Corte di cassazione
Sezione IV penale
Sentenza 25 novembre 2020, n. 34366

Presidente: Piccialli - Estensore: Pezzella

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Lecce, con ordinanza del 24 giugno 2019, dichiarava inammissibile la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata ex art. 314 c.p.p., con atto depositato in data 13 ottobre 2017, nell'interesse di L. Donato, deceduto il 29 settembre 2017.

L. Donato veniva sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, per reati di riciclaggio in concorso con L. Pietro, in esecuzione di ordinanza emessa il 15 gennaio 2002 dal GIP del Tribunale di Taranto, dal 17 gennaio 2002 fino al 28 febbraio 2002, data in cui la misura veniva revocata.

L'indagato veniva assolto dal Tribunale di Taranto, perché il fatto non sussiste, con sentenza del 20 febbraio 2007, confermata in appello dalla Corte di appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto - in data 12 maggio 2015.

L'istanza era depositata in data 13 ottobre 2017; all'udienza del 24 giugno 2019 veniva acquisito certificato di morte del ricorrente (avvenuta il 29 settembre 2017) e formalizzata la costituzione delle eredi dello stesso, S. Maria Teresa e L. Debora, rispettivamente moglie e figlia.

2. Avverso la dichiarata inammissibilità hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, S. Maria Teresa e L. Debora, deducendo, con un unico motivo - di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p. - violazione di legge in relazione agli artt. 314 c.p.p., 24 Cost., 5 CEDU.

Le ricorrenti richiamano i precedenti di questa Corte di legittimità, in materia civile, relativi all'ultrattività del mandato, rilevando che la morte del mandante, costituito in giudizio tramite difensore, non determina interruzione del processo ove non venga dichiarata dallo stesso difensore, sopravvivendo la rappresentanza processuale al decesso dei mandante; mentre nei rapporti interni fra mandante e mandatario, gli atti, tra cui anche la nomina di un procuratore ad processum, compiuti dal mandatario, prima di conoscere l'estinzione del mandato per morte, restano validi, sia nei confronti del mandante che dei suoi eredi, salva da parte di questi ultimi la ratifica dell'operato del mandatario.

Tale principio di ultrattività andrebbe applicato, nel caso che ci occupa, al mandato conferito con procura speciale al proprio difensore, che al momento del deposito dell'istanza di riparazione non era a conoscenza della morte del suo assistito.

Vengono, altresì, richiamati gli artt. 1728 e 1722 c.c. a sostegno della tesi dell'ultrattività, nonché l'art. 182 c.p.c. che prevede, nel caso in cui il giudicante rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione a stare in giudizio ovvero un vizio che determini la nullità della procura, l'assegnazione di un termine perentorio per la costituzione della parte cui spetta la rappresentanza o per il rilascio delle necessarie autorizzazioni o di una nuova procura.

Sarebbe insita nella norma, pertanto, la possibilità di rilascio di una procura con efficacia retroattiva da parte dei nuovi titolari del diritto.

Nel caso in questione si sottolinea l'avvenuta costituzione in giudizio degli eredi.

Le ricorrenti affermano nuovamente, quindi, che, come sancito da Sez. 3 civ., n. 1760 dell'8 febbraio 2012, nel caso di estinzione del potere rappresentativo per morte del soggetto rappresentato, ai sensi dell'art. 1722, n. 4, c.c. gli atti compiuti dal rappresentante nell'esplicazione dell'attività gestoria, anche se posti in essere successivamente, sono operativi di effetti nei confronti sia del rappresentante che dei terzi.

Chiedono, pertanto, l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con i conseguenti provvedimenti di legge.

3. Il Procuratore generale presso questa Corte Suprema in data 15 gennaio 2020 ha rassegnato ex art. 611 c.p.p. le proprie conclusioni scritte chiedendo il rigetto del proposto ricorso.

4. In data 17 gennaio 2020 ha rassegnato le proprie conclusioni il Ministero dell'economia e delle finanze per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato che ha concluso per l'inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso, con vittoria di spese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.

2. Va premesso essere fuori discussione che, in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, i prossimi congiunti della persona ingiustamente privata della libertà e deceduta nelle more del giudizio di riparazione possono far valere il diritto sorto a favore del defunto in forza dell'esplicito rinvio dell'art. 315, comma terzo, c.p.p. alla disposizione di cui all'art. 644, comma secondo, in materia di riparazione dell'errore giudiziario (cfr. Sez. 4, n. 19322 del 16 febbraio 2005, Maniaci, Rv. 231552).

Tuttavia, va osservato che, nel caso che ci occupa, il decesso di L. Donato è avvenuto prima del deposito dell'istanza di riparazione, determinando in tal modo l'estinzione del mandato conferito anche e proprio in applicazione di quelle regole civilistiche che la ricorrente invoca.

Ciò in quanto non può trovare applicazione il principio di ultrattività del mandato, espressamente previsto nel caso in cui si sia validamente costituito il rapporto processuale, che nel presente giudizio non è mai stato validamente costituito.

Univoca in tal senso è la costante giurisprudenza delle sezioni civili di questa Corte secondo cui, in caso di morte del rappresentato avvenuta anteriormente all'introduzione del giudizio da parte del rappresentante, ignaro dell'evento, non è invocabile il principio dell'ultrattività del mandato, il quale esplica la sua efficacia con riguardo al rapporto giuridico sostanziale, ma non con riguardo a quello processuale, che non può venire ad esistenza se manca uno dei soggetti che devono esserne titolari (Sez. 2 civ., n. 7688 del 13 luglio 1993).

E, ancora di recente, è stato ribadito che la morte della parte attrice intervenuta prima della notificazione della citazione o del deposito del ricorso determina l'estinzione del mandato conferito al difensore e, conseguentemente, la nullità della vocatio in ius e dell'intero eventuale giudizio che ne è seguito, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, atteso che il contraddittorio tra le parti si instaura solo al momento in cui la domanda è portata a conoscenza della parte convenuta, tenuto altresì conto che il principio dell'ultrattività del mandato e della sopravvivenza della procura ad litem oltre la morte del mandante ha carattere del tutto eccezionale e non può trovare applicazione al di là delle ipotesi espressamente previste (Sez. 6 civ., ord. n. 27530 del 20 novembre 2017, Rv. 646776; conf. Sez. 6 civ., ord. n. 16177 del 19 giugno 2018, Rv. 649644).

Corretta è stata, quindi, la decisione della Corte di appello di Lecce che ha dichiarato l'inammissibilità della domanda, dichiarando l'inapplicabilità del principio di ultrattività del mandato.

3. Diversa - e coerente con la sopra ricordata giurisprudenza di legittimità in sede civile - è l'affermazione che gli eredi di colui che abbia proposto la domanda di riparazione per l'ingiusta detenzione sono legittimati a proseguire il giudizio in caso di decesso dell'interessato nelle more del giudizio, dovendo trovare applicazione, per il carattere patrimoniale del petitum, la disciplina processualcivilistica, che ricollega l'estinzione del processo non alla morte della parte, ma alla mancata prosecuzione o riassunzione in termini dello stesso da parte dei successori aventi diritto (cfr. Sez. 3, n. 46386 del 17 settembre 2019, Stagno, Rv. 277270; conf. Sez. 4, n. 268 del 22 gennaio 1998, De Rachewiltz, Rv. 210627).

Peraltro, rileva correttamente la Corte salentina, la costituzione in giudizio delle odierne ricorrenti, titolari del diritto di chiedere la riparazione, è avvenuta solo all'udienza del 24 giugno 2019, ben oltre il termine per la presentazione dell'istanza di due anni dal passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione (irrevocabile il 16 ottobre 2015), per il cui mancato rispetto è prevista l'inammissibilità.

Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: "Il rilascio di una procura ad litem antecedente alla morte del ricorrente e precedente alla proposizione del ricorso per riparazione per ingiusta detenzione determina l'estinzione del mandato, potendo gli eredi iniziare il giudizio di riparazione per l'ingiusta detenzione subita dal congiunto, munendosi di apposito mandato, ma sempre nel rispetto del termine di decadenza di cui all'art. 315, comma 1, c.p.p.".

La domanda di riparazione per l'ingiusta detenzione presentata per mezzo di procuratore speciale successivamente alla morte del rappresentato in questo caso è perciò inammissibile poiché la morte del rappresentato è causa di estinzione della procura (il rappresentante è tenuto a restituire agli eredi il documento dal quale risultano i suoi poteri, quando questi sono cessati).

4. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna delle parti ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

Ritiene il Collegio che giusti motivi, tenuto conto della genericità delle argomentazioni svolte nella depositata memoria, che in alcun modo si confrontano con i motivi del proposto ricorso, inducano a compensare le spese di giudizio nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio.

Depositata il 3 dicembre 2020.

F. Del Giudice, B. Locoratolo

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