ben spiegato, quanto alla natura dei muri, come questi non possano fungere da sostegno della struttura preesistente, in quanto questa non presenta né segni di dissesto, né sintomi da far prevedere possibili smottamenti.

Per scrupolo, deve anche osservarsi che lo stesso appellante aveva qualificato i muri in questione come di recinzione nella DIA del 2008 e del 2009.

Quanto all'occupazione del sedime stradale, tale conclusione è stata raggiunta dopo un'accurata indagine strumentale, che ha posto a confronto la situazione attuale con quella risultante dalle mappe.

8.2. Inoltre, nello specifico, la relazione peritale posta a fondamento della decisione di primo grado, trova diretta conferma nel verbale degli agenti comunali del 6 novembre 2012, dove, previa le apposite misurazioni, è stato accertato, tra l'altro, che: a) l'appellante ha realizzato "una recinzione fronte strada con muro in c.a. delle seguenti dimensioni: lunghezza prospetto compreso accessi = m. 31,85; altezze variabili = m. 0,47/m. 1,35; - Spessore = m. 0,30"; b) la suddetta recinzione è stata realizzata occupando la sede stradale per m. 0,87, "come risulta dalle misurazioni prese sulla planimetria Catastale 1:1.000 del foglio 40 del Comune di Bucchianico e dal rilievo dello stato dei luoghi, di cui si allega ampia documentazione fotografica"; c) il confine catastale della particella n. 57 (lato strada) coincide perfettamente con il confine stradale preesistente la esecuzione delle opere; d) sono stati realizzati muri di recinzione dell'altezza superiore a m. 1,20 (spiegando in modo puntuale la differenza tra mura di recinzione e muro di contenimento e rimandando alle foto allegate al verbale).

Al riguardo, è utile ricordare che "il verbale redatto e sottoscritto dagli agenti e dai tecnici del Comune a seguito di sopralluogo, attestante l'esistenza di manufatti abusivi, costituisce atto pubblico, fidefaciente fino a querela di falso, ai sensi dell'art. 2700 c.c., delle circostanze di fatto in esse accertate sia relativamente allo stato di fatto e sia rispetto allo status quo ante" (cfr. C.d.S., Sez. IV, 14 dicembre 2016, n. 5262).

8.3. Anche le ulteriori censure non colgono nel segno, dal momento che gli elaborati progettuali presentati dall'appellante non specificano affatto la sussistenza di quelle particolari eccezioni che in determinate ipotesi consentono di ovviare alle dimensioni dello spazio antistante il cancello. Vale un analogo discorso circa il computo dell'altezza del muro di cinta, posto che quella dell'appellante è una prospettazione del tutto soggettiva, smentita dai riscontri oggettivi innanzi citati.

9. Tornando al primo motivo di appello, l'appellante contesta il mancato accoglimento da parte del T.A.R. delle prime due doglianze di cui al ricorso di primo grado, con cui ha censurato la legittimità dell'atto di autotutela per difetto di motivazione per non essere stato indicato uno specifico interesse all'annullamento, diverso dal mero ripristino della legalità, dato che le opere realizzate non arrecavano alcun pregiudizio alla viabilità ed alla circolazione; non sarebbe stato inoltre considerato l'affidamento integrato nel privato nell'avvenuta esecuzione dei lavori e non era stata valutata la possibilità di soluzioni alternative, quanto alla demolizione del cancello, visto che il regolamento prevede la possibilità di utilizzare sistemi di apertura automatica; inoltre, non era stato valutato il rispetto dell'esercizio del potere entro i termini ragionevoli, né valutati gli interessi del destinatario rispetto all'atto da rimuovere.

10. Le censure sono infondate.

In base all'art. 21-nonies della l. 7 agosto 1990, n. 241, vigente all'epoca dei fatti, le condizioni per l'esercizio in autotutela da parte dell'amministrazione del potere di annullamento d'ufficio sono: a) l'illegittimità dell'atto amministrativo; b) la sussistenza di ragioni di interesse pubblico; c) l'esercizio del potere entro un termine ragionevole; d) la valutazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati rispetto all'atto da rimuovere.

L'Adunanza plenaria di questo Consiglio (n. 8/2017) ha precisato che: "nella vigenza dell'articolo 21-nonies della l. 241 del 1990 - per come introdotto dalla l. 15 del 2005 - l'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all'adozione dell'atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole".

Tale pronuncia ha altresì precisato, per quel che rileva in questa sede, che: "l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell'esercizio del ius poenitendi)".

Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, tenuto conto dell'accertata illegittimità delle opere realizzate, il provvedimento impugnato resiste ai rilievi dell'interessato, dovendosi integralmente confermare la decisione del T.A.R.

10.1. Contrariamente alla prospettazione di parte appellante, nel caso di specie, l'amministrazione non si è determinata all'annullamento del precedente titolo al solo fine di ripristinare la legalità violata. Ha invece messo in luce la sussistenza di un interesse attuale e concreto che giustifica il provvedimento di secondo grado.

Invero, l'interesse pubblico all'annullamento e stato individuato anche nell'esigenza di salvaguardare la viabilità e la circolazione, nel corretto uso del territorio e nella tutela del "centro antico" (che secondo gli strumenti di pianificazione deve essere edificato nel rispetto di una specifica tipologia di recinzioni).

Il fatto che sulla viabilità della zona incidano già altri fattori (presenza di un albero, altri manufatti) non esclude che l'opera realizzata da parte appellante aggravi tale situazione.

Anzi, proprio la presenza degli elementi naturali ed artificiali indicati dall'appellante pare giustificare razionalmente la rimozione di quelli che sono stati abusivamente realizzati e che gravano sulla circolazione in quell'area del centro storico, incidendo sulla sicurezza.

Tale problematica può essere effettivamente affrontata anche attraverso gli accorgimenti suggeriti da parte appellante - quali l'apposizione di specifica segnaletica. Tuttavia, non risulta censurabile la valutazione dell'amministrazione di provvedere alla rimozione delle opere, tenuto conto della loro non conformità urbanistica e dell'esigenza di preservare le caratteristiche del centro storico.

10.2. L'evoluzione della vicenda che ha preceduto la realizzazione delle opere porta ragionevolmente ad escludere la sussistenza di un legittimo affidamento consolidatosi in capo all'appellante. Invero, la realizzazione di tali opere era stata oggetto di interlocuzione con il Comune sin dal 2008, che ne aveva sempre negato l'assentibilità, come innanzi già messo in luce.

Inoltre, la tempistica entro la quale l'amministrazione è intervenuta sulla SCIA appare assolutamente congrua, tenuto anche conto del fatto che già in data 22 ottobre 2012, quando i lavori erano ancora in corso, il Comune è intervenuto sulla SCIA presentata solo pochi mesi, e cioè in data 2 luglio 2012. Ciò esclude a maggior ragione il consolidarsi di una situazione di affidamento tutelabile a favore dell'appellante.

Tanto precisato, era onere del ricorrente, alla luce di tali circostanze, specificare per quale ragione il termine entro il quale l'amministrazione è intervenuta non dovrebbe considerarsi ragionevole al punto da inficiare la legittimità del provvedimento di autotutela impugnato.

10.3. Vale un analogo discorso in riferimento alla dedotta mancata valutazione di soluzioni alternative. Invero, come già rilevato dal TAR, la valutazione della possibilità di soluzioni alternative non deve essere compiuta d'ufficio dal Comune, tanto più che nel caso di specie deve escludersi la conformità delle opere alla disciplina sostanziale dell'area.

Al riguardo, è sufficiente ricordare che si è al cospetto di un'attività vincolata, senza alcuno spazio all'interno del quale l'amministrazione possa valutare nel singolo caso l'opportunità della misura demolitoria.

11. In definitiva, l'appello non deve trovare accoglimento.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l'appello e condanna parte appellante alla refusione delle spese di lite in favore del Comune, che si liquidano in complessivi euro 3.000, oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.