Corte di cassazione
Sezione II penale
Sentenza 13 ottobre 2020, n. 33641

Presidente: Verga - Estensore: Pardo

RITENUTO IN FATTO

1.1. Con provvedimento in data 4 novembre 2019, la corte di appello di Potenza dichiarava inammissibile l'istanza di revocazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca avanzata da S. Vito, So. Antonia e P. Rosa avverso il decreto della Corte di appello di Lecce del 22 novembre 2017. Riteneva la corte di appello che il S., nel provvedimento ablativo, era stato ritenuto rientrare nei pericolosi generici di cui alle lett. a) e b) dell'art. 1 d.lgs. 159 del 2011 con la conseguenza che la declaratoria di illegittimità costituzionale della sola categoria di cui alla citata lett. a) da parte della pronuncia della Corte costituzionale n. 24 del 2019 non poteva assumere valore decisivo e ciò sia perché S. era stato ritenuto soggetto rientrante anche nella categoria della lett. b) sia, ancora, perché l'interpretazione tassativizzante dei presupposti per l'applicazione della confisca aveva già portato a ritenere applicabile la suddetta misura non già in virtù di meri sospetti bensì in presenza di precise condizioni di fatto. Inoltre, dovevano ritenersi assenti i presupposti per il ricorso al rimedio della revocazione ai sensi dell'art. 28 d.lgs. 159 del 2011 esperibile soltanto nei casi di difetto originario dei presupposti per l'applicazione della misura nel caso di specie non ravvisabili.

1.2. Avverso detto provvedimento proponevano ricorso per cassazione i difensori dei proposti, avv.ti Di Tano e Carrieri, deducendo, con un primo motivo, violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., mancanza di motivazione, con specifico riferimento al sopravvenuto difetto originario dei presupposti per l'applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca posto a fondamento dell'istanza di revocazione; al proposito, venivano ripercorse le vicende relative alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della previsione di cui alla lett. a) dell'art. 1 del d.lgs. n. 159 del 2011 nella parte in cui si riteneva applicabile la misura di prevenzione a coloro che debbano ritenersi sulla base di elementi di fatto dediti abitualmente a traffici delittuosi. Si precisava che, con la stessa sentenza n. 24 del 2019, la Corte costituzionale aveva riconosciuto la legittimità costituzionale della categoria di cui alla lett. b) del citato art. 1 posto che la sua portata precettiva doveva ritenersi sufficientemente precisata alla luce della evoluzione giurisprudenziale successiva [al]la sentenza de Tommaso della Cedu. Doveva pertanto darsi atto del sopravvenuto difetto originario dei presupposti per l'applicazione della misura in quanto la declaratoria di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 1 aveva determinato il sopravvenuto difetto originario dei presupposti per l'applicazione della confisca ed errata doveva ritenersi la motivazione del giudice della revocazione che aveva invece accertato la sussistenza delle condizioni per l'applicazione della misura nel procedimento in oggetto in base ad una interpretazione non consona ai parametri dettati dalla Corte costituzionale.

Con il secondo motivo, si lamentava violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale in relazione all'art. 28, comma 2, del d.lgs. 159 del 2011, e ciò perché detta norma, prevedendo una figura di revocazione della confisca di prevenzione assimilabile alla revisione del giudicato penale, doveva ritenersi applicabile in tutti i casi in cui sorga l'esigenza di rimozione degli effetti di un giudicato iniquo. Secondo la prospettazione dei ricorrenti, il secondo comma del citato art. 28 consente agli interessati di domandare la revocazione anche al solo fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l'applicazione della misura, così che il giudice della revocazione avrebbe dovuto necessariamente verificare se, al momento in cui era intervenuta la decisione di merito, erano sussistenti i presupposti per l'applicazione della misura di prevenzione patrimoniale e cioè se il S. rientrasse nelle categorie di cui alle lett. a) e b) dell'art. 1; tale interpretazione doveva essere compiuta alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e doveva tenere conto della circostanza che nel procedimento in esame era stata eccepita l'illegittimità costituzionale della norma riguardante la pericolosità generica per l'assenza di condizioni tali da poter ragionevolmente prevedere con anticipo l'applicazione della misura stessa. Posto, quindi, che prima della pubblicazione della sentenza CEDU de Tommaso le disposizioni normative non soddisfacevano i parametri di legittimità costituzionale e convenzionale, doveva ritenersi che la confisca dei beni immobili dei proposti era illegittima perché disposta assumendo, quale presupposto legale, condotte del S. risalenti agli anni '80 e '90 e cioè relative ad un periodo in cui egli non poteva prevedere con anticipo che la tenuta di quelle condotte l'avrebbe reso destinatario della misura di prevenzione della sorveglianza speciale nonché della confisca di beni immobili appartenenti ai suoi prossimi congiunti. Doveva, pertanto, ritenersi che l'esproprio nei confronti della So. e della P. fosse illegale e poiché la previsione dell'art. 46 della Convenzione europea obbligava gli Stati contraenti a conformarsi alle sentenze definitive della Corte EDU, si imponeva la restituzione in favore degli interessati previa revoca del giudicato già formatosi. E lo strumento specifico per rimettere in discussione il giudicato doveva ritenersi, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale, proprio quello previsto dall'art. 28 e cioè la domanda di revocazione prevista dal secondo comma al fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l'applicazione della misura, difetto sussistente anche nel caso specifico del S. Vito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1. Il ricorso è fondato e deve, pertanto, essere accolto.

Deve in primo luogo essere ricordato come la Corte costituzionale, con la sentenza n. 24 del 2019, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della categoria dei pericolosi generici di cui alla lett. a) del d.lgs. 159 del 2011; in particolare, il giudice delle leggi, nella suddetta sentenza, dopo avere proceduto ad una lunga esposizione dei presupposti storici delle misure di prevenzione, ha affermato che: "L'altra fattispecie di cui all'art. 1, numero 1), della l. n. 1423 del 1956, poi confluita nell'art. 1, lettera a), del d.lgs. n. 159 del 2011, appare invece affetta da radicale imprecisione, non emendata dalla giurisprudenza successiva alla sentenza de Tommaso. Alla giurisprudenza, infatti, non è stato possibile riempire di significato certo, e ragionevolmente prevedibile ex ante per l'interessato, il disposto normativo in esame". Ed ancora, in relazione alla categoria della lett. a), la predetta pronuncia affermava come "... Simili genericissime (e tra loro tutt'altro che congruenti) definizioni di un termine geneticamente vago come quello di «traffici delittuosi», non ulteriormente specificato dal legislatore, non appaiono in grado di selezionare, nemmeno con riferimento alla concretezza del caso esaminato dal giudice, i delitti la cui commissione possa costituire il ragionevole presupposto per un giudizio di pericolosità del potenziale destinatario della misura: esigenza, questa, sul cui rispetto ha richiamato non solo la Corte EDU nella sentenza de Tommaso, ma anche - e assai prima - questa stessa Corte nella sentenza n. 177 del 1980".

Tali considerazioni di fondamentale difetto di tassatività venivano estese anche alle misure patrimoniali stabilendosi in conclusione che: "Pertanto, la descrizione normativa in questione, anche se considerata alla luce della giurisprudenza che ha tentato sinora di precisarne l'ambito applicativo, non soddisfa le esigenze di precisione imposte tanto dall'art. 13 Cost., quanto, in riferimento all'art. 117, comma primo, Cost., dall'art. 2 del Prot. n. 4 CEDU per ciò che concerne le misure di prevenzione personali della sorveglianza speciale, con o senza obbligo o divieto di soggiorno; né quelle imposte dall'art. 42 Cost. e, in riferimento all'art. 117, comma primo, Cost., dall'art. 1 del Prot. addiz. CEDU per ciò che concerne le misure patrimoniali del sequestro e della confisca".

Ne consegue, pertanto, affermare che le misure disposte ai sensi della citata lett. a) sono affette da vizio di illegittimità così come rilevato dalla predetta pronuncia del giudice delle leggi; vizio che inficia anche la misura disposta nei riguardi dell'odierno ricorrente.

Quanto alla categoria dei pericolosi generici di cui alla lett. b) dell'art. 1 citato, pure oggetto di valutazione di legittimità da parte della stessa pronuncia n. 24, la Corte ha espressamente interpretato il concetto di: "coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose". Al proposito la pronuncia ha espressamente affermato che: "Le 'categorie di delitto' che possono essere assunte a presupposto della misura sono in effetti suscettibili di trovare concretizzazione nel caso di specie esaminato dal giudice in virtù del triplice requisito - da provarsi sulla base di precisi «elementi di fatto», di cui il tribunale dovrà dare conto puntualmente nella motivazione (art. 13, secondo comma, Cost.) - per cui deve trattarsi di a) delitti commessi abitualmente (e dunque in un significativo arco temporale) dal soggetto, b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui, c) i quali a loro volta costituiscano - o abbiano costituito in una determinata epoca - l'unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito. Ai fini dell'applicazione della misura personale della sorveglianza speciale, con o senza obbligo o divieto di soggiorno, al riscontro processuale di tali requisiti dovrà naturalmente aggiungersi la valutazione dell'effettiva pericolosità del soggetto per la sicurezza pubblica, ai sensi dell'art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011. Quanto, invece, alle misure patrimoniali del sequestro e della confisca, i requisiti poc'anzi enucleati dovranno - in conformità all'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di cui si è poc'anzi dato conto (al punto 10.3) - essere accertati in relazione al lasso temporale nel quale si è verificato, nel passato, l'illecito incremento patrimoniale che la confisca intende neutralizzare".

Pertanto, solo la compresenza dei predetti tre requisiti rende legittima la misura di prevenzione patrimoniale nei confronti dei c.d. pericolosi generici ex lett. b) dell'art. 1 d.lgs. 159 del 2011.

E la stessa pronuncia, nel dettare le precise condizioni per ritenere costituzionalmente legittima la figura dei pericolosi generici di cui alla citata lett. b), concludeva affermando che i requisiti precisati quale presupposto di legittimità dovevano essere verificati con riferimento al momento temporale dell'arricchimento ingiustificato: "... Dal momento che, secondo quanto autorevolmente affermato dalle sezioni unite della Corte di cassazione, la necessità della correlazione temporale in parola «discende dall'apprezzamento dello stesso presupposto giustificativo della confisca di prevenzione, ossia dalla ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività illecita» (Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 26 giugno 2014-2 febbraio 2015, n. 4880), l'ablazione patrimoniale si giustificherà se, e nei soli limiti in cui, le condotte criminose compiute in passato dal soggetto risultino essere state effettivamente fonte di profitti illeciti, in quantità ragionevolmente congruente rispetto al valore dei beni che s'intendono confiscare, e la cui origine lecita egli non sia in grado di giustificare".

Così che il giudizio di pericolosità generica di cui alla lett. b) dell'art. 1 d.lgs. 159/2011 è subordinato per la sua legittimità sia alla verifica dei citati tre parametri che anche all'accertamento della consumazione di delitti produttivi di profitti illeciti in quantità congruente con il patrimonio oggetto di ablazione.

Non vi è dubbio, pertanto, circa la natura della suddetta pronuncia della Corte costituzionale che appare avere, da un lato, stabilito l'illegittimità costituzionale di parte della categoria dei pericolosi generici (quelli di cui alla lett. a del citato art. 1) e, dall'altro, fornito precisi criteri interpretativi nella pronuncia di rigetto della illegittimità costituzionale della seconda categoria di cui alla lett. b) stesso decreto, alla cui sussistenza è subordinata la legittimità della misura.

1.2. Successivamente [al]la pronuncia della Corte costituzionale, questa Corte di cassazione, con plurime pronunce tutte sostanzialmente conformi, ha fatto immediata applicazione dei suddetti principi ai procedimenti in corso sia essi avessero ad oggetto misure personali che misure patrimoniali; invero, secondo una prima interpretazione, in tema di misure di prevenzione, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, le "categorie di delitto" legittimanti l'applicazione di una misura fondata sul giudizio di c.d. pericolosità generica, ai sensi dell'art. 1, lett. b), del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, devono presentare il triplice requisito - da ancorare a precisi elementi di fatto, di cui il giudice di merito deve rendere adeguatamente conto in motivazione - per cui deve trattarsi di delitti commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale, che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto e che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l'unica, o quantomeno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo (Sez. 2, n. 27263 del 16 aprile 2019, Rv. 275827). Il principio risulta ribadito da altra pronuncia secondo cui le misure di prevenzione disposte nei confronti dei soggetti c.d. pericolosi generici che rientrano in entrambe le categorie di cui alle lett. a) e b) dell'art. 1 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non perdono la loro validità a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 24 del 2019, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della sola prima categoria di soggetti, a condizione che nella proposta e nel provvedimento applicativo non solo sia stata richiamata anche la categoria di cui alla lett. b) della norma citata, ma, altresì, che il giudice della misura abbia accertato, sulla base di specifiche circostanze di fatto, che il proposto si sia reso autore di delitti commessi abitualmente in un significativo arco temporale, da cui abbia tratto un profitto che costituisca - ovvero abbia costituito in una determinata epoca - il suo unico reddito o, quanto meno, una componente significativa del medesimo (Sez. 2, n. 12001 del 15 gennaio 2020, Rv. 278681).

In motivazione, tale seconda pronuncia, precisa che "ciò che assume valore decisivo infatti è che a fronte di una proposta avanzata nei confronti di soggetti rientranti in entrambe le categorie indicate il giudice di merito, nello scrutinio della riconducibilità del ricorrente all'ipotesi di pericolosità generica di cui alla citata lett. b), si sia conformato ai criteri interpretativi indicati dalla Corte costituzionale".

Ora, nel caso in esame, i giudici della domanda di revocazione non hanno in alcun modo precisato la sussistenza dei predetti presupposti non avendo chiarito se, a seguito della esclusione della categoria di cui alla lett. a) dell'art. 1, il S. potesse essere fatto rientrare nei soggetti di cui alla lett. b) così come interpretati dalla stessa sentenza n. 24 della Corte costituzionale e cioè che questi fosse autore di:

a) delitti commessi abitualmente (e dunque in un significativo arco temporale),

b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui,

c) i quali a loro volta costituiscano - o abbiano costituito in una determinata epoca - l'unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito.

Ne consegue affermare che la corte di appello di Potenza non poteva dichiarare inammissibile il ricorso statuendo la ricorrenza del requisito della lett. b) senza procedere al necessario accertamento della sussistenza in capo al S. dei tre requisiti ritenuti fondamentali da Corte costituzionale n. 24 del 2019.

2.2. Né può sorgere dubbio in ordine alla possibilità di fare ricorso nel caso in esame proprio al rimedio della revocazione ex art. 28 d.lgs. 159 del 2011, apparendo così fondato anche il secondo motivo proposto nell'interesse dei ricorrenti che reclama proprio la legittimità di tale opzione procedurale.

Come segnalato dallo stesso parere del Procuratore Generale, acquisito nel presente procedimento, questa corte di legittimità ha già affermato il principio della revocabilità del giudicato di prevenzione per la valutazione dei presupposti richiesti dalla Corte costituzionale quanto ai c.d. pericolosi generici in tema di misure personali. Invero, secondo una recente pronuncia in tema di misure di prevenzione è "sostanzialmente illegittimo", e dunque suscettibile di revoca in sede di esecuzione, il provvedimento di applicazione di una misura fondata sul giudizio di c.d. pericolosità generica, ai sensi dell'art. 1, lett. b), del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, che sia privo di adeguata motivazione circa la sussistenza del triplice requisito - delitti commessi abitualmente dal proposto che abbiano effettivamente generato profitti per il predetto, costituenti l'unico suo reddito o, quantomeno, una componente significativa dello stesso - necessario, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, affinché le condotte sintomatiche di pericolosità possano rientrare in via esclusiva nella lett. b) dell'art. 1 del detto decreto (Sez. 1, n. 11661 del 10 gennaio 2020, Rv. 278738). Ed in motivazione, la suddetta pronuncia, precisa che: "deve ritenersi che il portato della decisione n. 24/2019, nell'estendere alle misure di prevenzione - in quanto incidenti, come le pene, su diritti fondamentali di libertà - alcuni principi comuni al sistema punitivo e, in particolare, le garanzie dell'art. 13 Cost., non possa non essere correlato, per quel che qui rileva, al filone della giurisprudenza convenzionale, costituzionale e di legittimità, che, nel dare atto dell'accelerazione, negli ultimi tempi, del processo di erosione dell'intangibilità del giudicato, ha stabilito, (anche) con riferimento alla fase dell'esecuzione penale, che nel bilanciamento tra il valore costituzionale del giudicato e opposti valori, ugualmente di dignità costituzionale, tra i quali certamente va annoverato quello della tutela della libertà personale, debba prevalere quest'ultimo, a fronte «di una sanzione penale rivelatasi, successivamente al giudicato, convenzionalmente e costituzionalmente illegittima» (Corte EDU, sentenza del 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia; Sez. un., n. 18821 del 24 ottobre 2013, dep. 2014, Ercolano, Rv. 252933 - 252934 - 258649 - 258650 - 258651-01; Sez. un., n. 42858 del 29 maggio 2014, Gatto, Rv. 26095 - 26096 - 26097 - 26098 - 26099 - 260700-01; C. cost. n. 113/2011, n. 210/2013). 3.2. Esteso tale principio alle misure di prevenzione, in ragione del comune denominatore che, in parte, le lega al sistema punitivo penale siccome messo in luce dal Giudice delle leggi, deve affermarsi, per quanto d'interesse, che una misura di prevenzione personale, applicata senza essere munita di 'idonea base legale' come indicato nella decisione n. 24/2019, debba ritenersi non conforme alla interpretazione costituzionale in essa (decisione) delineata, e, in quanto sostanzialmente 'illegale', non possa che essere suscettibile di revoca quand'anche coperta da precedente giudicato (in tal senso, in motivazione, v. Sez. 1, n. 35756 del 30 maggio 2019, Arona, n.m.). Occorre ricordare, a tale riguardo, che lo stesso legislatore, all'art. 11 d.lgs. n. 159/2011 (Esecuzione), dispone che il provvedimento applicativo delle misure di prevenzione 'può essere revocato o modificato... quando sia cessata e mutata la causa che lo ha determinato', così sottendendo, all'evidenza, una caratteristica di intrinseca 'flessibilità' propria del giudicato in materia di prevenzione rispetto a quella del giudicato penale di condanna e che lo espone, a differenza del secondo e per volontà di legge, alla influenza di elementi sopravvenuti capaci di farlo venir meno o di modificarlo. È pacifico, quindi, che l'originario giudizio di pericolosità sociale, addotto a sostegno dell'applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale, debba essere rivisitato e, all'occorrenza, superato - con la conseguente revoca della misura - qualora sopravvengano, rispetto al 'giudicato', elementi nuovi tali da dimostrare la cessazione della pericolosità sociale del proposto (fra molte, Sez. 5, n. 2471 del 6 dicembre 2018, dep. 18 gennaio 2019, Giampà, Rv. 275410-01; Sez. 1, n. 19657 del 24 gennaio 2017, Palermo, Rv. 269947-01; Sez. 6, n. 567 del 17 novembre 2015, dep. 8 gennaio 2016, Rv. 265766-01)".

Analogamente a quanto affermato nella predetta pronuncia deve ritenersi che in tema di misure di prevenzione patrimoniali l'istituto che ne permette la rivalutazione ai fini dell'accertamento della idonea base legale pur in presenza di giudicato è il rimedio della revocazione; invero detto istituto è proprio diretto alla elisione ex tunc del provvedimento ablativo nel caso di successivo accertamento del difetto dei presupposti come si ricava dalla lettura del secondo comma dell'art. 28 d.lgs. 159/2011 secondo cui "In ogni caso la revocazione può essere richiesta al solo fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l'applicazione della misura".

L'istituto della revocazione della confisca definitiva - di cui al citato art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011 - è una ipotesi «speciale» di revisione introdotta dal legislatore nel 2011, in sede di prevenzione patrimoniale, allo scopo di «formalizzare» i contenuti della elaborazione giurisprudenziale sull'argomento, tesi in precedenza a realizzare una estensione interpretativa della revoca disciplinata dall'art. 7 l. n. 1423 del 1956. In tal senso appare fondamentale fare riferimento all'intervento delle Sezioni unite nel 2007 che avevano già affermato come il provvedimento di confisca deliberato ai sensi dell'art. 2-ter, comma 3, l. 31 maggio 1975, n. 575 (disposizioni contro la mafia) è suscettibile di revoca ex tunc a norma dell'art. 7, comma 2, l. 27 dicembre 1956, n. 1423 (misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), allorché sia affetto da invalidità genetica e debba, conseguentemente, essere rimosso per rendere effettivo il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell'errore giudiziario, non ostando al relativo riconoscimento l'irreversibilità dell'ablazione determinatasi, che non esclude la possibilità della restituzione del bene confiscato all'avente diritto o forme comunque riparatorie della perdita patrimoniale da lui ingiustificatamente subita (Sez. un., n. 57 del 19 dicembre 2006, Rv. 234955). E quindi la revoca ex tunc - sino alla introduzione del nuovo istituto della revocazione ai sensi dell'art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011 - garantiva la tenuta del sistema delle misure di prevenzione a fronte della emersione di un vizio genetico della decisione definitiva, tale da determinare la necessità di riparazione dell'errore giudiziario.

Ora, appare evidente che, una volta introdotta la previsione di legge ad hoc (art. 28), le sue disposizioni interne vanno interpretate secondo un criterio sistematico che tenga conto delle finalità complessive dell'istituto. In questo senso altra pronuncia di questa corte ha negato che possa farsi ricorso al rimedio dell'incidente di esecuzione richiamando proprio l'istituto della revocazione ex art. 28 quale rimedio per adeguare la disposta misura definitiva alla interpretazione data dalla CEDU; si è in particolare affermato che: "La disciplina vigente in tema di misure patrimoniali prevede, come è noto, l'istituto della revocazione della confisca (art. 28), nel cui ambito - nonostante la mancata previsione di un caso ad hoc - è da ritenersi possibile collocare il potere di valutare le ricadute di una decisione emessa dalla Corte Edu che abbia accertato una rilevante violazione di uno dei principi della Convenzione Edu (v. Corte cost. 113 del 2011, sentenza additiva rispetto alla disciplina della revisione comune su cui è modellato l'istituto). Pur in assenza di un richiamo espresso, in tale ambito andrebbe - inoltre - riconosciuta al giudice della revocazione la possibilità di adottare un provvedimento di sospensione degli effetti della confisca, sulla falsariga dei contenuti dell'art. 635, comma 1, c.p.p. ed in presenza di una valutazione positiva circa la fondatezza della domanda di revisione" (Sez. 1, n. 40765 del 13 giugno 2018, Rv. 273968).

Anche in dottrina, nei primi commenti successivi la pronuncia della Corte costituzionale n. 24 del 2019, si è fatto riferimento alla possibilità di applicare il rimedio della revocazione ex art. 28 d.lgs. 159 del 2011 per valutare la persistente legittimità costituzionale delle misure patrimoniali disposte; in particolare si è affermato che per quanto concerne invece la confisca definitiva, lo strumento potrebbe essere rappresentato dalla revocazione disciplinata dall'art. 28 del Codice antimafia, laddove si volesse ritenere che la sentenza caducatoria della Corte costituzionale sia riconducibile nell'alveo del comma 2 della predetta disposizione; talché le conseguenze restitutorie, anche per equivalente, previste dal successivo art. 46 del Codice antimafia. Secondo altri autori proprio tale soluzione eviterebbe l'inutilità del secondo comma del citato art. 28 così che proprio per individuare uno spazio di applicazione a tale norma si potrebbe pensare che essa sia destinata a trovare applicazione proprio in casi come quelli descritti, in cui, a prescindere dall'integrazione delle specifiche cause di cui al comma 1, sia dimostrabile per fatti sopravvenuti la carenza originaria dei presupposti della confisca.

Va pertanto confermato che la revocazione ex art. 28 è da ritenersi proponibile anche nella particolare ipotesi di decisione irrevocabile emessa in sede di prevenzione nei confronti di un soggetto ritenuto rientrare nelle categorie di cui alle lett. a) e b) dell'art. 1 d.lgs. 159 del 2011 come modificate a seguito dell'intervento in parte demolitivo ed in parte interpretativo operato dalla Corte costituzionale con la pronuncia 24 del 2019.

E nel caso in esame, pertanto, correttamente i proposti hanno fatto ricorso al rimedio della revocazione per fare valere la declaratoria di illegittimità costituzionale della categoria dei pericolosi generici di cui alla citata lett. a) e la non ricorrenza in capo al S. dei presupposti legittimanti l'adozione della confisca di prevenzione nei riguardi dei soggetti di cui alla lett. b) dell'art. 1, secondo l'interpretazione fornita in sede di pronuncia n. 24 della Corte costituzionale che costituisce parametro obbligatorio di riferimento per il giudice anche della revocazione.

La rilevata violazione di legge e carenza di motivazione, che non dà conto, in modo adeguato, della necessaria verifica richiesta al giudice di merito per accertare la "legalità" della misura di prevenzione applicata ai proposti annoverati nella categoria di pericolosità "generica" di cui alla lett. b), art. 1, d.lgs. n. 159/2011, nell'interpretazione costituzionalmente corretta indicata dalla sentenza interpretativa di rigetto n. 24/2019, impone l'annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio alla Corte di appello di Potenza in diversa composizione per nuovo esame, da condursi alla luce dei principi in precedenza esposti.

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato con rinvio alla corte di appello di Potenza in diversa composizione.

Depositata il 27 novembre 2020.

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