Corte di cassazione
Sezione III penale
Ordinanza 16 settembre 2020, n. 31754

Presidente: Di Nicola - Relatore: Scarcella

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza 27 novembre 2019, dep. 30 aprile 2020, n. 13472/2020, la Corte di cassazione, Sezione quarta penale, dichiarava inammissibile il ricorso proposto dal F. avverso la sentenza del 26 marzo 2018 della Corte appello di Venezia che aveva confermato la sentenza del Tribunale di Vicenza del 20 settembre 2016, emessa a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, con cui il F. Maurizio era stato condannato alla pena di mesi sei di arresto ed euro duemila di ammenda in relazione al reato di cui all'art. 186, commi 1, 2, 2-bis e 2-sexies, c.d.s. (guida in stato di ebbrezza con le aggravanti di aver provocato un incidente stradale e di aver commesso il fatto in orario notturno - in Arzignano il 31 dicembre 2013).

2. Ha proposto ricorso straordinario per cassazione il F., a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, procuratore speciale, deducendo un quadruplice errore di fatto in cui sarebbero incorsi i giudici di legittimità.

In sintesi, si ravvisa un errore di percezione laddove la Corte, pur dichiarando inammissibile il ricorso, avrebbe tuttavia motivato dilungandosi nel trattare profili di merito, attribuendo tuttavia carattere di genericità alle doglianze proposte dalla difesa, non accogliendole inoltre, in punto di inutilizzabilità della prova, sull'assenza di consenso al prelievo e delle informazioni sul diritto di difesa.

2.1. Secondo il ricorrente, anzitutto, erronea sarebbe la dichiarazione di inammissibilità, a fronte dell'esistenza dei presupposti che la giurisprudenza di legittimità ha delineato in punto di inammissibilità del ricorso per cassazione, ed, inoltre, la declaratoria di inammissibilità nasconderebbe, nel contenuto, una pronuncia di rigetto, essendosi pronunciata la Corte nel merito delle doglianze di cui al ricorso originario.

Richiamata, a tal proposito, la giurisprudenza di questa Corte circa i criteri da seguirsi nel giudizio di inammissibilità, sostiene il ricorrente che non sarebbe dunque corretto il giudizio di inammissibilità del ricorso espresso con la sentenza oggetto del ricorso straordinario, essendo stata sottoposta la sentenza della Corte d'appello di Venezia ad analisi critica, dando risalto agli snodi logici asseritamente viziati e incoerenti, lungi dunque dal ritenere i motivi del ricorso come generici, né assumendo rilievo la circostanza che la Corte abbia ritenuto l'inammissibilità a fronte di una doppia conforme, in quanto i giudici di merito sarebbero pervenuti al medesimo esito ma con un iter logico-giuridico diverso. Si verserebbe, dunque, in un'ipotesi nella quale il giudizio corretto cui il collegio sarebbe dovuto pervenire, era quello di rigetto e non di inammissibilità, non essendo il ricorso originario né generico né manifestamente infondato, per come emerge dalla motivazione della sentenza oggetto di ricorso straordinario.

2.2. In secondo luogo, poi, la sentenza ricorsa sarebbe affetta da un secondo errore di percezione, riguardante il materiale probatorio a sostegno della pronuncia di affermazione della responsabilità penale del F., in quanto, si sostiene nel ricorso straordinario, dagli atti sarebbe evidente come il prelievo ematico sarebbe stato effettuato al solo scopo di accertare la consumazione del reato di guida in stato di ebbrezza: diversamente da quanto stabilito dai giudici della Corte d'appello di Venezia, mancava il necessario consenso dell'imputato e le adeguate informazioni sul diritto di difesa.

Orbene, l'errore percettivo emergerebbe laddove la sentenza oggetto del ricorso straordinario afferma che l'avviso ex art. 114 disp. att. c.p.p., risultava regolarmente effettuato, laddove, invece, come era stato evidenziato nell'ordinario ricorso per cassazione, nel verbale richiamato dalla Cassazione, non compariva la firma "non è in grado di firmare". Detta affermazione sarebbe stata smentita dalla deposizione di uno degli accertatori, ritrascritta a pag. 8 del ricorso straordinario, da quanto affermato dal medico che aveva visitato l'imputato e dal referto del pronto soccorso, tutti atti da cui emergeva che il F. fosse stato dichiarato vigile e collaborativo. In definitiva, tenuto conto della violazione dell'art. 114 disp. att. c.p.p., la prova ottenuta mediante prelievo ematico era da ritenersi inutilizzabile, difettando la prova dell'avviso all'indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore, né che al F. fossero state fornite le informazioni sul diritto di difesa, non essendo stato sottoscritto il verbale, nonostante questi fosse cosciente.

2.3. In terzo luogo, la Cassazione sarebbe incorsa in un ulteriore errore di percezione, quanto al primo motivo di ricorso, circa l'assenza di consenso da parte dell'indagato al prelievo. A tal fine, richiamando una sentenza di questa Corte (n. 21885/2017), si sottolinea nel ricorso straordinario che i risultati ottenuti tramite prelievo del sangue, che fanno sorgere in capo al reo la responsabilità per il reato di guida in stato di ebbrezza, sono inutilizzabili non solo per mancanza dell'avviso del suo diritto di difesa, ma anche per il suo consenso al prelievo e, nella specie, nel verbale i carabinieri avrebbero cancellato la dicitura "su base volontaria" dal verbale di accertamenti urgenti. Dagli atti non risulterebbe alcuna traccia del consenso al prelievo da parte del F., donde, alla luce dei quesiti posti dalla difesa (ossia, se egli era vigile e cosciente, per quale ragione gli operanti non lo hanno considerato in grado di sottoscrivere le dichiarazioni, per di più cancellando la dicitura "su base volontaria"?), il collegio non avrebbe opportunamente vagliato e sciolto il quesito, mostrando di essere incorso in errore di fatto.

2.4. In quarto ed ultimo luogo, il collegio di legittimità sarebbe incorso in un ultimo errore di fatto, laddove ha dichiarato il quarto motivo di doglianza, riferito alle tempistiche del prelievo, inammissibile per manifesta infondatezza, argomentando in maniera difforme dalla più recente giurisprudenza (si citano in ricorso alcune decisioni di questa Corte: cfr. pag. 12), affermando un diverso principio di diritto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso straordinario è inammissibile.

2. Ed invero, nessuno dei presunti errori di fatto dedotti è sindacabile da questa Corte in sede di ricorso straordinario ex art. 625-bis c.p.p.

Occorre preliminarmente ricordare che, per pacifica giurisprudenza di legittimità, l'errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall'art. 625-bis c.p.p. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall'influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall'inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso. La Corte ha precisato in motivazione che: 1) qualora la causa dell'errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio; 2) sono estranei all'ambito di applicazione dell'istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l'attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere - anche se risoltisi in travisamento del fatto - soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie; 3) l'operatività del ricorso straordinario non può essere limitata alle decisioni relative all'accertamento dei fatti processuali, non risultando giustificata una simile restrizione dall'effettiva portata della norma in quanto l'errore percettivo può cadere su qualsiasi dato fattuale (per tutte: Sez. un., n. 16103 del 27 marzo 2002 - dep. 30 aprile 2002, Basile P., Rv. 221280-01).

3. Tanto premesso, appare evidente l'insussistenza, nel caso di specie, di qualsivoglia errore percettivo o di fatto nei termini intesi dalla giurisprudenza di questa Corte.

3.1. Non il primo, asserito, errore di fatto, circa l'aver la Corte erroneamente espresso un giudizio di inammissibilità anziché, come sarebbe stato più corretto, nell'ottica della difesa, di rigetto del ricorso, avendo il collegio di legittimità esaminato "il merito" delle doglianze dedotte nel ricorso originario.

Sul punto, osserva il Collegio, pur prescindendo dalle corrette argomentazioni esposte nella sentenza ricorsa a sostegno del giudizio di inammissibilità dei quattro motivi del ricorso originario, è sufficiente in questa sede rilevare che la "scelta" del collegio di legittimità di pervenire ad un giudizio di inammissibilità piuttosto che di rigetto del ricorso non è frutto di un errore percettivo, ma al più, di una diversa qualificazione giuridico-valutativa del motivo di ricorso proposto (condotta alla stregua dei canoni normativi individuati dall'art. 606, comma 3, c.p.p., e dei criteri ermeneutici elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, del resto richiamati dallo stesso ricorrente nel ricorso straordinario), salva, ovviamente, l'ipotesi in cui si denunci l'omesso esame, da parte delle Corte di cassazione, di motivi di ricorso non manifestamente infondati e di potenziale rilevanza ai fini del decidere (circostanza, nella specie, non dedotta dinanzi a questa Corte in sede di ricorso straordinario).

Proprio perché frutto di un approdo condotto alla luce di una valutazione "giuridica" in ordine all'esistenza, nel caso sottoposto al suo esame, delle cause normative di inammissibilità (l'essere stato il ricorso "proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge o manifestamente infondati ovvero, fuori dei casi previsti dagli articoli 569 e 609, comma 2, per violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello"), che escludono la possibilità di un diverso esito (anch'esso normativamente indicato dall'art. 615, comma 2, c.p.p.: "se non provvede a norma degli articoli 620, 622 e 623, la corte dichiara inammissibile o rigetta il ricorso"), valutazione condotta in base al "diritto vivente" costituito dall'interpretazione giurisprudenziale di legittimità sul punto, è dunque agevole rendersi conto che non può mai parlarsi, in tal caso, di errore percettivo o di fatto (unico che legittima la ricorribilità "straordinaria" ex art. 625-bis c.p.p.), ma al più di un errore di diritto, in quanto tale insindacabile con il rimedio processuale proposto (sulla non deducibilità con il ricorso straordinario in presenza di errori di diritto commessi dalla Corte di cassazione, si v., oltre la già richiamata sentenza delle Sezioni unite Basile, da ultimo: Sez. 5, n. 21939 del 17 aprile 2018 - dep. 17 maggio 2018, D'Agostino, Rv. 273062).

3.2. Deve, a tal proposito, ribadirsi (v., in termini: Sez. 3, n. 53136 del 28 giugno 2017 - dep. 22 novembre 2017, Vacca e altro, non massimata sul punto; cfr. § 8.1.) che l'esame approfondito di un motivo di ricorso non consente di ritenere, di per sé, la non manifesta infondatezza del motivo.

Ed invero, è il caso di precisare che manifestamente infondata, ai sensi dell'art. 606, comma 3, del codice di procedura penale, non è soltanto la questione palesemente pretestuosa o artificiosa oppure quella apparente, tale cioè da presentarsi ictu oculi come inconsistente e priva di ogni ragionevolezza, o quella caratterizzata da evidenti errori di diritto nella interpretazione della norma posta a sostegno del ricorso, il più delle volte contrastate da una giurisprudenza costante e senza addurre motivi nuovi o diversi per sostenere l'opposta tesi, ovvero invocando una norma inesistente nell'ordinamento (da ultimo, ex multis, Sez. un., n. 12602 del 17 dicembre 2015, dep. 2016, Ricci, in motiv.), situazioni processuali che non esigono perciò un particolare sforzo motivazionale per essere confutate.

Manifestamente infondata è, invece, anche la questione che - pur dando luogo, sul piano logico, all'impostazione di un sillogismo - rende assolutamente vana, sul piano giuridico, la prospettazione dell'ipotesi strutturata con il motivo di ricorso, per l'assoluta inconsistenza della premessa che muove dall'interpretazione della norma o del principio giuridico invocati.

Ne consegue che, ai fini della valutazione del carattere manifesto, o meno, dell'infondatezza, occorre delibare sulla solidità delle ragioni poste a fondamento della doglianza, non potendo l'ampiezza della motivazione giudiziale o la complessità e la diffusività delle argomentazioni spese dal ricorrente con il motivo di impugnazione essere ritenute logicamente incompatibili con un procedimento ermeneutico che sfoci in un'affermazione di manifesta infondatezza del ricorso per cassazione. Infatti, proprio la carenza di fondamento dell'ipotesi prospettata con il motivo di gravame può richiedere la produzione di un particolare sforzo argomentativo per sostenerla, così da esigere parallelamente un'articolata motivazione per confutarla.

E ciò è quanto si è verificato nel caso in esame.

3.3. Né, ancora, è ravvisabile il secondo dedotto errore percettivo o di fatto denunciato dal ricorrente, che emergerebbe laddove la sentenza oggetto del ricorso straordinario afferma che l'avviso ex art. 114 disp. att. c.p.p., risultava regolarmente effettuato, laddove, invece, come era stato evidenziato nell'ordinario ricorso per cassazione, nel verbale richiamato dalla Cassazione, non compariva la firma "non è in grado di firmare".

Che non si tratti di errore percettivo o di fatto, discende dalla stessa articolazione del motivo che, al fine di sostenere la ricorrenza di un'ipotesi rientrante nella previsione dell'art. 625-bis c.p.p., ricorre al richiamo di atti processuali "di merito" che contrasterebbero con le risultanze del predetto verbale (deposizione di uno degli accertatori, ritrascritta a pag. 8 del ricorso straordinario; quanto affermato dal medico che aveva visitato l'imputato; referto del pronto soccorso). La Corte, nel dichiarare inammissibile il primo motivo, peraltro così si esprime: "secondo quanto riportato nelle due sentenze di merito, i testi B. e Q. avevano riferito che il F. risultava aver prestato il proprio consenso al prelievo ematico e, in ogni caso, le serie condizioni di salute in cui versava ne imponevano l'espletamento. Le loro dichiarazioni testimoniali, peraltro, non erano state allegate al ricorso, bensì riportate solo per stralcio all'interno di esso, in violazione del principio di autosufficienza. Non emergono, peraltro, tra le dichiarazioni dei predetti contraddizioni rilevabili in sede di legittimità. Peraltro, va osservato che l'avviso ex art. 114 disp. att. c.p.p. risulta regolarmente effettuato, come emerge dall'apposizione della croce sulla relativa casella del verbale sottoscritto e dalle dichiarazioni dei testimoni".

Risulta, dunque, evidente che nessun errore percettivo o di fatto è stato commesso dal collegio di legittimità, che ha infatti valutato le concordi risultanze delle sentenze di primo e secondo grado, peraltro escludendo qualsiasi rilevanza delle dichiarazioni testimoniali sia per non essere state integralmente allegate al ricorso, sia, in ogni caso, affermando che tra le dichiarazioni dei testi emergessero contraddizioni rilevabili in sede di legittimità.

Ancora una volta, dunque, si versa in un'ipotesi non sussumibile nell'alveo applicativo dell'art. 625-bis c.p.p., in quanto al giudizio di inammissibilità i giudici della Quarta sezione di questa Corte sono pervenuti attraverso l'esame delle risultanze "interne" al giudizio di legittimità disponibili al momento della decisione, con un procedimento logico, di tipo valutativo, che esclude in radice la sussistenza dell'asserito errore percettivo o di fatto (sulla non deducibilità con il ricorso straordinario in presenza di giudizi di tipo valutativo svolti dalla Corte di cassazione, si v., oltre la già richiamata sentenza delle Sezioni unite Basile, da ultimo: Sez. un., n. 18651 del 26 marzo 2015 - dep. 6 maggio 2015, Moroni, Rv. 263686-01).

3.4. Ancora più evidente è l'insussistenza del terzo errore percettivo denunciato dal ricorrente, quanto al primo motivo di ricorso, circa l'assenza di consenso da parte dell'indagato al prelievo.

Ed invero, articolando la doglianza seguendo la falsariga di quanto già operato a proposito della deduzione del secondo, presunto, errore percettivo, il ricorrente si limita a ribadire che i risultati ottenuti tramite prelievo del sangue sarebbero inutilizzabili non solo per mancanza dell'avviso del suo diritto di difesa, ma anche per il suo consenso al prelievo, costruendo la doglianza attraverso il richiamo ad un atto del processo (il verbale di accertamenti urgenti, in cui risulta cancellata la dicitura "su base volontaria") e pervenendo ad affermare, in sostanza, e genericamente, che dagli atti del processo non risulterebbe alcuna traccia del consenso al prelievo da parte del F. L'errore del collegio, dunque, sarebbe stato quello di non aver risposto al quesito iniziale della difesa (ossia: se egli era vigile e cosciente, per quale ragione gli operanti non lo hanno considerato in grado di sottoscrivere le dichiarazioni, per di più cancellando la dicitura "su base volontaria"?).

È palese quindi come, nel caso in esame, nessun errore di fatto o percettivo si contesta essersi verificato, quanto, piuttosto, si denuncia il diverso approdo valutativo cui i giudici di legittimità sono pervenuti, condotto sulla base delle decisioni di merito e sulle risultanze del verbale ex art. 354 c.p.p., ritenendo esistente il consenso al prelievo: ancora una volta, pertanto, ad essere denunciato non è un errore di fatto o percettivo, ma, al più, un errore di tipo valutativo, in quanto tale, come visto, non deducibile con il mezzo esperito.

3.5. Quanto, infine, al quarto, asserito, errore di fatto o percettivo, cui il collegio della Quarta sezione penale sarebbe incorso, laddove ha dichiarato il quarto motivo di doglianza, riferito alle tempistiche del prelievo, inammissibile per manifesta infondatezza, argomentando in maniera difforme dalla più recente giurisprudenza, si tratta, all'evidenza di un'ipotesi radicalmente esclusa dalla deducibilità ex art. 625-bis c.p.p.

Pur prescindendo, infatti, dalle condivisibili argomentazioni a sostegno del giudizio di inammissibilità del quarto motivo (che si fondano, come risulta dall'agevole lettura della sentenza ricorsa, non solo sulle risultanze del doppio giudizio di merito - che, a parere della Quarta sezione, avrebbe fatto corretta applicazione dei principi di diritto espressi da Cass. 50973/2017 - ma anche, e soprattutto, da un deficit argomentativo del ricorso originario, avendo il ricorrente omesso "di chiarire in che modo potevano essere confutate le osservazioni della Corte territoriale, secondo le quali, in assenza di ulteriori assunzioni di bevande alcoliche fra il sinistro ed il rilevamento, solo l'assunzione di una rilevante quantità di alcool prima del prodursi del sinistro avrebbe potuto giustificare l'esito riscontrato"), ciò che emerge con evidenza dalla doglianza proposta in sede di ricorso straordinario è che la censura rivolta alla sentenza impugnata consisterebbe nel non aver tenuto conto della più recente giurisprudenza la quale, nell'ottica del ricorrente, avrebbe affermato un principio diverso da quello seguito dalla Cassazione per giungere al giudizio di inammissibilità del quarto motivo.

Ancora una volta, dunque, non si versa in una ipotesi di errore percettivo di fatto, ma di legittimo esercizio del potere-dovere della Corte di esercitare il proprio sindacato di legittimità, valutando la correttezza, in diritto, del principio applicato dal giudice di merito per la soluzione del caso concreto sottoposto al suo vaglio.

La scelta di seguire un orientamento giurisprudenziale piuttosto che di altro, difforme, o non del tutto conforme, orientamento, non può infatti mai ricadere nell'errore percettivo o di fatto, atteso che - come del resto già affermato dalle richiamate Sezioni unite Basile - "sono estranei all'ambito di applicazione dell'istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l'attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati".

4. Deve essere, conclusivamente, dichiarato inammissibile de plano, a seguito di delibazione preliminare e senza la necessità di fissazione dell'udienza camerale, ai sensi dell'art. 625-bis, comma quarto, c.p.p., il ricorso straordinario che - come nel caso in esame - risulti manifestamente infondato in quanto proposto avverso una sentenza della Corte di cassazione priva di errore materiale (tra le tante: Sez. 3, n. 51013 del 24 ottobre 2013 - dep. 18 dicembre 2013, Locatelli, Rv. 257927-01).

5. Alla pronuncia di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di euro 4000 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 4.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Depositata il 12 novembre 2020.

F. Di Marzio (dir.)

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